Versione
stampabile
In tema di condominio, il possesso delle
parti comuni, inteso come esercizio di fatto corrispondente
al diritto, si atteggia diversamente a seconda che le cose,
gli impianti ed i servizi siano oggettivamente utili alle
singole unità immobiliari, cui sono collegati materialmente
o per destinazione funzionale (come ad esempio fondazioni,
muri maestri, facciate, tetti, lastrici solari, oggettivamente
utili per la statica), oppure siano utili soggettivamente,
e perciò la loro unione materiale o la destinazione
funzionale ai piani o porzioni di piano dipende dall'attività
dei rispettivi proprietari (come ad esempio scale, portoni,
anditi, portici, stenditoi, ascensore, impianti centralizzati
per l'acqua calda o per aria condizionata).
Infatti, nel primo caso l'esercizio del possesso consiste
nel beneficio che il piano o la porzione di piano - e soltanto
per traslato il proprietario - trae da tali utilità;
nel secondo caso il possesso si esercita tramite l'espletamento
della predetta attività da parte del proprietario.
E' questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione
nella sentenza n. 8119 depositata il 28 aprile 2004.
Nella caso di specie la Suprema Corte ha ritenuto illegittima
l'attività di un condomino che, nel proprio locale
sito al piano terra del condominio, aveva eseguito lavori,
autorizzati dal Comune, di rifacimento del pavimento e abbassamento
del suo livellocon opere di impermeabilizzazione. Tale attività,
infatti, incide sul "suolo" su cui sorge l'edificio
che rientra nella categoria delle cose comuni suscettibili
di utilità oggettiva.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
SENTENZA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vincenzo CALFAPIETRA Presidente
Dott. Antonino ELEFANTE Consigliere rel.
Dott. Olindo SCHETTINO Consigliere
Dott. Emilio MALPICA Consigliere
Dott. Francesco Paolo FIORE Consigliere
Fatto
M. P., proprietaria nello stabile sito in Settala, Via
Garibaldi n. 3, di un locale sito a piano terra, che era
stato più volte allagato, poiché gli interventi
effettuati dal Condominio non erano valsi ad eliminare l'inconveniente,
eseguiva lavori, autorizzati dal Comune, di rimozione del
pavimento e di rifacimento dello stesso con impermeabilizzazione,
dopo aver abbassato il suo livello di cm. 40, con l'ovvia
conseguenza di portare l'altezza del locale a m. 2,70, rispetto
a quella originaria di m. 2,30.
Con delibera del 4.9.1991 l'assemblea del Condominio intimava
alla P. il ripristino delle condizioni originarie del locale,
contestando, in particolare, l'abbassamento del livello
del pavimento (e destinazione del locale a negozio) in violazione
del regolamento condominiale, ponendo a carico della stessa
alcune maggiori spese comuni e quelle di convocazione dell'assemblea
stessa.
La P. impugnava tale delibera convenendo il Condominio davanti
al Tribunale di Milano, il quale respingeva la domanda principale
dell'attrice circa l'annullamento della delibera in ordine
all'abbassamento del suolo (e mutamento di destinazione
del locale), accogliendola solo in ordine alle spese addebitate.
Il gravame proposto dalla P. era rigettato dalla Corte d'appello
di Milano, la quale, con sentenza n. 3231/99, ha osservato,
fra l'altro, per quel che ancora interessa, che il rilevante
abbassamento del livello del pavimento ha comportato l'esclusiva
appropriazione da parte della P. di una porzione del sottosuolo
comune, di per sé illegittima ex art. 1102, prima
parte, c.c.; invero, attesa la misura dell'abbassamento
di livello, lo scavo ha determinato non solo una riduzione
dello spessore del piano di calpestio (inteso come manufatto
distinto dalle fondazioni e di proprietà esclusiva
del proprietario del piano terreno), ma anche l'invasione
del sottosuolo di proprietà comune; che, infine,
l'ottenuto ampliamento del volume della proprietà
esclusiva a scapito di quello della proprietà comune
non è stato reso necessario per ovviare alla persistente
umidità del locale (ciò che nessun parere
tecnico ha affermato).
