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Trib. Roma, Sez. XIII, 7 marzo 2002 [Giud. Rossetti]
Svolgimento del processo
Con atto di citazione regolarmente notificato, Luciana
Camera conveniva dinanzi a questo Tribunale i convenuti
indicati in epigrafe, chiedendone la condanna al risarcimento
dei danni subiti in conseguenza di un sinistro stradale.
L’attrice esponeva che in conseguenza del sinistro,
causato da Giancarlo Faloppa alla guida di un veicolo di
proprieta' di Stefano Aquilanti ed assicurato dalla Milano
spa, il proprio marito Lucio Parrinello aveva perso la vita,
e chiedeva la condanna dei convenuti in solido al risarcimento
dei danni subiti.
Nel giudizio interveniva volontariamente Paola Parrinello,
figlia di Lucio Parrinello, chiedendo anch’essa nei
confronti di tutti i convenuti il risarcimento dei danni
subiti in conseguenza della morte del padre.
Si costituiva la sola Milano spa, eccependo di avere gia'
erogato alle attrici una somma adeguata a ristorare il danno
patito.
Nel corso dell'istruzione venivano acquisiti documenti.
Esaurita l'istruzione e precisate le conclusioni, la causa
e' stata trattenuta in decisione all'udienza del 19 novembre
2001.
Motivi della decisione
1. Va preliminarmente dichiarata la contumacia di Giancarlo
Falappa, cui non ha provveduto l’istruttore.
Sempre in via preliminare, a fronte delle allegazioni svolte
da parte attrice nella comparsa conclusionale, deve rilevarsi
come la procura alle liti conferita dalla Milano spa al
proprio difensore sia del tutto regolare, risultando dal
contesto della comparsa di risposta tutti gli elementi essenziali
del mandato: generalita' del mandante, generalita' del mandatario
ed autentica della sottoscrizione.
2. La responsabilita' nella causazione del sinistro di
cui e' causa non puo' piu' essere oggetto di discussione
nel presente giudizio, essendo stata accertata dal giudice
penale con sentenza passata in giudicato.
Le statuizioni del giudice penale, nel caso di specie, fanno
stato ex articolo 651 Cpp anche nei confronti dei responsabili
civili Stefano Aquilanti e Milano spa, in quanto citati
in tale veste nel procedimento penale (cfr. allegati 18-21
al fascicolo attoreo).
I convenuti vanno percio' condannati in solido, ciascuno
per il rispettivo titolo, al risarcimento dei danni subi'ti
dalle attrici.
Il danno patito dalle attrici deve liquidarsi come segue.
3. Danno morale.
La liquidazione dei danni morali derivanti dal fatto illecito
del terzo, per sua natura, sfugge ad una valutazione economica
vera e propria, e puo' compiersi soltanto col ricorso all'equita',
in relazione a considerazioni soggettive quali l'eta' della
vittima, il grado di parentela, le particolari condizioni
della famiglia.
Nel caso in esame, risulta dagli atti che Lucio Parrinello
aveva 58 anni al momento del decesso; che il danno e' lamentato
dal coniuge e dalla figlia, dell'eta' rispettivamente di
anni 50 e 25 al momento del sinistro.
Non risulta che il nucleo familiare fosse travagliato da
particolari divisioni o incomprensioni.
Deve quindi presumersi (articolo 2727 Cc) che il dolore
per la sua perdita sia stato assai intenso, a causa della
prematurita' del decesso. Un fattore accrescitivo del dolore
va poi ravvisato, per la figlia, nella assenza della fondamentale
e necessaria figura paterna, proprio nel periodo della vita
di transizione tra l’adolescenza e la maturita', nel
quale particolarmente rilevante e' l’ausilio, la guida
e l’indirizzo che possono derivare dalla persona del
padre (cfr. Cassazione 872/63; 15/67; 3996/79; nonche',
tra le piu' recenti, tribunale Roma 23 dicembre 1996, Pafundi
c. Mangora, inedita; tribunale Roma 3 febbraio 1997, Suriano
c. Assitalia; tribunale Roma 4 febbraio 1997, Ferrara c.
Allsecures; tribunale Roma 19 febbraio 1997, Carta c. Pelullo;
tribunale Roma 24 febbraio 1997, in Rivista giuridica circ.
trasp., 1997, 348; tribunale Roma 30 giugno 1997, Valentini
c. SAI).
Per contro, un fattore lenitivo del dolore va ravvisato
nella convivenza di madre e figlia, essendo nozione di fatto
rientrante nella comune esperienza (articolo 115 Cpc) che
la pieta' e la consolazione di persone care, nei momenti
di particolare sconforto, hanno l’effetto di attenuare
le sofferenze morali.
Alla luce delle considerazioni che precedono, tenuto conto
di tutti i parametri sopra indicati, opportunamente adattando
al caso di specie i criteri generali uniformemente adottati
da questo tribunale, si stima equo liquidare:
- a Luciana Camera, a titolo di risarcimento del danno non
patrimoniale, la somma di € 100.684 (cosi' determinata:
risarcimento base € 143.835, ridotto del 30% in considerazione
della presenza di altri congiunti conviventi);
- a Paola Parrinello, per lo stesso titolo, la somma di
€ 80.543 attuali (cosi' determinata: risarcimento base
€ 115.062, ridotto del 30% in considerazione della
presenza di altri congiunti conviventi).
4. Danno patrimoniale.
Prima di procedere alla liquidazione del danno patrimoniale,
e' necessario premettere che Lucio Parrinello, in quanto
rappresentante di commercio (sono le stesse attrici ad allegarlo),
era necessariamente assicurato contro il rischio di morte
ed infortuni in favore dei propri congiunti, titolari del
diritto alla pensione di reversibilita' (articolo 5 legge
12/1973).
