Concorso esterno in associazione mafiosa
Cassazione penale , sez. V, sentenza 01.06.2007 n° 21648SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Sentenza 1 giugno 2007, n. 21648
(Presidente Pizzuti – Relatore Scalera)
Osserva
T. P. G. ricorre, tramite il suo difensore, avverso la sentenza del 20.12.2004 ‑ depositata il 1°.9.2005 ‑ con cui la Corte di Appello di Catanzaro, pronunciando in sede di rinvio, aveva confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza che in data 24.1.2001 aveva affermato, per quanto qui interessa, la sua penale responsabilità per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa.
Questa Corte aveva infatti accolto il ricorso proposto dal Procuratore Generale avverso l'assoluzione dell'imputato dal suddetto delitto con la formula "perché il fatto non sussiste", pronunciata da altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro il 25 ottobre 2002, ed aveva annullato la sentenza con rinvio, avendo rilevato vizio di motivazione per l'omesso esame degli elementi su cui il primo giudice aveva fondato, invece, la pronuncia di condanna per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa. Aveva rilevato infatti questa Corte che la sentenza annullata aveva limitato la sua disamina alla modalità partecipativa diretta del T., come “intraneus”, non rinvenendo prove sufficienti per l'affermazione di responsabilità, trascurando di considerare che diversa modalità partecipativa era costituita dal concorso esterno, come aveva ritenuto il giudice di primo grado.
La Corte del rinvio fonda la conferma della sentenza del Tribunale di Cosenza sulla esistenza, comprovata dalle stesse dichiarazioni dei contraenti, di un patto in virtù del quale F. P., capo indiscusso della associazione malavitosa egemone nel cosentino, in occasione delle elezioni regionali del 1990 aveva promesso voti al T., che in caso di sua elezione avrebbe contraccambiato con benevolenza e favori; il suddetto patto era rimasto in vigore anche per elezioni comunali dei 1993, ancorché in detta circostanza il T. avesse agito nell'interesse di G. M., candidato per la carica di sindaco di Cosenza.
Ricorre il difensore del T. censurando la sentenza impugnata con cinque motivi:
1) violazione dell'art. 627 comma 3 c.p.p., per inosservanza della sentenza di annullamento, che aveva disposto una più attenta disamina delle acquisizioni probatorie al fine di verificare se la condotta ascritta al ricorrente avesse le caratteristiche del concorso esterno in associazione mafiosa, nonché sulla valutazione del dolo e sull'efficacia causale dei contributo del concorrente esterno. Assume in sostanza il ricorrente che invece la sentenza impugnata era incorsa nello stesso vizio che caratterizzava quella annullata, avendo omesso il puntuale esame degli elementi di prova che questa Corte aveva raccomandato, e cioè delle dichiarazioni rese ex art. 210 cpp dagli imputati di reati connessi V., I., A. U. ed altri, sui legami tra il T. e la consorteria mafiosa.
2) Violazione dell’art. 2 c.p., per avere la corte territoriale affermato la penale responsabilità per concorso esterno in associazione mafiosa, in relazione ai fatti avvenuti nel 1990, mentre la norma incriminatrice che ne aveva sanzionato specificamente la rilevanza penale era entrata in vigore solo nel 1992 ( L. 356/92).
3) Violazione dell'art. 192 secondo comma c.p.p., per carenza ed illogicità di motivazione in riferimento ai criteri di valutazione dei singoli episodi, indicati come sintomatici delle specifiche condotte di favore poste in essere dal T. in esecuzione del patto elettorale.
4) Violazione dell'art. 521 c.p.p., per essere stata affermata la penale responsabilità per reato diverso (concorso esterno) da quello contestato (partecipazione ad associazione di tipo mafioso).
5) Omessa motivazione della corte di appello in ordine al rigetto del gravame sulla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Con motivi aggiunti depositati il 16.1.2007, il ricorrente deduce anche travisamento del fatto in relazione all'asserito fattivo intervento del T. presso lo stesso F. P. in favore del senatore G. M., candidato sindaco di Cosenza nel 1993, poi effettivamente eletto, osservando che la sentenza era incorsa nell'equivoco di ritenere che il T. avesse chiesto voti per sé, mentre lui non era candidato, e del resto il M. era stato assolto in altro processo da analoga accusa di concorso esterno.
Con ulteriori motivi il ricorrente lamenta l'omesso specifico esame delle dichiarazioni degli imputati di reati connessi, ed in specie di quelle che avevano minimizzato il contributo del ricorrente alla associazione mafiosa capeggiata dal P..
Il ricorso è infondato.
La sentenza impugnata riferisce come fatto certo la conclusione di uno specifico patto, stretto tra il P. ed il T., in virtù del quale il primo aveva promesso voti ed il secondo - ove fosse stato eletto - benevolenza e favori; il dato fattuale è incontroverso, ed era stato desunto dai giudici del merito (anche dalla Corte che aveva pronunciato la sentenza annullata) dalle dichiarazioni del P. e dalla confessione del T., al cui tentativo di ritrattazione né il Tribunale di Cosenza né la Corte territoriale avevano conferito credito, con motivazione convincente ed esaustiva.
