Su alcune questioni, particolarmente
dibattute in materia di infortuni sul lavoro, è intervenuta
recentemente una pronuncia del Tribunale di Vicenza (est.
giudice del lavoro dott. Luigi Perina) che, per le soluzioni
proposte (probabilmente non in linea con l'orientamento
prevalente della giurisprudenza), sarà sicuramente
oggetto di dibattito e discussione.
sent. n° 82
R.C. LAV. 205/02
CRON 2004
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE DI VICENZA
- sezione lavoro -
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice del Lavoro Dott. Luigi Perina ha pronunciato
la seguente
SENTENZA nella causa iscritta al N. 205/02 Ruolo Lavoro
S. A. con avv. MESSURI
FRATELLI MAZZON PRODOTTI CHIMICI SRL con avv. GEREMIA
OGGETTO: RISARCIMENTO DANNI DA INFORTUNIO SUL LAVORO
Conclusioni del ricorrente
1) Accertarsi e dichiararsi per le causali esposte in narrativa,
la responsabilità della società convenuta
nella causazione dell'infortunio sul lavoro occorso al ricorrente,
e per l'effetto condannarsi -"Fratelli Mazzon Prodotti
Chimici s.r.l.", c.f. 00161770243, con sede in Schio
(VI), via Vicenza n. 72, in persona del Presidente del Consiglio
di amministrazione M. A. o del diverso legale rappresentante
pro-tempore al risarcimento di tutti i danni patrimoniali
e non patrimoniali (ivi compreso il danno biologico e morale)
patiti dai ricorrente (per le voci sopra illustrate) mediante
corresponsione della somma di £. 778.571.280 pari
a € 402.098,51= o di quella diversa che risulterà
di giustizia in corso di causa, oltre agli interessi legali
e alla rivalutazione monetaria dal dì del sinistro
al saldo effettivo.
2) Spese, diritti e onorari di causa rifusi con distrazione
a favore dei difensori antistatari.
Conclusioni del resistente
Respingersi il ricorso presentato da S. A. contro la fratelli
Mazzon prodotti chimici srl tendente all'ottenimento di
un risarcimento per infortunio occorsogli il 25.8.2000.
Svolgimento del processo.
Con ricorso depositato il 5.4.2002 il ricorrente dipendente
della convenuta dal 1997, come operaio livello E1 CCNL chimici
esponeva di essere stato vittima di gravissimo infortunio
sul lavoro accaduto il 25.8.2000. Così esponeva la
dinamica dell'infortunio.
"Il giorno 25/08/2000, il ricorrente era addetto alle
operazioni di preparazione di prodotti chimici presso una
macchina miscelatrice composta di un albero rotante verticale,
alla cui estremità inferiore veniva fissata un'elica
da immergere - una volta abbassata - in un recipiente contenente
il materiale da miscelare
(cfr. documentazione fotografica del verbale Ispettivo
dello Spisal. doc. 3).
Verso le ore 10,30, il ricorrente aveva appena terminato
la preparazione di una colla di colore rosso. Dovendo successivamente
procedere alla preparazione di un altro prodotto con caratteristiche
diverse dal precedente, al ricorrente fu ordinato di effettuare
la pulizia del miscelatore e, in particolare, dell'albero
rotante dello stesso. Ciò al fine di evitare la contaminazione
e l'inquinamento del nuovo composto. L'eliminazione delle
incrostazioni più grossolane fu effettuata dal lavoratore
dapprima con acetone, poi con un raschietto e infine, per
eseguire accuratamente la pulizia, con carta abrasiva. Mentre
effettuava tale ultima operazione, con l'albero rotante
in movimento e munito di guanti, il ricorrente teneva la
carta abrasiva avvolta e premuta all'albero stesso, quando
improvvisamente veniva violentemente trascinato e, dopo
aver sbattuto con il corpo su altri manufatti circostanti,
finiva scaraventato a terra con le mani e gli avambracci
staccati e a penzoloni. Una volta soccorso, il lavoratore
veniva trasportato dapprima al P.S. dell'ospedale di Schio
e successivamente, data la gravissima entità delle
lesioni, all'Ospedale di Verona tramite elicottero.
La prima diagnosi evidenziava: "... fratture esposte
e sub amputazione bilaterale di avambraccio ... frattura
piede e caviglia destra, ferita penetrante cavo ascellare
torace sinistro ...." come risulta dalla documentazione
sanitaria allegata (docc. sub 4).
Successivamente il lavoratore subiva altri ricoveri e delicati
interventi chirurgici (con i quali gli arti venivano "riattaccati")
seguiti da lunghe terapie riabilitative (cfr. documentazione
sanitaria, cit. sub 4 e perizia medico legale all. sub 5).
Affermava che la dinamica dell'infortunio consentiva di
ravvisare la responsabilità datoriale per violazione
della obbligazione di cui agli artt. 2087, 2050 e 2051 c.c.
e di specifiche norme anti infortunistiche ( artt. 374,68,41,
55 e ss. DPR 547/55 e 35 D.Lgs. 626/94 ) di tal che il danno
causato era superiore a quello risarcito in sede Inail sia
sotto il profilo del danno biologico "residuale",
sia per danno alla capacità lavorativa specifica
, per danno morale e per spese documentate. Quantificava
in oltre 700 milioni di lire il danno stesso di cui chiedeva
il ristoro . Si costituiva la convenuta così prospettando
le proprie ragioni.