Tuttavia la costituzione di una pensione di reversibilita'
in favore di Luciana Camera e Paola Parrinello (che secondo
questo tribunale e' circostanza idonea a ridurre il danno
risarcibile in misura uguale al valore della rendita capitalizzata:
cfr. tribunale Roma 31 marzo 1998, Carducci c. Rosi, inedita;
tribunale Roma (ordinanza) 16 maggio 1997, in Giurisprudenza
romana, 1998, 131; tribunale Roma 29 gennaio 1997, Piccinni
c. Ministero della difesa, inedita; tribunale Roma 4 aprile
1996, Artipoli c. Universo, inedita; tribunale Roma 26 aprile
1984, in Temi romana, 1985, 121) non e' automatica, ma subordinata
al verificarsi dei presupposti di cui all’articolo
18 della citata legge 12/1973.
Sarebbe stato, pertanto, onere dei convenuti dimostrare
l’effettiva percezione da parte delle attrici della
pensione di reversibilita', ovvero la sussistenza di tutti
i requisiti per la erogazione della stessa; ma tale onere
non e' stato assolto.
4.1. Il danno patrimoniale futuro, risarcibile ai congiunti
di chi sia deceduto a seguito di fatto illecito, puo' consistere
o nella diminuzione di contributi o sovvenzioni; oppure
nella perdita di utilita' che, per legge (ad esempio, ex
articolo 230bis, 315, 433 Cc) o per solidarieta' familiare,
sarebbero state conferite dal soggetto scomparso (ex permultis,
Cassazione, 23/1988, in Rfi, 1988, Danni civili, numero
140, in seguito sempre conforme).
Nel caso in esame, risulta dagli atti che Lucio Parrinello,
nei tre anni precedenti il sinistro, aveva goduto di un
reddito imponibile annuo medio di £ 9.156.666, rappresentato
da proventi di lavoro autonomo.
L'esistenza del rapporto di coniugio tra il defunto e le
attrici e' circostanza idonea a far ritenere - secondo cio'
che per lo piu' accade - una stabile contribuzione economica
del defunto a sostegno di moglie e figlia.
Puo' dunque concludersi che le attrici abbiano subi'to un
pregiudizio economico in conseguenza della morte di Lucio
Parrinello, pari alle minori spese che verosimilmente il
defunto avrebbe erogato a beneficio del nucleo familiare.
Essendo praticamente impossibile la aestimatio di questo
danno nel suo preciso ammontare, anche in questo caso dovra'
farsi ricorso al criterio equitativo (ex plurimis, Cassazione
592/99, in Rivista giuridica circ. trasp., 1999, 1017).
Dunque a titolo di risarcimento di questa voce di danno
(perdita di utilita' future), puo' cosi' procedersi:
- si ipotizza una vita residua del de cujus della durata
di 12 anni, ovvero 70 (eta' media degli individui di sesso
maschile) meno 58 (eta' al momento della morte); occorre
fare riferimento alla vita biologica e non a quella lavorativa,
in quanto deve ritenersi ex articolo 115 Cpc che, anche
dopo il pensionamento, Lucio Parrinello non avrebbe certamente
sospeso l’ausilio economico alla propria moglie;
- si ipotizza altresi' che i superstiti abbiano subi'to
un nocumento pari alla perdita di quella parte delle entrate
da lavoro autonomo che il defunto verosimilmente destinava
alla propria famiglia;
- si ipotizza che il defunto destinasse alla famiglia i
2/3 dei propri redditi (ripartita in parti uguali tra moglie
e figlia); la quota di reddito concretamente erogata ai
congiunti viene dunque equitativamente determinata, ex articolo
2056 Cc, in € 2.322,78 attuali pro capite per moglie
e figlia.
Si perviene alla somma teste' indicata:
(a) rivalutando il reddito medio percepito da Lucio Parrinello
nei tre anni anteriori al sinistro (£ 9.156.666),
in base all’indice Foi elaborato dall’Istat
e relativo al maggio 1985 (1,9762);
(b) dividendo il risultato (18.095.403,34) per tre, al fine
di individuare la quota destinata rispettivamente a moglie
e figlia (£6.031.801,11, pari a € 3.115,16);
- si ipotizza che comunque l’erogazione di somme a
favore della figlia sarebbe cessata col conseguire, da parte
di quest'ultima, la piena indipendenza economica;
- si ipotizza, in base agli attuali costumi sociali, valutati
sulla scorta delle piu' accreditate risultanze statistiche,
che - con l'alzarsi del tasso globale di scolarizzazione
della popolazione - si elevi l'eta' di primo ingresso nel
mondo del lavoro, con conseguente ritardo nel distacco del
figlio dal nucleo familiare e nel raggiungimento della indipendenza
economica, e che, secondo la comune esperienza; secondo
un normale giudizio probabilistico; secondo un criterio
di normalita' (cfr. Cassazione 2039/77; 6651/82; 6029/86),
tale totale indipendenza sia raggiunta all'eta' di 28 anni.
In definitiva, deve presumersi ex articolo 2056 Cc che Luciana
Camera, ove il proprio marito fosse sopravvissuto, avrebbe
percepito una rendita annua di € 3.115,16 attuali per
12 anni (sino alla morte naturale del merito); e Paola Parrinello
avrebbe beneficiato di una identica rendita per tre anni
(fino al conseguimento dell’indipendenza economica).
