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Viene meno al dovere etico e giuridico di provvedere alla
difesa dei non abbienti e merita perciò censura l'avvocato
che, designato dalla Commissione per il gratuito patrocinio,
si rifiuti, adducendo motivi pretestuosi, di svolgere l'incarico
di difensore d'ufficio.
E' questo il principio sancito dalle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione, con la sentenza 2 aprile 2003 n. 5075,
che rigetta il ricorso di un avvocato contro la sanzione
disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività
professionale per la durata di tre mesi irrogata dall'Ordine
di appartenenza e poi confermato dal Consiglio Nazionale
Forense.
La Suprema Corte ha precisato che i meri "motivi di
coscienza personale" senza alcuna esplicitazione non
integrano i "motivi gravi e giustificati" voluti
dalla legge, onde il riferimento ad essi rende ingiustificato
il rifiuto del professionista
Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 2 aprile 2003, n. 5075
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Consiglio dell'ordine degli Avvocati di Firenze iniziava
procedimento disciplinare a carico dell'avvocato Michele
Altamura in ordine a due seguenti addebiti.
1. "Aveva ricusato l'incarico di difesa della signora
Rosica Tohaneanu, ammessa al patrocinio gratuito con provvedimento
in data 30 maggio 1999, della commissione competente, allegando
meri motivi di "coscienza personale" e senza aver
sottoposto i motivi della ricusazione all'esame della commissione
per il Gratuito patrocinio al fine dell'accertamento della
loro gravità, come prescritto dall'articolo 31 del
d.P.R. 3282/23".
2. "Ricevuto nel 1997 incarico professionale dalla
signora Giulia Lange in una controversia locatizia già
pendente dinanzi al Pretore di Firenze, chiedeva ed otteneva
in più occasioni compensi per importi di gran lunga
eccedenti la tariffe professionali (oltre 33 milioni).
"Inoltre, chiedeva e riceveva nel giugno 1998 l'ulteriore
somma di lire 15.000.000 per definire con la controparte
la vertenza in via transattiva, omettendone poi la restituzione,
non essendosi perfezionata l'asserita transazione";
"esponeva, anzi, richieste per ulteriori onorari e
così tratteneva gran parte della somma di lire 15.000.000,
di cui sopra, rimettendo alla cliente, solo dopo l'intervento
di altro avvocato e nel dicembre 1999, la somma di lire
4.106.591";
"affermava, contrariamente al vero, di aver provveduto
alla registrazione della sentenza, peraltro sfavorevole
alla sua cliente, e di aver pagato il relativo importo";
"per altra causa interponeva tardivamente un atto
di appello, ciò non di meno consigliando la cliente
a proporre ricorso in Cassazione";
"ometteva la restituzione degli atti e documenti malgrado
le richieste".
All'esito del giudizio, il Coa di Firenze infliggeva all'avvocato
Altamura la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio
dell'attività professionale per la durata di tre
mesi, riconoscendolo colpevole degli addebiti ascrittigli.
Il Cnf, con decisione 62/2002 depositata il 13 maggio 2002
e notificata il 29 maggio 2002, rigettava il ricorso preposto
dall'avvocato Altamura.
In ordine alla prima incolpazione, relativa al rifiuto
di assumere l'incarico demandatogli dalla Commissione del
Gratuito patrocinio, osservava il Cnf che non costituisce
"grave e giustificato motivo" la pretesa mancanza
di rapporto fiduciario, in considerazione dell'asserito
atteggiamento arrogante e sgarbato della cliente, concernente
l'incarico una difesa d'ufficio, il cui rapporto non si
instaura per scelta dell'assistito, sicché il dovere
di difesa non può venir meno per sentimenti di antipatia
o altro tra avvocato e patrocinato, fondati sul carattere
di quest'ultimo, trattandosi di dato indifferente.
