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Immissione di odori e tutela della salute
La salute, bene che trova tutela negli artt. 32 Cost.
e 2059 c.c., va inteso come stato di benessere psicofisico
la cui lesione viene determinata da ogni immissione idonea
a provocare stress, esasperazione e tensione psicologica
anche a rescindere dalla prova dell`esistenza di patologie.
La sentenza
Tribunale di Mantova, Sez. II – Giudice Unico Dott.
Mauro Bernardi - Sentenza del giorno 5 novembre 2004.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data 11-1-2002 gli
attori assumevano a) di abitare in ***, via ** ad una distanza
di circa 200 metri dallo stabilimento della Alfa s.n.c.
la cui attività consisterebbe nello smaltimento di
scarti di lavorazione conciaria denominati carniccio; b)
che lo stoccaggio, la lavorazione e lo spandimento di tali
rifiuti da parte della Alfa (classificata come industria
insalubre ai sensi dell’art. 216 t.u.l.p.s.) produrrebbe
odori nauseabondi nonché l’inquinamento del
terreno; c) che tali attività avrebbero impedito
ad essi di vivere normalmente provocando nausea, insonnia
e stati ansiosi, integrando la violazione delle norme di
cui agli artt. 844, 2043 e 2050 c.c., 32 Cost., 582 o 590
c.p. nonché della disciplina pubblicistica ed amministrativa
applicabile alla fattispecie in questione: alla luce di
ciò gli istanti chiedevano la condanna della convenuta
al risarcimento dei danni ed inoltre l’emanazione
dell’ordine di cessazione dell’attività
lesiva.
La convenuta, costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda
assumendo che l’attività di lavorazione e spargimento
nel terreno del carniccio avveniva nel pieno rispetto della
normativa vigente, che la propagazione (peraltro occasionale)
di odori non gradevoli sarebbe contenuta nella sola area
di pertinenza dell’opificio e avrebbe carattere analogo
a quella (del tutto normale nelle zone agricole come quella
in questione) derivante dall’utilizzo di liquami zootecnici
ed infine che non sussisterebbe la violazione delle norme
civili e penali indicate dalla controparte.
Esperita l'istruttoria orale e disposta c.t.u., affidata
al dott. ****, la causa veniva trattenuta in decisione sulle
conclusioni delle parti in epigrafe riportate.
Motivi
La domanda è fondata e merita accoglimento.
In primo luogo va disattesa l’eccezione di nullità
della consulenza tecnica sollevata dalla difesa degli attori
in relazione al fatto che il c.t.u. avrebbe effettuato dei
sopralluoghi senza previa convocazione dei consulenti di
parte (dovendosi peraltro rimarcare che una siffatta modalità
di indagine era stata suggerita all’udienza del 11-4-2003
dallo stesso patrono attoreo) atteso che, comunque, siffatti
accessi non hanno apportato elementi tali da condizionare
l’attendibilità e le conclusioni delle indagini
effettuate nel pieno rispetto del contraddittorio.
Precisato che solo la Verdi, per sua stessa ammissione
e per come risulta dalla denuncia di successione, è
proprietaria della casa di abitazione coniugale (la quale
dista circa 200 metri dallo stabilimento della Alfa) avendola
ereditata nel 1986 mentre il marito non è titolare
di diritti domenicali sui terreni interessati alla presente
controversia, occorre evidenziare che la società
convenuta oltre ad esercitare l’attività di
coltivazione di fondi per circa 1500 ha., ha iniziato sin
dal ** l’attività di produzione (finalizzata
sia al diretto utilizzo che alla vendita a terzi) di un
ammendante biologico organico in forma liquida, utilizzabile
in agricoltura, tramite la trasformazione del carniccio
(la cui definizione è contenuta nel D.M. 5-9-1994)
e cioè di scarti di lavorazione delle pelli e di
macellazione avicola, cunicola, suinicola ed ittica.