Poiche' dal momento del sinistro sono passati purtroppo
ben piu' di 12 anni, i redditi perduti dalle attrici costituiscono
un danno passato, non un danno futuro: non e' quindi luogo
a procedere alla capitalizzazione, necessaria invece per
la liquidazione di danni consistenti nella perdita di redditi
futuri.
Ne consegue che il danno patrimoniale va determinato sommando
i redditi perduti rivalutati: e dunque il pregiudizio subito
da Luciana Camera ammonta a € 37.381,92 attuali; quello
subito da Paola Parrinello ammonta a € 9.345,48 attuali.
Non sono stati provati altri danni patrimoniali risarcibili.
Inammissibile, nella specie, il ricorso all’articolo
1226 Cc per liquidare le spese funerarie, in quanto: (a)
in ordine all’an debeatur, e' pur sempre necessario
che il danneggiato dimostri di averle sostenute, tali spese
(ben potendo essere state accollate da un terzo); (b) in
ordine al quantum, il ricorso all’articolo 1226 Cc
si giustifica nei casi di prova difficile od impossibile,
non di prova mancata per inerzia delle parti. E certo non
puo' ritenersi «impossibile» fornire la prova
delle spese sostenute per le esequie.
5. Danno biologico iure proprio.
Ambedue le attrici hanno allegato di avere subito un danno
alla salute in conseguenza della morte del proprio congiunto.
Tale domanda e' palesemente infondata.
Degli allegati disturbi psichici non e' rimasta la minima
traccia (referti, visite, prescrizioni mediche, consulti,
tickets per l’acquisto di farmaci, ecc.) per undici
anni. Poi, all’approssimarsi del giudizio, le attrici
si sono rivolte a due specialisti i quali hanno ritenuto
di ravvisare nel loro atteggiamento un disturbo psichico.
Cio' premesso in facto, si osserva in iure che e' nozione
di fatto rientrante nella comune esperienza quella secondo
cui, con l’allontanarsi nel tempo dell’evento
psichicamente stressante, la sofferenza si attenua e si
«struttura», tendendo a scomparire. Non e' pertanto
credibile (ne' sostenibile) che una patologia psichica,
rimasta silente per 11 anni, emerga improvvisamente; e comunque,
quand’anche tale patologia esistesse effettivamente,
il lungo tempo trascorso deve far escludere l’esistenza
d’un valido nesso causale tra essa e l’evento
luttuoso del quale e' causa, e cio' sia per il diritto (arg.
ex articolo 1223 Cc); sia per la medicina legale, per la
quale il nesso di causalita' tra evento lesivo e postumi
va accertato anche in base al criterio cosiddetto cronologico,
il quale richiede o la contiguita' temporale tra evento
lesivo e postumi, ovvero la documentazione di una storia
clinica non interrotta tra l’uno e gli altri.
6. Danno biologico iure haereditatis.
Secondo la prospettazione attorea, come esplicata nella
comparsa conclusionale, Lucio Parrinello (infortunatosi
il 27 maggio e deceduto il successivo 3 giugno), nell’arco
di tempo tra l’infortunio e l’exitus avrebbe
acquistato, e di conseguenza trasmesso agli eredi, il diritto
al risarcimento del danno biologico.
Effettivamente, se la morte sopravviene a distanza di tempo
dall’infortunio, la vittima subisce una lesione della
salute, nell’arco di tempo che va dall’infortunio
alla morte, che puo' assumere rilevanza giuridica ad una
condizione: che la vittima sia in grado di avvertire la
«perdita» (biologica) subita, e quindi di patire
un danno biologico risarcibile.
Infatti, in virtu' della incompatibilita' «ontologica»
tra lesione della salute e perdita della vita, nell’ipotesi
di sopravvivenza quodam tempore della vittima il danno biologico
e' trasmissibile non perche' la vittima sia sopravvissuta
(il che non avrebbe senso), ma perche' ha subi'to un danno
giuridicamente apprezzabile, danno che invece manca allorche'
la morte sia immediata, ovvero allorche' la vittima non
sia in grado di percepire la propria menomazione, pur non
essendo la morte immediata.
Quel che rileva, dunque, ai fini della risarcibilita' del
danno biologico agli eredi della vittima, nel caso di sopravvivenza
quodam tempore di quest’ultima, non e' se la sopravvivenza
sia stata lunga o breve, ma se la vittima, nel tempo intercorso
tra le lesioni e la morte, abbia patito un danno biologico:
abbia, cioe', avuto la possibilita' di percepire se stessa
e la propria esistenza irrimediabilmente vulnerate e compromesse.
Se, infatti, l’essenza del danno biologico va ravvisata
in una perdita di tipo esistenziale, cioe' nella perduta
possibilita', per la vittima, di godere delle ordinarie
occupazioni cui attendeva prima del sinistro, tale danno
non puo' essere ravvisato allorche' l’infortunio sia
stato di entita' tale da sopprimere le facolta' neurosensoriali
della vittima, si' da ridurla in uno stato vegetativo (cfr.,
esattamente in terminis, Cassazione 1704/97, in Rivista
giuridica circ. trasp., 1997, 316; cfr. altresi', con riferimento
alla inconfigurabilita' del danno morale in capo al soggetto
che versi in stato di totale incoscienza, Cassazione 4970/01,
in Diritto e giustizia, 2001).
A queste conclusioni nulla aggiunge e nulla toglie la recente
sentenza di Cassazione 4783/01, in Rivista giuridica circolaz.
trasp., 2001, 297, invocata da parte attrice: tale decisione,
infatti, non ha fatto che ribadire l’inesistenza d’una
corrispondenza necessaria (e, qui si aggiunge, biunivoca)
tra durata della sopravvivenza e risarcibilita' iure haereditario
del danno biologico patito dalla vittima.