Affermava che il ricorrente aveva fatto costruire dalla
ditta un contenitore in acciaio per immergere, la sera,
l'albero miscelatore, come risulta dal verbale Spisal e
dalle stesse dichiarazioni dell'infortunato, a conferma
della conoscenza della macchina e della pericolosità
della stessa.
Attribuiva la responsabilità dell'evento alla gravissima
imprudenza del lavoratore. Infatti il lavoratore, come risulta
dal rapporto Spisal :
" a motore fermo ha passato l'albero con acetone e
poi con un raschietto ha tolto le parti più grossolane.
Per eseguire poi una più accurata pulizia ha messo
in funzione l'albero verticale, dopo aver tolto l'elica..."
Questa, parziale ricostruzione dell'accaduto, mette in evidenza
che il S., dapprima, ha agito sull'albero fermo, di poi
è andato a metterlo in funzione-Ma, si è detto,
quella descritta nel rapporto Spisal, è una ricostruzione
parziale e quindi imprecisa, in quanto sono state omesse
delle operazioni che il accodato, per pulire l'albero, ha
dovuto, per forza di cose, eseguire. Infatti, ultimata la
fase di miscelazione del prodotto, bisogna staccare la catenella
che ha inserita, all'estremità, una chiavetta per
consentire che il bidone, nel quale è stata eseguita
la miscelazione, vada tolto. Quindi l'operaio può
effettuare l'operazione di pulizia. Il S. allora, che, aveva
iniziato a pulire l'albero mentre era fermo, per azionarlo
ha dovuto reinserire la chiavetta della catenella e poi,
circostanza che neppure è stata menzionata nel rapporto,
recarsi presso il quadro elettrico, ove ha avviato la corrente
elettrica, prima, a 725 RPM e poi a 1450 RPM. Di tanto sconsiderato
comportamento, non può essere responsabile il datore
di lavoro, la cui osservanza delle disposizioni di legge,
non può essere messa in dubbio, né dal fatto
che è stata irrogata, e pagata, una sanzione amministrativa,
né dal pendente procedimento penale (che non equivale
certamente a sentenza di condanna), né dalle argomentazioni,
svolte nel ricorso introduttivo , tendenti a dimostrare
un'insufficiente opera di informazione della ditta.
Per quanto riguarda il primo punto, è troppo semplicistico
presumere un'ammissione di colpa dal pagamento di una sanzione
amministrativa. E' a tutti noto che il più delle
volte, quando si ha a che fare con l'Amministrazione Statale,
conviene pagare piuttosto che discutere.
Si evitano perdite di tempo. A maggior ragione, detta regola
vale per gli imprenditori, in cui ritmi lavorativi non sono
certo quelli usati dalla burocrazia. Fatta questa premessa,
ribadito che l'indagine dello Spisal è stata approssimativa,
vi è da chiedersi se le violazioni eccepite dallo
Spisal alla ditta Mazzon hanno avuto un nesso causale con
l'evento e se quanto è stato realizzato dalla Mazzo,
a seguito delle prescrizioni impartite, possono impedire
la serie di comportamenti simili a quelli compiuti dal S.
nell'occasione qui in discussione. La risposta non può
che essere negativa, specialmente se, girando tra i vari
macchinari dell'azienda, si nota che il sistema della catenella
è attualmente praticato, con il beneplacito dello
Spisal, per diversi altri macchinari, in quanto la famosa
catenella non ha la funzione di bloccare l'avviamento dell'albero,
né tantomeno di impedire l'avvicinamento dell'operaio
all'albero, quando deve pulirlo, come avviene quotidianamente,
ma piuttosto di bloccare il bidone, e quindi la corrente
elettrica, nel caso il bidone, per effetto dello sbattimento
del materiale, si muovesse; in tal modo troverebbe un ostacolo
che lo ferma. Quindi, la pulizia dell'albero può
avvenire solo mediante il diretto contatto del dipendente
sul pezzo. Ovvio che si tratta di un'operazione che deve
essere eseguita a motore spento. E una volta che il bidone
sottostante l'albero è stato tolto, perché
la miscelazione è terminata, l'albero non mette in
moto se non vi è qualcuno che lo vuol far partire.
Neppure è vero, passando al secondo punto, che la
ditta non abbia fornito ai propri dipendenti un'adeguata
informazione sui rischi insiti nella attività produttiva.
Nella zona timbratura, ove i lavoratori devono recarsi almeno
quattro volte il giorno, nell'ambiente adibito a ristoro,
sono esposti, ben visibili, cartelli che riportano prescrizioni
e divieti, nonché tabelle che prescrivono le norme
di prevenzione infortuni. Queste ultime stabiliscono: al
n. 1: "Al lavoratore è vietato: pulire, ingrassare,
aggiustare, rettificare e registrare gli organi meccanici
quando le macchine sono in moto; al n. 2: la rimozione dei
dispositivi di sicurezza deve essere fatta esclusivamente
a macchine ferme con l'autorizzazione del capo reparto (docc.
1-2).
