Maltrattamenti in famiglia: condotta abitualmente lesiva per ravvisare il reato
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 12 marzo - 2 luglio 2010, n. 25138
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza in data 20 settembre 2005 del Tribunale di Sondrio, appellata da F.S., condannato, con le attenuanti generiche, alla pena condizionalmente sospesa di mesi otto di reclusione, per avere, con continue ingiurie, minacce e percosse, maltrattato la moglie B.R. (in ****).
Osservava la Corte di appello che la responsabilità dell'imputato doveva ritenersi provata sulla base delle sia pure parziali ammissioni dell'imputato nonchè di testimonianze di medici o conoscenti e di certificati medici, da cui si ricava una condotta abituale di sopraffazioni, violenze e offese umilianti, lesive della integrità fisica e morale della B., poste in essere dal F..
Ricorre per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore avv. Claudio Rea, il quale denuncia, con un unico motivo, il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento dell'abitualità della condotta di sopraffazione, evidenziando che uno degli episodi denunciati (un finto auto-accoltellamento) e dato atto della circostanza che la B., per ammissione della stessa di carattere forte, non fosse intimorita dalla condotta del marito; con ciò scambiando per sopraffazione esercitata dall'imputato un clima di tensione fra i coniugi, nell'ambito del quale i vari episodi andavano collocati e interpretati conformemente, del resto, alle dichiarazioni di vari testimoni (in particolare, Dott. C.e.D. B.).
Il ricorso appare fondato.
Come è ampiamente noto, perchè sussista il reato di maltrattamenti in famiglia occorre che sia accertata una condotta (consistente in aggressioni fisiche e vessazioni o manifestazioni di disprezzo) abitualmente lesiva della integrità fisica e del patrimonio morale della persona offesa, che, a causa di ciò, versa in una condizione di sofferenza.
Nella specie i giudici di merito hanno ritenuto provati "uno stato di tensione" tra i coniugi e uno "stato di sofferenza" della B., ritenuti significativi di una condotta abituale e sopraffazione da parte del F..
Tale affermazione, tuttavia, non poggia su elementi idonei a rappresentare un'abitualità della condotta vessatoria dell'imputato.
I fatti incriminati sono solo genericamente richiamati nella sentenza impugnata, e, stando al tenore della imputazione, appaiono risolversi in alcuni limitati episodi di ingiurie, minacce e percosse nell'arco di circa tre anni, per i quali è intervenuto remissione della querela, che non rendono di per sè integrato il connotato di abiutalità della condotta di sopraffazione richiesta per l'integrazione della fattispecie in esame; tanto più che, come puntualizzato dalla Corte di appello, la condizione psicologica della B., per nulla "intimorita" dal comportamento del marito, era solo quella di una persona "scossa...esasperata...molto carica emotivamente".
Anche sul piano soggettivo, non risulta offerta dai giudici di merito alcuna indicazione che deponga per la sussistenza, in capo all'imputato, di una volontà sopraffattrice idonea ad abbracciare le diverse azioni e a ricollegare ad unità i vari (limitati episodi di aggressione alla sfera morale e fisica del soggetto passivo.
Stanti tali evidenti carenze probatorie, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perchè il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.
Scritto da Admin il 17 Luglio 2010 alle 17:41- 506 Articoli Totali
- 797317 Pagine Viste
- 1 Utenti Online