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Punizioni umilianti, abuso dei mezzi di correzione

Cassazione penale , sez. VI, sentenza 19.11.2007 n° 42648

Nelle punizioni umilianti, (il genitore costringeva con minaccia di percosse a scrivere ripetutamente su un quaderno le frasi: Io sono una ladra, non devo rubare), si ravvisa il reato di abuso di mezzi di correzione, allorquando la punizione potrebbe creare il pericolo di una malattia psichica.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI PENALE

Sentenza 19 novembre 2007, n. 42648

IN FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 14 novembre 2003 il Tribunale di Forlì/Cesena dichiarava M. M. colpevole del reato di cui all'art. 571 c.p., commesso in Cesenatico nel mese di luglio del 1999 (così unificati e qualificati giuridicamente i fatti, originariamente contestati come reati previsti dagli artt. 572 c.p. (maltrattamenti verso fanciulli) e 610 c.p. (violenza privata), per aver abusato dei mezzi di correzione e disciplina in danno della fìglia minore F. M. perché, ritenendola responsabile dell'asserita sottrazione di un ciondolo, la costringeva con minaccia di percosse a scrivere ripetutamente su un quaderno le frasi: Io sono una ladra, non devo rubare, provocandole un trauma psichico consistito in un conflitto emotivo e psicologico di valutazione della personalità, e lo condannava alla pena di due mesi di reclusione, convertita in €. 2.280,00 di multa.

Avverso la predetta sentenza proponevano appello i difensori dell'imputato, chiedendone l'assoluzione; e, in subordine, la concessione dei benefici di legge.

Con sentenza del 23 novembre 2006 n. 3126 la Corte d'appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, concedeva all'imputato i benefici di legge richiesti, confermando nel resto.

Avverso la sentenza d'appello il M. ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi:

1. erronea applicazione degli artt. 21, 23, 24 e 491 c.p.p. (art.606 lett. B) c.p.p.) in relazione alla competenza territoriale;

2. erronea applicazione degli artt. 78, 100 e 122 c.p.p. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla costituzione di parte civile (art. 606 lett. b) ed e) c.p.p.) ;

3. erronea applicazione degli artt. 521, 516, 423 e 417 c.p.p. e motivazione carente, contraddittoria e manifestamente illogica (art. 606 lett. b) ed e) c.p.p.) in quanto le emergenze processuali non hanno condotto all'individuazione concreta in capo al M. del fatto descritto nell'imputazione, avendo la Corte d'appello ritenuto l'imputato responsabile di condotta diversa rispetto a quella configurata nel capo d'imputazione attraverso una motivazione illegittima e contraddittoria;

4. mancata assunzione di una prova decisiva (art. 606 lett. d) ed e) c.p.p. per omessa audizione della dr.ssa Pinto, chiesta nel dibattimento di primo grado e in appello.

L'impugnazione è infondata.

Per il principio della "perpetuatio jurisdictionis" la questione relativa alla competenza per territorio non può essere proposta oltre i limiti temporali costituiti dalla conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manchi, dal compimento per la prima volta dell'accertamento della costituzione delle parti nel corso degli atti introduttivi al giudizio, sicché restano privi di rilievo eventuali, successivi, eventi istruttori o decisori, di significato diverso rispetto ai dati prima valutati ai fini della fissazione della competenza per territorio (Cass., sez. 6, 4 maggio 2006 n. 33435, ric. Battistella e altri).

A questa regola si è correttamente uniformata la Corte di merito, osservando che la presunta incompetenza per territorio era emersa solo dalla dichiarazione resa in dibattimento dall'imputato. Nel ritenere tale dichiarazione ininfluente perché tardiva, il Giudice d'appello rilevava che essa non era neppure certa, in quanto, secondo quanto aveva riferito dalla bambina alla madre e da questa attestato, il reato era stato commesso all'atto della scoperta della sparizione del ciondolo, durante la vacanza in Cesenatico, per cui il processo era stato correttamente incardinato in Forlì. Pertanto la decisione in merito alla competenza appare corretta sia nella procedura che nel merito, per cui il primo motivo di ricorso si rivela infondato.

Per quanto riguarda la mancata assunzione di una prova decisiva, lamentata dal ricorrente col quarto motivo di ricorso, occorre precisare che tale prova è stata chiesta ai sensi dell'art. 507 c.p.p., mentre l'art. 606 lett. d) c.p.p. consente in questa ipotesi il ricorso per cassazione solo nei casi previsti dal secondo comma dell'art. 495 c.p.p., ossia con riguardo all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti oggetto delle prove a carico, sicché il motivo in esame è inammissibile. In ogni caso deve rilevare che, pure secondo l'orientamento recentemente adottato da Cass., S.U, 17 ottobre 2006 n. 41281, ric. P.M. in proc. Greco) per cui il giudice può esercitare il potere di disporre d'ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova, previsto dall'art. 507 c.p.p., anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto, tuttavia condizione necessaria per l'esercizio di tale potere è che l'iniziativa del giudice deve essere assolutamente necessaria (sia l'art. 507 che il 603 usano questa espressione) e la prova deve avere carattere di decisività (altrimenti non sarebbe assolutamente necessaria) diversamente da quanto avviene nell'esercizio ordinario del potere dispositivo delle parti in cui si richiede soltanto che le prove siano ammissibili e rilevanti.

