Trib. Roma, Sez. XI, 17 aprile 2002 [Giud.
Benedetta Thellung de Courtelary]
Svolgimento del processo
Con atto notificato il giorno 27.11.1998 Marchiafava Sofia
ha citato Milani Daniele ed ha esposto:
- il 7 novembre 1998, mentre si apprestava ha tornare a
casa dopo una passeggiata a Villa Borghese in compagnia
del suo piccolo cane di razza yorkshire, si era imbattuta
in un cane di razza pitt-bull che si era avventato sul suo
cagnolino, tentando di sbranarlo;
- per effetto dell’aggressione era caduta a terra,
mentre Micarelli Andrea, intervenuto a difesa dello yorkshire,
non era riuscito a liberare il cagnolino dalla presa del
pitt-bull;
- era sopraggiunto il convenuto, proprietario del cane aggressore,
accompagnato da un altro cane della medesima razza, che
si era anch’esso avventato sullo yorkshire;
- con l’aiuto del Micarelli era riuscita finalmente
e liberare lo yorkshire ormai agonizzante e lo aveva preso
tra le braccia, ma era stata inseguita dai due pitt-bull,
che le erano saltati addosso ed avevano nuovamente afferrato
il suo cane, poco dopo deceduto presso la clinica veterinaria
Zoospedale Flaminio;
- il proprietario dei pitt-bull si era rifiutato di fornire
le proprie generalita', sicche' si era reso necessario chiamare
la polizia, che aveva redatto una relazione di servizio
sui fatti;
- per effetto dell’aggressione, che le aveva tra l’altro
provocato uno stato di choc, era stata altresi' costretta
a liberarsi degli indumenti indossati, intrisi di sangue,
ed aveva subito lesioni (distrazione del quadricipite femorale
destro).
Cio' premesso, l’attrice ha chiesto condanna del convenuto
al risarcimento dei danni subiti, riferendosi tanto al danno
patrimoniale (valore dell’animale, indumenti), quanto
al danno biologico sofferto per l’invalidita' temporanea
ed al danno, definito morale e biologico, per la morte dello
yorkshire.
Costituito il contraddittorio, Milani Daniele ha resistito
alla domanda, pur non negando che la morte dello yorkshire
fosse stata causata da un pitt-bull di sua proprieta'.
La causa, istruita con prova per testi e produzione di documenti,
e' stata rinviata per la precisazione delle conclusioni
e successivamente decisa sulle conclusioni indicate in epigrafe.
Motivi della decisione
§ 1. — La domanda e' fondata nel senso che segue.
§ 2. — La ricostruzione della vicenda descritta
dall’attrice in citazione ha trovato piena conferma,
nel suo complesso, mediante l’escussione dei testi
Micarelli — della cui attendibilita' non v’e'
ragione di dubitare, ancorche' sia il fidanzato della Marchiafava
—, Cesarini e Panadisi, presenti ai fatti.
Il Milani, per parte sua, non e' comparso all’udienza
fissata per l’assunzione dei testi che aveva indotto,
sicche' il Tribunale non ha a disposizione alcun elemento
per disattendere la versione dei fatti riferita dai testi
di parte attrice.
Puo' pertanto ritenersi accertato che prima l’uno
e poi l’altro pitt-bull di proprieta' del Milani hanno
aggredito e cagionato la morte dello yorkshire di proprieta'
dell’attrice in due successive fasi: in un primo tempo
attaccandolo — in sequenza — mentre accompagnava
la sua padrona, in un secondo tempo strappando addirittura
dalle sue braccia, dopo che ella aveva cercato di trarlo
in salvo.
§ 3. — In punto di responsabilita' trova nella
specie applicazione l’art. 2052 c.c., secondo il quale
il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo
in cui lo ha in uso, e' responsabile dei danni cagionati
dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia,
sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso
fortuito.
