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REPUBBLICA ITALIANA - IL CONSIGLIO DI STATO
(Decisione 1 aprile 2004 n.1810)
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione
Quinta ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello nr. 7649/01 R.G., proposto dalla
Signora C.E., rappresentata e difesa dall’avv. prof.
C.P. ed elettivamente domiciliata nello studio dell’avv.
R.G. in Roma, Via L. ;
CONTRO
Il Comune di Nocera Inferiore, in persona del legale rappresentante
pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. F.C.,
ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv.to
S.N. in Roma, via Z.;
PER L’ANNULLAMENTO
della sentenza del T.A.R. della Campania - Salerno, n.
496/2000 depositata in data 23 giugno 2000.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio della parte appellata;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 17 ottobre 2003, relatore il
consigliere Michele Corradino;
Udito l’avv.to Castaldi;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con la gravata sentenza il TAR della Campania ha respinto
il ricorso con il quale l’odierno appellante aveva
impugnato il provvedimento di annullamento dell’atto
di concessione di rendita vitalizia, emesso a seguito di
riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità
dell’istante, adottato dalla Commissione Straordinaria
del Comune di Nocera Inferiore.
Parte appellante chiede l’annullamento della sentenza,
ritenendola errata.
Il Comune di Nocera Inferiore si è costituito per
resistere all’appello.
Alla pubblica udienza del 17 ottobre 2003, il ricorso veniva
trattenuto per la decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Il ricorso pone il problema, di frequente trattazione giurisprudenziale,
concernente l’interpretazione dell'art. 11 d.P.R.
n. 191 del 1979 a norma del quale <<nel caso che all'infortunio
o alla malattia contratta per causa di servizio residui
una invalidità permanente o parziale, l'ente liquiderà
al dipendente una rendita vitalizia [...]>>.
Ora, va precisato che tale norma, nel prevedere la l’obbligo
di liquidazione in capo all’ente locale datore di
lavoro in favore dei dipendenti divenuti invalido per causa
di servizio, non ha inteso istituire una nuova prestazione
previdenziale, ma ha esteso a detto personale, se non già
soggetto all'assicurazione obbligatoria sugli infortuni
sul lavoro presso il relativo Istituto nazionale, la disciplina
dell'equo indennizzo ex art. 68 t.u. imp. civ. St. (d.P.R.
10 gennaio 1957 n. 3). Tale interpretazione è l’unica
compatibile con la riserva di legge di cui all'art. 38 della
Costituzione che riserva al legislatore ordinario la previsione
dei mezzi di tutela previdenziale con la conseguenza che
alla fonte subordinata è consentito solo il rinvio
al testo unico degli impiegati civili dello Stato basato
su considerazioni di coerenza della disciplina del pubblico
impiego (cfr: Cons. Stato, Sez.V, 09/02/2001, n.581).
Orbene, alla luce di tali considerazioni, va escluso il
cumulo fra rendita per infortunio sul lavoro e malattia
professionale ed equo indennizzo, per cui l'art. 11 d.P.R.
1 giugno 1979 n. 191, possa essere inteso nel senso che,
ferma restando l'assicurazione obbligatoria per infortuni
sul lavoro e malattie professionali per i dipendenti degli
enti locali assicurati presso l'Inail a norma di legge,
agli altri dipendenti non assicurati presso lo stesso istituto,
perchè non addetti a lavori soggetti all'assicurazione
obbligatoria sia esteso l'equo indennizzo previsto dalle
norme sui dipendenti statali (Cons. Stato, Sez.VI, 17/07/2000,
n.3966; Cons. Stato, Sez.V, 01/04/1999, n.354; Cons. Stato,
Sez.V, 22/06/1998, n.912; Cons. Stato, Sez.V, 09/02/2001,
n.581; per una recente applicazione si veda Cons. Stato,
Sez.V, 09/10/2003, n.6038).
Diversamente argomentando si giungerebbe all’irrazionale
conclusione di prevedere la copertura di uno stesso evento
con la duplice tutela della rendita vitalizia e dell'equo
indennizzo (Cons. Stato, Sez.V, 31/01/2001, n.350).
Non è fondata la censura prospettata dall’appellante
in ordine ad una possibile “elusione” dello
scrutinio di costituzionalità della norma de qua
da parte del giudice di primo grado.
Invero, proprio la Corte Costituzionale impone al (potenziale)
giudice a quo di utilizzare il canone ermeneutico dell’interpretazione
della norma conforme a Costituzione posto che, ove siano
prospettabili diverse interpretazioni della norma censurata,
di cui una ritenuta conforme a Costituzione, il giudice
ha il dovere di farla propria, dovendo sollevare la questione
di legittimità costituzionale solo quando risulti
impossibile seguire una interpretazione costituzionalmente
corretta (onde evitare il pericolo che la questione risulti
sollevata al fine di ottenere un avallo all'interpretazione
propugnata, attribuendo alla Corte un compito che rientra
tra quelli tipici del giudice ordinario) (cfr. ex multis:
Corte cost. (Ord.), 22/06/2000, n.233;Corte cost. (Ord.),
04/02/2000, n.27).
Ciò considerato l’appello deve essere rigettato.
Sussistono giuste ragioni per la compensazione delle spese
di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
V) rigetta l’appello.
Compensa le spese.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio
di Stato, nella camera di consiglio del 17 ottobre 2003,
con l'intervento dei sigg.ri
Alfonso Quaranta presidente,
Paolo Buonvino consigliere,
Goffredo Zaccardi consigliere,
Francesco D’Ottavi consigliere.
Michele Corradino consigliere estensore,
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Michele Corradino f.to Alfonso Quaranta
IL SEGRETARIO
f.to Francesco Cutrupi
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 1°Aprile 2004
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
La redazione di megghy.com
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