Piumadoro era orfana e viveva col nonno nella capanna del bosco.
Il nonno era carbonaio ed essa lo aiutava nel raccattar fascine
e nel far carbone. La bimba cresceva buona, amata dalle amiche e
dalle vecchiette degli altri casolari, e bella, bella come una regina.
Un giorno di primavera vide sui garofani della sua finestra una
farfalla candida e la chiuse tra le dita.
- Lasciami andare, per pietà!...
Piumadoro la lasciò andare.
- Grazie, bella bambina; come ti chiami?
- Piumadoro.
- Io mi chiamo Pieride del Biancospino. Vado a disporre
i miei bruchi in terra lontana. Un giorno forse ti ricompenserò.
E la farfalla volò via.
Un altro giorno Piumadoro ghermì, a mezzo il
sentiero, un bel soffione niveo trasportato dal vento, e già
stava lacerandone la seta leggera.
- Lasciami andare, per pietà!...
Piumadoro lo lasciò andare.
- Grazie, bella bambina. Come ti chiami?
- Piumadoro.
- Grazie, Piumadoro. Io mi chiamo Achenio del Cardo.
Vado a deporre i miei semi in terra lontana. Un giorno forse ti
ricompenserò.
E il soffione volò via.
Un altro giorno Piumadoro ghermì nel cuore d'una
rosa uno scarabeo di smeraldo.
- Lasciami andare, per pietà!
Piumadoro lo lasciò andare.
- Grazie, bella bambina. Come ti chiami?
- Piumadoro.
- Grazie, Piumadoro. Io mi chiamo Cetonia Dorata. Cerco
le rose di terra lontana. Un giorno forse ti ricompenserò.
E la cetonia volò via.
II
Sui quattordici anni avvenne a Piumadoro una cosa
strana. Perdeva di peso.
Restava pur sempre la bella bimba bionda e fiorente,
ma s'alleggeriva ogni giorno di più.
Sulle prime non se ne dette pensiero. La divertiva,
anzi, l'abbandonarsi dai rami degli alberi altissimi e scender giù,
lenta, lenta, lenta, come un foglio di carta. E cantava:
Non
altre adoro - che Piumadoro...
Oh! Piumadoro,
bella bambina -
sarai Regina.
Ma col tempo divenne così leggera
che il nonno dovette appenderle alla gonna quattro pietre perché
il vento non se la portasse via. Poi nemmeno le pietre bastarono
più e il nonno dovette rinchiuderla in casa.
- Piumadoro, povera bimba mia, qui si tratta di un
malefizio!
E il vecchio sospirava. E Piumadoro s'annoiava, così
rinchiusa.
- Soffiami, nonno!
E il vecchio, per divertirla, la soffiava in alto per
la stanza. Piumadoro saliva e scendeva, lenta come una piuma.
Non
altre adoro - che Piumadoro...
Oh! Piumadoro,
bella bambina -
sarai Regina.
- Soffiami, nonno!
E il vecchio soffiava forte e Piumadoro saliva leggera
fino alle travi del soffitto.
Oh!
Piumadoro,
bella bambina -
sarai Regina.
- Piumadoro, che cosa canti?
- Non son io. È una voce che canta in me.
Piumadoro sentiva, infatti, ripetere le parole da una
voce dolce e lontanissima.
E il vecchio soffiava e sospirava:
- Piumadoro, povera bimba mia, qui si tratta di un
malefizio!...
III
U n mattino Piumadoro si svegliò più leggera e più
annoiata del consueto.
Ma il vecchietto non rispondeva.
- Soffiami, nonno!
Piumadoro s'avvicinò al letto del nonno. Il
nonno era morto.
Piumadoro pianse.
Pianse tre giorni e tre notti. All'alba del quarto
giorno volle chiamar gente. Ma socchiuse appena l'uscio di casa
che il vento se la ghermì, se la portò in alto, in
alto, come una bolla di sapone...
Piumadoro gettò un grido e chiuse gli occhi.
Osò riaprirli a poco a poco, e guardare in giù,
attraverso la sua gran capigliatura disciolta. Volava ad un'altezza
vertiginosa.
Sotto di lei passavano le campagne verdi, i fiumi d'argento,
le foreste cupe, le città, le torri, le abazie minuscole
come giocattoli...