Dalle testimonianze rese indistintamente dai numerosi testi
escussi (anche di parte convenuta con l’unica eccezione
del Rossi, dipendente della Alfa) emerge come l’attività
di lavorazione del prodotto sopra menzionato (e denominato
idrobios) abbia provocato nel corso del tempo la frequente
dispersione nell’aria di odori particolarmente graveolenti,
ristagnanti (leggasi testimonianze Omega e Gamma), avvertibili
lungo un raggio di due-tre chilometri dal luogo di produzione
e chiaramente distinguibili da quelli provenienti dai liquami
degli allevamenti suinicoli pure presenti in zona.
Occorre poi sottolineare che la maggiore intensità
del fenomeno si è avuta a partire dall’anno
2000 come risulta in particolare dalle dichiarazioni dei
testi Zeta e Kappa che hanno trovato puntuale conferma negli
articoli apparsi sui quotidiani locali durante il 2001 ed
il 2002, nelle lettere di protesta inviate da molti cittadini
alle pubbliche autorità sempre nel medesimo periodo,
nelle considerazioni svolte nella relazione tecnica (v.
pg. 19) avendo il dott. **** ritenuto plausibile che, prima
dei miglioramenti tecnologici apportati all’impianto
(posti in essere a partire dalla fine del 2001), presso
l’abitazione dei Bianchi, l’intensità
e la frequenza delle emissioni maleodoranti fosse più
intensa e quindi più molesta e nauseante nonché
nelle relazioni redatte da funzionari dell’ARPA datate
17-3-2001 e 11-5-2001 (segnalandosi in particolare che,
nella prima, si dà atto della mancanza di dispositivi
atti ad impedire la diffusione di odori).
Da ultimo va aggiunto che, nel corso del giugno-luglio
2003, a seguito di rilievi effettuati sui biofiltri da parte
dell’ARPA (vedasi in proposito la tabella allegata
alla relazione tecnica) è emerso che i valori delle
unità olfattometriche sono risultati ampiamente superiori
rispetto ai limiti delle 200 U.O./mc. previsti dal provvedimento
di autorizzazione (cfr. D.G.R. 21283/2002) tanto da far
ritenere ai tecnici preposti che “l’efficienza
dei sistemi depurativi costituiti dai soli filtri biologici,
preceduti da un umidificatore, non è tale da garantire
il rispetto dei limiti di legge” sicché il
superamento di tale dato fa ragionevolmente supporre che
la diffusione delle emissioni odorose sia continuata e,
a conferma di ciò, va menzionato il fatto che, a
seguito della segnalazione da parte degli attori di nuove
emissioni moleste nel periodo settembre-ottobre 2003, il
c.t.u. ha potuto averne conferma direttamente dalla convenuta
sia pure dando atto della casualità delle stesse
(vedasi pg. 20 della relazione tecnica).
Né può andare sottaciuto il fatto che, per
molto tempo, l’attività in questione è
stata svolta in assenza delle necessarie autorizzazioni
amministrative (vedasi decreti del Sindaco di ** datati
19-7-1995, 19-11-1999 e 9-11-2002 che non risulta siano
stati annullati e debbono presumersi legittimi).
Occorre poi sottolineare che il dott. Kappa (medico di
famiglia degli attori) ha riferito che gli istanti erano
stati colpiti da sindrome ansioso-depressiva chiaramente
derivata dalla frequente diffusione delle emissioni maleodoranti
tanto da avere loro prescritto (come documentato in atti)
farmaci ansiolitici e sonniferi laddove, in precedenza,
tali pazienti non avevano lamentato alcun disturbo.
Alla luce di siffatte affermazioni, della durata, frequenza,
intensità e persistenza dei miasmi provenienti dall’opificio
come ricavabili dalla molteplicità degli elementi
di prova sopra esposti ed in considerazione della estrema
vicinanza all’opificio dell’abitazione degli
attori (200 m.l.), deve ritenersi che le immissioni odorose
abbiano superato la normale tollerabilità e che la
società convenuta abbia conseguentemente violato
il diritto degli istanti alla salute (bene che trova tutela
negli artt. 32 Cost. e 2059 c.c. secondo il nuovo inquadramento
effettuato dalla giurisprudenza di legittimità: cfr.