Quanto alla seconda incolpazione, il Cnf riteneva inconsistenti
e pretestuose le giustificazioni addotte dall'avvocato Altamura,
non avendo pregio il tentativo di addurre l'esistenza di
una convenzione intervenuta con la cliente, diretta ad ovviare
all'obbligatorietà delle tariffe, in mancanza di
qualsiasi prova di tale accordo. In realtà l'avvocato
Altamura aveva preteso obiettivamente compensi eccessivi;
aveva trattenuto indebitamente somme imputandole ad onorari;
non aveva adempiuto al dovere di fatturazione; non aveva
altresì assolto con diligenza e competenza al suo
incarico, allorché aveva proposto ricorso per Cassazione
pur essendo ben consapevole di aver tardivamente interposto
appello.
In conclusione, il Cnf riteneva l'avvocato Altamura responsabile
di tutti gli addebiti contestatigli.
Contro tale decisione l'avvocato Altamura ha proposto ricorso
per cassazione, articolato su due motivi, chiedendo in via
cautelare la sospensione, che è stata rigettata,
della sanzione disciplinare inflittagli.
Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Firenze e il
procuratore generale presso la Corte di cassazione non si
sono costituiti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso contiene i due seguenti motivi.
1.1. Violazione di legge per erronea applicazione degli
articoli 31 e 4 regio decreto 3282/23.
In ordine all'addebito di aver rifiutato l'incarico della
difesa di persona ammessa al gratuito patrocinio, l'avvocato
Altamura sostiene che il proprio comportamento non è
stato "negligente" (come richiesto dall'articolo
4 del regio decreto 3282/23 per poter essere sottoposto
a sanzione disciplinare), poiché aveva immediatamente
informato, con lettera inviata il 28 luglio 1999, la Commissione
della impossibilità di proseguire nell'espletamento
dell'incarico per "motivi di coscienza personale".
Afferma il ricorrente che non sarebbe logico, né
giuridicamente corretto, come sostenuto nella decisione
impugnata, ritenere che il rapporto fiduciario cliente-avvocato
costituisca un "dato indifferente", essendo consentito
al difensore di poter non patrocinare una causa per varie
ragioni, non ultima la mancanza del rapporto fiduciario
con il cliente, basandosi questo sull'intuitus personae.
In realtà la Commissione avrebbe dovuto convocare
l'avvocato Altamura onde vagliare la serietà e congruità
delle ragioni addotte in ordine al rifiuto di assumere un
incarico che il professionista non si sentiva di sostenere.
Pertanto, avendo l'avvocato Altamura tempestivamente informato
la Commissione della personale impossibilità a svolgere
l'incarico, non era possibile ravvisare l'esistenza di quella
"negligenza" che è presupposto precettivo
della norma sanzionatoria.
1.2. Violazione di legge per eccesso di potere e vizio
di motivazione.
Il ricorrente assume che la decisione del Cnf, similmente
a quella del Coa di Firenze, sarebbe caratterizzata da una
evidente omissione di motivazione, correlata ad inesistente
valutazione degli elementi utili al giudizio. Al riguardo
il ricorrente, in ordine ai fatti costituenti l'addebito
sub 2), assume:
a) tra il professionista e la cliente (Lange) era intervenuto
un accordo che consentiva la richiesta di somme non conformi
a tariffe: l'esistenza di tale accordo avrebbe dovuto escludere
la responsabilità dell'avvocato Altamura per la contestazione
di aver preteso compensi eccedenti le tariffe professionali;
b) vi era stato consenso all'uso della somma di lire 15.000.000,
precedentemente versata onde addivenire ad una transazione,
per il pagamento di spese giudiziarie (registrazione di
una sentenza e pagamento di una ctu), di cui la cliente
aveva avuto puntuale notizia;
c) l'avvocato Altamura aveva restituito la rimanente somma
di lire 4.106.591;
d) la somma complessiva di lire 23.500.000 versata dalla
Lange era stata regolarmente fatturata;
e) l'appello non poteva essere dichiarato inammissibile
per decorrenza del termine breve ad impugnare, perché
la sentenza del Pretore era stata notificata in forma esecutiva
unitamente al precetto direttamente alla parte: il ricorso
per Cassazione contro la sentenza del Tribunale si basava
sul motivo che, ai sensi degli articoli 326 e 327, ultimo
comma, c.p.c., il termine breve ad impugnare non decorre
nel caso che la sentenza sia stata notificata in forma esecutiva
direttamente alla parte.