Inoltre, nella busta paga di febbraio 1998 è stato
inserito un volantino riproducente le appena richiamate
norme di sicurezza e così, quando se ne avverte la
necessità, nelle buste paga vengono allegati opuscoli
che riportano le ultime disposizioni in tema di sicurezza.
E ancora, ogni due o tre mesi si svolgono corsi di aggiornamento,
difetti dall'ing. R. P.. Quindi, è impossibile che
il S., sia per le informazioni che aveva ricevuto, sia per
l'esperienza che aveva acquisito, non si fosse reso conto
della pericolosità di quanto stava facendo".
Negava la debenza di tutti ì danni richiesti, ed
in particolare quello alla capacità lavorativa specifica,
atteso che il ricorrente aveva ripreso il lavoro dopo l'infortunio
con lo stesso stipendio e qualifica.
Depositate le repliche, sentiti i testi, disposta la C.T.U.,
depositati i conteggi, la causa veniva decisa come da dispositivo.
Motivi della decisione.
1. La dinamica dell'infortunio
II ricorrente il 25.08.2000 era addetto ad una macchina
miscelatrice composta da un albero rotante verticale dotato
di elica da immergere in un bidone con ruote contenente
materiale da miscelare ed effettuata l'operazione di miscelazione
di un collante di colore rosso , doveva pulire l'albero
rotante eliminandone i depositi e le incrostazioni per effettuare
una successiva miscelazione di colorante , onde evitare
la contaminazione e l'inquinamento del nuovo composto. Pertanto
svolgeva questa operazione dapprima utilizzando, a motore
fermo, un acido (acetone) e poi un raschietto ed infine
la carta abrasiva, a motore in movimento. Mentre svolgeva
l'ultima fase di questa operazione, tenendo premuta la carta
abrasiva sull'albero motore rotante in movimento, veniva
trascinato dall'albero e scaraventato a terra con lesione
e distacco di entrambi gli avambracci e delle mani. Nell'eseguire
questa attività egli dapprima toglieva l'elica dell'albero
e procedeva alla pulizia manuale con albero rotante fermo;
successivamente avviava l'albero rotante azionando il pulsante
di alimentazione elettrico alla velocità massima
- teste Dal Dosso -. Per avviare l'albero rotante egli aveva
staccato dal supporto la catena con chiavetta che serviva
per tenere legato e fermo il bidone con ruote, (allo scopo
di evitare che l'agitazione del materiale da miscelare spostasse
il bidone stesso), estraendo dal bidone l'albero rotante
, e poi aveva reinserito la catena con chiavetta nel supporto
per consentire in tal modo l'avviamento de motore, e ha
premuto il tasto del quadro elettrico che comandava l'avviamento
del motore, posizionandolo alla velocità massima,
ponendo in essere dunque tutte le operazioni che consentivano
l'avvio della macchina.
A questo punto il lavoratore si è avvicinato all'albero
motore in movimento e, indossando guanti, ha preso una carta
abrasiva e l'ha premuta contro l'albero rotante per effettuare
l'accurata pulizia dell'albero, ed i suoi avambracci venivano
colpiti dall'albero che velocemente ruotava su se stesso,
staccandoli. Ciò è confermato dalle dichiarazioni
stesse del ricorrente e dal verbale Spisal (doc. 3 attoreo).
E' pure confermato dal ricorrente e documentato in atti
che in azienda e nei pressi del miscelatore vi erano cartelli
e tabelle che vietavano la pulizia dell'albero motore con
albero in movimento, cosi come per ogni altra macchina in
moto (foto 5B conv., che riproduce i cartelli , la esposizione
dei quali è confermata dai testi). E' pure confermato
dal ricorrente che egli stesso aveva predisposto un tubo
-contenitore allo scopo di inserirvi nello stesso l'albero
motore per il lavaggio dopo l'uso; tubo contenitore che
era riempito di acido ed altro che consentisse lo scioglimento
delle incrostazioni depositate sull'albero motore. Il tubo
è riprodotto nella foto n° 6 conv.
Il sistema di sicurezza antinfortunistica disposto dall'azienda
era costituito dall'inserimento nel muro della chiave del
microinterruttore collegata ad una catena (disarcionata
dal muro): l'albero rotante veniva messo in funzione azionandolo
con i pulsanti (a due velocità) posti nel quadro
comandi e la chiave permetteva, se inserita, di far funzionare
l'albero motore (vedi verbale Sisal pag. 6. e foto n°
7 convenuta).
2. La conformità del dispositivo di sicurezza alle
norme di legge.
Afferma lo Spisal che tale meccanismo non è adatto
a svolgere la funzione protettiva degli infortuni "in
quanto facilmente neutralizzabile", non in buono stato
di conservazione , essendo la catena disancorata dal muro.
Dopo l'infortunio l'azienda ha segregato la macchina con
un riparo mobile e inserendo un sensore di presenza vasca
che garantisce la rotazione dell'albero miscelatore in con
condizioni di sicurezza.
Venivano elevate le contravvenzioni agli artt. 374 DPR
547/55 e 35 co. 1" - 4° lett. b) D.Lgs. 626/94.
