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L'attitudine al lavoro proficuo, come potenziale capacità
di guadagno, è un elemento valutabile dal giudice
per definire la misura dell'assegno in sede di separazione,
ma il mancato sfruttamento della supposta attitudine al
lavoro non equivale ad un reddito attuale, né lascia
presumere la volontaria ripulsa di propizie occasioni di
reddito.
Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 2 luglio 2004, n. 12121
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza depositata il 1° giugno 2000 il tribunale
di Milano, pronunziando sul ricorso proposto da Susanna
Gaudiosi, dichiarò la separazione personale della
medesima dal marito Michele Salvo, con addebito a quest'ultimo,
ma respinse totalmente la domanda di pagamento di un assegno
di mantenimento, che invece il Presidente del tribunale
le aveva provvisoriamente attribuito, in sede di comparizione
personale dei coniugi, ponendolo a carico del Salvo nella
misura mensile di Lire 600.000. Dichiarò inammissibile,
perché tardiva, la domanda di addebito formulata
dal Salvo nei confronti della moglie e lo condannò
al pagamento delle spese processuali.
2. La sentenza fu appellata da Susanna Gaudiosi, essenzialmente
per chiederne la riforma sulla mancata attribuzione dell'assegno
di mantenimento, nella misura minima mensile indicata di
Lire 1.500.000, con decorrenza dalla data di comparizione
davanti al Presidente del tribunale di Siena, poi dichiaratosi
incompetente, o, in subordine, dal deposito del ricorso
nella cancelleria del tribunale di Milano; con interessi
e rivalutazione e con vittoria di spese del giudizio.
Il Salvo, costituendosi in giudizio, chiese il rigetto
del gravame e propose appello incidentale avverso il capo
di sentenza che ne riconosceva la responsabilità
esclusiva per il fallimento del matrimonio.
All'atto di precisare le conclusioni chiese anche, in subordine,
la riduzione dell'assegno di mantenimento posto provvisoriamente
a suo carico dal Presidente del tribunale, dovendo egli
provvedere al mantenimento di un figlio, avuto da altra
donna dopo la separazione dalla moglie.
Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte
d'appello concluse per la conferma della separazione, con
addebito al marito, e per la riforma parziale della sentenza
impugnata, mediante imposizione al Salvo dell'obbligo di
corrispondere mensilmente al coniuge separato un assegno
di mantenimento di Lire 800.000, rivalutabile annualmente
in base all'indice Istat del costo della vita.
3. Con sentenza depositata il 29 giugno 2001, la Corte
d'appello di Milano respinse l'appello principale e dichiarò
inammissibile quello incidentale considerando, da una parte,
che la donna, ancora giovane e laureata in lingue, poteva
impegnarsi utilmente nel reperimento di idonea attività
lavorativa; dall'altra, che la breve durata (otto anni)
della convivenza matrimoniale e le ridotte capacità
economiche del marito, pure obbligato al mantenimento di
un figlio nato fuori dal matrimonio, imponevano un equo
contemperamento delle rispettive esigenze dei coniugi.
La Corte territoriale dispose altresì la cessazione
dell'obbligo del Salvo di corrispondere alla moglie l'assegno
mensile provvisorio di Lire 600.000, a far data dal luglio
2001, e compensò interamente fra le parti le spese
del grado; con parziale riforma della sentenza del tribunale,
riguardo ad una voce delle spese relative a quel giudizio.
4. Avverso tale sentenza, Susanna Gaudiosi propone ricorso
per Cassazione, notificato il 17 settembre 2001 e depositato
il 29 settembre 2001, articolato in undici motivi.
Michele Salvo resiste mediante controricorso, notificato
il 16 ottobre 2001 e depositato il 25 ottobre 2001.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5. Col primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata,
ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., per
violazione dell'art. 156 c.c., e per insufficiente e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia.
5.1. Lamenta che la Corte d'appello, nel negare l'assegno
di mantenimento per la rilevata capacità di essa
ricorrente - giovane, laureata in lingue straniere, priva
d'impegni familiari per essere senza figli - di procurarsi
un lavoro confacente, a confronto con le disponibilità
economiche relativamente modeste del marito, avrebbe violato
la norma citata nel punto in cui dispone, a vantaggio del
coniuge non responsabile della separazione, il diritto di
ricevere dall'altro quanto necessario al proprio mantenimento,
alla sola condizione che egli sia privo di adeguati redditi
propri; essendo stabilito che le altre circostanze, e la
stessa entità del reddito dell'obbligato, incidano
soltanto sulla misura della somministrazione.