Nella specie il Giudice d'appello ha motivatamente escluso che la richiesta testimonianza della direttrice didattica dr.ssa Pinto, dalla quale il M. era passato prima di recarsi dalle insegnanti della figlia, avesse carattere decisivo, non solo, su un piano generale, perché gli atti offrivano pieni elementi di valutazione, ma anche perché vi era la testimonianza della maestra Z., la quale aveva dichiarato di aver visto scritta la frase Io sono una ladra.

Pertanto il quarto motivo di ricorso è inammissibile anche per manifesta infondatezza.

Venendo al terzo motivo, si osserva che la sentenza impugnata, confermando la valutazione espressa dal primo Giudice nella riqualificazione giuridica del fatto come reato previsto dall'art. 571 c.p., ha ribadito che il punto essenziale della vicenda non consisteva comunque nel preciso tenore della frase fatta ripetutamente scrivere alla bambina - che pure faceva riferimento a furto e menzogna in relazione a un comportamento che alla stessa si rimproverava - bensì il comportamento tenuto nella vicenda dal M. nei confronti della figlia, infliggendole reiterate umiliazioni nel momento in cui, quasi ospite nella nuova famiglia del padre, la si accusava del furto del ciondolo della sorellina e la si costringeva a scrivere reiteratamente la frase che faceva riferimento a furto e menzogna, ma anche in un percorso di gogna davanti alle sue insegnanti ed al parroco, provocandole il pericolo di una malattia nella mente, pericolo non meramente teorico, per i sintomi riferiti dagli esperti, concreto e reale, nel riferimento della maestra Z., per la grave depressione reattiva evidenziata nella bambina, già colpita dalla separazione dei genitori.

La motivazione appare giuridicamente corretta, considerando che in tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, la nozione di malattia nella mente (il cui rischio di causazione implica la rilevanza penale della condotta) è più ampia di quelle concernenti l'imputabilità o i fatti di lesione personale, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d'ansia all'insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento (Cass., Sez. 6, 7 febbraio 2005 n. 16491, rie. Cagliano ed altro); che il pericolo di una malattia fìsica o psichica richiesto dall'art. 571 c.p. non deve essere accertato necessariamente attraverso una perizia medico-legale, ma può essere desunto anche dalla natura stessa dell'abuso, secondo le regole della comune esperienza; e può ritenersi, senza bisogno di alcuna indagine eseguita sulla base di particolari cognizioni tecniche, allorquando la condotta dell'agente presenti connotati tali da risultare suscettibile in astratto di produrre siffatta conseguenza né occorre, trattandosi di tipico reato di pericolo, che questa si sia realmente verificata, atteso che l'esistenza di una lesione personale è presa in considerazione come elemento costitutivo della ipotesi diversa e più grave prevista dal secondo comma dell'art. 571 (Cass., Sez. 6, 1° aprile 1998 n. 6001, ric. Di Carluccio); che, mentre non possono ritenersi preclusi quegli atti, di minima valenza fisica o morale che risultino necessari per rafforzare la proibizione, non arbitraria né ingiusta, di comportamenti oggettivamente pericolosi o dannosi rispecchianti la inconsapevolezza o la sottovalutazione del pericolo, la disobbedienza gratuita, oppositiva e insolente, integra la fattispecie criminosa in questione l'uso in funzione educativa del mezzo astrattamente lecito, sia esso di natura fisica, psicologica o morale, che trasmodi nell'abuso sia in ragione dell'arbitrarietà o intempestività della sua applicazione sia in ragione dell'eccesso nella misura, senza tuttavia attingere a forme di violenza (Cass., Sez. 6, 7 novembre 1997-26 marzo 1998 n. 3789, ric. Paglia ed altro); e, infine, che l'esercizio della funzione correttiva con modalità afflittive e deprimenti della personalità, nella molteplicità delle sue dimensioni, contrasta con la pratica pedagogica e con la finalità di promozione dell'uomo ad un grado di maturità tale da renderlo capace di integrale e libera espressione delle sue attitudini, inclinazioni ed aspirazioni (Cass., Sez. 6, 25 settembre 1995 n. 2609, ric. P.M.in proc Aprile U e altro).

Il motivo in esame è perciò infondato.

Per quanto riguarda la costituzione di parte civile si deve prendere atto della dichiarazione di revoca da parte di F. M., la quale ha ormai raggiunto la maggiore età.

La revoca comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili per carenza di legittimazione di Angela Rebagliati, che non è peraltro persona offesa dal reato, anche per i danni morali ed esistenziali, i quali hanno comunque valenza patrimoniale.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili per carenza di legittimazione di Angela Rebagliati e per revoca della costituzione di parte civile da parte di F.M. Rigetta nel resto il ricorso.

Scritto da Admin il 12 Febbraio 2008 alle 22:48
 
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