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SENTENZE DANNO ESISTENZIALE
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Tribunale di Roma, Sez. XIII, 7 marzo 2002 [Incidenti stradali]

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Trib. Roma, Sez. XIII, 7 marzo 2002 [Giud. Rossetti]

Svolgimento del processo

Con atto di citazione regolarmente notificato, Luciana Camera conveniva dinanzi a questo Tribunale i convenuti indicati in epigrafe, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un sinistro stradale.
L’attrice esponeva che in conseguenza del sinistro, causato da Giancarlo Faloppa alla guida di un veicolo di proprieta' di Stefano Aquilanti ed assicurato dalla Milano spa, il proprio marito Lucio Parrinello aveva perso la vita, e chiedeva la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni subiti.
Nel giudizio interveniva volontariamente Paola Parrinello, figlia di Lucio Parrinello, chiedendo anch’essa nei confronti di tutti i convenuti il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della morte del padre.
Si costituiva la sola Milano spa, eccependo di avere gia' erogato alle attrici una somma adeguata a ristorare il danno patito.
Nel corso dell'istruzione venivano acquisiti documenti.
Esaurita l'istruzione e precisate le conclusioni, la causa e' stata trattenuta in decisione all'udienza del 19 novembre 2001.


Motivi della decisione


1. Va preliminarmente dichiarata la contumacia di Giancarlo Falappa, cui non ha provveduto l’istruttore.
Sempre in via preliminare, a fronte delle allegazioni svolte da parte attrice nella comparsa conclusionale, deve rilevarsi come la procura alle liti conferita dalla Milano spa al proprio difensore sia del tutto regolare, risultando dal contesto della comparsa di risposta tutti gli elementi essenziali del mandato: generalita' del mandante, generalita' del mandatario ed autentica della sottoscrizione.

2. La responsabilita' nella causazione del sinistro di cui e' causa non puo' piu' essere oggetto di discussione nel presente giudizio, essendo stata accertata dal giudice penale con sentenza passata in giudicato.
Le statuizioni del giudice penale, nel caso di specie, fanno stato ex articolo 651 Cpp anche nei confronti dei responsabili civili Stefano Aquilanti e Milano spa, in quanto citati in tale veste nel procedimento penale (cfr. allegati 18-21 al fascicolo attoreo).
I convenuti vanno percio' condannati in solido, ciascuno per il rispettivo titolo, al risarcimento dei danni subi'ti dalle attrici.
Il danno patito dalle attrici deve liquidarsi come segue.

3. Danno morale.
La liquidazione dei danni morali derivanti dal fatto illecito del terzo, per sua natura, sfugge ad una valutazione economica vera e propria, e puo' compiersi soltanto col ricorso all'equita', in relazione a considerazioni soggettive quali l'eta' della vittima, il grado di parentela, le particolari condizioni della famiglia.
Nel caso in esame, risulta dagli atti che Lucio Parrinello aveva 58 anni al momento del decesso; che il danno e' lamentato dal coniuge e dalla figlia, dell'eta' rispettivamente di anni 50 e 25 al momento del sinistro.
Non risulta che il nucleo familiare fosse travagliato da particolari divisioni o incomprensioni.
Deve quindi presumersi (articolo 2727 Cc) che il dolore per la sua perdita sia stato assai intenso, a causa della prematurita' del decesso. Un fattore accrescitivo del dolore va poi ravvisato, per la figlia, nella assenza della fondamentale e necessaria figura paterna, proprio nel periodo della vita di transizione tra l’adolescenza e la maturita', nel quale particolarmente rilevante e' l’ausilio, la guida e l’indirizzo che possono derivare dalla persona del padre (cfr. Cassazione 872/63; 15/67; 3996/79; nonche', tra le piu' recenti, tribunale Roma 23 dicembre 1996, Pafundi c. Mangora, inedita; tribunale Roma 3 febbraio 1997, Suriano c. Assitalia; tribunale Roma 4 febbraio 1997, Ferrara c. Allsecures; tribunale Roma 19 febbraio 1997, Carta c. Pelullo; tribunale Roma 24 febbraio 1997, in Rivista giuridica circ. trasp., 1997, 348; tribunale Roma 30 giugno 1997, Valentini c. SAI).
Per contro, un fattore lenitivo del dolore va ravvisato nella convivenza di madre e figlia, essendo nozione di fatto rientrante nella comune esperienza (articolo 115 Cpc) che la pieta' e la consolazione di persone care, nei momenti di particolare sconforto, hanno l’effetto di attenuare le sofferenze morali.
Alla luce delle considerazioni che precedono, tenuto conto di tutti i parametri sopra indicati, opportunamente adattando al caso di specie i criteri generali uniformemente adottati da questo tribunale, si stima equo liquidare:
- a Luciana Camera, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, la somma di € 100.684 (cosi' determinata: risarcimento base € 143.835, ridotto del 30% in considerazione della presenza di altri congiunti conviventi);
- a Paola Parrinello, per lo stesso titolo, la somma di € 80.543 attuali (cosi' determinata: risarcimento base € 115.062, ridotto del 30% in considerazione della presenza di altri congiunti conviventi).