La prima norma non rileva ai fini di causa essendo inlnfluente
nella dinamica dell'incidente. La seconda rileva in quanto
si contesta all'azienda di non aver predisposto misure affinchè
la attrezzatura - agitatore - venga usata in modo corretto
essendo quelle predisposte (micro - interruttore a chiavetta
collegato a catena che dovrebbe circoscrivere il bidone)
, facilmente neutralizzabili dall'operatore. Lo Spisal imponeva
l'installazione di un sistema di sicurezza che impedisse
la rotazione dell'albero se non dal momento in cui è
presente una protezione contro il contratto con le parti
in rotazione.
3. La responsabilità dell'infortunio di cui è
causa.
Dalle deduzioni sopra riferite risulta che il ricorrente,
che ha partecipato a corsi di formazione antinfortunìstica
dal 1997 al febbraio 1999 (come risulta dai documenti vari
dep. udienza 4.6.2003; e dal teste G. M.) e che ha predisposto
mezzi e metodi per la pulizia dell'albero rotante (tubo
- contenitore) nell'occasione dell'infortunio, anziché
utilizzare questo metodo, anziché operare a motore
fermo (come prescritto dai cartelli esposti in azienda e
verosimilmente indicato nei corsi formativi), ha dapprima
operato correttamente effettuando le operazioni di pulizia
con albero motore fermo, e successivamente, avendo poco
tempo a disposizione, e non avendo raggiunto il risultato
voluto, accendeva la macchina alla velocità massima
(il comando della velocità era a circa 3 mt. dall'albero
motore) e con le mani ed i guanti puliva con la carta l'albero
in movimento premendo la carta stessa sull'albero motore.
Il convenuto considera questa attività così
abnorme, inopinabile, eccezionale ed incompatibile con il
processo protettivo e dunque tale da interrompere qualsiasi
nesso causale tra la condotta (omissiva) datoriale e l'evento.
L'assunto non può essere condiviso. L'esonero da
responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c. sussiste
solo se l'evento dannoso è stato causato da caso
fortuito, ossia rappresenta un evento imprevisto, imprevedibile,
esorbitante i normali eventi fenomenici, e cioè se
l'evento è atipico eccezionale e abnorme, e tale
da far ritenere impensabile che il lavoratore avrebbe potuto
agire così come ha agito. Se al contrario l'evento
non ha queste caratteristiche ( ed anche ammettendo il possibile
concorso di colpa del lavoratore) quest'ultimo fatto non
ha una valenza esimente dalla responsabilità datoriale,
come affermato da Cass. N.3213 del 2004. Nel caso di specie
l'evento è stato determinato sotto il profilo causale
A) dall'aver predisposto un sistema antinfortunistico facilmente
eludibile (violazione dell'art. 35 commi 1 - 4 lett. b)
D.Lgs. 626/94 come evidenziato dallo Spisal);
B) dall'aver tollerato l'azienda che l'operatore avesse
eseguito in altre occasioni la stessa operazione con albero
motore in movimento, come dichiarato dal dipendente S. -
caporeparto - sentito dagli ispettori ("mi è
capitato qualche mese prima dell'infortunio di vedere il
ricorrente fare la pulizia dell'albero con la carta trattenuta
con le mani sull'albero in movimento; gli ho detto di non
farlo perché in considerazione della potenza dei
motori, rischiava di rompersi i polsi") ed ammesso
dallo stesso ricorrente il quale per non fare quella operazione
pericolosa, posta in essere in passato, aveva lui stesso
costruito il "tubo -contenitore" di cui sopra;
si è verificata in tal modo una situazione di "culpa
in vigilando", essendo obbligo del datore di vietare
al lavoratore di compiere attività pericolose e dovere
di esigere dallo stesso il rispetto del divieto, sanzionandone
la condotta in caso contrario, e non certo tollerando questa
situazione di estremo pericolo;
C) dall'aver svolto un'attività di informazione
e di formazione concreta con partecipazione ad incontri
in cui tuttavia non è emerso in termini di assoluta
certezza la trattazione degli specifici presidi antinfortunistici
del caso .
Tenuto conto di ciò non può ritenersi che
l'evento sia occorso per caso fortuito o forza maggiore,
e dunque va esclusa l'interruzione del nesso causale tra
i profili colposi - omissivi sopra evidenziati e l'evento.
4. La rilevanza della condotta del lavoratore
Se la responsabilità datoriale va affermata per
le ragioni sopra evidenziate, tuttavia non può trascurarsi
il disposto dell'art. 1227 c.c. e dunque non può
essere ritenuta irrilevante e trascurabile la condotta del
danneggiato. L'art. 5 co. 2° lett. a), b), d), f) D.Lgs.
626/94 da estremo rilievo alla condotta del lavoratore,
responsabile nella esecuzione del lavoro.
La citata norma, ancorché non applicabile direttamente
al caso di specie -essendo relativa alla materia penale
- , rappresenta tuttavia un elemento argomentativo importante
ai fini di ritenere applicabile al caso di specie l'art.
1227 c.c. e dunque la configurabilità del concorso
di colpa. Il D.Lgs. 626/94 è riconosciuto come fonte
normativa che muta, nel settore della prevenzione infortuni
il ruolo del lavoratore, il quale non è più
un mero soggetto passivo del sistema di sicurezza, e diviene
,con precisi limiti, un soggetto attivo, partecipando alla
programmazione ed alla concreta gestione delle misure di
sicurezza e preventive.