Avverso tale sentenza la P. ha proposto ricorso per cassazione,
affidandosi ad unico articolato motivo, illustrato da memoria.
II Condominio ha resistito con controricorso.
Diritto
1. Con unico motivo la ricorrente deduce violazione degli
artt. 1117 e 1102 c.c.: motivazione contraddittoria sul
punto decisivo consistente nell'affermata invasione, da
parte della P., del sottosuolo di proprietà comune:
motivazione omessa sul punto decisivo rappresentato dall'accertamento
delle dimensioni e della destinazione dello spazio posto
fra il piano di calpestio del magazzino e il piano di posa
delle fondazioni: motivazione contraddittoria o insufficiente
sul punto decisivo della necessità di abbassare il
livello del piano di calpestio del locale, al fine di rimuoverne
l'umidità (ai sensi dell'art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.).
A) Sostiene la ricorrente che "il suolo su cui sorge
il fabbricato" - oggetto di proprietà comune
- non prenderebbe inizio, in linea verticale discendente,
dal pavimento del locale posto al piano terreno dell'edificio
condominiale, ma sarebbe l'"area di terreno sita in
profondità - sottostante, cioè, la superficie
alla base del fabbricato - sulla quale posano le fondamenta
dell'immobile", vale a dire la parte infima del fabbricato,
perché soltanto quella assolverebbe la funzione di
dare sostegno all'edificio. Pertanto, erroneamente l'impugnata
sentenza avrebbe ravvisato uno sconfinamento nella proprietà
comune, per essere stato abbassato il livello del pavimento
del locale al piano terra, senza considerare che tale sconfinamento
si sarebbe potuto verificare ove fosse stato invaso (cioè
superato in linea verticale discendente) il piano ove poggiano
le fondamenta dell'edificio, dovendo ritenersi lo spazio
compreso fra il piano di calpestio (del locale posto a piano
terra) e il piano di posa delle fondamenta del fabbricato
destinato al servizio esclusivo dell'unità immobiliare
al piano terreno.
B) Aggiunge la ricorrente che, anche a voler ammettere che
vi sia stato sconfinamento nella proprietà comune,
non per questo l'escavazione costituirebbe innovazione vietata,
perché non avrebbe determinato l'inservibilità
del bene comune all'uso e al godimento cui esso è
destinato
C) Inoltre, ad avviso della ricorrente, la sentenza impugnata
esprimerebbe una posizione perplessa circa la conseguenza
dell'opera nuova sullo "spessore" del piano di
calpestio, non dicendo se in aumento o in diminuzione, e,
comunque, non spiegando in che modo esso avrebbe determinato
l'invasione del sottosuolo di proprietà comune.
D) Né l'impugnata sentenza avrebbe dato risposta
alla questione fondamentale circa la dimensione, destinazione
e natura dello spazio posto fra il piano di calpestio del
locale (di proprietà individuale) e il piano di posa
delle fondazioni (di proprietà condominiale), al
fine di poter affermare che la proprietà comune del
sottosuolo sarebbe stata invasa per quaranta centimetri.
E) Infine, del pari contraddittoria o almeno insufficiente
sarebbe la motivazione della sentenza laddove afferma che
l'umidità del locale sarebbe stata rimossa non dallo
sconfinamento in senso verticale, ma dalle tecniche costruttive
realizzate per la nuova opera (impermeabilizzazione del
nuovo sottofondo), senza dire se tali nuove tecniche escludessero
la necessità dell'abbassamento del piano di calpestio.
2. Alla disamina del motivo, nelle surriportate connesse
articolazioni, da considerare congiuntamente, conviene premettere
la sintetica esposizione dei principi di diritto che indettano
la decisione.
2.1. La prima questione è quella del significato
da attribuire al termine "suolo" su cui sorge
l'edificio, che, ai sensi dell'art. 1117 n. 1 c.c., è
oggetto di proprietà comune, se il contrario non
risulta dal titolo.