4. Danno patrimoniale.
Prima di procedere alla liquidazione del danno patrimoniale, e' necessario premettere che Lucio Parrinello, in quanto rappresentante di commercio (sono le stesse attrici ad allegarlo), era necessariamente assicurato contro il rischio di morte ed infortuni in favore dei propri congiunti, titolari del diritto alla pensione di reversibilita' (articolo 5 legge 12/1973).
Tuttavia la costituzione di una pensione di reversibilita' in favore di Luciana Camera e Paola Parrinello (che secondo questo tribunale e' circostanza idonea a ridurre il danno risarcibile in misura uguale al valore della rendita capitalizzata: cfr. tribunale Roma 31 marzo 1998, Carducci c. Rosi, inedita; tribunale Roma (ordinanza) 16 maggio 1997, in Giurisprudenza romana, 1998, 131; tribunale Roma 29 gennaio 1997, Piccinni c. Ministero della difesa, inedita; tribunale Roma 4 aprile 1996, Artipoli c. Universo, inedita; tribunale Roma 26 aprile 1984, in Temi romana, 1985, 121) non e' automatica, ma subordinata al verificarsi dei presupposti di cui all’articolo 18 della citata legge 12/1973.
Sarebbe stato, pertanto, onere dei convenuti dimostrare l’effettiva percezione da parte delle attrici della pensione di reversibilita', ovvero la sussistenza di tutti i requisiti per la erogazione della stessa; ma tale onere non e' stato assolto.