L'art. 5 afferma che ciascun lavoratore deve prendersi
cura della propria sicurezza. Questo dovere tuttavia è
strettamente connesso alla formazione ed alla informazione,
e dunque si può pretendere dal lavoratore che si
comporti in modo prudente ed efficace per evitare infortuni,
sempre che egli sia stato adeguatamente formato.
E dunque da un lato il legislatore ha imposto con fermezza
l'obbligo datoriale di informazione e formazione continua
e permanente del lavoratore, (rispetto al precedente obbligo
ex DPR 547/55 limitato alla informazione sui rischi della
lavorazione, sulle misure di sicurezza in uso ed i dispositivi
di prevenzione in dotazione) tendente a fare acquisire l'indispensabile
livello di esperienza e conoscenza che possa rendere il
dipendente in concreto un soggetto attivo della prevenzione
(artt. 21 e 22 D.Lgs, cit).
Dall'altro con l'art. 5 cit. impone precisi obblighi al
lavoratore (quale ad esempio non compiere manovre od operazioni
che esulano dalla propria competenza e che possano compromettere
la propria sicurezza) e configura il ruolo del lavoratore
come persona che da soggetto passivo della sicurezza transita
al ruolo di soggetto attivo.
Questo mutamento di prospettiva non può non comportare
anche in giurisprudenza un mutamento nella valutazione della
responsabilità datoriale a fronte di una adeguata
informazione e formazione , ed a fronte di una condotta
colposa del lavoratore posta in essere in violazione dei
più elementari obblighi di sicurezza. Ed invero se
questo mutamento di prospettiva non venisse recepito dalla
giurisprudenza, verrebbe sicuramente svalutato l'elemento
fondante della riforma in materia, disincentivando comunque
la predisposizione di strumenti formativi, che diverrebbero
sostanzialmente poco significativi e non determinanti ai
fini di escludere (o quanto meno di attenuare) la responsabilità
datoriale. Scarso o quasi nullo sarebbe infatti l'interesse
datoriale alla formazione, se ciò non fosse significativo
anche ai fini della esenzione ovvero della parziale riduzione
degli effetti dannosi sulla integrità fisica del
lavoratore, divenendo di per sé irrilevante aver
effettuato o meno la formazione ai fini della dichiarazione
di responsabilità in materia di infortuni, a fronte
della certezza della declaratoria di responsabilità
anche allorquando la formazione sia stata concretamente
effettuata.
Ne consegue che qualora sia stato correttamente assolto
l'obbligo formativo -come nel caso specifico in esame -
finisce per ridursi lo spazio di responsabilità del
datore (ad esempio, certe condotte imprudenti del lavoratore
adeguatamente formato possono divenire da prevedibili a
imprevedibili; il dovere di vigilanza datoriale viene allentato
e deve essere diversamente valutato nei confronti del lavoratore
che è stato concretamente formato).
Se questa è la ratio del D.Lgs.626/94, appare allora
rilevante la condotta colposa del lavoratore, e risulta
non conforme ai principi sottesi alla materia di prevenzione
infortuni escludere, sotto il profilo del risarcimento danni
la previsione dell'art. 1227 c.c.
Non sembra pertanto condivisibile quella giurisprudenza
( Cass. 3213/2004 cit.) che esclude l'applicazione della
predetta norma alla fattispecie di cui all'art. 2087 c.c.
Passando al caso concreto, e tenuto conto dell'assolvimento
dell'obbligo datoriale formativo ed informativo, appare
qualificabile come condotta imprudente ed imperita quella
del ricorrente di aver dato corso alle operazioni di pulizia
dell'albero motore mettendolo volontariamente in moto alla
velocità più elevata tra le due selezionabili
( ed inserendo la chiavetta collegata alla catena di trattenuta
del bidone - contenitore) a appoggiando le mani sull'albero
motore in movimento per pulirlo con la carta.
Condotta in palese violazione dei divieti indicati nei
cartelli affissi in azienda, e delle comuni e generali norme
prudenziali note anche al lavoratore esperto nella attività
in esame, e che aveva predisposto personalmente un altro
sistema di pulizia dell'albero motore (costruzione di un
tubo - contenitore contenuto acido per lo scioglimento delle
incrostazioni, e nel quale inserire l'albero motore per
la pulizia per distacco e scioglimento dei residui di lavorazione
che si erano ivi depositati). La condotta colposa del lavoratore
sostanziata nel decidere e nell'eseguire la manovra palesemente
pericolosa incide nel determinismo causale dell'infortunio
in concorso con la condotta colposa datoriale , ed ha contribuito
in modo molto rilevante nella realizzazione dell'evento
. Colpa del lavoratore che appare quantificabile in modo
prevalentemente rispetto ai profili colposi datoriali.
Stimasi equo ripartire in 2/3 la colpa del lavoratore ed
in 1/3 quella datoriale.
5. I danni risarcibili
L'infortunio è occorso il 25.08.2000, data in cui
era in vigore il D. Lgs. 38/00 , il cui art. 13 , dopo aver
definito in via sperimentale il danno biologico , prevede
un criterio di indennizzo del danno biologico stesso in
misura indipendente dalla capacità dì produrre
reddito del danneggiato.