Il danno biologico puo' dunque sussistere anche se la sopravvivenza
e' stata brevissima, quando la vittima sia restata vigile
e cosciente; mentre puo' mancare, anche nel caso di sopravvivenza
prolungata, quando le facolta' intellettive dell’infortunato
siano state del tutto soppresse dalle lesioni seguite al
trauma.
Nel caso di specie, come gia' detto, il decesso sopraggiunse
7 giorni dopo il sinistro.
Risulta tuttavia dagli atti depositati dall’attore
(rapporto della polizia stradale e referto ospedaliero)
che Lucio Parrinello subi' devastanti lesioni toraco-addominali,
e venne ricoverato nel reparto rianimazione.
Deve quindi presumersi (articolo 2727 Cc) che la vittima
giunse al nosocomio in stato di incoscienza: altrimenti
non ci sarebbe stato bisogno del suo ricovero nel reparto
rianimazione.
Pertanto in mancanza di ulteriori elementi, che sarebbe
stato onere delle attrici fornire, deve concludersi che,
sebbene la vita biologica di Lucio Parrinello sia cessata
dopo sette giorni dall’infortunio, la sua esistenza
di uomo sia cessata immediatamente dopo quest’ultimo.
La vittima dunque non ha acquisito, ne' di conseguenza trasmesso
agli eredi, alcun diritto al risarcimento del danno biologico
(cfr. in terminis, da ultimo, Tribunale Roma 21 novembre,
in Giurisprudenza romana, 2002, 113).
7. Altri danni invocati dalle attrici.
7.1 La domanda di risarcimento del danno «da perdita
del diritto alla vita», asseritamente subito dal de
cuius e da questi trasmesso agli eredi, e' infondata. Sul
punto bastera' richiamare, per brevita', i decisa di Cassazione
2134/00, in Arc. giur. circolaz., 2000, 756 Cassazione 1633/00,
in Rivista giuridica circolaz. trasp., 2000, 927; Cassazione
13336/99, in Foro it. Rep. 1999, voce Danni civili, numero
156; Cassazione 12756/99, in Foro it. Rep. 1999, voce Danni
civili, numero 206; Cassazione 1131/99, in Foro it. Rep.
1999, voce Danni civili, numero 205; Cassazione 491/99,
in Foro it. Rep. 1999, voce Danni civili, numero 204; Cassazione
12083/98, in Foro it. Rep., 1998, voce Danni civili, 166;
Cassazione 10085/98, in Resp. civ., 1999, 752; Cassazione
8970/98, in Rivista giuridica circolaz. trasp., 1998, 951;
Cassazione 6404/98, in Foro it. Rep., 1998, voce Danni civili,
numero 168; Cassazione 5136/98, in Foro it. Rep., 1998,
voce Danni civili, numero 170; Cassazione 3561/98, in Arch.
circolaz., 1998, 777, che questo tribunale condivide pienamente.
Secondo parte attrice, nondimeno, l’orientamento della
suprema corte (e di questo tribunale) sopra richiamato si
porrebbe in contrasto con il trattato istitutivo dell’UnioneeEuropea
e con la Convenzione europea sui diritti dell’uomo,
in quanto non garantirebbe tutela al «diritto alla
vita».
La tesi e' infondata, in quanto:
(a) il diritto alla vita e' ampiamente tutelato nel nostro
ordinamento (cfr., ex permultis, articoli 575, 589 Cp; articolo
1 legge 194/78; articolo 85 dpr 1124/65);
(b) il risarcimento per equivalente non e' l’unica
forma di tutela che l’ordinamento deve apprestare;
(c) il risarcimento per chi perde la vita si traduce in
sostanza in una «tutela» non per la vittima,
ma per i suoi eredi, e questi nel nostro ordinamento godono
gia' dell’ampia tutela risarcitoria prevista dagli
articoli 2043 e 2059 Cc.
Non esistono dunque, in subiecta materia, nel nostro ordinamento
ne' lacune, ne' contrasti con l’ordinamento comunitario:
e cio' a prescindere dalla risolutiva osservazione che il
giudice nazionale puo' disapplicare norme interne con l’ordinamento
comunitario, ma non puo' «creare» in via interpretativa
norme attributive di diritti, se questi non siano previsti
da fonti comunitaria ad efficacia orizzontale.
7.2. Luciana Camera chiede, altresi', il risarcimento del
danno alla vita sessuale, consistito nella forzosa rinuncia
ad avere rapporti col proprio partner, deceduto in conseguenza
dell’altrui illecito.
Cosi' formulata, la tesi e' infondata: il danno in esame,
per come configurato dalla suprema corte (Cassazione 6607/86,
impropriamente richiamata da parte attrice) presuppone infatti
l’esistenza in vita del partner. Soltanto in questo
caso, infatti, ci si puo' legittimamente dolere della scelta
drammatica imposta dall’atto illecito del terzo, tra
l’astinenza o la rottura della fedelta' coniugale.
Per contro, sciolto il matrimonio per morte del coniuge
e riacquistato lo stato libero, nulla piu' impedisce al
coniuge del defunto di avere rapporti sessuali quomodolibet.
Ove, poi, il danno in questione si volesse far coincidere
con la sofferenza causata dalla perdita del ius in corpus,
tale pregiudizio ha natura morale, ed e' gia' stato risarcito
attraverso la liquidazione di quest’ultimo tipo di
danno.
