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Non si applica lo scudo fiscale ai frontalieri

 

Agenzia delle Entrate, circolare 17 novembre 2009, n. 48

Oggetto: Emersione di attività detenute all'estero. Articolo 13-bis del decreto legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e successive modificazioni. Ambito soggettivo. Ulteriori chiarimenti.

Con circolare n. 43/E del 10 ottobre 2009 sono stati forniti chiarimenti in merito alla normativa volta a consentire l'emersione delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all'estero da soggetti residenti in Italia in violazione dei vincoli valutari e degli obblighi tributari (cosiddetto "scudo fiscale"), normativa introdotta dall'articolo 13-bis del decreto legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e successive modificazioni.

Con riferimento all'ambito soggettivo di applicazione della predetta normativa sono pervenuti alla scrivente taluni quesiti da parte di determinate categorie di lavoratori dipendenti residenti in Italia, che prestano la propria attività lavorativa all'estero.

Si tratta dei lavoratori dipendenti di ruolo pubblici in servizio all'estero, dei lavoratori transfrontalieri e dei dipendenti di imprese multinazionali, che detengono all'estero depositi e/o conti correnti ai fini dell'accredito dello stipendio o degli altri emolumenti derivanti dalla propria attività lavorativa ivi svolta.

Tali soggetti, in quanto titolari di detti depositi e/o conti correnti esteri, hanno chiesto di conoscere se per tale motivo erano tenuti agli obblighi inerenti il monitoraggio fiscale e se il mancato rispetto di tale adempimento debba essere sanato ricorrendo alla procedura di emersione.

Al riguardo, occorre ricordare che i destinatari delle disposizioni concernenti l'emersione delle attività detenute all'estero sono quelli interessati dalla normativa sul cosiddetto "monitoraggio fiscale", ossia le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed associazioni equiparate, fiscalmente residenti nel territorio dello Stato.

A tal fine, con riguardo alle persone fisiche, si deve fare riferimento alla nozione contenuta nell'articolo 2, comma 2, del TUIR, in base alla quale si considerano residenti "le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile".

In sostanza, sulla base di tale disposizione, il presupposto della residenza ricorre in presenza di almeno uno dei seguenti requisiti:

1. iscrizione nelle anagrafi comunali dei residenti per la maggior parte del periodo d'imposta e, cioè, per almeno 183 giorni (184 per gli anni bisestili);

2. domicilio nel territorio dello Stato, per il medesimo periodo, inteso come sede principale di affari ed interessi;

3. residenza nel territorio dello Stato, intesa come dimora abituale.

Ovviamente, il primo dei requisiti non è posseduto da coloro che, per la maggior parte del periodo d'imposta, siano iscritti all'albo dei cittadini italiani residenti all'estero (AIRE). In quest'ultima ipotesi, occorre tuttavia valutare se permane la qualità di "residente" nel nostro Paese in relazione agli altri predetti requisiti (qualora, ad esempio, la famiglia non abbia seguito il lavoratore all'estero e questi abbia mantenuto in Italia, per la maggior parte del periodo d'imposta, la sede principale dei propri affari e interessi).

Inoltre, come stabilito dal successivo comma 2-bis del medesimo articolo 2 del TUIR, si considerano altresì residenti, salvo prova contraria del contribuente, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze.

Al riguardo si ricorda che, fino all'emanazione del citato decreto, si considerano residenti i cittadini emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato individuati dal D.M. 4 maggio 1999 (cosiddetta "black list").

Ne consegue che, anche tali soggetti, ricorrendone i presupposti, rientrano nell'ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni in commento. In tal caso è necessario manifestare all'intermediario il proprio status di residente italiano, rinunciando pertanto alla possibilità di fornire la prova contraria di cui al citato comma 2-bis dell'articolo 2 del TUIR.

Il requisito della residenza nel territorio dello Stato deve sussistere per il periodo d'imposta in corso alla data di presentazione della cosiddetta "dichiarazione riservata" (2009).

Per poter usufruire dell'emersione delle attività detenute all'estero, rimane fermo il presupposto del mancato adempimento delle disposizioni sul monitoraggio fiscale nei periodi d'imposta nei quali essi erano residenti in Italia.

Al riguardo, si ricorda che il decreto legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, recante la disciplina del cosiddetto "monitoraggio fiscale", impone alcuni obblighi a carico delle persone fisiche residenti in Italia in relazione ad operazioni transfrontaliere e ad investimenti detenuti all'estero. Gli adempimenti più ricorrenti possono essere cosi sintetizzati:

1. indicazione nell'apposito modulo RW (Sez. II), contenuto nella dichiarazione annuale dei redditi, degli investimenti all'estero e delle attività estere di natura finanziaria, detenuti al termine del periodo d'imposta per un ammontare superiore a euro 10.000,00, attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera imponibili in Italia;

2. indicazione nel medesimo modulo RW (Sez. III) dei trasferimenti da, verso e sull'estero che hanno interessato tali investimenti ed attività finanziarie.