Nell’ipotesi esaminata, dunque, in mancanza della
deduzione stessa di una qualche prova liberatoria, la responsabilita'
del Milani nella determinazione dell’occorso —
i suoi cani hanno aggredito ed ucciso l’animale della
Marchiafava, danneggiando altresi' i suoi abiti e provocando
alla medesima una distrazione muscolare — non puo'
dunque essere posta in discussione.
§ 4. — Passando all’esame degli specifici
profili di danno patiti dall’attrice, puo' subito
sgombrarsi il campo dagli aspetti che attengono —
per cosi' dire — alla routine risarcitoria.
§ 4.1. — Con riferimento al danno patrimoniale
in senso stretto, per quanto attiene al valore venale dello
yorkshire, l’attrice ha indicato la somma di £
2.000.000, trattandosi di animale di razza pura: il punto,
in effetti, non e' stato oggetto di specifica contestazione
da parte del convenuto, che, nella propria comparsa di risposta,
si e' esclusivamente soffermato sul vestiario della Marchiafava,
oltre che sull’insussistenza dei presupposti per liquidare
in suo favore alcunche' per danno biologico e morale. Del
resto, il Milani, nel medesimo atto, ha offerto alla Marchiafava,
a tacitazione della sua pretesa risarcitoria, la somma di
£ 4.000.000, sicche' — se si considera che egli
ha giudicato eccessiva la quantificazione del danno al vestiario
e negato la sussistenza di danno biologico o morale —
sembra implicitamente riconosciuta la sostanziale fondatezza
della richiesta di £ 2.000.000 quale valore venale
dello yorkshire.
Segue condanna del convenuto al pagamento della somma detta,
che, versandosi in ipotesi di risarcimento del danno aquiliano,
puo' essere ad oggi quantificata — tenuto conto del
deprezzamento della moneta intervenuto dall’epoca
del sinistro ed altresi' del ristoro della mancata disponibilita'
della somma, liquidato secondo i parametri indicati da Cass.,
sez. un., 1712 del 1995, in riferimento al rendimento medio
dei depositi bancari sulla somma capitale rivalutata anno
per anno — in £ 2.500.000, pari ad € 1.291,14,
con interessi legali dalla pronuncia al saldo.
§ 4.2. — Nel medesimo ordine di idee si colloca
la liquidazione dell’ulteriore danno patrimoniale
per la perdita del vestiario (£ 1.500.000, tenuto
conto delle risultanze testimoniali) e per esborsi sostenuti
in conseguenza del fatto (£ 135.000, come da fatture
in atti): il tutto per il complessivo importo di £
1.635.000, somma che, rapportata all’attualita' in
applicazione delle regole poc’anzi menzionate, puo'
quantificarsi in £ 2.043.750, pari ad € 1.055,51,
con interessi legali dalla pronuncia al saldo.
§ 4.3. — L’attrice, per effetto dell’aggressione
da parte dei pitt-bull, tanto nel tentativo di sottrarre
il proprio cane alla loro presa, quanto nella seconda fase
del fatto, ha subito una transitoria lesione fisica, refertata
come «distrazione del quadricipite femorale dx»,
con prognosi di gg. 5 e successiva prescrizione di riposo
per gg. 10.
In proposito il Tribunale stima equo determinare il danno
biologico per inabilita' temporanea totale (gg. 5) e parziale
al 50% (gg. 10), all’attualita', in complessivi €
370,00, con interessi legali dalla pronuncia al saldo, apparendo
equo quantificare la menzionata voce di danno in €
37,00 giornalieri.
§ 5. — L’attrice, in citazione, sollecita
l’ulteriore condanna del convenuto al risarcimento
del «danno morale e biologico nella misura di £
40.000.000». In proposito, e' sufficientemente chiaro
che la Marchiafava — la quale evidenzia lo choc subito
in conseguenza dell’evento — si duole della
sofferenza patita per effetto della morte del suo cane ad
opera degli animali del Milani: cio' detto, il Tribunale
ritiene parimenti chiaro che il riferimento alle nozioni
di danno morale e biologico non sono pertinenti.