Sostiene pertanto che, essendo risultata essa Gaudiosi
priva di qualsiasi reddito ed essendo stata accertata la
responsabilità esclusiva del marito in ordine alla
separazione, doveva esserle riconosciuto il diritto all'assegno
di mantenimento giacché - a differenza di quanto
previsto dall'art. 5 l. 898/1970 e successive modifiche,
in materia di divorzio, non applicabile al caso della separazione
- le circostanze considerate dai giudici di merito avrebbero
influenza solo sulla misura dell'assegno; né la teorica
possibilità dì trovare lavoro sarebbe equiparabile
ad un reddito effettivo, tale da escludere l'obbligo di
versare l'assegno, giustificato invece dalla persistenza,
pur dopo la separazione, del vincolo di solidarietà
tra i coniugi che impone a quello economicamente più
dotato di sostenere il più debole.
5.2. La sentenza impugnata, condividendo in merito argomentazioni
e conclusioni dei primi giudici, motiva a partire dal presupposto
(p. 4), conforme alla legge (art. 156, commi 1 e 2, c.c.)
ed alla giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte,
per cui il diritto del coniuge separato all'assegno di mantenimento
sorge, se la rottura della convivenza matrimoniale non è
a lui addebitabile, quando egli non fruisca di redditi sufficienti
a garantire un tenore di vita analogo a quello goduto prima
della separazione; e purché sussista fra i due una
disparità economica costituente, assieme alle altre
circostanze del caso, criterio di riferimento idoneo al
fine di stabilire la misura del sostegno (mantenimento).
Aggiunge in proposito la sentenza della Corte di Milano
che il precedente tenore di vita non era stato indicato
e provato dalla Gaudiosi, ma che sussistono ragioni per
ritenere che fosse stato consono alle possibilità
consentite dallo stipendio del marito, ufficiale dei carabinieri,
e che quindi non potesse considerarsi, durante la convivenza,
particolarmente elevato; il tribunale, anzi, lo aveva definito
"modesto".
5.3. La Corte milanese riconosce poi, implicitamente, che
la Gaudiosi è priva di qualsiasi reddito, nell'atto
in cui ne dichiara l'obbligo "di attivarsi in ogni
modo verso il reperimento di autonome fonti di reddito,
quantomeno temporanee e/o saltuarie" (p. 6).
5.4. Ma ritiene sussistenti, nondimeno, circostanze tali
da escludere il diritto all'assegno, essenzialmente individuate,
da una parte, nell'essersi la ricorrente volontariamente
sottratta - nel quinquennio successivo alla crisi coniugale
- all'impegno di cercare nuove fonti di reddito, nonostante
la relativa facilità di reperirle, stanti l'ancor
giovane età, le ottime condizioni di salute, la laurea
in lingue, l'assenza d'impegni familiari (per non avere
avuto figli e per essere tornata a vivere nella facoltosa
famiglia d'origine), il buon inserimento sociale; dall'altra,
nella relativa modestia dei guadagni del coniuge, pur incrementati
per effetto della progressione in carriera, poiché
la capacità di reddito del Salvo "già
non rilevante... deve oggi intendersi in larga parte assorbita
dagli insorti preminenti obblighi nei confronti del figlio
naturale riconosciuto" (p. 8).
5.5. La Corte territoriale menziona infine, fra le altre
circostanze valutabili al fine dell'esclusione dell'assegno,
l'ospitalità fornita alla Gaudiosi dalla famiglia
d'origine, la brevità del periodo di convivenza coniugale
e l'eventualità che ella svolga o abbia svolto, in
ipotesi, "attività lavorative neppure sempre
emergenti sul piano del riscontro fiscale", la cui
prova "ben difficilmente avrebbe potuto essere fornita
dal di lei coniuge" (p. 6).
6. Il motivo di ricorso in esame è fondato, per
quanto di ragione, nei termini di seguito esposti.
