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Falso in bilancio e crack finanziari: ruolo delle banche
e fatturazioni infragruppo
Giovanni Falcone
(Responsabile aziendale antiriciclaggio, già ufficiale
Guardia di Finanza)
- LA BANCA & LA FRODE “”…vittima
o complice…””
La prevenzione del rischio e la ricerca di ogni opportunità
di sviluppo, quali facce della stessa medaglia, rappresentano
in ogni Banca, l’essenza del loro agire, basandosi
in primo luogo, sulla fiducia e “conoscenza della
clientela”.
Se ciò è indispensabile e può considerarsi
strategicamente funzionale per entità economiche
medio-piccole, diventa decisamente più complesso
in presenza di grandi Holding ove, la sola conoscenza della
realtà aziendale e degli stessi amministratori, potrebbe
non essere sufficiente. Pensiamo per esempio a Gruppi imprenditoriali
dell’industria o della grande distribuzione ove, molto
spesso, la sola denominazione può rappresentare elemento
di credibilità, tanto per la qualità del prodotto,
che per il know-how raggiunto e riconosciuto sul mercato
globalizzato.
Una ulteriore e spesso decisiva influenza sulla valutazione
complessiva dell’azienda, viene ricavata dall’esame
delle Relazioni dei Collegi Sindacali di accompagnamento
al Conto Economico, dagli Audit interni, dai Comitati di
Controllo e, non ultimo dalle Società di Revisone
che, contribuiscono all’attribuzione di quel “grado
di solvibilità” che altro non è che
il rispetto dei patti, comunemente denominato “Rating”.
A questa valutazione complessiva, inoltre, molto più
efficacemente, ma soprattutto con maggiore tempismo, contribuisce
l’andamento del fatturato, l’eventuale crisi
di liquidità, una possibile ed eventuale disaffezione
della clientela che, determinandone un declassamento da
parte delle stesse Società di Rating, consente agli
investitori la migliore valutazione per ridurre il rischio
di insolvenza alla scadenza del prestito obbligazionario.
Soffermiamoci sull’attualità, facendo qualche
esempio. Con riferimento alla vicenda Cirio e Parmalat,
due colossi alimentari quotati in borsa apprezzati e conosciuti
a livello mondiale, non lasciavano sicuramente immaginare
all’investitore non professionale nessun rischio potenziale,
in primo luogo dal sentire comune, soprattutto per l’eccellente
qualità del prodotto commercializzato.
Addirittura, riferiscono le Banche coinvolte nella promozione
e collocazione dei titoli obbligazionari emessi dai due
Gruppi imprenditoriali, finanche le prestigiose Società
di Rating non lanciarono nessun segnale di allarme a conferma
della solidità patrimoniale.
Nella realtà, come tutti sappiamo, le cose sono
andate in modo decisamente diverso. Alla luce delle prime
risultanze investigative riferite dagli organi di stampa,
si è appreso che il problema si è determinato
ed ampliato a dismisura per decenni, per la fraudolenta
gestione del management, ai quali si attribuisce l’intera
responsabilità di comportamenti illeciti e poco trasparenti.
Le costanti, indebite e continue appropriazioni di ingentissime
risorse finanziarie operate negli anni dai vertici aziendali
(e questo a conferma che le aziende producevano utili, avvalorando
l’intuito del sentire comune), venivano sostituite
con ricavi fittizi, attraverso la doppia o addirittura tripla
fatturazione sulla rete commerciale. E’ come dire
che emetto tre fatture per lo stesso prodotto venduto, il
quale, pur essendo pagato giustamente una sola volta dal
cliente, in modo cartolare triplico i ricavi, costruendo
un Bilancio con liquidità finanziarie assolutamente
false, al solo scopo di guadagnare fiducia sui mercati e,
per il tramite del sistema bancario, riuscire a collocare
i famosi “bond”, raccogliendo ingenti risorse
dagli ignari risparmiatori.
Analogamente, non venivano annotate in contabilità
le “Note di credito” emesse dalle società
estere fornitrici del materiale utilizzato per il confezionamento
dei prodotti commercializzati (confezioni di cartoni per
il latte, confezioni di latta per il pomodoro etc.), comunemente
classificati sconti sugli acquisti. Gli stessi sconti non
contabilizzati (documentando pertanto il costo pieno), andavano
ad alimentare conti personali, spesso allocati in Paesi
esteri a bassa incidenza fiscale (c.d. Off shore).