4.1. Il danno patrimoniale futuro, risarcibile ai congiunti di chi sia deceduto a seguito di fatto illecito, puo' consistere o nella diminuzione di contributi o sovvenzioni; oppure nella perdita di utilita' che, per legge (ad esempio, ex articolo 230bis, 315, 433 Cc) o per solidarieta' familiare, sarebbero state conferite dal soggetto scomparso (ex permultis, Cassazione, 23/1988, in Rfi, 1988, Danni civili, numero 140, in seguito sempre conforme).
Nel caso in esame, risulta dagli atti che Lucio Parrinello, nei tre anni precedenti il sinistro, aveva goduto di un reddito imponibile annuo medio di £ 9.156.666, rappresentato da proventi di lavoro autonomo.
L'esistenza del rapporto di coniugio tra il defunto e le attrici e' circostanza idonea a far ritenere - secondo cio' che per lo piu' accade - una stabile contribuzione economica del defunto a sostegno di moglie e figlia.
Puo' dunque concludersi che le attrici abbiano subi'to un pregiudizio economico in conseguenza della morte di Lucio Parrinello, pari alle minori spese che verosimilmente il defunto avrebbe erogato a beneficio del nucleo familiare. Essendo praticamente impossibile la aestimatio di questo danno nel suo preciso ammontare, anche in questo caso dovra' farsi ricorso al criterio equitativo (ex plurimis, Cassazione 592/99, in Rivista giuridica circ. trasp., 1999, 1017).
Dunque a titolo di risarcimento di questa voce di danno (perdita di utilita' future), puo' cosi' procedersi:
- si ipotizza una vita residua del de cujus della durata di 12 anni, ovvero 70 (eta' media degli individui di sesso maschile) meno 58 (eta' al momento della morte); occorre fare riferimento alla vita biologica e non a quella lavorativa, in quanto deve ritenersi ex articolo 115 Cpc che, anche dopo il pensionamento, Lucio Parrinello non avrebbe certamente sospeso l’ausilio economico alla propria moglie;
- si ipotizza altresi' che i superstiti abbiano subi'to un nocumento pari alla perdita di quella parte delle entrate da lavoro autonomo che il defunto verosimilmente destinava alla propria famiglia;
- si ipotizza che il defunto destinasse alla famiglia i 2/3 dei propri redditi (ripartita in parti uguali tra moglie e figlia); la quota di reddito concretamente erogata ai congiunti viene dunque equitativamente determinata, ex articolo 2056 Cc, in € 2.322,78 attuali pro capite per moglie e figlia.
Si perviene alla somma teste' indicata:
(a) rivalutando il reddito medio percepito da Lucio Parrinello nei tre anni anteriori al sinistro (£ 9.156.666), in base all’indice Foi elaborato dall’Istat e relativo al maggio 1985 (1,9762);
(b) dividendo il risultato (18.095.403,34) per tre, al fine di individuare la quota destinata rispettivamente a moglie e figlia (£6.031.801,11, pari a € 3.115,16);
- si ipotizza che comunque l’erogazione di somme a favore della figlia sarebbe cessata col conseguire, da parte di quest'ultima, la piena indipendenza economica;
- si ipotizza, in base agli attuali costumi sociali, valutati sulla scorta delle piu' accreditate risultanze statistiche, che - con l'alzarsi del tasso globale di scolarizzazione della popolazione - si elevi l'eta' di primo ingresso nel mondo del lavoro, con conseguente ritardo nel distacco del figlio dal nucleo familiare e nel raggiungimento della indipendenza economica, e che, secondo la comune esperienza; secondo un normale giudizio probabilistico; secondo un criterio di normalita' (cfr. Cassazione 2039/77; 6651/82; 6029/86), tale totale indipendenza sia raggiunta all'eta' di 28 anni.
In definitiva, deve presumersi ex articolo 2056 Cc che Luciana Camera, ove il proprio marito fosse sopravvissuto, avrebbe percepito una rendita annua di € 3.115,16 attuali per 12 anni (sino alla morte naturale del merito); e Paola Parrinello avrebbe beneficiato di una identica rendita per tre anni (fino al conseguimento dell’indipendenza economica).
Poiche' dal momento del sinistro sono passati purtroppo ben piu' di 12 anni, i redditi perduti dalle attrici costituiscono un danno passato, non un danno futuro: non e' quindi luogo a procedere alla capitalizzazione, necessaria invece per la liquidazione di danni consistenti nella perdita di redditi futuri.
Ne consegue che il danno patrimoniale va determinato sommando i redditi perduti rivalutati: e dunque il pregiudizio subito da Luciana Camera ammonta a € 37.381,92 attuali; quello subito da Paola Parrinello ammonta a € 9.345,48 attuali.
Non sono stati provati altri danni patrimoniali risarcibili. Inammissibile, nella specie, il ricorso all’articolo 1226 Cc per liquidare le spese funerarie, in quanto: (a) in ordine all’an debeatur, e' pur sempre necessario che il danneggiato dimostri di averle sostenute, tali spese (ben potendo essere state accollate da un terzo); (b) in ordine al quantum, il ricorso all’articolo 1226 Cc si giustifica nei casi di prova difficile od impossibile, non di prova mancata per inerzia delle parti. E certo non puo' ritenersi «impossibile» fornire la prova delle spese sostenute per le esequie.

5. Danno biologico iure proprio.
Ambedue le attrici hanno allegato di avere subito un danno alla salute in conseguenza della morte del proprio congiunto.
Tale domanda e' palesemente infondata.
Degli allegati disturbi psichici non e' rimasta la minima traccia (referti, visite, prescrizioni mediche, consulti, tickets per l’acquisto di farmaci, ecc.) per undici anni. Poi, all’approssimarsi del giudizio, le attrici si sono rivolte a due specialisti i quali hanno ritenuto di ravvisare nel loro atteggiamento un disturbo psichico.
Cio' premesso in facto, si osserva in iure che e' nozione di fatto rientrante nella comune esperienza quella secondo cui, con l’allontanarsi nel tempo dell’evento psichicamente stressante, la sofferenza si attenua e si «struttura», tendendo a scomparire. Non e' pertanto credibile (ne' sostenibile) che una patologia psichica, rimasta silente per 11 anni, emerga improvvisamente; e comunque, quand’anche tale patologia esistesse effettivamente, il lungo tempo trascorso deve far escludere l’esistenza d’un valido nesso causale tra essa e l’evento luttuoso del quale e' causa, e cio' sia per il diritto (arg. ex articolo 1223 Cc); sia per la medicina legale, per la quale il nesso di causalita' tra evento lesivo e postumi va accertato anche in base al criterio cosiddetto cronologico, il quale richiede o la contiguita' temporale tra evento lesivo e postumi, ovvero la documentazione di una storia clinica non interrotta tra l’uno e gli altri.