Cass. 20-2-2004 n. 3399; Cass. 12-12-2003 n. 19057; Cass.
31-5-2003 n. 8827) da intendersi come stato di benessere
psicofisico la cui lesione viene determinata da ogni immissione
idonea a provocare stress, esasperazione e tensione psicologica
anche a prescindere dalla prova dell’esistenza di
patologie.
Sul punto va inoltre evidenziato, da un lato, che il rispetto
delle disposizioni pubblicistiche in tema di emissioni (peraltro
non certo sempre osservate come sopra evidenziato) non esclude
l’applicabilità delle norme che tutelano la
salute nei rapporti interprivati le quali richiedono l’accertamento,
caso per caso, della tollerabilità o meno delle immissioni
e della loro concreta lesività per il riposo e la
quiete di ogni soggetto interessato (cfr. Cass. 3-2-1999
n. 915) e, dall’altro, che, ove risultino superati
i limiti della normale tollerabilità, si è
in presenza di un’attività illegittima e non
sono applicabili i criteri previsti dall’art. 844
c.c. ma, venendo in considerazione unicamente l’illiceità
del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione
generale di risarcimento danni di cui all’art. 2043
c.c. (in tal senso vedasi Cass. 7-8-2002 n. 11915; Cass.
6-12-2000 n. 15509; Cass. 29-11-1999 n. 13334; Cass. 1-2-1995
n. 1156) ovvero di cui all’art. 2059 c.c. secondo
la nuova prospettazione giurisprudenziale con riguardo al
bene della salute.
Tenuto conto che il superamento della normale tollerabilità
si è verificato a partire dall’anno 2000, della
diversa intensità delle emissioni maleodoranti nel
corso del tempo (ridottesi di frequenza per effetto delle
innovazioni tecnologiche adottate dalla convenuta), della
natura transeunte dell’aggressione alla salute ed
in difetto di più puntuali elementi di valutazione,
appare equo liquidare la somma di euro 5.000,00 a favore
di ciascuno degli attori, importo da ritenersi comprensivo
di interessi e rivalutazione monetaria cui debbono aggiungersi
gli interessi al tasso legale dalla data della sentenza
sino al saldo definitivo.
Per quanto concerne invece la domanda di inibitoria dell’attività
di stoccaggio, trasformazione e spargimento sul terreno
dell’ammendante va rilevato che il progressivo adeguamento
tecnologico degli impianti e la riduzione dei fenomeni di
cui ha dato atto il c.t.u. nonché la presentazione,
da parte della convenuta, di un progetto per l’ulteriore
abbattimento del carico odorigeno secondo quanto risulta
dalla relazione dell’ARPA datata 31-7-2003, impongono
la necessità di disporre un supplemento di indagine
al fine di verificare se tuttora sussistano i presupposti
per ordinare la cessazione delle emissioni odorose sicché,
con separata ordinanza, va disposta la convocazione delle
parti e del c.t.u. avanti al Giudice Istruttore, accertamento
questo che comporta l’inutilità di dare corso
all’ulteriore istruttoria orale nuovamente richiesta
dalla difesa degli istanti in sede di precisazione delle
conclusioni.
Stante la natura parziale della sentenza nessuna statuizione
va adottata in ordine alle spese di lite da liquidarsi al
momento della decisione definitiva.
P.Q.M.
il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, non
definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione
reietta, così provvede:
condanna la società Alfa s.n.c. in persona del legale
rappresentante a pagare in favore degli attori la somma
di euro 10.000,00 oltre agli interessi legali dalla data
della sentenza sino al saldo definitivo;
rimette alla decisione definitiva ogni statuizione sulle
spese del giudizio;
dispone la convocazione avanti a sé delle parti
e del c.t.u. come da separata ordinanza.
Così deciso in Mantova, lì 5-11-2004
La
redazione di megghy.com
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