E' molto controverso in dottrina e giurisprudenza se tale
indennizzo comprenda l'intero risarcimento del danno biologico,
esonerando il datore di lavoro da qualsiasi obbligazione
risarcitoria, ovvero se sussista comunque un danno "differenziale"
rispetto a quello coperto dall'indennizzo INAIL e che deve
essere risarcito dal datore di lavoro.
La prevalente dottrina e giurisprudenza opta per questo
secondo orientamento interpretativo argomentando dal dato
letterale dell'art. 13 che qualifica l'emolumento a carico
INAIL come "indennizzo", concetto notoriamente
diverso dal risarcimento, di tal che esso non copre tutte
le voci di danno scaturite eventualmente dall'evento, ma
assolve ad una funzione sociale ed è finalizzato
a garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore
non solo strettamente economico - monetarie, mentre il risarcimento
in senso tecnico ha lo scopo di risarcire il danno nell'esatta
misura in cui si è verificato (così letteralmente
TRIB CAGLIARI 20.2.03 n° 961).
Consta anche altro orientamento contrario secondo cui il
D. Lgs. 38/00 risponde alla necessità di realizzare
una garanzia differenziata (nonché certa, tempestiva
e automatica) per la menomazione della integrità
psico-fisica del lavoratore, e riconduce il danno biologico
alla copertura assicurativa obbligatoria (così TRIB.
TO 10.6.03 N° 3393 che cita pure Cass. 20.1.02 n°
1114).
E ciò in conformità con i principi espressi
dalla Corte Costituzionale 18.4.96 n° 118 che ha tratteggiato
le differenze tra risarcimento, indennizzo e misure assistenziali,
affermando che la menomazione della salute può portare,
a seconda del sistema in cui si inserisce, ad un risarcimento
"pieno" ex art. 2043 cc, ad un equo indennizzo
(es. L.210/92) direttamente collegato all'art. 32 Cost.
o a misure di sostegno assistenziale ex art. 2 e 38 Cost.
"disposte dal legislatore nell'ambito dell'esercizio
costituzionalmente legittimo dei suoi poteri discrezionali".
Mentre l'art. 2043 cc rimette al giudizio di equità
del giudice la valutazione del danno, l'indennizzo e le
misure assistenziali si collegano ad esigenze che discendono
direttamente dagli artt. 32 e 38 Cost., e sono conformi
ai predetti principi costituzionali (C. Cost. cit).
Il sistema normativo delineato , che prevede tutele differenziate
, è dunque conforme ai principi costituzionali e
non contrasta con l'art. 32 Cost. . Perciò non può
riproporsi in materia di danno biologico la questione del
danno "differenziale" - eccedente l'indennizzo
INAIL - atteso che sussistono notevoli difficoltà
a sostenere l'applicazione analogica dell'art. 10 del previgente
T.U.
La predetta opinione giurisprudenziale trova conferma nel
confronto tra il D. Lgs. 38/00 e l'art. 5, 4° co. L.57/01
(in materia di danno biologico derivante da sinistri conseguenti
la circolazione dei veicoli a motore) atteso che quest'ultima
norma prevede espressamente , oltre ad una quantificazione
standard - uguale per tutti - del danno biologico , la possibilità
di ottenere giudizialmente un "risarcimento ulteriore"
sotto il profilo della personalizzazione e individualizzazione
del danno stesso, a differenza dell'art. 13 D. Lgs. 38/00
che non lo prevede .
Pertanto tale giurisprudenza perviene alla conclusione
che con il pagamento dell'indennizzo INAIL nulla è
più dovuto a titolo di ristoro del danno biologico.
Questo giudicante condivide l'impostazione di fondo di
questa giurisprudenza, con alcuna precisazioni di seguito
evidenziate.
Tenuto conto della origine del danno biologico e del diritto
al risarcimento, di creazione giurisprudenziale, così
come la quantificazione mediante il sistema del punto tabellare,
appare condivisibile il principio secondo il quale allorquando
il legislatore disponga di disciplinare precisamente l'istituto
di creazione giurisprudenziale è al dato normativo
che si deve fare riferimento, salva la chiara incompatibilità
della norma positiva con i principi costituzionali e con
quelli generali della materia così come elaborati
dalla giurisprudenza.
Il legislatore ha dato una definizione di danno biologico
conforme ai principi generali, ha addossato all'INAIL la
erogazione di un "quid" in favore del danneggiato,
esonerando dal pagamento diretto il datore di lavoro che
ha assicurato con l'INAIL tale rischio. Come sopra evidenziato
questa tutela differenziata del danno biologico è
compatibile con i principi costituzionali.
Il legislatore nella sua ampia e insindacabile discrezionalità
ha quantificato questo "quid" secondo precise
tabelle.
Appare allora anacronistico ritenere che, a fronte di queste
novità legislative di recepimento delle pluriennali
evoluzioni giurisprudenziali in materia,nulla sia mutato
e tutto sia rimasto come prima.
Va escluso , ad avviso del giudicante che il danno da risarcire
sia quello, sotto il profilo quantitativo, risultante dalle
vecchie tabelle create dalla giurisprudenza in assenza di
qualsiasi norma positiva in materia.