7.3. Quanto al cosiddetto danno esistenziale, definito
da parte attrice come la «modificazione in peius della
personalita' del leso», si osserva quanto segue.
Alcune decisioni giurisprudenziali (di legittimita' e di
merito) hanno ritenuto configurabile un tipo di danno, definito
talora «danno esistenziale», talora in altro
modo (la stessa incertezza lessicale evidenzia la fumosita'
di tale figura), diverso tanto dal danno alla salute, quanto
dal danno morale, quanto da quello patrimoniale.
Tale danno consisterebbe nella forzosa rinuncia alle proprie
abitudini di vita, in conseguenza del fatto illecito del
terzo.
Nella maggior parte delle decisioni che hanno ritenuto esistente
tale tipo di danno, il fondamento normativo viene solitamente
ravvisato in una norma composita, ricavata in via interpretativa
dal combinato disposto dell’articolo 2043 (sanzione)
Cc e di una norma costituzionale (precetto), secondo lo
«schema» adottato da Corte costituzionale 184/86
per sostenere la risarcibilita' ex articolo 2043 Cc del
danno biologico (cfr., sia pure con motivazioni tra loro
non omogenee, Giud. pace Sora 10 luglio 2000, in Giurispr.
romana, 2001, 341; tribunale Milano 31 maggio 1999 e tribunale
Treviso 25 novembre 1998, ambedue in Rivista giuridica circolaz.,
2000, 143; tribunale Torino, 8 agosto 1995, in Resp. civ.,
1996, 282).
A questo orientamento non consolidato, multiforme negli
esiti e polisenso nelle motivazioni, possono muoversi quattro
ordini di obiezioni.
In primo luogo, esso si richiama ad un orientamento, o meglio,
ad una (sola) pronuncia della Corte costituzionale, il cui
fondamento argomentativo e' stato successivamente abbandonato
dalla stessa Consulta. Infatti, con la sentenza 372/94,
in Giustizia civile, 1994, I, 3029, il Giudice delle leggi
ha chiaramente ritenuto non condivisibile il principio secondo
cui la lesione di un diritto costituzionalmente protetto
fosse risarcibile di per se', a prescindere dalle conseguenze
che tale lesioni abbia cagionato, chiaramente affermando
che il risarcimento presuppone sempre una «perdita
di tipo patrimoniale o personale». Assunto, questo,
da tempo condiviso dal giudice di legittimita', che ha osservato
(con riferimento al danno biologico, ma le conclusioni non
cambiano rispetto a qualsiasi altro tipo di danno): «per
il [danno biologico] non vale la regola che, verificatosi
l'evento, vi sia senz'altro un danno da risarcire.
Il risarcimento del danno vi sara' se vi sara' perdita di
quelle utilita' che fanno capo all'individuo nel modo preesistente
al fatto dannoso e che debbono essere compensate con utilita'
economiche equivalenti» (Cassazione, 4991/96, in Foro
it., 1996, I, 3107).
In secondo luogo, la tesi del «danno esistenziale»
sembra trascurare del tutto che il nostro sistema della
responsabilita' civile si fonda sul criterio della colpa,
con poche (anche se non marginali) eccezioni (ad esempio,
quelle di cui agli articoli 2048, 2050, 2052 Cc). La nozione
di colpa civile, distinta da quella di colpa penalmente
rilevante (Cassazione, 1375/96, in Arch. circolaz., 1996,
537; Pret. Forli', 19 febbraio 1986, in Resp. civ. prev.,
1986, 176), viene tradizionalmente fondata su due elementi:
da un lato l’idea di deviazione, di scostamento, di
abbandono, di inosservanza di una regola di condotta, sia
essa frutto di una norma di legge, regolamentare, contrattuale,
deontologica, di comune prudenza (arg. ex articolo 1176
Cc). Dall’altro lato, la nozione di colpa viene tradizionalmente
fondata sull’idea della concreta prevedibilita' ed
evitabilita' dell’evento. Nella prevedibilita' ed
evitabilita', anzi, risiede la distinzione tra colpa e caso
fortuito: giacche' non sarebbe giusto ne' condivisibile
ascrivere ad un soggetto le conseguenze di un fatto che
egli non poteva ne' prevedere ne' evitare. La necessaria
prevedibilita' dell’evento dannoso e' stata affermata
anche dalla Corte costituzionale, la quale ha espressamente
affermato che, la' dove essa manchi, non e' possibile una
valutazione autonoma della colpa (Corte costituzionale,
372/94, in Giustizia civile, 1994, I, 3029). Ovviamente,
la prevedibilita' o prevenibilita' dell’evento non
va confusa con la prevedibilita' delle conseguenze dannosa
da esso scaturite. Come noto, infatti, in materia extracontrattuale
il danneggiante risponde anche delle conseguenze imprevedibili
della propria condotta.
