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Danno da fumo attivo risarcibile

Cassazione civile , sez. III, sentenza 30.10.2007 n° 22884

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 4 - 30 ottobre 2007, n. 22884

(Presidente Vittoria – Relatore Segreto)

Svolgimento del processo

1. P. G. S. e D. S., eredi di M. S. con la citazione notificata l'11-13.5.1994 hanno convenuto in giudizio l'Amministrazione dei monopoli di Stato davanti al Tribunale di Roma.

Hanno esposto i seguenti fatti.

M. S. era deceduto nel 1991 a causa di un tumore polmonare. Aveva fumato dal 1950 circa venti sigarette al giorno e solo nel 1988, per le insistenze del medico curante aveva smesso di fumare.

Hanno sostenuto che la neoplasia era stata provocata dal fumo, perché nella sua storia familiare non v'erano state morti da cancro né altre cause v'erano state nella sua vita lavorativa e residenziale, avendo egli svolto la professione di insegnante di scuola agraria in una piccola città.

La responsabilità della sua morte andava imputata al Monopolio che non aveva provveduto a rendere noto con apposite informazioni la natura gravemente nociva del fumo e così aveva impedito al loro congiunto di venire a conoscenza dei rischi che correva per la propria salute e di compiere scelte informate e responsabili sulla pratica del fumo.

2. L'Amministrazione dei monopoli si è costituita in giudizio. Ha sostenuto che all'epoca non v'era obbligo di dare informazioni sui rischi del fumo; che era d'altro canto notorio che il fumo, specie se prolungato e non moderato, esponeva al rischio di malattie tumorali; che S., dunque, ben sapeva i rischi che correva e solo a lui si doveva perciò attribuire la colpa della sua morte, perché se ne era assunto il rischio in modo libero e consapevole.

3. Il tribunale ha rigettato la domanda con sentenza del 14.4.1997.

Ha negato sia la colpa del Monopolio sia che vi fosse la prova del nesso di causalità.

Gli attori hanno proposto appello con la citazione notificata il 27.5.1998.

Hanno dedotto che il rapporto di causalità tra cancro ai polmoni e pratica del fumo lo si doveva ritenere provato; che l'obbligo del Monopolio di informare sui rischi del fumo per la salute discendeva direttamente dagli artt. 32 e 41 Cost., sebbene non fosse ancora entrata in vigore la legge 428 del 1990 che aveva imposto la pubblicità negativa sui pacchetti di sigarette; che la responsabilità del Monopolio derivava anche dal fatto che la produzione e la vendita del tabacco costituivano un'attività pericolosa ai sensi dell'art. 2050 c.c.; che se fossero state fornite le doverose informazioni, S. avrebbe potuto desistere dal fumo prima, evitando il cancro.

4. L'Amministrazione dei monopoli di Stato si è costituita per resistere all'appello e nel giudizio sono intervenuti il Codacons e l'Ente tabacchi italiani - E.T.I., che avrebbe poi assunto la denominazione di British American Tobacco - B.A.T. Italia S.p.A.

5. La corte d'appello ha disposto un'indagine tecnica sul punto del nesso causale ed ha poi accolto la domanda, con sentenza 7.3.2005, con cui ha condannato la B.A.T. Italia a pagare a P. G. S. la somma di € 150.000,00 ed a M. S. la somma di € 50.000,00 oltre interessi dalla data della sentenza ed alle spese del giudizio.

6. La corte d'appello ha ritenuto che sussisteva la legittimazione passiva dell'Ente Tabacchi Italiani, essendo lo stesso subentrato in tutti i rapporti facenti capo ai Monopoli di Stato, sia attivi che passivi.

Sulla base della consulenza medico-legale riteneva che sussistesse il nesso di causalità tra la neoplasia polmonare di S. M. ed il fumo di tabacco da parte dello stesso; che i c.t.u. avevano escluso la natura metastatica di tale tumore nonché cause alternative, quali quelle familiari, residenziali o lavorative; che, in questa situazione, doveva ritenersi probabile, sulla base degli studi epidemiologici, nella misura dell'80% l'esistenza del rapporto causale tra neoplasia e fumo di tabacco; che tanto veniva confermato dalla rilevata mutazione sul codone 12 dell'esone 1 di K-ras corrispondente alla trasversione G/T, per quanto tale mutazione si verifichi solo nel 30% di tumori polmonari sviluppatisi in soggetti fumatori.

Secondo la corte di merito l'attività di produzione e commercializzazione di sigarette integrava esercizio di attività pericolosa, a norma dell'art. 2050 c.c. e l'esercente della stessa, cioè l'Amministrazione dei Monopoli, per andare esente da responsabilità, avrebbe dovuto fornire la prova di aver adottato le misure idonee ad evitare il danno, consistenti nella fattispecie nel fornire adeguate informazioni sulla nocività del fumo, anche eventualmente con foglietti illustrativi posti nei pacchetti, come avviene per altri prodotti; che tale prova in merito alle informazioni dovute non era stata resa; che conseguentemente doveva ritenersi la responsabilità dell'Eti, a norma dell'art. 2050 c.c.