L’ordinamento infatti, ammette il risarcimento del
danno morale — pecunia doloris — solo in ipotesi
che il fatto causativo del danno costituisca reato, ex art.
2059 c.c.: ma, nel caso in questione, non e' stato neppure
ipotizzato che il Milani abbia posto in essere una qualche
condotta delittuosa. E, d’altro canto, non appare
configurabile neppure un diritto della Marchiafava al risarcimento
del danno biologico — non correlato, naturalmente,
alla gia' ricordata distrazione muscolare —, dal momento
che la morte del suo cane puo', in tesi, averle provocato
sofferenza emotiva, angoscia per la perdita di un legame
affettivo, puo' aver cambiato in peggio la sua vita, ma
certo non risulta, neppure sul piano della semplice deduzione,
aver leso la sua integrita' psicofisica, averle cioe' provocato
una malattia, aver danneggiato la sua salute.
Ma, come e' stato detto, non di sola salute vive l’uomo,
la cui esistenza puo' venire scompagnata piu' o meno gravemente
— con conseguente insorgenza del diritto al risarcimento
del danno patito — per effetto di condotte non riconducibili
ne' alla sfera del danno morale, ne' di quello biologico,
inteso come danno al bene-salute.
§ 5.1. — Ed allora, dopo che la nozione —
oggetto di un dibattito dottrinale vasto e fin quasi contagioso
— sembra aver fatto ingresso a pieno titolo in un
recente arresto della S.C., non par dubbio che l’evento
di cui la Marchiafava si duole, abbia da essere ipoteticamente
ricondotto alla sfera del cosi' detto «danno esistenziale».
Nozione, quella richiamata, che non si lascia racchiudere
entro schemi definitori rigidi e netti. Muovendosi sul terreno
degli esempi — senza alcuna pretesa di esustivita'
— e facendo menzione di talune delle ipotesi ricorrenti
della materia, si discute di danno esistenziale con riferimento
alla lesione dei diritti della personalita', ad alcuni fenomeni
di turbativa della serenita' familiare, della vita sessuale;
in relazione a fenomeni emergenti di lesione dei diritti
del cittadino-lavoratore (si pensi al mobbing); con riguardo
ai danni da emissione di rumore ovvero da inquinamento ambientale;
ai danni riflessi cagionati ai congiunti della vittima di
un infortunio, i quali si vedano costretti a subire una
modificazione nettamente peggiorativa delle proprie abitudini
ed organizzazioni di vita in funzione degli insorti obblighi
di assistenza nei confronti dell’infortunato; al pregiudizio
patito per la perdita dell’oggetto o — ultimo
ma non meno importante — dell’animale d’affezione.
Volendo tentare di tradurre la nozione di «danno esistenziale»
in formuletta mnemonica, si potrebbe essere tentati di dire
che esso si compendia in un peggioramento della «qualita'
della vita» dovuto a fattori non riconducibili ne'
al danno morale, ne' al danno biologico: l'esempio piu'
chiaro dovrebbe apparire proprio quello gia' prospettato
del coniuge dell'infortunato che sia stato indotto a rinunciare
ai propri hobbies, volendo ormai impiegare il tempo libero
a spingere il proprio compagno costretto in carrozzella.
§ 5.2. — Nell’identificazione della nozione
si e' proceduto, in giurisprudenza, dall’assunto che
la tutela aquiliana, oltre alla tradizionale funzione di
reintegrazione delle perdite economiche, verrebbe ad assumere
il contenuto di norma atipica di protezione integrale della
sfera personale, operando ogni volta che vi sia un vulnus
di questa. Seguendo questa impostazione — come si
accennava — la S.C. ha confermato, in altro campo
dei diritti della persona, la pronuncia di un corte di merito
che aveva condannato un padre naturale rimasto per anni
inadempiente all’obbligo, poi osservato, di corrispondere
al figlio l’assegno di mantenimento, al risarcimento
dei danni infitti alla persona di lui in conseguenza di
una simile condotta: cio' che soprattutto la Corte veneziana,
nella specie, ha inteso risarcire e' la lesione in se',
che dal comportamento del ricorrente […] e' scaturita,
di fondamentali diritti della persona. […] E' […]
innegabile che la lesione di diritti siffatti, collocati
al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente
garantiti, vada incontro alla sanzione risarcitoria per
il fatto in se' della lesione (danno evento) indipendentemente
dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa
comportare (danno conseguenza). […] Il citato art.