E' a questo punto, pero', che la nozione di danno esistenziale
sembra entrare in apparente collisione con la nozione di
colpa come ora tratteggiata. Infatti delle due l’una:
(a) se il danno esistenziale, come i suoi sostenitori mostrano
di ritenere, va qualificato «danno-conseguenza»,
la prevedibilita' o la prevenibilita' dell’evento
dannoso (fonte del danno esistenziale, cioe' il «danno-evento»
propriamente detto) dovra' necessariamente concernere una
lesione ontologicamente diversa dalla perdita dell’attivita'
esistenziale: e quindi, ancora una volta, una lesione o
biologica, o patrimoniale o morale. Insomma, se il danno
esistenziale e' un danno-conseguenza, esso presuppone un
danno-evento che difficilmente potrebbe collocarsi al di
fuori delle tre categorie tradizionali. Ma, se cosi' e',
gli effetti della lesione dovranno essere retti dalle regole
consuete, e quindi:
(-) in caso di lesione della salute, le perdite esistenziali
da questa causate sono gia' oggi risarcibili, ex articoli
32 Costituzione e 2043 Cc;
(-) in caso di danno patrimoniale, le perdite esistenziali
da esso causate non sono risarcibili, ex articoli 1223 e
2056 Cc;
(-) in caso di danno morale, le perdite esistenziali, in
quanto fonte di sofferenza, sono gia' oggi risarcibili ex
articolo 2059 Cc;
(b) se invece, per evitare le secche del doppio nesso causale
tra condotta illecita e danno-evento, e tra quest’ultimo
e danno-conseguenza, si volesse configurare il danno esistenziale
come danno-evento, allora verrebbe a mancare del tutto il
requisito della prevedibilita' o prevenibilita' dell’evento
di danno, e con esso la configurabilita' stessa della colpa
civile. Le attivita' esistenziali astrattamente compromettibili
per effetto dell’altrui illecito, infatti, sono troppo
varie e multiformi per potere essere ritenute prevedibili
dal danneggiante.
Il primo nodo irrisolto della nozione di danno esistenziale
appare dunque cosi' riassumibile:
(-) se questo danno e' un danno-evento, esso e' imprevedibile
e dunque non puo' essere ascritto all’offensore a
titolo di colpa;
(-) se esso e' un danno-conseguenza, presuppone necessariamente
un danno-evento, che dovra' incidere sulla salute, sul patrimonio
o sul morale, ed ubbidire alla regole risarcitorie normativamente
poste o giurisprudenzialmente elaborate per questi tre tipi
di danno.
In terzo luogo, sul piano de contenuto, la nozione di «danno
esistenziale» deve affrontare una «scelta tragica»:
(a) o ammettere che persino la perduta possibilita' - ad
esempio - di fare schiamazzi, imbrattare i muri, ed insomma
di compiere qualsiasi insignificante gesto quotidiano costituisce
un danno risarcibile: ed in questo caso l’interprete
deve spiegare perche' mai debba considerarsi «ingiusta»
la perdita della possibilita' di compiere un gesto od un’attivita'
insignificanti, inutili od illeciti;
(b) ovvero, ammettere che non qualsiasi perdita esistenziale
possa costituire un danno risarcibile: ed in questo caso
l’interprete avra' il non agevole compito di individuare
il «selettore», cioe' il criterio in base al
quale discernere le perdite esistenziali meritevoli di tutela
risarcitoria da quelle non risarcibili, e non e' difficile
prevedere che l’attivita' esistenziale meritevole
di tutela sara' immancabilmente ancorata o a princi'pi costituzionali,
o a norme di legge. Ma, in questo modo, viene a perdersi
tutta la portata innovativa del danno esistenziale: se infatti,
perche' il danno sia risarcibile, e' necessario individuare
la norma costituzionale o la norma di legge alla quale «ancorare»
l’ingiustizia del danno, non c’e' bisogno di
mettere in campo una nuova figura, in quanto gia' oggi la
lesione di un interesse normativamente qualificato costituisce
un danno risarcibile, secondo quanto stabilito da Cassazione
sezioni unite 500/99. Secondo quest’ultima decisione
della Corte di legittimita', qualsiasi lesione, e quindi
qualsiasi perdita (patrimoniale, biologica, morale od esistenziale),
puo' dar luogo a un risarcimento, a condizione che l’interesse
leso: (a) sia protetto da disposizioni specifiche; ovvero
(b) sia oggetto di norme che rivelano una esigenza di protezione.
Nel primo caso, il risarcimento sara' sempre dovuto, purche'
sussistano gli altri elementi dell’illecito; nel secondo
caso, il risarcimento sara' dovuto se il giudice accerti,
nel caso concreto, la prevalenza dell’interesse leso
rispetto a quello, eventualmente concorrente, dell’offensore.
In quarto luogo, ed e' quel che appare assolutamente risolutore,
il concreto pregiudizio che si intende coonestare come «danno
esistenziale» non riesce a distinguersi in nulla dal
danno morale.
Secondo i sostenitori della tesi del danno esistenziale,
quest’ultimo costituisce una rinuncia ad un facere,
ad una attivita' positiva, mentre il danno morale costituisce
una mera sofferenza soggettiva, interiore, inesprimibile,
un pati.
A tale affermazione puo' replicarsi, innanzitutto, che e'
pericoloso e controproducente sostenere che il danno morale
costituisce una sofferenza «interna». Se cosi'
fosse, tale danno non potrebbe mai essere dedotto ne' provato
in giudizio, giacche' i moti dell’animo sono noti
solo a chi li avverte. Il risarcimento del danno morale
diverrebbe cosi' una pura e semplice sanzione, o - se si
preferisce - un grazioso regalo, che il danneggiato avrebbe
sempre diritto di pretendere, a prescindere da qualsiasi
dimostrazione circa l’effettiva esistenza di esso.
Inoltre, non convince la distinzione tra danno morale e
danno esistenziale fondata sul rilievo secondo cui chi subisce
un danno morale «soffre», mentre chi subisce
un danno esistenziale «non fa». La sofferenza
morale causata dall’illecito, infatti, e' sempre una
sofferenza causata da una rinuncia: tanto e' vero che nessuno
potrebbe ragionevolmente sostenere che costituisce un danno
la rinuncia ad attivita' sgradite o spiacevoli. Ma se cosi'
e', deve concludersi che il c.d. «danno esistenziale»
non e' che la sofferenza causata da una rinuncia, cioe'
un pregiudizio d’affezione, e quindi un danno morale.
