«Vivremo fino a 120 anni» I nuovi vecchi
saranno così L'oncologo Pelicci: entro il 2010 ultracentenari
e in forma.
Siamo programmati per vivere 120 anni, è scritto nel
nostro Dna, a prescindere da malattie e incidenti la nostra
durata è fissata e questo, agli studiosi, era noto.
L'informazione strategica che mancava, fino a ieri, è
come arrivare in condizioni dignitose a questo traguardo,
cioè come bloccare i geni che ci fanno invecchiare
e ammalare. L'ultima novità dal mondo scientifico è
che i topi vivono il 35% in più se eliminiamo il loro
«p66» o gene dell'invecchiamento e gli esperti
ci dicono che questo potrebbe presto accadere anche a noi.
«Presto» significa cinque anni, secondo il perugino
Pier Giuseppe Pelicci, direttore di oncologia sperimentale
allo Ieo di Milano e autore della ricerca, se ci saranno fondi
sufficienti per testare farmaci capaci di inibire la funzione
del gene.
Ultracentenari e in forma. «Non è fantascienza,
è realistico», ha spiegato il biologo molecolare
Pelicci sulle pagine del mensile Ok La salute prima di tutto,
da oggi in edicola. «Il ruolo della ricerca svolta dalla
mia équipe è duplice: allungare la vita e, soprattutto,
eliminare le malattie degenerative». Cancro, demenza
senile, infarto, aterosclerosi, Parkinson, Alzheimer: se funzioniamo
come i topi queste e altre sindromi saranno superate, magari
già nel 2010. Oggi ci sono un milione e mezzo di persone
che soffrono di malattie degenerative, quasi tutti anziani.
Secondo le statistiche il Parkinson ci colpisce a 57 anni,
l'Alzheimer intorno ai 65. Poiché il Paese diventa
sempre più vecchio queste, per noi, sono le malattie
del futuro.
Ad avere il Parkinson, per esempio, oggi sono duecentomila
italiani, la malattia insorge intorno ai sessant'anni, dura
17 e dal dodicesimo anno la qualità della vita comincia
a essere compromessa: «Diventa difficile controllare
i sintomi con la terapia farmacologica — spiegano all'Associazione
dei malati di Parkinson — i pazienti perdono la capacità
motoria». Cinque anni per invecchiare in buone condizioni:
«Non è un azzardo — secondo il professor
Gianni Pezzoli, presidente dell'associazione —. Oggi
si fanno progressi rapidamente, soltanto tre o quattro anni
fa non si parlava nemmeno di staminali, adesso si studiano
quelle adulte, del sangue, che servono per riparare cellule
danneggiate di vari organi compreso il cervello. Prima era
impensabile un turnover delle cellule cerebrali». Fino
agli anni Sessanta, quando fu scoperto il farmaco base per
il Parkinson, i malati nel giro di quattro anni si ritrovavano
immobili su una sedia a rotelle. Rispetto ad allora la malattia
procede lentamente e la ricerca vola.
L'équipe del professor Pelicci ha già studiato
i possibili effetti collaterali, sui topi sono nulli: senza
«p66» le cavie vivono di più e non ci rimettono
nulla (mentre altre specie animali, come vermi e mosche, perdono
fertilità). Comunque la partita si chiude a 120, perché
così è scritto nel nostro patrimonio genetico,
i geni preposti a condurci alla fine sono numerosi e, per
adesso, sembra che l'unico eliminabile sia il «p66».
«Per arrivare a 130 anni e più dovremmo lottare
contro ciò che è scritto nel Dna umano, quindi
contro molti altri geni, il p66 è uno ma già
se ne conoscono altri 6 o 7 deputati a regolare la durata
dell'esistenza — spiega Pelicci —. L'obiettivo
non è l'immortalità ma vivere più a lungo
e più giovani, ammalandosi meno».
Federica Cavadini
(fonte news:
corriere.it)
La redazione di megghy.com
|