2043 c.c., correlato agli artt. 2 ss. Cost., va cosi' «necessariamente
esteso fino a ricomprendere il risarcimento non solo dei
danni in senso stretto patrimoniali ma di tutti i danni
che almeno potenzialmente ostacolano le attivita' realizzatrici
della persona umana». Per cui, quindi […] «non
e' ipotizzabile limite alla risarcibilita'», della
correlativa lesione, «per se' considerata» (Cass.
7 giugno 2000, n. 7713).
Danno evento distinto dal danno conseguenza, danno di per
se' considerato. Modello risarcitorio, dunque, nel quale
il risarcimento viene disancorato, almeno sul piano dell’an,
da qualsiasi considerazione dei riflessi negativi a carico
della vittima.
§ 5.3. — Il pericolo, in questa prospettiva,
sembra divenire quello di un inevitabile snaturamento dell’istituto
aquiliano, nella prospettiva di una strisciante soggettivizzazione
della lesione e di un ingovernabile allagamento dei confini
del danno risarcibile, indipendentemente dalla verifica
dell'effettiva insorgenza del «danno esistenziale»,
quale peggioramento della «qualita' della vita»,
cui si e' prima fatto riferimento. Il padre — diciamo
cosi' — degenere che lesina denari al proprio figlio,
manifestando in cio' disinteresse nei suoi confronti, gli
produce con tutta probabilita', se non certamente, senso
di abbandono, angoscia, smarrimento: gli nuoce. Ma tali
sentimenti confinati nel foro interno si collocano con evidenza
sul versante del «patema d'animo», ossia della
sofferenza morale elettivamente ristorata con la pecunia
doloris — dunque solo in presenza di un fatto-reato
— e non e' affatto detto che si traducano in «danno
esistenziale».
Sicche', la tendenza a situare il «danno esistenziale»
nell'orbita del danno-evento finisce per risolversi —
questo sembra al Tribunale — nella sanzione di un
comportamento ritenuto riprovevole, una sorta di punitive
damage, comminata in difetto dell’accertamento del
verificarsi di una effettiva lesione.
§ 5.4. — Il problema merita in questa sede di
essere ulteriormente affrontato, dal momento che proprio
il danno per la perdita dell’animale d’affezione
non sembra richiedere alcuna finzione del verificarsi della
lesione. Non e' cioe' necessario ricorre alla nozione di
danno-evento, danno in se' considerato, in un campo in cui
la realta' e concretezza del dolore patito dal «padrone»
per effetto della perdita dell’animale — un
certo pudore induce ad evitare l’espressione «lutto»
— e' nozione di comune esperienza.
Diremmo, dunque, che la connotazione affettiva della relazione
instaurata tra l’uomo e il cane non richieda neppure
di essere sottolineata: basti pensare — si cita a
caso — ad Argo, o a Alidoro che salva ed e' salvato
da Pinocchio. O alle riflessioni sul rapporto uomo-cane
di Konrad Lorenz. Vien fatto di notare — rammentando
il titolo del romanzo breve di Thomas Mann — che la
positiva connotazione del rapporto cane-padrone, nell’attuale
comune sentire, fa si' che quest’ultimo vocabolo —
poc’anzi utilizzato — non rifletta alcuna delle
sfumature negative che esso ha ad altri riguardi acquistato,
tanto da renderlo sovente indigesto. E, sul piano del costume,
non v’e' chi non abbia a mente le campagne contro
l’abbandono degli animali domestici, nel quadro di
una attenzione sempre crescente ai «diritti»
— se e' consentita l’espressione, nell’ovvia
consapevolezza che le bestie non sono soggetti di diritto
— degli animali. Insomma la nobilta' del rapporto
uomo cane e' patrimonio sedimentato della cultura come del
costume.