2.2. E' stato detto che, In tema di condominio, il possesso
delle parti comuni, inteso come esercizio di fatto corrispondente
al diritto, si atteggia diversamente a seconda che le cose,
gli impianti ed i servizi siano oggettivamente utili alle
singole unità immobiliari, cui sono collegati materialmente
o per destinazione funzionale (come ad esempio suolo, fondazioni,
muri maestri, facciate, tetti, lastrici solari, oggettivamente
utili per la statica), oppure siano utili soggettivamente,
e perciò la loro unione materiale o la destinazione
funzionale ai piani o porzioni di piano dipende dall'attività
dei rispettivi proprietari (come ad esempio scale, portoni,
anditi, portici, stenditoi, ascensore, impianti centralizzati
per l'acqua calda o per aria condizionata). Infatti, nel
primo caso l'esercizio del possesso consiste nel beneficio
che il piano o la porzione di piano - e soltanto per traslato
il proprietario - trae da tali utilità; nel secondo
caso il possesso si esercita tramite l'espletamento della
predetta attività da parte del proprietario (Cfr.
Cass. 25.1.2000, n. 855; 1.3.2000, n. 2255).
2.3. Nella categoria delle cose comuni suscettibili di utilità
oggettiva rientra il "suolo" su cui sorge l'edificio:
espressione che, secondo quanto elaborato in giurisprudenza,
sta ad indicare quella porzione di terreno sulla quale insiste
l'intero edificio e, immediatamente, la parte infima di
esso, dove sono infisse le fondazioni (v. ex plurimis: Cass.
19.12.2002, n. 18091; 3.11. 2000, n. 14350; 23.7.1994, 6884).
2.4. Ed in effetti, il termine "suolo" su cui
sorge l'edificio, con riferimento al quale l'art. 1117 n.
1 c.c. stabilisce una presunzione di comunione, va inteso,
in conformità del significato che di esso è
proprio, sia nel linguaggio comune sia in quello tecnico,
come area di terreno ossia superficie, delimitata in senso
orizzontale e verticale, sulla quale poggia il pavimento
del pianterreno e insiste, sviluppandosi in altezza, la
parte fuori terra dell'intero edificio.
In senso orizzontale, come larghezza e lunghezza, il suolo
su cui sorge l'edificio è quello occupato e circondato
dalle fondamenta e dai muri perimetrali dell'edificio stesso;
in senso verticale, come profondità, è quello
immediatamente al di sotto di tale area superficiaria.
Pertanto il suolo su cui sorge l'edificio non è la
superficie a livello del piano di campagna, che viene scavata
per la posa delle fondamenta, né la superficie a
base di queste, bensì quella porzione di terreno
sulla quale viene a poggiare l'intero edificio e, immediatamente,
la parte infima dello stesso.
2.5. Lo spazio sottostante al suolo su cui sorge l'edificio,
posto tra i muri maestri, i pilastri o altre opere che integrano
le fondazioni e fino a tale livello, rientra nel concetto
di sottosuolo; e, ancorché non menzionato espressamente
dall'art. 1117 c. c., deve considerarsi, in mancanza di
un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva
ad uno dei condomini, oggetto di proprietà comune,
in virtù del combinato disposto di detta norma e
dell'art. 840 c.c. e con riguardo alla funzione di sostegno
ugualmente svolta dal sottosuolo, indipendentemente dalla
destinazione a servizi di interesse collettivo o dalla possibilità
di siffatta utilizzazione (v. fra tante: Cass. 19.3.1996,
n. 2295; 11.11.1986, n. 6587; 27.5.1977, n. 2183).
3. Per l'esclusione della presunzione di proprietà
comune, di cui al citato art. 1117 c.c., non é necessario
che il contrario risulti in modo espresso dal titolo, essendo
sufficiente che da questo emergano elementi univoci che
siano in contrasto con la reale esistenza di un diritto
di comunione, dovendo la citata presunzione fondarsi sempre
su elementi obiettivi che rivelino l'attitudine funzionale
del bene al servizio o al godimento collettivo, con la conseguenza
che quando il bene, per le sue obiettive caratteristiche
strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento
di una sola parte dell'immobile, che forma oggetto di un
autonomo diritto di proprietà ovvero risulti comunque
essere stato a suo tempo destinato dall'originario proprietario
dell'intero immobile ad un uso esclusivo, in guisa da rilevare
- sempre in base ad elementi obiettivamente rilevabili,
secondo l'incensurabile apprezzamento dei giudici di merito
- che si tratta di un bene avente una propria autonomia
e indipendenza, non legato da una destinazione di servizio
rispetto all'edificio condominiale, viene meno il presupposto
dell'accennata presunzione (cfr. Cass. 7.8.2002, n. 11877;
15.6.2001, n. 8152; 29.12.1987, n. 9644).