Piumadoro richiuse gli occhi per lo spavento, si avvolse,
si adagiò nei suoi capelli immensi come nella coltre del
suo letto e si lasciò trasportare.
- Piumadoro, coraggio!
Aprì gli occhi. Erano la farfalla, la cetonia
ed il soffione.
- Il vento ci porta con te, Piumadoro. Ti seguiremo
e ti aiuteremo nel tuo destino.
Piumadoro si sentì rinascere.
- Grazie, amici miei.
Non altre adoro
- che Piumadoro...
Oh! Piumadoro,
bella bambina -
sarai Regina.
- Chi è che mi canta all'orecchio, da tanto
tempo?
- Lo saprai verso sera, Piumadoro, quando giungeremo
dalla Fata dell'Adolescenza.
Piumadoro, la farfalla, la cetonia ed il soffione proseguirono
il viaggio, trasportati dal vento.
IV
V erso sera giunsero dalla Fata dell'Adolescenza. Entrarono per
la finestra aperta.
La buona Fata li accolse benevolmente. Prese Piumadoro
per mano, attraversarono stanze immense e corridoi senza fine, poi
la Fata tolse da un cofano d'oro uno specchio rotondo.
- Guarda qui dentro.
Piumadoro guardò. Vide un giardino meraviglioso,
palmizi e alberi tropicali e fiori mai più visti.
E nel giardino un giovinetto stava su di un carro d'oro
che cinquecento coppie di buoi trascinavano a fatica. E cantava:
Oh! Piumadoro,
bella bambina -
sarai Regina.
- Quegli che vedi è Piombofino, il Reuccio delle
Isole Fortunate, ed è quegli che ti chiama da tanto tempo
con la sua canzone. È vittima d'una malìa opposta
alla tua. Cinquecento coppie di buoi lo trascinano a stento. Diventa
sempre più pesante. Il malefizio sarà rotto nell'istante
che vi darete il primo bacio.
La visione disparve e la buona Fata diede a Piumadoro
tre chicchi di grano.
- Prima di giungere alle Isole Fortunate il vento ti
farà passare sopra tre castelli. In ogni castello ti apparirà
una fata maligna che cercherà di attirarti con la minaccia
o con la lusinga. Tu lascerai cadere ogni volta uno di questi chicchi.
Piumadoro ringraziò la Fata, uscì dalla
finestra coi suoi compagni e riprese il viaggio, trasportata dal
vento.
V
G iunsero verso sera in vista del primo castello. Sulle torri apparve
la Fata Variopinta e fece un cenno con le mani. Piumadoro si sentì
attrarre da una forza misteriosa e cominciò a discendere
lentamente. Le parve distinguere nei giardini volti di persone conosciute
e sorridenti: le compagne e le vecchiette del bosco natìo,
il nonno che la salutava.
Ma la cetonia le ricordò l'avvertimento della
Fata dell'Adolescenza e Piumadoro lasciò cadere un chicco
di grano. Le persone sorridenti si cangiarono subitamente in demoni
e in fattucchiere coronate di serpi sibilanti.
Piumadoro si risollevò in alto con i suoi compagni,
e capì che quello era il Castello della Menzogna e che il
chicco gettato era il grano della Prudenza.
Viaggiarono due altri giorni. Giunsero verso sera in
vista del secondo castello.
Era un castello color di fiele, striato di sanguigno.
Sulle torri la Fata Verde si agitava furibonda. Una turba di persone
livide accennava tra i merli e dai cortili, minacciosamente.
Piumadoro cominciò a discendere, attratta dalla
forza misteriosa. Terrorizzata lasciò cadere il secondo chicco.
Appena il grano toccò terra il castello si fece d'oro, la
Fata e gli ospiti apparvero benigni e sorridenti, salutando Piumadoro
con le mani protese. Questa si risollevò e riprese il cammino
trasportata dal vento; e capì che quello era il grano della
Bontà.
Viaggia, viaggia, giunsero due giorni dopo al terzo
castello. Era un castello meraviglioso, fatto d'oro e di pietre
preziose.
La Fata Azzurra apparve sulle torri, accennando benevolmente
verso Piumadoro.
Piumadoro si sentì attrarre dalla forza invisibile.