§ 5.5. — In conclusione, tornando al tema, la
relazione affettiva con per l’animale puo' avere rilevanza
sul piano della tutela aquiliana, potendo richiedere che
questa si estenda al risarcimento del danno non patrimoniale
patito in conseguenza della perdita di un affetto che puo'
essere annoverato tra i beni della personalita'. Come e'
stato osservato in dottrina, la rilevanza autonoma della
relazione affettiva puo' separare la posizione risarcitoria
del proprietario da quella del «padrone» dell'animale:
nel caso di uccisione di animali senza valore, nulla puo'
essere dovuto al proprietario, ma molto puo' essere dovuto
al «padrone» dell’animale.
Le conclusioni raggiunte, del resto, non sono nuove in giurisprudenza,
anche se la lesione subita per effetto della rottura del
legame affettivo con l'animale e' stata per quanto consta
ricondotta, con qualche forzatura, nell'ambito del danno
morale o di quello biologico (si vedano, in particolare,
Pret. Rovereto 15 giugno 1994, Nuova giur. civ. comm. 1995,
133; Conc. Udine 9 marzo 1995, Nuova giur. civ. comm. 1995,
784).
§ 5.6. — Passando all’esame dello specifico
episodio dedotto in giudizio, la lunga premessa svolta dovrebbe
consentire con facilita' di escludere che alla Marchiafava
possa essere riconosciuto alcunche' per danno morale.
Per la verita', quest'ultima ha fornito ben pochi elementi
utili ad evidenziare la sostanza del rapporto affettivo
intrattenuto con il cane: solo nella comparsa conclusionale
emerge per la prima volta che l'attrice avrebbe avuto il
cane da 14 anni. Per il resto, non v'e' dubbio che le modalita'
del fatto siano state particolarmente cruente e ripugnanti:
l'animale agonizzante strappato dalle braccia della padrona
dai due pitt-bull e' infatti circostanza palesemente raccapricciante,
senza che sia necessario altro commento. E la Marchiafava
doveva essere effettivamente legata allo yorkshire, tanto
da mettere a repentaglio la sua stessa incolumita' nel tentare,
anche se inutilmente, di salvare la vita al suo cane.
Non c'e' dubbio, cioe', che l'attrice abbia sofferto in
conseguenza della vicenda: ma, appunto, la sofferenza che
il Tribunale puo' ragionevolmente ipotizzare altro non e'
che il gia' menzionato patema d'animo, ossia il danno morale
il cui risarcimento non puo' in questo caso essere ammesso.
Manca invece qualsiasi elemento, in primo luogo sul piano
dell'allegazione e solo in secondo luogo sul piano della
prova, per poter ritenere che la rottura del legame affettivo,
pur antico e forte, abbia determinato un «danno esistenziale»
nel senso prima evidenziato: un peggioramento della qualita'
della vita concretamente apprezzabile, seppur sulla base
di elementi di natura induttiva, presuntiva, orientata alla
applicazione del principio dell’id quod plerumque
accidit.
§ 5.7. — Per concludere, la domanda di risarcimento
del danno esistenziale — cosi' qualificata —
avanzata dall'attrice, va respinta.
§ 6. — Le spese seguono la prevalente soccombenza
del Milani.
Per questi motivi
definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Marchiafava
Sofia nei confronti di Milani Daniele, cosi' provvede:
1.- condanna il convenuto al pagamento, in favore dell’attrice,
della somma di € 2.716,00, con interessi legali dalla
pronuncia al saldo;
2.- condanna la parte convenuta al rimborso, in favore della
parte attrice, delle spese sostenute per questo giudizio,
liquidate in complessivi € 2.000,00, di cui €
200,00 per esborsi e € 800,00 per diritti.
La redazione di megghy.com |