In base alla suddetta normativa ed ai chiarimenti costantemente confermati nel tempo dall'Amministrazione finanziaria, tra le attività estere di natura finanziaria di cui al primo punto rientrano sicuramente i depositi ed i conti correnti detenuti presso le banche estere, indipendentemente dalla fonte di produzione delle disponibilità finanziarie confluite in detti depositi e conti correnti.

Pertanto, alla stregua di tali consolidati principi, anche i depositi e i conti esteri nei quali vengono accreditati o comunque detenuti emolumenti erogati da Amministrazioni pubbliche o private italiane per il lavoro svolto all'estero, nonché retribuzioni corrisposte da soggetti non residenti per attività svolte all'estero sono, in linea di principio, soggetti alla normativa sul cosiddetto "monitoraggio fiscale" e dovrebbero, quindi, sempre essere indicati nel modulo RW, pena l'applicazione di specifiche sanzioni, che il comma 7 dell'articolo 13-bis del decreto ha ulteriormente inasprito in un'ottica di rafforzamento dell'attività di contrasto all'evasione fiscale.

In particolare, le sanzioni amministrative di cui all'articolo 5, commi 4 e 5, del decreto legge n. 167 del 1990 sono state elevate nella misura che va dal 10 al 50 per cento dell'ammontare degli importi non dichiarati.

Si tratta delle segnalazioni riguardanti:

a) le consistenze degli investimenti all'estero e delle attività estere di natura finanziaria (modulo RW, sez. II);

b) i trasferimenti da, verso e sull'estero degli investimenti all'estero e delle attività estere di natura finanziaria (modulo RW, sez. III).

La violazione dell'obbligo di dichiarazione delle consistenze degli investimenti all'estero e delle attività estere di natura finanziaria è anche punita con la confisca di beni di corrispondente valore.

In tale consolidato contesto normativo e di prassi applicativa, si ravvisa, tuttavia, la necessità di non penalizzare determinate fattispecie - quali quelle dei lavoratori dipendenti in esame - che si caratterizzano per la carenza della volontà di porre in essere comportamenti illeciti finalizzati all'occultamento di disponibilità finanziarie all'estero.

Pertanto, con riferimento ai quesiti pervenuti, si ritiene di precisare quanto segue.

Preliminarmente occorre operare un'opportuna distinzione tra i lavoratori la cui residenza fiscale in Italia è determinata ex lege, in forza di una presunzione assoluta che prescinde dalla ricorrenza o meno dei menzionati requisiti richiesti dall'articolo 2 del TUIR, e i lavoratori per i quali non opera tale presunzione.

Per i primi, infatti, lo status di residente fiscale in Italia è stabilito indipendentemente dalla circostanza che nel territorio dello Stato il contribuente abbia mantenuto il centro principale dei suoi affari ed interessi e dalla iscrizione all'anagrafe dei cittadini italiani residenti all'estero (AIRE).

E' il caso, ad esempio, dei dipendenti di ruolo pubblici che risiedono all'estero per motivi di lavoro, per i quali sia prevista la notifica alle autorità locali ai sensi delle convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche e sulle relazioni consolari, rispettivamente del 1961 e del 1963, ratificate con legge 9 agosto 1967, n. 804, e che, in virtù dell'articolo 1, comma 9, lettera b), della legge 27 ottobre 1988, n. 470, mantengono ai fini fiscali la residenza in Italia non essendo iscritti all'AIRE.

Al riguardo si ritiene che tali soggetti siano esonerati dagli obblighi inerenti il monitoraggio fiscale limitatamente alle disponibilità detenute all'estero mediante l'accredito degli stipendi o altri emolumenti derivanti da tali attività lavorative. Qualora tali disponibilità siano state impiegate per l'acquisizione di altre attività finanziarie o per investimenti all'estero attraverso cui possono essere conseguiti redditi imponibili in Italia, resta fermo l'obbligo di compilazione del modulo RW relativamente alle attività e agli investimenti stessi.

L'esonero di cui sopra permane fintanto che il lavoratore presta la propria attività all'estero e viene meno al rientro in Italia del dipendente, qualora questi mantenga, per qualsiasi motivo, le suddette disponibilità all'estero.

I lavoratori all'estero, per i quali n on sussiste una specifica disposizione normativa che determini la residenza fiscale in Italia per presunzione assoluta, sono invece tenuti agli obblighi del monitoraggio fiscale ricorrendone i presupposti.

Tuttavia, tenuto conto di quanto in precedenza chiarito circa la carenza, nei casi in esame, della volontà di porre in essere comportamenti illeciti (è sintomatica, al riguardo, la circostanza che si tratta di disponibilità detenute all'estero derivanti da redditi di lavoro dipendente ed assimilato generalmente assoggettati a tassazione alla fonte a cura del datore di lavoro), tali soggetti, qualora inadempienti, possono regolarizzare la propria posizione fiscale con riferimento agli anni pregressi, presentando la dichiarazione dei redditi integrativa relativamente al periodo d'imposta 2008 ed indicando nel modulo RW, Sezione II, la consistenza del deposito e/o conto corrente al termine del medesimo anno.