4. Le limitazioni poste dall'art. 1102 c.c. al diritto di
ciascun partecipante alla comunione di servirsi della cosa
comune, rappresentate dal divieto di alterare la destinazione
della cosa stessa e di impedire agli altri partecipanti
di farne parimenti uso secondo il loro diritto, vanno riguardate
in concreto, cioè con riferimento alla effettiva
utilizzazione che il condomino intende farne e alle modalità
di tale utilizzazione, essendo, in ogni caso, vietato al
singolo condomino di attrarre la cosa comune o una parte
di essa nell'orbita della propria disponibilità esclusiva
e di sottrarla in tal modo alla possibilità di godimento
degli altri condomini (cfr. Cass. 22.3.2001, n. 4135; 26.1.
2000, n. 855).
5. Alla luce dei principi esposti, la sentenza impugnata
si sottrae alle doglianze, in quanto risulta fondata su
premesse esatte e motivata in modo logicamente corretto
e sufficiente. Invero, la Corte distrettuale, come si è
evidenziato in parte espositiva, ha ritenuto che la porzione
di terreno sottostante al pavimento del piano terra è
di proprietà comune e l'opera di escavazione di cm.
40 eseguita dalla P. in profondità del sottosuolo,
per ingrandire il suo locale a piano terra (mediante aumento
dell'altezza originaria da m. 2,30 a m. 2,70), costituisce
attività lesiva del diritto di comproprietà.
Così decidendo il giudice di merito si è correttamente
attenuto all'interpretazione che dell'art. 1117 c.c., nonché
del combinato disposto di tale norma con l'art. 840 c.c.,
questa Corte ha da tempo fornita, come sopra esposto, allorché
ha ritenuto lo spazio sottostante al suolo su cui sorge
un edificio in condominio, in mancanza di un titolo che
ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei
condomini, di proprietà comune, con la conseguenza
che resta inibito al singolo condomino, ex art. 1102 c.c.,
assoggettarlo a proprio uso esclusivo, impedendone il pari
uso agli altri condomini, senza il consenso di costoro (v.
fra l'altro: Cass. 3.11.2000, n. 14350; 24.8.1998, n. 8346;
30.12.1997, n. 13102).
6. Poiché l'uso della cosa comune da parte di ciascun
partecipante è sottoposto dall'art. 1102 c.c. a due
limiti fondamentali consistenti nel divieto di alterare
la destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire
agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il
loro diritto (Cass. 3.7.2000, n. 8886), non rileva che non
vi sia stata alterazione della destinazione di detto sottosuolo,
poiché sussiste la violazione dell'altro divieto
(impedimento del pari uso).
Parimenti non rileva che, al momento dell'assoggettamento
ad uso esclusivo, detto sottosuolo non fosse materialmente
utilizzato in qualche modo da parte del condominio, perché,
da un lato ne sussiste ab origine l'utilità comune
in ragione della funzione di sostegno che esso svolge contribuendo
alla stabilità dell'edificio, e, dall'altro, è
sufficiente la mera possibilità di utilizzazione,
questa rappresentando oggetto di facoltà estrinsecabile
anche nella scelta di lasciarlo temporaneamente privo di
qualsiasi specifica utilizzazione.
7. Le altre doglianze, attinenti a considerazioni di merito
circa lo spessore del piano di calpestio e la tecnica di
impermeabilizzazione ai fini della rimozione dell'umidità,
sono inammissibili, in questa sede di legittimità.
8. Alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso va,
quindi, rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida
in complessivi Euro 1.100,00, di cui Euro 1.000,00 per onorario,
oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della
2^ Sezione Civile, l'11 novembre 2003.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 28 APR. 2004.
La redazione di megghy.com
|