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Il provvedimento di diniego della licenza edilizia, annullato
dal giudice amministrativo per difetto di motivazione, non
comporta il risarcimento del danno all’interessato
se il diniego non risulti lesivo delle regole di imparzialità,
di correttezza e di buon andamento, alle quali deve conformarsi
l’azione amministrativa.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
E.G., elettivamente domiciliato in Roma ... presso l’avvocato
L.R., rappresentato e difeso dall’avvocato L.D., giusta
procura a margine del ricorso;
ricorrente
contro
COMUNE di CEGLIE MESSAPICO, in persona del Commissario
Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliato in
Roma ... , presso l’Avvocato P.M., rappresentato e
difeso dall’avvocato C.C., giusta mandato in calce
al controricorso;
controricorrente
avverso la sentenza n. 330/01 della Corte d’Appello
di LECCE, depositata il 11/06/01;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del 27/05/2004 dal Consigliere Dott. Francesco Maria FIORETTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato D. che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito per il resistente l’Avvocato C. che ha chiesto
il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del sostituto Procuratore Generale
Dott. CAFIERO Dario che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, notificato il 7.3.1992, E.G. conveniva
in giudizio dinanzi al Tribunale di Brindisi il Comune di
Ceglie Messapica chiedendone la condanna al risarcimento
dei danni nella misura di lire 400.000.000.
A sostegno della domanda l’attore esponeva che la
Commissione Edilizia di detto Comune aveva approvato, nella
seduta del 29.6.1964, un piano di lottizzazione da lui presentato
nella sua qualità di geometra;
che il Consiglio comunale aveva successivamente recepito
uno schema di convenzione autorizzato dal Sindaco (delibere
n. 93 del 17.7.1973 e n. 257 del 20.5.1977);
che in data 14.9.1974 aveva presentato istanza per ottenere
la licenza edilizia per la realizzazione di due palazzine
su due aree di sua proprietà ricomprese nell’ambito
del menzionato piano di lottizzazione ed in conformità
dello stesso;
che contro il silenzio-rifiuto del Sindaco aveva proposto
ricorso al T.A.R., in quale ne aveva dichiarato la illegittimità
(sent. del 12.2.1986 - 23.4.1987);
che nel corso di detto giudizio la Commissione Edilizia
Comunale aveva espresso parere favorevole, ma che, definito
il giudizio, il Sindaco aveva negato il rilascio della licenza
con provvedimento del 24.8.1987 n. 15238, motivandolo con
la notevole eccedenza di volumi del progetto rispetto ai
parametri previsti nel piano di lottizzazione;
che tale provvedimento era stato impugnato dall’esponente
dinanzi al T.A.R., il quale lo aveva annullato, stigmatizzando
l’operato del Sindaco;
che per contributi di urbanizzazione aveva versato la somma
di lire 6.606.872, che il Comune non aveva più restituito.
Costituitosi in giudizio, il Comune convenuto resisteva
alla domanda, deducendo il difetto di giurisdizione dell’autorità
giudiziaria ordinaria e l’infondatezza della domanda
nel merito.
Il giudice adito, su istanza dell’attore, pronunciava
in data 19.10.1996 ordinanza ai sensi dell’art. 186-quater
c.p.c., con la quale condannava il Comune alla restituzione
della somma corrisposta per le opere di urbanizzazione e
respingeva la domanda risarcitoria in quanto correlata alla
violazione di un interesse legittimo.
Avverso detta ordinanza E.G., previa rinuncia alla pronuncia
della sentenza, proponeva appello dinanzi la Corte d’appello
di Lecce, quantificando il danno in L. 1.174.691.969 o,
in subordine, in L. 885.680.987.
Il Comune di Ceglie Messapica resisteva al gravame.
Con sentenza in data 17.5.2001, depositata in data 11.6.2001,
la corte d’appello summenzionata respingeva la impugnazione,
osservando che nella condotta della P.A. non si ravvisavano
gli estremi del dolo o della colpa.
Avverso tale sentenza E.G. ha proposto ricorso per Cassazione
sulla base di un unico motivo, illustrato con memoria.
Il Comune di Ceglie Messapica ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa
un punto decisivo della controversia, prospettato dalle
parti o rilevabile d’ufficio.
Lamenta il ricorrente che il giudice a quo abbia omesso
di dare il giusto rilievo a circostanze decisive emergenti
dalle sentenze del T.A.R., di cui in narrativa, ed in particolare
al fatto che nella prima delle due sentenze il T.A.R. aveva
pesantemente censurato il silenzio serbato dal Sindaco,
esprimendosi in termini di doverosità del rilascio
della licenza e creando, quindi, un forte vincolo conformativo
alla successiva attività della P.A.
Il ricorso è infondato.
Deduce, in particolare, il ricorrente che la impugnata
sentenza non avrebbe tenuto minimamente conto del fatto
che il rapporto con l’amministrazione comunale era
stato caratterizzato da ben due sentenze del T.A.R., delle
quali la prima (n. 475/87), ritenute fondate le censure
di carattere sostanziale dedotte dal ricorrente, non si
era limitata ad una semplice pronunzia di illegittimità
del silenzio rifiuto tenuto dal Sindaco (per il fatto che
occorreva un provvedimento espresso), ma aveva affermato
che questi era tenuto a rilasciare la richiesta licenza
edilizia.