Ha ritenuto, poi, la corte di merito che a nulla rilevava che lo S., alla stregua delle conoscenze scientifiche divulgate ad ogni livello non potesse ignorare gli effetti nocivi del fumo e quindi potesse effettuare una libera scelta tra il fumare ed il non fumare, in quanto la sua condotta era irrilevante di fronte alla presunzione di responsabilità dell'ente produttore, non vinta da prova contraria.

In ogni caso secondo la sentenza impugnata l'ipotesi della conoscenza da parte dello S. della nocività del fumo era tutt'altro che dimostrata, non potendosi escludere che lo S. si fosse reso conto della nocività soltanto poco tempo prima di smettere di fumare, quando già si erano irreversibilmente prodotti effetti devastanti.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Bat Italia.

Resistono con rispettivi controricorsi l'Amministrazione Autonoma dei Monopoli dello Stato e gli attori. Quest'ultimi hanno anche proposto ricorso incidentale, solo in parte condizionato.

Avverso questo ricorso incidentale ha presentato controricorso la Bat Ialia s.p.a..

Le parti hanno presentato memorie.

La ricorrente Bat ha depositato atto di rinunzia ai motivi dal secondo al quinto, nonché atto di transazione con l'Amministrazione dei monopoli, quanto ai motivi 1 e 6.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi, a norma dell'art. 335 c.p.c..
Quanto al ricorso principale, va osservato, in relazione ai motivi I e VI, che investono la questione relativa a chi sia il soggetto (tra la Bat e l'Amministrazione dei Monopoli) tenuto al risarcimento del danno preteso dagli attori ed al cui pagamento era stata condannata la sola Bat, che, essendo intervenuta tra la Bat e la Aams una transazione sul punto, è cessata la materia del contendere, essendosi la ricorrente fatta carico di "tutti gli oneri patrimoniali derivanti dalla controversia promossa dagli eredi S.", con conseguente sopravvenuta carenza di interesse ad ottenere una pronunzia sui predetti suoi due motivi.

2. Quanto ai motivi di ricorso n. 2, 3, 4, 5, la ricorrente ha rinunziato agli stessi e tale rinunzia è stata comunicata alle parti costituite. Poiché tale rinunzia investe solo alcuni motivi e non l'intero ricorso, ad essa non consegue la dichiarazione di estinzione del giudizio di cassazione instaurato con il ricorso, ma comporta la sopravvenuta carenza di interesse ad ottenere la decisione sulle questioni oggetto dei singoli motivi, con conseguente inammissibilità di tali motivi.

3. Passando ad esaminare il ricorso incidentale di P. G. e M. D. S., va osservato che con il primo motivo di ricorso incidentale i ricorrenti lamentano l'omessa pronunzia sulla richiesta di condanna per responsabilità processuale proposta con la memoria di replica.

4. Il motivo è inammissibile per genericità, non indicando quale sia l'an ed il quantum del danno, prospettato al giudice di appello, essendosi l'appellata limitata a sollevare una questione di legittimazione passiva, rilevabile d'ufficio, mentre gli stessi appellanti, attuali ricorrenti incidentali in sede di appello concludevano, come risulta dall'epigrafe della sentenza impugnata, per l'affermazione di responsabilità dell'Aams e la condanna della stessa al risarcimento dei danni.

5. Con il secondo motivo del ricorso incidentale i ricorrenti lamentano il vizio di cui all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. per violazione di legge ed omessa pronunzia sulla domanda di risarcimento dei danni iure proprio (patrimoniale, esistenziale, morale) nonché su quello iure hereditatis, costituito dal danno biologico e morale del de cuius.

6. Il motivo è solo parzialmente fondato.

Va, anzitutto rigettata l'eccezione della Bat di inammissibilità del motivo perché, pur lamentando l'omessa pronunzia su tale domande, non è stato prospettato a norma dell'art. 360 n. 4 c.p.c. Infatti, poiché i ricorrenti lamentano il vizio di omessa pronunzia del giudice di appello su una loro specifica domanda, l'indicazione della norma 360 n. 3 e 5 c.p.c., in luogo di 360 n. 4, si risolve solo in un'erronea indicazione della norma di legge processuale, che non determina l'inammissibilità del motivo, non impedendo l'individuazione del quid disputandum.

7.1. Quanto all'eccezione di novità della domanda, essa è fondata solo relativamente al danno iure hereditatis, non essendo lo stesso stato richiesto nel giudizio di merito e, limitatamente a questo danno, il motivo è inammissibile.

Con l'atto di citazione, con l'appello e con le conclusioni in appello gli attori avevano richiesto "il risarcimento di tutti i danni sofferti".