6.1. Nel caso di specie, invero, sussistono pacificamente
i presupposti essenziali dell'obbligo di mantenimento, stabiliti
dal primo comma dell'art. 156 c.c., ossia la non addebitabilità
della separazione alla ricorrente e la totale mancanza di
propri redditi accertati, idonei a conservarle il pur modesto,
precedente tenore di vita.
L'eliminazione di ogni contributo a carico del marito,
nell'economia della sentenza impugnata, dipende quindi logicamente
dalle circostanze elencate ai precedenti punti 5.4. e 5.5.,
fra le quali assume particolare rilievo l'inerzia della
Gaudiosi nella ricerca di un'occupazione redditizia, confacente
alla sua condizione ed alle sue capacità. Infatti,
gli altri elementi presi in considerazione dal giudice di
merito - come il reddito non elevato del marito ed il sopraggiunto
suo obbligo di mantenimento di un figlio - pur costituendo
motivi ragionevoli di contenimento dell'assegno, non sarebbero
da soli sufficienti ad escluderlo del tutto.
6.2. Devesi considerare, in primo luogo ed in contrasto
con una censura della ricorrente, che la decisione di esclusione
dell'assegno non è inficiata dall'omesso esame di
tutte le argomentazioni svolte dalle parti, la cui confutazione
esplicita non è necessaria allorché il giudice
abbia indicato le ragioni del suo convincimento, così
implicitamente rigettando le prospettazioni con esse logicamente
incompatibili (Cass. 13359/1999, 13342/1999, 5537/1997 e
10703/1994).
6.3. D'altra parte, la decisione di totale eliminazione
dell'assegno di mantenimento - ferma restando l'insindacabilità,
se non per manifesti vizi logici, delle valutazioni di merito
circa la mancata o infruttuosa ricerca di lavoro - è
errata su un piano logico-giuridico più ampio, ed
entro questi limiti deve essere cassata, poiché l'inattività
lavorativa del richiedente l'assegno può costituire
circostanza idonea ad annullare l'altrui obbligo - altrimenti
sussistente - di versarlo, solo se conseguente al rifiuto
accertato di effettive e concrete, non meramente ipotetiche,
opportunità di lavoro.
6.4. In effetti, l'attitudine al lavoro proficuo, come
potenziale capacità di guadagno, appartiene certamente
al novero degli elementi valutabili dal giudice della separazione
per definire la misura dell'assegno, dovendo egli considerare
a tal fine non soltanto i redditi in denaro, ma anche ogni
utilità o capacità propria dei coniugi, suscettibile
di valutazione economica (Cass. 4543/1998, 7630/1997, 961/1992,
11523/1990 e 6774/1990). Ma il mancato sfruttamento della
supposta attitudine al lavoro non equivale ad un reddito
attuale né, di per sé ed in modo univoco,
lascia presumere la volontaria ripulsa di propizie occasioni
di reddito.
L'inattività lavorativa, infatti, non necessariamente
è indice di scarsa diligenza nella ricerca di un
lavoro, finché non sia provato, ai fini della decisione
sull'assegno, il rifiuto di una concreta opportunità
di occupazione: solo in tal caso lo stato di disoccupazione
potrebbe essere interpretato, secondo le circostanze, come
rifiuto o non avvertita necessità di un reddito;
il che condurrebbe ad escludere il diritto di ricevere dal
coniuge (cfr. Cass. 3975/2002, 4163/1989), a titolo di mantenimento,
le somme che il richiedente avrebbe potuto ottenere quale
retribuzione per l'attività lavorativa rifiutata
o dismessa senza giusto motivo.
6.5. E' stato già ritenuto infatti da questa Suprema
corte, con giudizio condiviso dal collegio, che "l'attitudine
al lavoro del coniuge separato, il quale domanda l'assegno
di mantenimento, rileva, ai fini del l'accertamento della
sua capacità di guadagno e, quindi, della spettanza
e misura dell'assegno, solo se venga riscontrato in termini
di effettiva possibilità di svolgimento di un'attività
lavorativa retribuita, tenuto conto di ogni concreto fattore,
soggettivo ed oggettivo; non già in termini meramente
ipotetici" (Cass. 961/1992, dalla motivazione; id.
Cass. 7061/1986, 6237/1981, ivi cit.).