Alla luce del contenuto di questa sentenza la corte di merito
avrebbe dovuto apprezzare la illegittimità del provvedimento
di diniego di concessione che il Sindaco aveva poi opposto
al ricorrente e che era stato annullato dal T.A.R. con la
seconda sentenza (n. 1035/90).
Detta corte avrebbe, invece, semplicisticamente valutato
il contenuto e la portata della seconda sentenza quasi che
si fosse trattato di una banale pronuncia di annullamento
per difetto di motivazione che lasciava impregiudicata la
reiterazione del provvedimento negativo su diverse basi
motivazionali, senza tener conto del fatto che la pronuncia
del diniego di concessione seguiva la pronuncia di illegittimità
del silenzio serbato dal Sindaco e si esprimeva in termini
di grave censura nei confronti dello stesso.
Il T.A.R. aveva, infatti, ricostruito la vicenda edilizia
evidenziando che il progetto del ricorrente era stato esaminato
dalla Commissione Edilizia Comunale, che aveva conclusivamente
espresso parere favorevole una prima volta con verbale n.
178 del 17.3.1976 e successivamente, confermando tale avviso,
nella seduta del 5.1.1979.
Rilevava ancora il T.A.R. che in tale ultima occasione
la Commissione Edilizia Comunale, aveva anche motivato il
proprio giudizio giustificando l’eccesso di cubatura
con la disponibilità dell’area rimasta scoperta
da vincolare a verde pubblico.
Il Sindaco, pertanto, avrebbe potuto disattendere il parere
favorevole espresso dalla Commissione Edilizia Comunale,
e negare la concessione solo motivando adeguatamente il
proprio dissenso, adducendo pertinenti ragioni in contrapposizione
a quelle formulate, nella pronuncia tecnica infraprocedimentale,
dalla Commissione Edilizia Comunale.
Il Sindaco aveva, invece, motivato il proprio diniego con
riferimento ai medesimi profili (eccesso di cubatura) espressamente
valutati dalla Commissione Edilizia Comunale (come non ostativi
al rilascio della concessione) senza però spiegare
i motivi del contrasto con la diversa opinione espressa
da tale commissione.
Le richiamate pronunce del giudice amministrativo supporterebbero,
secondo il ricorrente, un giudizio di colpevolezza dell’amministrazione
nel suo comportamento complessivo, non essendosi questa
conformata a regole di imparzialità, correttezza
e buona amministrazione.
Deduce, altresì, il ricorrente che nel corso del
presente giudizio né in primo grado né in
secondo grado sarebbe stata contestata la edificabilità
del suolo di sua proprietà né sarebbe stata
formulata una qualche considerazione in relazione alla giustezza
del provvedimento di diniego opposto dal Sindaco e ritenuto
illegittimo dal T.A.R.
La corte d’appello, come risulta dalla sentenza impugnata,
ha esaminato la fattispecie dedotta in giudizio alla luce
del nuovo orientamento introdotto dalla sentenza n. 500
del 1999 delle sezioni unite di questa Corte, che ha riconosciuto
anche il risarcimento del danno da lesione di interessi
legittimi, e che, in particolare, per quanto riguarda il
requisito della colpa, ha affermato che non è invocabile
il principio secondo cui, nel caso di esecuzione volontaria
di un atto amministrativo illegittimo, la colpa della struttura
pubblica è in re ipsa, richiedendo, invece, l’accertamento
di detto estremo - da riferirsi non al funzionario agente,
ma alla P.A. come apparato - una indagine, non limitata
al solo accertamento dell’illegittimità del
provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile,
ma diretta a verificare se l’adozione e l’esecuzione
dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse
del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole
di imparzialità, correttezza e buona amministrazione,
alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione
amministrativa e che il giudice ordinario ha il potere di
valutare, costituendo queste limiti esterni alla discrezionalità
amministrativa.
Alla stregua dell’insegnamento che precede la corte
di merito ha valutato nel suo complesso il comportamento
tenuto dalla pubblica amministrazione, non ignorando, come
affermato dal ricorrente, la prima sentenza del T.A.R, ed
il parere espresso dalla Commissione Edilizia Comunale,
ma attribuendo loro, al fine dell’accertamento della
colpa, una valenza diversa da quella pretesa dal ricorrente.
La corte di merito, dopo aver evidenziato che il provvedimento
del Sindaco di diniego della licenza era stato annullato
dal T.A.R. per difetto di motivazione e che il motivo, per
cui era stato annullato, non ne avrebbe impedito la reiterazione
su basi di spessore più solido nel senso voluto dal
T.A.R., ha osservato che, come riconosciuto nella stessa
sentenza del T.A.R., la Commissione Edilizia Comunale aveva
espresso parere favorevole dopo un sofferto iter amministrativo
avendo rilevato un eccesso di cubatura rispetto alle previsioni
del piano di lottizzazione, che aveva giustificato nel verbale
conclusivo “con la rimanente area da vincolare a verde
privato”.