Questa operazione, sottesa alla qualificazione di un danno
biologico come "differenziale" o residuale rispetto
a quello INAIL , non appare corretta, e tende sostanzialmente
ad ottenere un duplice risarcimento dello stesso danno biologico:
quello voluto dalla legge (erogato dall'INAIL secondo precise
quantificazioni legali) e quello di quantificazione giurisprudenziale
(secondo le famose tabelle dei vari Tribunali).
Non appare allora condivisibile la allegazione sottesa
al ricorso secondo cui il danno da risarcire richiesto al
datore derivi dalla mera comparazione meccanicistica tra
gli importi previsti per legge (tabelle INAIL) e quelli
risultanti dalle vecchie tabelle.
Tenuto conto di queste argomentazioni, appare in linea
di principio condivisibile l'orientamento espresso da Trib.
TO 10.6.03 n° 3393, secondo cui, con riferimento al
titolo astratto della pretesa risarcitoria, la quantificazione
in sede INAIL non consente alcuna automatica ulteriore pretesa
risarcitoria per lo stesso titolo a carico del datore di
lavoro fondata sul valore differenziato della quantificazione
de! danno effettuata in sede civilistica.
Tuttavia questo giudicante ritiene di dover puntualizzare
una ulteriore questione rispetto a quelle trattate dalla
citata giurisprudenza .
L'espansione al danno biologico della tutela previdenziale
INAIL da cui consegue la riduzione ( ovvero il totale assorbimento
) del diritto al risarcimento del danno sulla base dei criteri
civilistici, tuttavia non sembra consentire di escludere
sempre e comunque la possibilità di allegare e provare
la esistenza in concreto di componenti del danno non coperte
e non previste dal sistema dell'indennizzo e della rendita
INAIL, che necessitano di una valutazione personalizzata
e concreta del valore punto, sulla base di precise condizioni
soggettive di cui il giudice dovrà tener conto.
Non appare risolutiva per negare la fondatezza di questa
affermazione l'argomentazione spesa dal Trib.TO (citato)
circa la inesistenza nel D. Lgs. 38/00 di una analoga previsione
rispetto a quella dell'art 5 co 4° L. 57/01 (possibilità
di un risarcimento ulteriore e personalizzato del danno
rispetto a quello standard e tabellare della legge citata)
in quanto questa precisazione normativa esplicitata puramente
e semplicemente dall'art. 5 appare comunque ricavabile per
via interpretativa e sistematica dai principi generali in
materia, e dunque è applicabile in caso di risarcimento
danni alia persona derivati da infortunio sul lavoro.
La interpretazione letterale delle norme proposta nella
sentenza citata infatti esclude la sussistenza del principio
del favor lavoratoris, ed anzi il lavoratore verrebbe ad
ottenere un ristoro inferiore a quello del cittadino che
subisse lo stesso danno in ambito extra-lavorativo, con
vantaggio evidente per il danneggiante.
Se ciò si può giustificare , entro certi
limiti , con riferimento al fatto che l'indennizzo-rendita
INAIL ha natura automatica, senza necessità di assolvimento
da parte del danneggiato di particolari oneri probatori
(garanzia certa, tempestiva e automatica del ristoro, che
può giustificare la diversa qualificazione del danno
rispetto ai criteri civilistici ordinari, relativamente
ai quali non sussistono tutte le accennate agevolazioni)
questa situazione sembra difficilmente giustificabile con
riferimento a ipotesi riferite al singolo caso e dunque
concrete in cui le prestazioni INAIL non coprono l'intero
danno risarcibile.
L'esempio scolastico da manuale riguarda il caso del violinista
che a causa di lavoro perda l'uso della mano, subendo in
tal modo un danno biologico che nel caso singolo ha una
sua peculiarità personalizzata.
In questo caso va escluso che nella quantificazione del
danno INAIL si sia tenuto conto di questa particolarità,
e perciò questo tipo di danno personalizzato va risarcito
dal danneggiante.
Anche nel caso di specie sottoposto all'esame del giudicante
viene allegato e non contestato da controparte che il lavoratore
prima dell'infortunio agli arti superiori praticasse costantemente
il nuoto, e viaggiasse con il proprio camper, attività
non più possibili dopo l'infortunio di causa.
Allegazioni supportate anche dall'anamnesi e dai dati evidenziati
dal CTU laddove viene evidenziato un deficit funzionale
e una riduzione della forza degli arti superiori.
Ritiene il giudicante che questi elementi costituiscano
un "quid pluris" personalizzato in materia di
danno alla persona, di cui il legislatore non possa aver
tenuto conto nella quantificazione del valore punto previsto
dalle tabelle INAIL (D. Lgs. 38/00), e questa componente
di danno va risarcita direttamente dal danneggiante.
6. La quantificazione dei danni
L'operazione di quantificazione del danno biologico con
riferimento alla specificità del caso deve tener
conto dei normali criteri equitativi adottati in sede civilistica,
in quanto questi criteri appaiono i più adeguati
tra quelli possibili per la determinazione del danno "
ulteriore " rispetto a quello considerato in sede Inail.