Cosi', nel caso di specie, la sofferenza causata dalla perdita
di uno stretto congiunto, indubbiamente puo' condurre a
molteplici rinunce (andare al cinema, andare a passeggio,
visitare musei e mostre, eccetera). Ma questo tipo di danno,
conseguenza della sofferenza morale, gia' oggi viene «messo
in conto» e valutato al momento della liquidazione
del danno morale. Se si ammettesse, accanto a quest’ultimo,
la risarcibilita' anche del danno esistenziale, delle due
l’una: o si compie una duplicazione risarcitoria,
liquidando due volte la pecunia doloris per le medesime
privazioni; oppure, se si «scomputa», per cosi'
dire, il danno esistenziale da quello morale, quest’ultimo
corre il rischio di divenire una entita' sfuggente e difficilmente
valutabile.
La sovrapponibilita' concettuale tra danno morale ed esistenziale
emerge anche su un piano piu' prettamente giuridico. I sostenitori
della tesi del danno esistenziale affermano che il danno
morale risarcibile ex articolo 2059 Cc sarebbe rappresentato
dalla mera «sofferenza»; mentre il danno esistenziale
risarcibile ex articolo 2043 Cc sarebbe rappresentato dalla
lesione di un diritto costituzionalmente protetto. Orbene,
poiche' si afferma la diversita' ontologica di questi due
pregiudizi, deve concludersi che i sostenitori della tesi
in esame ammettono implicitamente che il danno morale ex
articolo 2059 Cc non costituisce una lesione di diritti
costituzionalmente protetti. Se, infatti, la «sofferenza
morale» costituisse lesione di un diritto costituzionalmente
protetto, l’articolo 2059 Cc dovrebbe di necessita'
ritenersi costituzionalmente illegittimo, nella parte in
cui ne limita il risarcimento. Invece, nessuno dei sostenitori
della tesi del danno esistenziale prospetta un esito demolitorio
della norma in esame, come se il danno morale non costituisse
mai un vulnus ad alcun diritto costituzionalmente protetto.
Ma questa conclusione e' palesemente insostenibile. La sofferenza
per la perdita d’una persona cara, per la perdita
della salute, per la perdita della reputazione, per la perdita
della stima da parte dei propri familiari, se causate dall’altrui
atto illecito, costituiscono altrettante gravi violazioni
di altrettanti diritti costituzionalmente protetti. Il danno
morale dunque deriva (o almeno deriva anche) dalla lesione
di diritti tutelati a livello di costituzione; ma se cosi'
e', non si comprende come la vittima possa pretendere il
risarcimento d’un danno esistenziale per la perdita
di un’attivita' oggetto di tutela costituzionale,
e nel contempo il risarcimento d’un danno morale per
la sofferenza causata da quella rinuncia. Medesima e' la
lesione, medesima la sofferenza, ma duplice il risarcimento
invocato.
Si consideri, inoltre, che tra i vari «casi previsti
dalla legge» in cui e' risarcibile il danno morale,
rientrano l’impiego di modalita' illecite nella raccolta
di dati personali (articolo 29, comma 9, legge 675/96),
e l’adozione di atti discriminatori per motivi razziali,
etnici o religiosi (articolo 44, comma 7, decreto legislativo
286/98). Ebbene, sarebbe assai difficile sostenere che il
diritto alla riservatezza dei propri dati personali o quello
a non essere discriminati per ragioni razziali non costituiscano
diritti costituzionalmente garantiti. Eppure, se il legislatore
ha voluto espressamente prevedere la risarcibilita' del
danno morale anche in questi casi, vuol dire che gli strumenti
ordinari (primo fra tutti, l’articolo 2043 Cc) non
erano sufficienti a dare tutela ai diritti in esame. Detto
altrimenti: se davvero, come sostengono i sostenitori della
tesi del danno esistenziale, il combinato disposto dell’articolo
2 Costituzione e 2043 Cc consentisse di risarcire il danno
(per restare nell’esempio) da discriminazione razziale
che non costituisca reato e non causi perdite patrimoniali
o biologiche, l’articolo 44, comma 7, decreto legislativo
286/98 non avrebbe alcun senso, ed il legislatore avrebbe
sancito la risarcibilita' di un danno che sarebbe stato
comunque pacificamente risarcibile, anche in assenza della
suddetta norma.
In conclusione, la teoria del danno esistenziale non costituisce
che un raffinatissimo tentativo di aggirare (consapevolmente
o meno) il divieto di cui all’articolo 2059 Cc: tentativo
ammissibile nelle sedi scientifiche, non in quelle giudiziarie,
ove il giudice ha il compito di applicare la legge, non
di disapplicarla.
8. Il credito risarcitorio delle attrici risulta cosi'
ammontare:
- per Luciana Camera, a € 138.065,92 in conto capitale;
- per Paola Parrinello, a € 89.888,48 in conto capitale.
Risulta tuttavia dagli atti che le attrici hanno percepito
dalla Milano spa in data 11 maggio 1989 la somma di €
25.822,84 ciascuna; ed in data 16 gennaio 1997 le ulteriori
somme di € 103.291,38 (Luciana Camera) e 51.645,69
(Paola Parrinello), trattenute in conto del maggior danno.
Essendo il credito delle attrici una obbligazione di valore,
non trova applicazione il principio di cui all’articolo
1194 c.c..
