nadiaama (09-10-2011)
Descrizione
"Appartengo a una razza levantina, oscura, c'è in me un miscuglio di sangue greco e italiano: sono uno di quelli che voi francesi chiamate metechi, immigrati" dice, a una donna in cui vede l'immagine stessa della purezza, Dario Asfar, giovane medico che negli anni successivi alla prima guerra mondiale conduce un'esistenza miserabile nel Sud della Francia. E con sorprendente chiaroveggenza conclude: "Io credo che esista una fatalità, una maledizione. Credo che il mio destino era di essere un mascalzone, un ciarlatano ... Non si sfugge al proprio destino". Anche quando, molti anni dopo, non sarà più il "medicastro" che con il suo aspetto "miserabile e selvatico" e il suo accento straniero ispira solo diffidenza, anche quando sarà diventato ricco e famoso, e l'alta società parigina andrà umilmente a chiedergli di guarirla da quelle malattie dell'anima, da quelle "turbe psichiche", da quelle "fobie inspiegabili" che solo lui, il Master of souls (come viene definito da chi lo accusa di sfruttare la credulità del prossimo), è in grado di curare - anche allora il dottor Asfar si porterà dietro il marchio indelebile del suo destino, delle sue origini, del suo sangue. E quegli angiporti dell'Oriente da cui proviene, e che ha cercato di lasciarsi alle spalle, gli rimarranno per sempre negli occhi.
La recensione di IBS
Dario Asfar è un giovane medico levantino, un meteco che conduce un'esistenza miserabile a Nizza nel 1920. Tutta la sua vita è stata segnata dalla povertà, da continui vagabondaggi e trasferimenti per procurarsi l'essenziale per la sopravvivenza. In Francia nessuno si fida di lui, della sua faccia e del suo accento da immigrato, nessuno vuole le sue cure mediche.
Vive nelle tre stanzette al primo piano della pensione familiare della moglie di un generale, l'usuraia Marta Aleksandrovna, e aspetta l'arrivo della moglie Clara e del figlio appena nato, Daniel. Adesso non può più permettersi di essere un vagabondo, un poveraccio, perché ha una moglie e un figlio che ama e deve prendersi cura di loro. Gli serve un prestito di quattromila franchi per sfamare la sua famiglia e rimettere in sesto le sue finanze e la sua immagine, ma Marta Aleksandrovna è reticente. Eppure ci deve essere qualcosa che può fare per lei, un favore da svolgere in assoluta discrezione e complicità. Glielo intuisce nello sguardo, nell'inflessione della voce, che il suo non è un rifiuto categorico, che c'è ancora spazio per contrattare. E in effetti, qualcosa che può fare c'è: salvare l'onore di suo figlio, perso dietro a una sgualdrina americana.
Così inizia l'ascesa di Dario Asfar. Un cammino intervallato da ripetute cadute e compromessi via via sempre più pesanti, che lo porterà da Nizza a Parigi, a curare non più i corpi bensì le malattie dell'anima dell'alta società parigina, le sue fobie e le sue turbe psichiche. Appena inizia a frequentare gli ambienti gretti e viziosi dell'alta borghesia, dove regnano corruzione, capricci e mode, e soprattutto il terrore di perdere i propri privilegi, Dario metterà da parte il sogno illusorio di una onorata carriera e tornerà ad assecondare la sua vera natura. "Creatura della terra, impastata di fango e di buio", Dario sarà preda di un desiderio violentissimo di diventare ricco, affermarsi contro le sue origini così disprezzate, sbarazzarsi dell'odore di miseria e malattia che gli aleggia sempre intorno, vendicarsi per le offese subite in una vita di stenti. Desiderio e vergogna, sono questi i sentimenti che prova con maggiore intensità: vergogna per la propria condizione e desiderio disperato di trasformarsi, di cambiare aspetto, condizione e anima.
Solo in Sylvie Wardes, moglie del ricco giocatore impenitente Philippe, suo paziente, Dario vedrà un'anima diversa, pura, elevata, disinteressata alle ricchezze e alla materialità. Ma non c'è scampo per quelli che appartengono alla razza di Asfar. Egli si porterà dietro il marchio indelebile delle sue origini. Non c'è alternativa a quella fame che neppure un figlio può comprendere, perché non si sfugge al proprio destino.
Quando scriveva Il signore delle anime, uscito a puntate su Gringoire tra maggio e agosto 1939 (e apparso in volume solo nel 2005), Irène Nemirovsky sapeva cosa significa vivere da emarginati. Certo Irène non proviene dallo stesso "fango" di Asfar. La sua era una famiglia facoltosa e il padre gravitava negli ambienti dell'alta finanza di San Pietroburgo. Ma aveva sperimentato sulla sua pelle la vergogna di essere straniera, diversa, ebrea, la fatica di dover strappare a morsi il riconoscimento letterario, in una Francia ossessionata dallo spettro dell'Altro. Ne Il signore delle anime molti sono gli elementi autobiografici. Il personaggio di Wardes è ispirato chiaramente a Bernard Grasset, editore della Némirovsky tra il 1929 e il 1934, affetto da una grave nervosi che lo porterà all'interdizione. Per il personaggio di Asfar, la Némirovsky aveva a disposizione una vasta gamma di esempi di medici ciarlatani. Ma in questo personaggio bisogna riconoscere anche un doppio della scrittrice: li accomuna l'interesse per l'uomo, lo studio del carattere umano e delle sue paure, ma soprattutto un sentimento di incomprensione e il bisogno di lottare continuamente per affermare le proprie capacità in un paese straniero, per sentirsi una scrittrice francese.
Servendosi degli stereotipi, soprattutto quelli caratteristici dell'ebraismo, Irène li ribalta, attraverso un continuo gioco di specchi. Asfar è un personaggio profondamente umano. Ha orrore del suo riflesso, ma agisce per assicurare alla sua famiglia un futuro dignitoso. Non è spregevole, bensì oggetto di spregio. Non è un meteco, ma "uno di quelli che voi francesi chiamate metechi". La società francese è uno specchio che deforma, e Il signore delle anime è il ritratto di quello specchio deformante, ossessionato dall'antisemitismo e dal terrore verso lo straniero che presto porterà l'Europa intera alla tragedia della Guerra e dell'Olocausto.
A cura di Wuz.it
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Ultima modifica di Aylaso_; 09-10-2011 alle 12:18
nadiaama (09-10-2011)
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