Analogo adempimento può essere effettuato per la regolarizzazione dell'ammontare dei contributi complessivamente versati a forme di previdenza individuale o collettiva organizzate o gestite da società ed enti di diritto estero, nonché dei diritti all'acquisto o alla sottoscrizione di azioni o strumenti finanziari anche di natura non partecipativa.

In tal caso, tenuto conto che la funzione del modulo RW è quella di fornire un quadro delle attività detenute all'estero con finalità di monitoraggio fiscale nonché di supportare l'efficacia dell'azione di controllo da parte dell'Amministrazione finanziaria, si ritiene - sulla base delle considerazioni precedentemente esposte - che la rettifica in esame, operata dai lavoratori dipendenti con riferimento alle sole disponibilità, contributi e diritti sopra richiamati, possa beneficiare di una attenuazione del trattamento sanzionatorio ordinariamente applicabile. In particolare, nel caso di specie, si ritiene applicabile la sola sanzione in misura fissa di cui all'articolo 8, comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (da euro 258 ad euro 2.065), che punisce, tra l'altro, la mancata indicazione in dichiarazione di qualsiasi "elemento prescritto per il compimento dei controlli" (cfr. risoluzione 17 gennaio 2006, n. 12).

Inoltre, qualora la dichiarazione integrativa venga presentata nei termini di cui all'articolo 13, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 - e non siano ancora iniziati accessi, ispezioni, verifiche, o non sia ancora stato notificato il questionario relativo alle disponibilità costituite all'estero - il contribuente può avvalersi dell'istituto del ravvedimento operoso, pagando la predetta sanzione ridotta ad un decimo.

L'attenuazione del trattamento sanzionatorio sopra descritto è altresì applicabile ai dipendenti pubblici che hanno prestato la propria attività lavorativa all'estero e che sono rientrati in Italia entro il 31 dicembre 2008, mantenendo le proprie disponibilità all'estero.

Peraltro, qualora non sia possibile avvalersi dell'istituto del ravvedimento operoso - per effetto dell'intervenuto avvio di accessi, ispezioni o verifiche ovvero della notifica di apposito questionario - la sanzione potrà comunque essere definita in forma agevolata dal contribuente, usufruendo delle riduzioni previste in relazione alle modalità di contestazione della violazione. 

Al di fuori delle ipotesi sopra specificate, alle omissioni relative al monitoraggio fiscale continuano ad applicarsi le sanzioni precedentemente specificate, previste in via ordinaria dall'articolo 5, commi 4 e 5, del decreto legge n. 167 del 1990, così come le sanzioni relative all'omessa e/o infedele dichiarazione dei redditi derivanti dalle attività estere.

Si fa presente che, a decorrere dal periodo d'imposta 2009, ricorrendone i presupposti, rimane fermo, per la tipologia di lavoratori esteri in esame, l'obbligo di compilazione del modulo RW per la consistenza delle attività detenute all'estero e dei relativi trasferimenti (Sez. II e Sez. III), nonché l'obbligo di dichiarazione dei redditi derivanti da tali attività. Con specifico riferimento a questi ultimi, gli interessi derivanti dai conti correnti in questione devono essere assoggettati ad imposizione in Italia nell'ambito della dichiarazione dei redditi, compilando il quadro RM del modello Unico e liquidando l'imposta sostitutiva nella stessa misura (27 per cento) della ritenuta alla fonte a titolo d'imposta applicata in Italia sui redditi della stessa natura (v. art. 18 del TUIR).

In alternativa, il contribuente può dare disposizione all'istituto bancario estero di trasferire su un conto corrente italiano gli interessi maturati sul conto estero, consentendo in tal modo alla banca italiana di operare la ritenuta d'ingresso ai sensi dell'articolo 26, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (cfr. Circ. 19 giugno 2002, n. 54/E). In questo caso, ai sensi dell'articolo 4, comma 4, del decreto legge n. 167 del 1990, non sussiste l'obbligo di compilazione del modulo RW ed inoltre è assolto in via definitiva l'onere dichiarativo dei relativi redditi.

Occorre tener presente che nel caso in cui i suddetti redditi non vengano sottoposti ad imposizione in Italia secondo le predette modalità, si presume, ai sensi dell'articolo 6 del medesimo decreto legge n. 167 del 1990, che le attività finanziarie siano fruttifere in misura pari al tasso ufficiale medio di riferimento vigente nel relativo periodo d'imposta, a meno che nella dichiarazione non venga specificato che si tratta di redditi la cui percezione avverrà in un successivo periodo d'imposta.

A tale presunzione può essere opposta prova contraria da parte del contribuente. Pertanto, qualora sulla base della legislazione o della prassi vigente in taluni Paesi i conti non siano produttivi di reddito, sarà opportuno che gli interessati acquisiscano dalla banche estere documenti o attestazioni da cui risulti tale circostanza.

Restano comunque impregiudicati gli ordinari poteri di accertamento dell'Amministrazione finanziaria, compresa l'applicazione dell'articolo 12 del decreto legge n. 78 del 2009.

Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osservati dagli uffici.

  Scritto da Admin il 28 Novembre 2009 alle 10:32

 
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