Avvicinandosi a terra udiva un confuso clamore di risa, di canti,
di musiche; distingueva nei giardini immensi gruppi di dame e di
cavalieri scintillanti, intesi a banchetti, a balli, a giostre,
a teatri.
Piumadoro, abbagliata, già stava per scendere,
ma la cetonia le ricordò l'ammonimento della Fata dell'Adolescenza,
ed ella lasciò cadere, a malincuore, il terzo chicco di grano.
Appena questo toccò terra, il castello si cangiò in
una spelonca, la Fata Azzurra in una megera spaventosa e le dame
e i cavalieri in poveri cenciosi e disperati che correvano piangendo
tra sassi e roveti. Piumadoro, sollevandosi d'un balzo nell'aria,
capì che quello era il Castello dei Desideri e che il chicco
gettato era il grano della Saggezza.
Proseguì la via, trasportata dal vento.
La pieride, la cetonia ed il soffione la seguivano
fedeli, chiamando a raccolta tutti i compagni che incontravano per
via. Così che Piumadoro ebbe ben presto un corteo di farfalle
variopinte, una nube di soffioni candidi e una falange abbagliante
di cetonie smeraldine.
Viaggia, viaggia, viaggia, la terra finì, e
Piumadoro, guardando giù, vide una distesa azzurra ed infinita.
Era il mare.
Il vento si calmava e Piumadoro scendeva talvolta fino
a sfiorare con la chioma le spume candide. E gettava un grido. Ma
le diecimila farfalle e le diecimila cetonie la risollevavano in
alto, col fremito delle loro piccole ali.
Viaggiarono così sette giorni.
All'alba dell'ottavo giorno apparvero sull'orizzonte
i minareti d'oro e gli alti palmizi delle Isole Fortunate.
VI
N ella Reggia si era disperati.
Il Reuccio Piombofino aveva sfondato col suo peso la
sala del Gran Consiglio e stava immerso fino alla cintola nel pavimento
a mosaico. Biondo, con gli occhi azzurri, tutto vestito di velluto
rosso, Piombofino era bello come un dio, ma la malìa si faceva
ogni giorno più perversa.
Ormai il peso del giovinetto era tale che tutti i buoi
del Regno non bastavano a smuoverlo d'un dito.
Medici, sortiere, chiromanti, negromanti, alchimisti
erano stati chiamati inutilmente intorno all'erede incantato.
Non altre adoro
- che Piumadoro...
Oh! Piumadoro,
bella bambina -
sarai Regina.
E Piombofino affondava sempre più, come un mortaio
di bronzo nella sabbia del mare.
Un mago aveva predetto che tutto era inutile, se l'aiuto
non veniva dall'incrociarsi di certe stelle benigne.
La Regina correva ogni momento alla finestra e consultava
a voce alta gli astrologhi delle torri.
- Mastro Simone! Che vedi, che vedi all'orizzonte?
- Nulla, Maestà... La Flotta Cristianissima
che torna di Terra Santa.
E Piombofino affondava sempre.
- Mastro Simone, che vedi?...
- Nulla, Maestà... Uno stormo d'aironi migratori...
- Mastro Simone, che vedi?...
- Nulla, Maestà... Una galea veneziana carica
d'avorio.
Il Re, la Regina, i ministri, le dame erano disperati.
Piombofino emergeva ormai con la testa soltanto; e
affondava cantando:
Oh! Piumadoro,
bella bambina -
sarai Regina.
S'udì, a un tratto, la voce di mastro Simone:
- Maestà!... Una stella cometa all'orizzonte!
Una stella che splende in pieno meriggio!
Tutti accorsero alla finestra, ma prima ancora la gran
vetrata di fondo s'aprì per incanto e Piumadoro apparve col
suo seguito alla Corte sbigottita,
I soffioni le avevano tessuta una veste di velo, le
farfalle l'avevano colorata di gemme. Le diecimila cetonie, cambiate
in diecimila paggetti vestiti di smeraldo, fecero ala alla giovinetta
che entrò sorridendo, bella e maestosa come una dea.
Piombofino, ricevuto il primo bacio di lei, si riebbe
come da un sogno, e balzò in piedi libero e sfatato, tra
le grida di gioia della Corte esultante.
Furono imbandite feste mai più viste. E otto
giorni dopo Piumadoro la carbonaia sposava il Reuccio delle Isole
Fortunate.
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