Ne consegue che, secondo il consolidato insegnamento della
Suprema Corte (Cassazione 1982/90; Cassazione 11014/91;
Cassazione 6228/94; Cassazione 2117/96), la somma gia' versata
va rivalutata in base all’indice Istat del costo della
vita per le famiglie di impiegati ed operai relativo al
momento dei pagamenti parziali (1,5908 e 1,1085), e sottratta
dal credito come sopra liquidato.
In esito a tale calcolo, il credito risarcitorio residuo
delle attrici in conto capitale risulta interamente risarcito:
addirittura con un’eccedenza di € 17.512 per
Luciana Camera, e di € 8.440 per Paola Parrinello.
8.1. Alle danneggiate va tuttavia attribuita una ulteriore
somma a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante,
per il mancato godimento dell’importo sopra liquidata
a titolo di risarcimento, importo che - ove posseduto ex
tunc - sarebbe stato presumibilmente investito per ricavarne
un lucro finanziario.
Tale somma deve determinarsi equitativamente ex articolo
2056 comma I Cc, secondo il piu' recente orientamento giurisprudenziale
(cfr. Cassazione, sezioni unite, 1712/95), col metodo seguente:
- a base di calcolo va posta non la somma sopra liquidata
(cioe' rivalutata ad oggi), ma l’originario importo
rivalutato anno per anno;
- su tale importo va applicato un saggio di rendimento ricavato
- equitativamente - dalla media ponderata del rendimento
dei titoli di stato e dal tasso degli interessi legali (7,00%);
- tale saggio va computato sull’intero importo del
danno, per il periodo che va dalla data dell’evento
dannoso alla corresponsione del primo acconto; sulla somma
che residua dopo la detrazione dell’acconto rivalutato,
per il periodo che va dall’11.5.1989 (corresponsione
del primo acconto) al 16.1.1997 (corresponsione del secondo);
sulla somma che residua dopo la detrazione dei due acconti
rivalutati, dal 17.1.1997 ad oggi.
Ne risulta che il lucro cessante patito dalle attrici ammonta:
- per Luciana Camera, a € 71.188 (ovvero € 28.672
maturati sino all’11.5.1985, ed € 42.516 maturati
sino al 16.1.1997);
- per Paola Parrinello, a € 40.063 (ovvero € 18.667
maturati sino all’11.5.1985, ed € 21.396 maturati
sino al 16.1.1997).
In considerazione del fatto che, come sopra evidenziato,
la Milano risulta avere versato somme eccedenti rispetto
al danno liquidato in sentenza, appare equo scomputare le
somme pagate in eccesso dalla Milano, sopra evidenziate,
dal danno da lucro cessante, al fine di evitare indebiti
arricchimenti.
Il danno da lucro cessante subito da Luciana Camera risulta
dunque ammontare a € 53.676 (ovvero € 71.188 -
17.512); quello subito da Paola Parrinello risulta ammontare
a € 31.623 (ovvero € 40.063 - € 8.440).
Sulle somme ora indicate decorrono gli interessi legali
dal giorno della pubblicazione della sentenza.
9. L’eccezione di incapienza del massimale sollevata
dalla Milano va rigettata. Nel caso di specie, infatti,
la responsabilita' dell’assicurato emergeva con solare
evidenza gia' dal rapporto redatto dalla polizia stradale,
sicche' la renitenza della Milano all’adempimento
del proprio obbligo di indennizzo appare grave ed inescusabile.
Ne consegue che la stessa va condannata, anche oltre il
massimale, al pagamento delle somme sopra liquidate.
10. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza
e si liquidano come in dispositivo, avuto riguardo all’effettivo
contenuto economico residuo della controversia.
Non sono rifondibili le spese inutili e superflue, quali
ad esempio quelle derivanti dalla costituzione con atti
separati (ma col medesimo difensore) di madre e figlia,
il che ha comportato una duplicazione delle notifiche e
delle conseguenti attivita' difensive.
E' opportuno aggiungere, a fronte delle allegazioni di parte
attrice in merito alle determinazioni del Consiglio dell’Ordine
degli avvocati di altri distretti, che la potestas iudicandi
demandata a questo Tribunale dall’articolo 92 Cpc
ha da attenersi solo alla legge, e non a suggerimenti o
voti di chicchessia. Del resto, e' proprio la possibilita'
per il giudice di disattendere le tariffe forensi che ha
«salvato» queste ultime dalla declaratoria di
contrarieta' all’ordinamento comunitario, secondo
quanto stabilito dalla recente decisione di Corte giustizia
Ce, 19 febbraio 2002, in causa C-35/99, Arduino.
PQM
Il tribunale, definitivamente pronunciando, cosi' provvede:
-) condanna Stefano Aquilanti, Giancarlo Falappa e Milano
spa in solido al pagamento in favore di Luciana Camera della
somma di euro 53.676, oltre interessi come in motivazione;
-) condanna Stefano Aquilanti, Giancarlo Falappa e Milano
spa in solido al pagamento in favore di Paola Parrinello
della somma di euro 31.623, oltre interessi come in motivazione;
-) condanna Stefano Aquilanti, Giancarlo Falappa e Milano
spa alla rifusione in favore di Paola Parrinello e Luciana
Camera delle spese del presente giudizio, che si liquidano
in euro 1.200 per spese; euro 2.200 per diritti di procuratore;
euro 4.400 per onorari di avvocato, per complessivi euro
7.800, oltre Iva e Cnp, che si distraggono in favore dell'avvocato
Michele Liguori, il quale ha dichiarato ex articolo 93 comma
I Cpc di aver anticipato le spese e di non aver riscosso
gli onorari
La redazione di megghy.com
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