Dobbiamo chiederci: oltre al Management, di chi altri è
la responsabilità per le lacune, insufficienze e
quant’altro palesate nella sfilza dei controlli? E’
mai possibile che nessuno ha capito che i cc.dd. “Bilanci
consolidati di Gruppo” erano costruiti con lo scanner
di comunissimi Computers?
Un prima risposta, a mio avviso “onesta ed illuminante”,
la si può ricavare dal passaggio testuale contenuto
nella Relazione di rito per l’anno 2003, letta nelle
Aule Parlamentari dal Presidente della Commissione Nazionale
per le Società e la Borsa (CONSOB), ove fra l’altro
è detto:
“”I potenziali conflitti tra i diversi interessi
possono portare gli intermediari a incentivare collocamenti
obbligazionari da parte di società o gruppi nei confronti
dei quali non ritengono di incrementare la propria esposizione.””
Alla luce dei disastri finanziari vissuti, possiamo dire
subito e, forse con maggiore precisione, che:
Il conflitto di interessi nel mondo bancario, non è
stato solo potenziale, bensì concreto e permanente;
Il collocamento delle obbligazioni emesse sul mercato mobiliare
dalla Cirio, Parmalat, Giacomelli etc., non è stato
solo incentivato, ma anche promosso e sponsorizzato nei
confronti ed in danno dei piccoli risparmiatori, in genere
clienti delle stesse Banche; d’altronde, le medesime
obbligazioni, per le stesse ragioni scoperte successivamente,
non avrebbero certamente potuto trovare investitori istituzionali,
nazionali o esteri, in modo particolare nelle grandi Banche
d’affari;
Le Banche, scegliendo il “prestito obbligazionario”
al “merito creditizio”, hanno di fatto rinunciato
alla verifica attenta e ponderata circa la veridicità
delle scritture contabili obbligatorie, primo fra tutte
del Bilancio di Esercizio, contribuendo, non sappiamo ancora
quanto passivamente, ad alimentare la dimensione dell’enorme
danno patrimoniale perpetrato in danno della collettività;
Così facendo, hanno trasferito di fatto i rischi
dell’investimento obbligazionario sull’ignaro
risparmiatore, beneficiando, di converso, del duplice effetto
positivo ottenuto tanto dalle commissioni per il servizio
prestato (opera di collocazione del prodotto finanziario),
ovvero, quale obiettivo sicuramente più ambito, quello
di “rientrare” dalle diverse e già ragguardevoli
esposizioni.
Pertanto, volendo leggere ed interpretare i fatti e le
circostanze che vanno emergendo, possiamo dire che le Banche,
non solo non hanno voluto “incrementare la propria
esposizione” (come riduttivamente, a mio sommesso
e modesto parere si è detto nella prefata Relazione),
ma sono andate ben oltre, nel perseguire e realizzare l’intento
di rientrare da esposizioni, per impieghi di non facile
recupero (anche per la elevata concentrazione del rischio
creditizio), afferenti a somme rilevanti che andavano ristrutturate
o addirittura passate a sofferenza. In altri termini, con
la “Operazione Bond”, le stesse Banche, sono
rientrate da esposizioni già consolidate, per le
quali, molto verosimilmente, già sussisteva, in concreto,
una sufficiente e reciproca consapevolezza d’insolvenza.
Data la gravità dei disastri, sarà necessario
distinguere tra “Vittime & Complici”, compito
questo da rimettere alle definitive valutazioni degli Organi
Giudiziari, ma soprattutto sarà importante recuperare
quel senso di valori condivisi ed il ritrovo di un’etica
che, se mai è veramente esistita, questa è
l’occasione perché la si debba e la si possa
percepire anche da quel “sentire comune”.
- Il FALSO IN BILANCIO e le “Fatturazioni Infragruppo”.
Traggo spunto da una recente vicenda di cronaca economico
– giudiziaria, per commentare, ancora una volta, un
nuovo scandalo finanziario.
Mi riferisco al “crak Giacomelli”, omonimo
Gruppo di negozi sportivi nato nel 1992 e approdato in Borsa
nel 2001, da alcuni definito come una sorta di Parmalat
bis, non certamente per dimensioni, bensì per creatività
imprenditoriale.