6. Danno biologico iure haereditatis.
Secondo la prospettazione attorea, come esplicata nella comparsa conclusionale, Lucio Parrinello (infortunatosi il 27 maggio e deceduto il successivo 3 giugno), nell’arco di tempo tra l’infortunio e l’exitus avrebbe acquistato, e di conseguenza trasmesso agli eredi, il diritto al risarcimento del danno biologico.
Effettivamente, se la morte sopravviene a distanza di tempo dall’infortunio, la vittima subisce una lesione della salute, nell’arco di tempo che va dall’infortunio alla morte, che puo' assumere rilevanza giuridica ad una condizione: che la vittima sia in grado di avvertire la «perdita» (biologica) subita, e quindi di patire un danno biologico risarcibile.
Infatti, in virtu' della incompatibilita' «ontologica» tra lesione della salute e perdita della vita, nell’ipotesi di sopravvivenza quodam tempore della vittima il danno biologico e' trasmissibile non perche' la vittima sia sopravvissuta (il che non avrebbe senso), ma perche' ha subi'to un danno giuridicamente apprezzabile, danno che invece manca allorche' la morte sia immediata, ovvero allorche' la vittima non sia in grado di percepire la propria menomazione, pur non essendo la morte immediata.
Quel che rileva, dunque, ai fini della risarcibilita' del danno biologico agli eredi della vittima, nel caso di sopravvivenza quodam tempore di quest’ultima, non e' se la sopravvivenza sia stata lunga o breve, ma se la vittima, nel tempo intercorso tra le lesioni e la morte, abbia patito un danno biologico: abbia, cioe', avuto la possibilita' di percepire se stessa e la propria esistenza irrimediabilmente vulnerate e compromesse. Se, infatti, l’essenza del danno biologico va ravvisata in una perdita di tipo esistenziale, cioe' nella perduta possibilita', per la vittima, di godere delle ordinarie occupazioni cui attendeva prima del sinistro, tale danno non puo' essere ravvisato allorche' l’infortunio sia stato di entita' tale da sopprimere le facolta' neurosensoriali della vittima, si' da ridurla in uno stato vegetativo (cfr., esattamente in terminis, Cassazione 1704/97, in Rivista giuridica circ. trasp., 1997, 316; cfr. altresi', con riferimento alla inconfigurabilita' del danno morale in capo al soggetto che versi in stato di totale incoscienza, Cassazione 4970/01, in Diritto e giustizia, 2001).
A queste conclusioni nulla aggiunge e nulla toglie la recente sentenza di Cassazione 4783/01, in Rivista giuridica circolaz. trasp., 2001, 297, invocata da parte attrice: tale decisione, infatti, non ha fatto che ribadire l’inesistenza d’una corrispondenza necessaria (e, qui si aggiunge, biunivoca) tra durata della sopravvivenza e risarcibilita' iure haereditario del danno biologico patito dalla vittima.
Il danno biologico puo' dunque sussistere anche se la sopravvivenza e' stata brevissima, quando la vittima sia restata vigile e cosciente; mentre puo' mancare, anche nel caso di sopravvivenza prolungata, quando le facolta' intellettive dell’infortunato siano state del tutto soppresse dalle lesioni seguite al trauma.
Nel caso di specie, come gia' detto, il decesso sopraggiunse 7 giorni dopo il sinistro.
Risulta tuttavia dagli atti depositati dall’attore (rapporto della polizia stradale e referto ospedaliero) che Lucio Parrinello subi' devastanti lesioni toraco-addominali, e venne ricoverato nel reparto rianimazione.
Deve quindi presumersi (articolo 2727 Cc) che la vittima giunse al nosocomio in stato di incoscienza: altrimenti non ci sarebbe stato bisogno del suo ricovero nel reparto rianimazione.
Pertanto in mancanza di ulteriori elementi, che sarebbe stato onere delle attrici fornire, deve concludersi che, sebbene la vita biologica di Lucio Parrinello sia cessata dopo sette giorni dall’infortunio, la sua esistenza di uomo sia cessata immediatamente dopo quest’ultimo. La vittima dunque non ha acquisito, ne' di conseguenza trasmesso agli eredi, alcun diritto al risarcimento del danno biologico (cfr. in terminis, da ultimo, Tribunale Roma 21 novembre, in Giurisprudenza romana, 2002, 113).

