Articolo di Giovanni Falcone Bari 15 ottobre 2004
I recenti e gravissimi scandali finanziari che sembrano aver caratterizzato, a livello planetario, l’inizio del nuovo millennio, ci hanno riproposto l’eterno dilemma fra “etica e affari”.
Nel mentre gli Organi Inquirenti stanno tentando di ricostruire
a ritroso l’intero percorso del malaffare, dalla vicenda
Cirio alla Parmalat, dai Bond argentini, alla storia Giacomelli,
per citare solo i casi nazionali, possiamo notare, nella veste
di spettatori interessati, un invisibile e comune denominatore:
il profitto ad ogni costo, perseguito dal c.d. “mondo
della finanza”.
Da qualche tempo sento parlare di Banca etica, di investimento
etico, promuovendo in tal modo l’utente consumatore
di beni e servizi ad arbitro e calmieratore di fenomeni negativi
ripugnanti per ogni società civile.
La scelta oculata del cittadino comune che acquisterebbe merce
dall’Imprenditore che non utilizza mano d’opera
in nero, che non evade il fisco, che non esporta capitali
in paesi Off Shore, dovrebbe rappresentare, secondo i fautori
dell’etica smarrita – se mai c’è
stata -, un rimedio per scongiurare il proliferare dell’illecito
ad ogni livello.
Mi si consenta di dissentire, laddove sembra che, il cittadino
possa rimuovere il perpetuarsi di fenomeni di grande criminalità,
attraverso la semplice scelta di un “investimento etico”.
Sarebbe come scegliere fra pace e guerra, fra bene e male…
la soluzione sarebbe fin troppo semplice.
Se è vero che gli scandali di cui parliamo, secondo
le prime risultanze investigative riferite dagli organi di
stampa, si sono determinati, ampliandosi a dismisura per decenni,
per la fraudolenta gestione del managment, ai quali viene
attribuita l’intera responsabilità delle indebite
e continue appropriazioni di ingentissime risorse finanziarie,
non si comprende quali potevano essere le modalità
di influenza del cittadino comune per evitare o ridurre i
provocati disastri.
Per Gruppi imprenditoriali dell’industria o della grande
distribuzione alimentare, molto spesso, la sola denominazione
è sufficiente a rappresentare elemento di fiducia e
credibilità, tanto per la qualità del prodotto
che per il Know-how raggiunto e riconosciuto sul mercato globalizzato.
E’ innegabile, infatti, che la qualità della
variegata produzione dei nostri due colossi alimentari (Cirio
e Parmalat), non avrebbero mai suscitato nel “sentire
comune” alcun dubbio sulla moralità degli amministratori
e, meno che mai sulla loro solidità finanziaria e patrimoniale.
Allora ci dobbiamo chiedere, con una accorata e comune riflessione
a voce alta, perché tutto questo è successo.
La risposta è paradossalmente semplice o se volete,
naturale, nella misura in cui siamo tutti convinti che l’etica
non si può imporre, la si può solo applicare
attraverso il comportamento dei singoli in aderenza a regole
codificate, aventi sicuramente anche una loro morale (in aderenza
al famoso detto che “signori si nasce..”).
Come ho già avuto modo di argomentare sulle gravi vicende
di cui parliamo (*), i crak finanziari si sono registrati
a causa di una serie di interessi in conflitto all’interno
delle Holding, a cominciare dai Collegi Sindacali nominati
e retribuiti dagli stessi Consigli di Amministrazione per
continuare con le Società di Revisione, ovvero all’esterno,
con il mondo bancario e finanziario che, interessato al rientro
dalle ingenti esposizioni (da tempo considerate “sofferenze
di fatto”), ha preferito trasferire il proprio rischio
d’impresa sull’ignaro ed anonimo risparmiatore.
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Interessi, è bene sottolineare, che nessuna legge ha tutelato e nessun Controllore, sia pure Istituzionale, ha neanche lontanamente scoperto o ventilato, seppure in presenza, secondo quando si è appreso nella immediatezza dello scandalo e delle prime Misure cautelari, di Bilanci di esercizio costruiti con lo scanner del Personal Computer. E’ stato veramente troppo.
Se appare condivisibile quanto appena detto, non possiamo non convenire che il comune cittadino, nella sua quotidianità, non sceglie né ha mai scelto l’investimento da fare, rimettendosi interamente ai “consigli” della banca di propria fiducia, del salumiere sotto casa o del macellaio addirittura ereditato.
Il comune sentire della fiducia nel prossimo o di ciò che ci circonda, rappresenta, o dovrebbe rappresentare, l’unico e vero patrimonio di ogni società civile. Se veramente vogliamo tutelarlo, questo comune sentire (che il nostro Codice Penale chiama “FEDE PUBBLICA”), facciamo in modo che le regole, qualunque esse siano o da chiunque fossero state pensate, siano rispettate, con sanzioni esemplari contro i trasgressori, trascurando una volta tanto quel “buonismo” che spesso ci assale in misura direttamente proporzionale alle lungaggini dei processi.
Forse quanto dico non è una soluzione, o meglio, non è sicuramente l’unica, ma è certamente una strada ragionevolmente percorribile, se vogliamo dare l’idea che le regole, quando ci sono – e nei casi di cui parliamo ce n’erano addirittura troppe ove bastava applicarne la metà per evitare tali disastri - devono essere rispettate, nella comune consapevolezza che, ove ciò non dovesse avvenire, le “aggravanti” saranno significativamente prevalenti per una condanna “senza se e senza ma”.
Bari 15 ottobre 2004
Giovanni Falcone
Tel. 3357693411
Falcone Consulting Srl
Partita IVA 06483420722
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