Le ipotesi di reato formulate in capo agli amministratori,
già tutti in stato di custodia cautelare, vanno dall’associazione
a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta, alle
false comunicazioni sociali, false fatturazioni e truffa.
Se l’obiettivo è stato comune in ambedue i
disastri finanziari, cioè quello di fare apparire
una situazione florida, adeguata a garantire la solvibilità
delle obbligazioni emesse e sottoscritte da migliaia di
piccoli risparmiatori, il metodo è stato leggermente
diverso.
Con la Parmalat, abbiamo assistito ad un incremento dell’attivo
patrimoniale attraverso la costituzione di un fittizio “fondo
liquidità” per svariati miliardi di dollari
alle Isole Cayman (denominato il forziere della multinazionale
del latte parmense), spesso alimentato con doppie o triple
fatturazioni sulla medesima rete di vendita (triplicando
in tal modo gli incassi), nel crak Giacomelli, invece, secondo
le prime risultanze investigative che leggiamo dalla stampa,
sono state documentate ed esposte in bilancio, fin dal 1997,
“fatturazioni infragruppo”.
Tale espediente contabile, viene comunemente utilizzato
per trasferire “imponibile” da una società
all’altra appartenenti alla stessa Holding, con il
fine ultimo di azzerare o comunque ridurre in misura significativa
l’onere da corrispondere all’Erario. In altri
termini, la società in perdita, fattura la prestazione
o la cessione di beni a quella in attivo, consentendo a
quest’ultima di annotare il relativo costo (solo cartolare,
e quindi con l’annotazione di fatture false), con
il risultato finale di ridurre l’imponibile da sottoporre
a tassazione. La società in perdita, nella peggiore
delle ipotesi, chiuderà il bilancio in pareggio,
senza versare alcuna imposta.
Nella vicenda “Giacomelli”, descritta dalle
cronache giudiziarie, abbiamo visto invece che le “false
fatturazioni”, erano emesse nei confronti di società
dello stesso Gruppo imprenditoriale, o al massimo verso
qualche società compiacente (amministrata da ex Consiglieri
o consulenti della stessa Giacomelli), con una media di
circa 10 miliardi all’anno delle vecchie lire a decorrere
dal 1997, con la finalità di documentare incassi
inesistenti, gonfiando i bilanci con utili fittizi. E’
come dire che, in assenza di clienti veri, la società
madre (Capogruppo), certifica la vendita di prodotti oggetto
della propria attività commerciale – articoli
sportivi – ai figli (società controllate),
documentando incassi solo cartolari.
Si dirà, con il senno del poi, è tutto più
facile; mi sia consentito di dissentire.
Mi spiego meglio. Un Gruppo imprenditoriale, operante in
un qualsiasi settore economico che contabilizza l’80%
del suo fatturato a società “controllate”,
dovrebbe indurre ad una approfondita verifica da parte degli
Organi di Controllo istituzionali, soprattutto in concomitanza
della quotazione sul mercato borsistico . In casi del genere,
potrà valere il detto: “..pensare male è
peccato, ma spesso ci si indovina..”.
Una situazione del genere starebbe a significare che l’azienda
non riesce a stare sul mercato, ovvero non riesce a trovare
clienti estranei a società dello stesso Gruppo (per
assenza di qualità nella merce prodotta o dei servizi
forniti, in parole povere non è competitiva). Diventa
un artifizio che, nel migliore dei casi, prima o poi è
destinato a crollare, come è effettivamente crollato,
provocando danni notevoli ai risparmiatori, alla credibilità
del mercato e delle stesse Istituzioni..
A differenza del disastro Parmalat, in questa vicenda,
a ben guardare, le cose sono andate decisamente meglio in
quanto, a scandalo scoppiato nel giugno 2003, i Sindaci
chiesero al Tribunale di Rimini la rimozione degli amministratori
per il sospetto di “gravi irregolarità”.
Non è frequente vedere all’opera il Collegio
Sindacale in armonia ai poteri conferiti dalla legge Draghi,
quando lo fa, la previsione del disastro subisce una decisa
accelerazione.
Se così è, in attesa della legge sulla “Tutela
del risparmio” in discussione nelle Aule parlamentari
in questi giorni, “W il Collegio Sindacale”!!.
La redazione di megghy.com
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