7. Altri danni invocati dalle attrici.

7.1 La domanda di risarcimento del danno «da perdita del diritto alla vita», asseritamente subito dal de cuius e da questi trasmesso agli eredi, e' infondata. Sul punto bastera' richiamare, per brevita', i decisa di Cassazione 2134/00, in Arc. giur. circolaz., 2000, 756 Cassazione 1633/00, in Rivista giuridica circolaz. trasp., 2000, 927; Cassazione 13336/99, in Foro it. Rep. 1999, voce Danni civili, numero 156; Cassazione 12756/99, in Foro it. Rep. 1999, voce Danni civili, numero 206; Cassazione 1131/99, in Foro it. Rep. 1999, voce Danni civili, numero 205; Cassazione 491/99, in Foro it. Rep. 1999, voce Danni civili, numero 204; Cassazione 12083/98, in Foro it. Rep., 1998, voce Danni civili, 166; Cassazione 10085/98, in Resp. civ., 1999, 752; Cassazione 8970/98, in Rivista giuridica circolaz. trasp., 1998, 951; Cassazione 6404/98, in Foro it. Rep., 1998, voce Danni civili, numero 168; Cassazione 5136/98, in Foro it. Rep., 1998, voce Danni civili, numero 170; Cassazione 3561/98, in Arch. circolaz., 1998, 777, che questo tribunale condivide pienamente.
Secondo parte attrice, nondimeno, l’orientamento della suprema corte (e di questo tribunale) sopra richiamato si porrebbe in contrasto con il trattato istitutivo dell’UnioneeEuropea e con la Convenzione europea sui diritti dell’uomo, in quanto non garantirebbe tutela al «diritto alla vita».
La tesi e' infondata, in quanto:
(a) il diritto alla vita e' ampiamente tutelato nel nostro ordinamento (cfr., ex permultis, articoli 575, 589 Cp; articolo 1 legge 194/78; articolo 85 dpr 1124/65);
(b) il risarcimento per equivalente non e' l’unica forma di tutela che l’ordinamento deve apprestare;
(c) il risarcimento per chi perde la vita si traduce in sostanza in una «tutela» non per la vittima, ma per i suoi eredi, e questi nel nostro ordinamento godono gia' dell’ampia tutela risarcitoria prevista dagli articoli 2043 e 2059 Cc.
Non esistono dunque, in subiecta materia, nel nostro ordinamento ne' lacune, ne' contrasti con l’ordinamento comunitario: e cio' a prescindere dalla risolutiva osservazione che il giudice nazionale puo' disapplicare norme interne con l’ordinamento comunitario, ma non puo' «creare» in via interpretativa norme attributive di diritti, se questi non siano previsti da fonti comunitaria ad efficacia orizzontale.

7.2. Luciana Camera chiede, altresi', il risarcimento del danno alla vita sessuale, consistito nella forzosa rinuncia ad avere rapporti col proprio partner, deceduto in conseguenza dell’altrui illecito.
Cosi' formulata, la tesi e' infondata: il danno in esame, per come configurato dalla suprema corte (Cassazione 6607/86, impropriamente richiamata da parte attrice) presuppone infatti l’esistenza in vita del partner. Soltanto in questo caso, infatti, ci si puo' legittimamente dolere della scelta drammatica imposta dall’atto illecito del terzo, tra l’astinenza o la rottura della fedelta' coniugale. Per contro, sciolto il matrimonio per morte del coniuge e riacquistato lo stato libero, nulla piu' impedisce al coniuge del defunto di avere rapporti sessuali quomodolibet.
Ove, poi, il danno in questione si volesse far coincidere con la sofferenza causata dalla perdita del ius in corpus, tale pregiudizio ha natura morale, ed e' gia' stato risarcito attraverso la liquidazione di quest’ultimo tipo di danno.