Il Cnf avrebbe ignorato tutte queste circostanze affermando
la responsabilità dell'avvocato Altamura con motivazione
insufficiente e carente.
2. Il ricorso è infondato.
2.1. In ordine al primo motivo osserva il Collegio che
è deontologicamente censurabile, in quanto viola
il dovere di difesa (articolo 11 del Codice deontologico
forense), il comportamento del professionista che, essendo
stato designato dalla commissione, difensore di una parte
ammessa al gratuito patrocinio, rifiuti ingiustificatamente
di prestare ovvero di continuare a svolgere l'attività
difensiva.
I meri "motivi di coscienza personale" senza
alcuna esplicitazione non integrano i "motivi gravi
e giustificati" voluti dalla legge; onde il riferimento
ad essi rende ingiustificato il rifiuto del professionista.
Pertanto viene meno al dovere etico e giuridico di provvedere
alla difesa dei non abbienti e merita perciò censura
l'avvocato che, designato dalla Commissione per il gratuito
patrocinio, si rifiuti, adducendo motivi pretestuosi, di
svolgere l'incarico di difensore d'ufficio.
Del tutto inconferente è il richiamo, da parte del
ricorrente, all'intuitus personae, essendo nel caso specifico
l'incarico non di fiducia bensì d'ufficio e obbligatorio,
ovvero il riferimento alla mancanza di "negligenza"
per aver informato la Commissione, riguardando la violazione
non l'omessa comunicazione ma il rifiuto a svolgere l'attività
di gratuito patrocinio.
2.2. Quanto al secondo motivo, va osservato che le decisioni
del Consiglio nazionale forense, ricorribili per cassazione
a norma dell'articolo 56 regio decreto legge 1578/33, per
incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, sono
suscettibili di sindacato da parte della Corte di cassazione,
quanto al vizio di motivazione, in base all'articolo 111
della Costituzione e soltanto in quanto la motivazione manchi
affatto o non si presenti logicamente ricostruibile o sia
priva di congruenza logica rispetto ai fatti accertati dal
giudice, quali risultano dalla decisione impugnata (vedi
tra le tante: Sezioni unite 175/99; 764/98).
Nel caso specifico il Cnf ha ampiamente giustificato il
proprio convincimento in ordine alla responsabilità
disciplinare dell'avvocato Altamura, allorché ha
affermato che il professionista aveva preteso dalla cliente
Giulia Lange compensi eccedenti notevolmente le tariffe
professionali, aveva indebitamente trattenuto somme di denaro
consegnategli dalla Lange per transigere una lite, aveva
tardivamente proposto un appello, aveva rifiutato di consegnare
atti e documenti da restituire alla cliente. L'impugnata
sentenza ha anche precisato che tutte le giustificazioni
addotte dall'avvocato Altamura erano risultate infondate:
in particolare non era stata data alcuna prova né
dell'esistenza di un accordo tra il professionista e la
cliente (Lange) di deroga alle tariffe professionali, né
di un consenso a poter trattenere la somma di lire 15.000.000
ricevuta per una transazione poi non effettuata.
Per quanto riguarda, infine, le osservazioni del ricorrente
sulle circostanze di fatto (pagamento spese giudiziarie,
restituzione di somme, fatturazione, appello, ecc.), la
sentenza impugnata non è priva di motivazione onde
si presenta incensurabile per le ragioni sopra dette.
3. Alla stregua delle considerazioni esposte, il ricorso
va, quindi, rigettato.
Non si deve emettere alcun provvedimento sulle spese del
giudizio, perché gli intimati non si sono costituiti,
né hanno partecipato alla discussione orale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
dal
sito : www.altalex.com
La redazione di megghy.com
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