Quindi, la teorica possibilità del coniuge privo
di reddito di reperire un'occupazione non elide il dovere
di solidarietà (persistente fra i coniugi anche dopo
la separazione: cfr. Cass. 5253/2000, 13666/1999, 4094/1998,
2349/1994) ed il conseguente obbligo di condivisione dei
beni e di sostegno verso il coniuge più debole, mediante
la corresponsione di un assegno di mantenimento (ricorrendone
gli altri presupposti di legge), nella misura indicata dalle
circostanze.
Tanto più se la condizione di "casalinga"
della moglie esisteva già prima della separazione,
giacché dopo di essa, a differenza di quanto accade
dopo il divorzio, permangono tendenzialmente, e sono tutelati
per quanto possibile, gli effetti del matrimonio ed il regime
di vita precedente la rottura della convivenza coniugale
(Cass. 3291/2001 e 7437/1994).
7. Gli ulteriori dieci motivi di ricorso sono assorbiti,
perché rappresentano distinti aspetti o specificazioni
della stessa censura, vertente sulla spettanza dell'assegno
di mantenimento, accolta entro i limiti dell'esposizione
che precede.
7.1. In particolare, con tali motivi si deduce, nell'ordine,
quanto segue:
7.1.1. il presunto obbligo di attivarsi per cercare un
lavoro sussisterebbe soltanto nel caso in cui l'altro coniuge
risulti privo di mezzi economici adeguati (violazione degli
artt. 156 c.c., 3 Cost., 115 c.p.c.; omessa motivazione);
7.1.2. tale obbligo e la relativa sanzione (perdita del
diritto al mantenimento), non sarebbero previsti dalla legge
(violazione degli artt. 1173, 156 c.c.; motivazione illogica
e contraddittoria);
7.1.3. il reddito non elevato del marito non determinerebbe
l'eliminazione, ma solo la riduzione dell'assegno di mantenimento
(violazione degli artt. 156 c.c. e 3 Cost., omissione o
insufficienza e contraddittorietà della motivazione);
7.1.4. la proposta transazione, in ordine alla modalità
di soddisfazione dell'obbligo di mantenimento mediante versamento
una tantum di una certa somma, contraddirebbe sia la ritenuta
incapacità economica del marito sia l'affermazione
di non spettanza dell'assegno (violazione degli artt. 156
c.c., 710 c.p.c.; contraddittorietà della motivazione);
7.1.5. la reperibilità di un'occupazione lavorativa
da parte della Gaudiosi, dopo la sua assenza dal mondo del
lavoro per l'opposizione del marito, non sarebbe adeguatamente
motivata;
7.1.6. del pari immotivata sarebbe la mancata valutazione
dell'ulteriore difficoltà di trovare lavoro, a causa
dell'età;
7.1.7. lo scarso impegno della ricorrente nella ricerca
di un lavoro o l'attualità di un'occupazione non
dichiarata non sono ricavabili logicamente dalla rilevata
difficoltà di provare tali elementi (violazione dell'art.
2697 c.c.; motivazione insufficiente ed illogica);
7.1.8. la domanda di riduzione dell'assegno, formulata
dal Salvo allegando la sopravvenuta nascita del figlio,
costituirebbe domanda nuova (violazione degli artt. 112,
115 e 345 c.p.c.; omissione e contraddittorietà della
motivazione);
7.1.9. la riconosciuta necessità di "equo contemperamento"
fra esigenze di mantenimento del neonato e della moglie
sarebbe in contraddizione logica con la conclusione di totale
sacrificio delle seconde;
7.1.10. la modifica o la revoca dell'ordinanza presidenziale
attributiva di assegno provvisorio sarebbe illegittima,
non essendo mutate le circostanze in considerazione delle
quali tale assegno fu concesso (violazione dell'art. 708
c.p.c., illogicità della motivazione).
8. In conseguenza dell'accoglimento, per quanto di ragione,
del primo motivo di ricorso (assorbiti tutti gli altri)
ed in relazione ad esso, la sentenza impugnata deve essere
cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello
di Milano (non sussistendo validi motivi per il rinvio ad
una diversa Corte d'appello, come chiesto dalla ricorrente),
che si uniformerà al principio di diritto espresso
ai punti 6.3. e 6.4. e deciderà anche in ordine alle
spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di cassazione accoglie, per quanto di ragione,
il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa,
in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese,
ad altra sezione della Corte
d'appello di Milano.
La redazione di megghy.com
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