7.3. Quanto al cosiddetto danno esistenziale, definito da parte attrice come la «modificazione in peius della personalita' del leso», si osserva quanto segue.
Alcune decisioni giurisprudenziali (di legittimita' e di merito) hanno ritenuto configurabile un tipo di danno, definito talora «danno esistenziale», talora in altro modo (la stessa incertezza lessicale evidenzia la fumosita' di tale figura), diverso tanto dal danno alla salute, quanto dal danno morale, quanto da quello patrimoniale.
Tale danno consisterebbe nella forzosa rinuncia alle proprie abitudini di vita, in conseguenza del fatto illecito del terzo.
Nella maggior parte delle decisioni che hanno ritenuto esistente tale tipo di danno, il fondamento normativo viene solitamente ravvisato in una norma composita, ricavata in via interpretativa dal combinato disposto dell’articolo 2043 (sanzione) Cc e di una norma costituzionale (precetto), secondo lo «schema» adottato da Corte costituzionale 184/86 per sostenere la risarcibilita' ex articolo 2043 Cc del danno biologico (cfr., sia pure con motivazioni tra loro non omogenee, Giud. pace Sora 10 luglio 2000, in Giurispr. romana, 2001, 341; tribunale Milano 31 maggio 1999 e tribunale Treviso 25 novembre 1998, ambedue in Rivista giuridica circolaz., 2000, 143; tribunale Torino, 8 agosto 1995, in Resp. civ., 1996, 282).
A questo orientamento non consolidato, multiforme negli esiti e polisenso nelle motivazioni, possono muoversi quattro ordini di obiezioni.
In primo luogo, esso si richiama ad un orientamento, o meglio, ad una (sola) pronuncia della Corte costituzionale, il cui fondamento argomentativo e' stato successivamente abbandonato dalla stessa Consulta. Infatti, con la sentenza 372/94, in Giustizia civile, 1994, I, 3029, il Giudice delle leggi ha chiaramente ritenuto non condivisibile il principio secondo cui la lesione di un diritto costituzionalmente protetto fosse risarcibile di per se', a prescindere dalle conseguenze che tale lesioni abbia cagionato, chiaramente affermando che il risarcimento presuppone sempre una «perdita di tipo patrimoniale o personale». Assunto, questo, da tempo condiviso dal giudice di legittimita', che ha osservato (con riferimento al danno biologico, ma le conclusioni non cambiano rispetto a qualsiasi altro tipo di danno): «per il [danno biologico] non vale la regola che, verificatosi l'evento, vi sia senz'altro un danno da risarcire.
Il risarcimento del danno vi sara' se vi sara' perdita di quelle utilita' che fanno capo all'individuo nel modo preesistente al fatto dannoso e che debbono essere compensate con utilita' economiche equivalenti» (Cassazione, 4991/96, in Foro it., 1996, I, 3107).
In secondo luogo, la tesi del «danno esistenziale» sembra trascurare del tutto che il nostro sistema della responsabilita' civile si fonda sul criterio della colpa, con poche (anche se non marginali) eccezioni (ad esempio, quelle di cui agli articoli 2048, 2050, 2052 Cc). La nozione di colpa civile, distinta da quella di colpa penalmente rilevante (Cassazione, 1375/96, in Arch. circolaz., 1996, 537; Pret. Forli', 19 febbraio 1986, in Resp. civ. prev., 1986, 176), viene tradizionalmente fondata su due elementi: da un lato l’idea di deviazione, di scostamento, di abbandono, di inosservanza di una regola di condotta, sia essa frutto di una norma di legge, regolamentare, contrattuale, deontologica, di comune prudenza (arg. ex articolo 1176 Cc). Dall’altro lato, la nozione di colpa viene tradizionalmente fondata sull’idea della concreta prevedibilita' ed evitabilita' dell’evento. Nella prevedibilita' ed evitabilita', anzi, risiede la distinzione tra colpa e caso fortuito: giacche' non sarebbe giusto ne' condivisibile ascrivere ad un soggetto le conseguenze di un fatto che egli non poteva ne' prevedere ne' evitare. La necessaria prevedibilita' dell’evento dannoso e' stata affermata anche dalla Corte costituzionale, la quale ha espressamente affermato che, la' dove essa manchi, non e' possibile una valutazione autonoma della colpa (Corte costituzionale, 372/94, in Giustizia civile, 1994, I, 3029). Ovviamente, la prevedibilita' o prevenibilita' dell’evento non va confusa con la prevedibilita' delle conseguenze dannosa da esso scaturite. Come noto, infatti, in materia extracontrattuale il danneggiante risponde anche delle conseguenze imprevedibili della propria condotta.