Il Sindaco aveva ritenuto di non recepire codesto parere
non vincolante, atteso il contrasto emerso in sede di esame
consultivo.
Detto sofferto iter amministrativo, in assenza di altri
elementi probatori, “non potendosi certo utilizzare
le caratteristiche della tattica difensiva prescelta dal
legale nel corso del primo giudizio amministrativo”,
non consentiva di ravvisare nella condotta della P.A. (intesa
come apparato) gli estremi del dolo o della colpa, atteso
che la situazione di fatto “poneva gli atti dell’E.G.
fuori di una ordinata, regolare, conforme linearità,
sí da ingenerare “perplessità”
nella stessa Commissione ed anche nel Sindaco (come si può
desumere dal silenzio serbato in un primo tempo), inducendolo,
alla fine, ad adottare un più deciso e netto provvedimento
di reiezione”.
Osserva il collegio che detta motivazione appare adeguata,
logica e conforme a diritto, avendo la corte di merito,
come si evince da quanto sopra esposto, esaminato entrambe
le menzionate decisioni del T.A.R. (peraltro, per quanto
riguarda la prima, alla quale il ricorrente attribuisce
particolare rilievo, devesi osservare che non è stata
riprodotta nel ricorso nel suo contenuto integrale - come
avrebbe richiesto il principio dell’autosufficienza
del ricorso per Cassazione - non consentendo così
a questa corte di poterne esaminare, al fine di valutarne
la decisività, l’effettivo contenuto sia con
riferimento agli accertamenti di fatto che alle valutazioni
espresse dal giudice amministrativo) e considerato tutte
le circostanze rilevanti al fine dell’accertamento
della colpa della P.A.
Attraverso tale completa disamina la corte di merito è
pervenuta alla conclusione che la condotta dell’amministrazione
non potesse considerarsi tenuta in violazione dei principi
di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione
dinanzi ad una richiesta di rilascio di licenza edilizia
per un progetto che superava i limiti di cubatura previsti
dalla convenzione di lottizzazione (situazione che aveva
indotto il Sindaco a serbare il silenzio, poi dichiarato
illegittimo, sulla richiesta di licenza edilizia), ed in
una situazione in cui la Commissione Edilizia Comunale aveva
ritenuto dopo un sofferto iter amministrativo (di cui da
atto lo stesso T.A.R., come evidenziato dal giudice a quo)
di poter superare l’ostacolo, dando parere favorevole,
solo considerando la possibilità di vincolare la
rimanente area a verde privato.
Tale conclusione appare condivisibile, in considerazione
del fatto che la situazione obbiettiva era tale da ingenerare,
come affermato dalla corte di merito, perplessità
nella stessa Commissione ed anche nel Sindaco, avendo ristante
presentato richiesta di concessione per la edificazione
di una costruzione, che non rispettava i limiti di cubatura,
ed avendo la Commissione Edilizia Comunale, non senza contrasti
interni, ritenuto di poter ovviare a tale ostacolo “con
la rimanente area da vincolare a verde privato” senza,
peraltro, che risulti che il richiedente avesse proposto
tale eventuale soluzione.
Ora, se si può fondatamente ritenere che la esistenza
di una lottizzazione dia luogo, in astratto, ad una qualificata
aspettativa del privato di realizzare le opere previste,
tale aspettativa non può più ritenersi, in
concreto, qualificata qualora il privato pretenda di realizzare
opere che non rispettino i limiti di edificabilità
anche se, come nel caso di specie, la Commissione Comunale
Edilizia abbia espresso parere favorevole indicando, dopo
aver superato comprensibili contrasti interni, un’
opinabile soluzione per superare l’ostacolo.
In tale situazione, l’organo tenuto al rilascio della
licenza, il Sindaco, non poteva non nutrire fondate perplessità
circa la legittimità dell’emanazione di detto
provvedimento, il cui diniego, si badi bene, è stato
annullato, come evidenziato dalla corte di merito, non per
vizi sostanziali, ma per difetto di motivazione, vale a
dire per un vizio che non precludeva la possibilità
di reiterazione dell’atto.
In una situazione non suscettiva di determinare nel richiedente
un oggettivo affidamento circa la sua conclusione positiva,
in una situazione, cioè, che, secondo la disciplina
applicabile, non consentiva di prevedere, secondo un criterio
di normalità, un esito favorevole e, soprattutto,
in una situazione fattuale, creata dal richiedente, atta
ad ingenerare nella pubblica amministrazione legittime perplessità,
non si può fondatamente sostenere che il provvedimento
di diniego della licenza edilizia sia stato adottato in
violazione delle regole di imparzialità, di correttezza
e di buon andamento, alle quali deve conformarsi l’azione
amministrativa.
Per quanto precede il ricorso deve essere respinto.
Data la particolare complessità della materia, sussistono
giusti motivi per la compensazione delle spese giudiziali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2004. Depositato
in Cancelleria il 23 luglio 2004
La redazione di megghy.com
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