È giurisprudenza pacifica che allorché si chieda, in sede di responsabilità aquiliana, il risarcimento di "tutti i danni", la domanda investe sia il danno patrimoniale che quello non patrimoniale. In tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, la domanda di risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, proposta dal danneggiato nei confronti del soggetto responsabile, per la sua onnicomprensività esprime la volontà di riferirsi ad ogni possibile voce di danno, con la conseguenza che solo nel caso in cui nell'atto di citazione siano indicate specifiche voci di danno, l'eventuale domanda proposta in appello per una voce non già indicata in primo grado, costituisce domanda nuova, come tale inammissibile: Cass. civ., Sez. III, 19/05/2006, n. 11761.

7.2. Quanto all'assunto danno patrimoniale i ricorrenti incidentali non indicano in quali termini sarebbe sussistito tale danno patrimoniale, né assumono di aver allegato (e provato sia pure presuntivamente) al giudice di merito tali elementi, senza che questi li avesse poi valutati. Ne consegue che il motivo è inammissibile per genericità, anche sotto il profilo dell'autosufficienza del ricorso.

7.3. Fondata è, invece, nei termini che segue, la censura relativa alla mancata liquidazione del c.d. danno esistenziale. Nel bipolarismo risarcitorio (danni patrimoniali e danni non patrimoniali) previsto dalla legge, al di là della questione puramente nominalistica, non è possibile creare nuove categorie di danni, ma solo adottare per chiarezza del percorso liquidatorio, voci o profili di danno, con contenuto descrittivo (ed in questo senso ed a questo fine può essere utilizzata anche la locuzione danno esistenziale, accanto a quella di danno morale e danno biologico), tenendo conto che da una parte deve essere liquidato tutto il danno, non lasciando privi di risarcimento profili di detto danno, ma che dall'altra deve essere evitata la duplicazione dello stesso, che urta contro la natura e funzione puramente risarcitoria della responsabilità aquiliana.

L'interesse al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, per la definitiva perdita del rapporto parentale, si concreta nell'interesse all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia, all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost., esso si colloca nell'area del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., in raccordo con le suindicate norme della costituzione e si distingue sia dall'interesse al «bene salute», (protetto dall'art. 32 Cost. e tutelato attraverso il risarcimento del danno biologico), sia dall'interesse, all'integrità morale (protetto dall'art. 2 Cost. e tutelato attraverso il risarcimento del danno morale soggettivo) (Cass. 19/08/2003, n. 12124; Cass. n. 8828/2003).

Nella situazione della perdita del rapporto parentale, normalmente vi è la sussistenza di un pregiudizio non patrimoniale, la cui prova può essere anche fondata su presunzioni, che non siano adeguatamente contrastate da altre prove contrarie.

7.4. Nella fattispecie il giudice di appello ha liquidato agli attori, rispettivamente in £. 150 milioni per il coniuge e £. 50 milioni per il figlio, il danno "essenzialmente morale e consistente nel dolore per la scomparsa nella loro vita di una presenza familiare importante".

La predetta motivazione, quindi, non indica se il giudice nella liquidazione dell'unitario danno non patrimoniale abbia tenuto conto solo delle sofferenze morali degli attori, danneggiati dalla morte del congiunto, o anche (in tutto o in parte) dei profili di danno non patrimoniale, derivanti dalla perdita del rapporto parentale, con i conseguenti pregiudizi alla quotidianità della vita, quale si era in precedenza instaurata. A tale complessiva valutazione provvedere il giudice del rinvio.

8. Pertanto, quanto al ricorso principale, pronunziando sui motivi primo e secondo, va dichiarata cessata la materia del contendere tra Bat Italia s.p.a. ed Amministrazione Autonoma dei Monopoli dello Stato. Esistono giusti motivi per compensare tra le dette parti le spese dell'intero giudizio.

Va, poi, dichiarato inammissibile il ricorso della Bat nei confronti di G. P. e S. M. D., per sopravvenuta carenza di interesse.

Va rigettato il primo motivo del ricorso incidentale di G. P. e S. M. D. e va accolto parzialmente il secondo motivo.

Va cassata, in relazione, l'impugnata sentenza, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio di cassazione tra la Bat e gli eredi S., ad altra sezione della corte di appello di Roma.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi. Quanto al ricorso principale, pronunziando sui motivi primo e secondo, dichiara cessata la materia del contendere tra Bat Italia s.p.a. ed Amministrazione Autonoma dei Monopoli dello Stato; compensa tra le dette parti le spese dell'intero giudizio.

Dichiara inammissibile il ricorso della Bat Italia s.p.a. nei confronti di G. P. e S. M. D., per sopravvenuta carenza di interesse.

Quanto al ricorso incidentale di G. P. e S. M. D., rigetta il primo motivo ed accoglie parzialmente il secondo motivo.

Cassa, in relazione, l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese di questo giudizio di cassazione tra la Bat e gli eredi S., ad altra sezione della corte di appello di Roma. Scritto da Admin il 12 Novembre 2007 alle 08:00

 
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