E' a questo punto, pero', che la nozione di danno esistenziale sembra entrare in apparente collisione con la nozione di colpa come ora tratteggiata. Infatti delle due l’una:
(a) se il danno esistenziale, come i suoi sostenitori mostrano di ritenere, va qualificato «danno-conseguenza», la prevedibilita' o la prevenibilita' dell’evento dannoso (fonte del danno esistenziale, cioe' il «danno-evento» propriamente detto) dovra' necessariamente concernere una lesione ontologicamente diversa dalla perdita dell’attivita' esistenziale: e quindi, ancora una volta, una lesione o biologica, o patrimoniale o morale. Insomma, se il danno esistenziale e' un danno-conseguenza, esso presuppone un danno-evento che difficilmente potrebbe collocarsi al di fuori delle tre categorie tradizionali. Ma, se cosi' e', gli effetti della lesione dovranno essere retti dalle regole consuete, e quindi:
(-) in caso di lesione della salute, le perdite esistenziali da questa causate sono gia' oggi risarcibili, ex articoli 32 Costituzione e 2043 Cc;
(-) in caso di danno patrimoniale, le perdite esistenziali da esso causate non sono risarcibili, ex articoli 1223 e 2056 Cc;
(-) in caso di danno morale, le perdite esistenziali, in quanto fonte di sofferenza, sono gia' oggi risarcibili ex articolo 2059 Cc;
(b) se invece, per evitare le secche del doppio nesso causale tra condotta illecita e danno-evento, e tra quest’ultimo e danno-conseguenza, si volesse configurare il danno esistenziale come danno-evento, allora verrebbe a mancare del tutto il requisito della prevedibilita' o prevenibilita' dell’evento di danno, e con esso la configurabilita' stessa della colpa civile. Le attivita' esistenziali astrattamente compromettibili per effetto dell’altrui illecito, infatti, sono troppo varie e multiformi per potere essere ritenute prevedibili dal danneggiante.
Il primo nodo irrisolto della nozione di danno esistenziale appare dunque cosi' riassumibile:
(-) se questo danno e' un danno-evento, esso e' imprevedibile e dunque non puo' essere ascritto all’offensore a titolo di colpa;
(-) se esso e' un danno-conseguenza, presuppone necessariamente un danno-evento, che dovra' incidere sulla salute, sul patrimonio o sul morale, ed ubbidire alla regole risarcitorie normativamente poste o giurisprudenzialmente elaborate per questi tre tipi di danno.
In terzo luogo, sul piano de contenuto, la nozione di «danno esistenziale» deve affrontare una «scelta tragica»:
(a) o ammettere che persino la perduta possibilita' - ad esempio - di fare schiamazzi, imbrattare i muri, ed insomma di compiere qualsiasi insignificante gesto quotidiano costituisce un danno risarcibile: ed in questo caso l’interprete deve spiegare perche' mai debba considerarsi «ingiusta» la perdita della possibilita' di compiere un gesto od un’attivita' insignificanti, inutili od illeciti;
(b) ovvero, ammettere che non qualsiasi perdita esistenziale possa costituire un danno risarcibile: ed in questo caso l’interprete avra' il non agevole compito di individuare il «selettore», cioe' il criterio in base al quale discernere le perdite esistenziali meritevoli di tutela risarcitoria da quelle non risarcibili, e non e' difficile prevedere che l’attivita' esistenziale meritevole di tutela sara' immancabilmente ancorata o a princi'pi costituzionali, o a norme di legge. Ma, in questo modo, viene a perdersi tutta la portata innovativa del danno esistenziale: se infatti, perche' il danno sia risarcibile, e' necessario individuare la norma costituzionale o la norma di legge alla quale «ancorare» l’ingiustizia del danno, non c’e' bisogno di mettere in campo una nuova figura, in quanto gia' oggi la lesione di un interesse normativamente qualificato costituisce un danno risarcibile, secondo quanto stabilito da Cassazione sezioni unite 500/99. Secondo quest’ultima decisione della Corte di legittimita', qualsiasi lesione, e quindi qualsiasi perdita (patrimoniale, biologica, morale od esistenziale), puo' dar luogo a un risarcimento, a condizione che l’interesse leso: (a) sia protetto da disposizioni specifiche; ovvero (b) sia oggetto di norme che rivelano una esigenza di protezione. Nel primo caso, il risarcimento sara' sempre dovuto, purche' sussistano gli altri elementi dell’illecito; nel secondo caso, il risarcimento sara' dovuto se il giudice accerti, nel caso concreto, la prevalenza dell’interesse leso rispetto a quello, eventualmente concorrente, dell’offensore.