Costituisce altresì dato di fatto pacifico, sul quale s'è formato il giudicato, l'egemonia assoluta sul territorio del cosentino dell'associazione mafiosa facente capo al F. P., e del resto proprio tale forte egemonia rende ragione del perché il T. chiese (o accettò ‑ sul chi abbia assunto l'iniziativa non è stata fatta chiarezza ‑) l'aiuto del P. per conseguire l’elezione: le due suddette circostanze davano ampiamente conto di per sé della piena consapevolezza che il T. non poteva non avere in ordine al significato che assumeva l'aiuto del P., ed agli obblighi che comportava.
Per altro verso è appena ovvio l'aumento di prestigio che l'associazione malavitosa acquisiva per il solo fatto di poter vantare un referente politico "vicino", costituendo ragionevolmente tale circostanza agli occhi dei consociati in qualche misura una sorta di (obliqua) legittimazione, a prescindere da vantaggi economici più concreti e contingenti, che tuttavia era ragionevole pensare che avrebbero fatto seguito alla acquisita maggiore contiguità con il potere politico.
Per altro verso lo stesso accedere ad un rapporto sinallagmatico che contempla la promessa di voti in cambio della disponibilità a futuri favori, integra per il politico che ne sia parte la fattispecie di concorso esterno in associazione mafiosa, ove si consideri la volontarietà e consapevolezza dell'accordo e dei suoi effetti.
Si tratta di puntuale applicazione del principio di diritto giù affermato da questa stessa Corte con la sentenza F. del 16.3.2000 (n. 4893 RV 215964), che la Corte territoriale ha condiviso, secondo il quale basta il mero scambio delle promesse tra esponente mafioso e politico per integrare il sinallagma significativo del concorso esterno, e non sono necessarie verifiche in concreto in ordine al rispetto da parte del politico degli impegni assunti ove vi sia prova certa, come nella specie, della conclusione dell'accordo, perché è lo stesso accordo che di per sé avvicina l'associazione mafiosa alla politica, facendola in qualche misura arbitro anche delle sue vicende elettorali, e rendendola altresì consapevole della possibilità di influenzare perfino l'esercizio della sovranità popolare, e cioè del suo potere.
Né vale osservare, come fa il ricorrente, che nel caso di specie non sarebbero percepibili flussi significativi di atti di "benevolenza di ritorno", tali non potendo considerarsi piccoli episodi indice più che altro di malcostume, perché invece il potere ed il radicamento sul territorio di un'associazione mafiosa riposa anche e soprattutto sul potere spicciolo di prestare piccoli favori.
Una volta allora che si ritenga provata la partecipazione del T. all'associazione mafiosa con le modalità del concorso esterno, non sono necessarie ulteriori e specifiche verifiche sul rispetto degli impegni assunti con il patto elettorale dal politico, che saranno necessarie solo nei casi in cui non vi sia esaustiva prova diretta del patto, e questo debba arguirsi dai suoi effetti.
Quanto poi all'asserita violazione dell'art. 2 c.p., non resta che riportarsi a quanto aveva già osservato la Prima Sezione di questa Corte con la sentenza n. 815/2003, in virtù della quale la Corte di Appello di Catanzaro ha pronunciato la sentenza oggetto della presente disamina: già il testo dell'art. 416 bis previgente la novella del giugno 1992 (DI 8.6.92 n. 306 convertito con L 7.8.92 n. 356) consentiva di ricomprendere tra le attività tipicamente mafiose l'ostacolo al libero esercizio del diritto di voto in occasione di consultazioni elettorali, e del resto il capo di imputazione contemplava specificamente l'ipotesi suddetta "fino a maggio 1995", in modo da ricomprendere le elezioni comunali dei 1993.
Per la stessa ragione non ha motivo il T. di dolersi per essere stato condannato per fatto diverso da quello contestato.
Quanto infine all'omessa concessione delle attenuanti generiche, le sentenza di primo e secondo grado hanno adeguatamente motivato sul punto, e non è consentito in questa sede un riesame del merito.
Quanto ai motivi aggiunti, il reato non è prescritto perché il termine va computato secondo il testo dell'art. 157 c.p. previgente la L. 251/2005, ai sensi dell'art. 10 della legge predetta.
Infine, né la sentenza impugnata né quella del Tribunale di Cosenza sono incorse nell'equivoco di confondere la posizione di intermediario del T. (in favore del M. G.) con quella, che non aveva, di candidato, come può rilevarsi sia dal capo di imputazione che dalla motivazione di entrambi i provvedimenti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Scritto da Admin il 18 Giugno 2007 alle 07:00- 506 Articoli Totali
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