Tali valori sono da comparare con la rendita Inail dovuta
per il risarcimento del danno biologico " generale"
e dovuto per lo stesso titolo .
Il danno va quantificato dunque equitativamente, secondo
le tabelle del Triveneto .
Tenuto conto della fascia di età del ricorrente,
nato il 7.12.41 e di quella relativa alla percentuale di
invalidità , il valore del punto e' pari a euro 3.234,45
che moltiplicato per la percentuale riscontrata dal CTU
( 60%) comporta un complessivo danno biologico pari a euro
194.067,00.
L'invalidità temporanea totale viene quantificata
in euro 33,40 giornaliere e quella parziale in misura ridotta
in base a quanto indicato dal ctu.
Spettano a tale titolo complessivamente euro 6.543,06 (
in ragione di 60gg. di temporanea totale , di 70gg. di temporanea
al 75% di 100gg. al 60% e di 78 al 30% )
Complessivamente ii danno biologico ammonta a euro 200.610,06.
La rendita Inail in valore capitale è pari a euro
220.114,14; dal prospetto Inaii risultano ratei di rendita
già erogata per lire 19.179.000 e la rendita sopraddetta
è distinta in due "voci" pari a euro 105.562,30
per " biologico" e euro 114.551,84 per" patrimoniale".
Anche tenendo conto di questa sotto distinzione la rendita
per biologico ammonta a euro 115.000,00 circa .
Tenuto conto del concorso di colpa prevalente del lavoratore
( 2/3) la quota di danno biologico da permanente spettante
civilisticamente è pari a euro 64.689,00 , ossia
di importo inferiore a quello erogato a tale titolo dall'Inail.
Ne consegue che nulla spetta a tale titolo al lavoratore,
essendo i! danno assorbito dalle erogazioni dell'ente previdenziale.
Spetta al ricorrente invece il risarcimento del danno da
temporanea (in ragione di 1/3 dell'importo sopra indicato
, atteso il concorso di colpa) liquidato in euro 2.181,01.
Compete la lavoratore il danno morale ,non compreso nella
complessiva rendita INAIL. La quantificazione viene stimata
in misura pari al 50 % dell'intera liquidazione del biologico
, temporaneo e permanente , spettante al ricorrente . L'importo
teoricamente dovuto è di euro 100.305,03 ed in ragione
del concorso di colpa l'importo spettante a tale titolo
è di euro 33.435,01.
Trattandosi di importi calcolati in conto capitale secondo
le tabelle del 2000 , essi vanno rivalutati sino alla data
della sentenza.
Sul capitale rivalutato vanno calcolati gli interessi legali
fino al saldo, devalutandolo di anno in anno , secondo gli
stessi indici Istat utilizzati per la rivalutazione , dalla
data della liquidazione a quella del sinistro.
Spettano pure le spese vive ritenute congrue dal ctu ,
sempre nella misura di un terzo di quelle sostenute e dunque
competono euro 2.727,50 ( il loro ammontare complessivo
è infatti di euro 8.182,50 come da note attoree depositate
il 22.9.03). Somma gravata di interessi di legge . Quanto
ai danni patrimoniali da specifica risulta che il ricorrente
ha ripreso a lavorare presso la convenuta con lo stesso
compenso che percepiva anteriormente all'infortunio e con
stessa qualifica , seppur addetto a mansioni diverse , più
leggere , di commesso ; il fatto che dall'aprile 2002 il
dipendente abbia scelto il part-time , di comune accordo
tra le parti , come riferito nell'interrogatorio libero,
non consente di ritenere che tale scelta lavorativa, che
comporta riduzione di reddito , sia conseguenza diretta
ed immediata dell'infortunio di tal che mancano i presupposti
di legge per ritenere risarcibile da parte datoriale questo
supposto danno .
Quanto alle spese di lite vanno compensate per metà
attesa la parziale fondatezza della domanda e la complessità
e novità delle questioni trattate e per il residuo
poste a carico della convenuta soccombente .
Il G.L. cosi' provvede:
1) ogni altra domanda ed eccezione rigettata accerta la
responsabilità della convenuta in ordine all'infortunio
di cui è causa attribuendo il concorso di colpa al
ricorrente nella misura di 2/3;
2) condanna la convenuta al risarcimento del danno biologico
e morale liquidandolo in complessivi € 35.616,03 di
cui:
a) € 2.181,02 a titolo di danno biologico da temporanea;
b) € 33.435,01 a titolo di danno morale;
3) condanna la convenuta al pagamento degli interessi legali
fino al saldo calcolati sul capitale via via devalutato
dalla data della liquidazione a quella del sinistro;
4) condanna la convenuta al pagamento delle spese vive
pari a € 2.727,30 oltre interessi legali dalla debenza
al saldo;
5) dichiara compensate per 1/2 le spese di lite e pone
il residuo a carico della convenuta liquidandolo in complessivi
€ 2.000,00) oltre Iva e Cpa come per legge, con distrazione
in favore de! proc. attoreo e pone definitivamente a carico
del convenuto le spese della C.T.U.
Vicenza, 12.03.2004
Il Giudice del Lavoro
Dott. Luigi Perina
Sentenza depositata in cancelleria il 3 giugno 2004
La redazione di megghy.com
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