In quarto luogo, ed e' quel che appare assolutamente risolutore, il concreto pregiudizio che si intende coonestare come «danno esistenziale» non riesce a distinguersi in nulla dal danno morale.
Secondo i sostenitori della tesi del danno esistenziale, quest’ultimo costituisce una rinuncia ad un facere, ad una attivita' positiva, mentre il danno morale costituisce una mera sofferenza soggettiva, interiore, inesprimibile, un pati.
A tale affermazione puo' replicarsi, innanzitutto, che e' pericoloso e controproducente sostenere che il danno morale costituisce una sofferenza «interna». Se cosi' fosse, tale danno non potrebbe mai essere dedotto ne' provato in giudizio, giacche' i moti dell’animo sono noti solo a chi li avverte. Il risarcimento del danno morale diverrebbe cosi' una pura e semplice sanzione, o - se si preferisce - un grazioso regalo, che il danneggiato avrebbe sempre diritto di pretendere, a prescindere da qualsiasi dimostrazione circa l’effettiva esistenza di esso.
Inoltre, non convince la distinzione tra danno morale e danno esistenziale fondata sul rilievo secondo cui chi subisce un danno morale «soffre», mentre chi subisce un danno esistenziale «non fa». La sofferenza morale causata dall’illecito, infatti, e' sempre una sofferenza causata da una rinuncia: tanto e' vero che nessuno potrebbe ragionevolmente sostenere che costituisce un danno la rinuncia ad attivita' sgradite o spiacevoli. Ma se cosi' e', deve concludersi che il c.d. «danno esistenziale» non e' che la sofferenza causata da una rinuncia, cioe' un pregiudizio d’affezione, e quindi un danno morale.
Cosi', nel caso di specie, la sofferenza causata dalla perdita di uno stretto congiunto, indubbiamente puo' condurre a molteplici rinunce (andare al cinema, andare a passeggio, visitare musei e mostre, eccetera). Ma questo tipo di danno, conseguenza della sofferenza morale, gia' oggi viene «messo in conto» e valutato al momento della liquidazione del danno morale. Se si ammettesse, accanto a quest’ultimo, la risarcibilita' anche del danno esistenziale, delle due l’una: o si compie una duplicazione risarcitoria, liquidando due volte la pecunia doloris per le medesime privazioni; oppure, se si «scomputa», per cosi' dire, il danno esistenziale da quello morale, quest’ultimo corre il rischio di divenire una entita' sfuggente e difficilmente valutabile.
La sovrapponibilita' concettuale tra danno morale ed esistenziale emerge anche su un piano piu' prettamente giuridico. I sostenitori della tesi del danno esistenziale affermano che il danno morale risarcibile ex articolo 2059 Cc sarebbe rappresentato dalla mera «sofferenza»; mentre il danno esistenziale risarcibile ex articolo 2043 Cc sarebbe rappresentato dalla lesione di un diritto costituzionalmente protetto. Orbene, poiche' si afferma la diversita' ontologica di questi due pregiudizi, deve concludersi che i sostenitori della tesi in esame ammettono implicitamente che il danno morale ex articolo 2059 Cc non costituisce una lesione di diritti costituzionalmente protetti. Se, infatti, la «sofferenza morale» costituisse lesione di un diritto costituzionalmente protetto, l’articolo 2059 Cc dovrebbe di necessita' ritenersi costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui ne limita il risarcimento. Invece, nessuno dei sostenitori della tesi del danno esistenziale prospetta un esito demolitorio della norma in esame, come se il danno morale non costituisse mai un vulnus ad alcun diritto costituzionalmente protetto.
Ma questa conclusione e' palesemente insostenibile. La sofferenza per la perdita d’una persona cara, per la perdita della salute, per la perdita della reputazione, per la perdita della stima da parte dei propri familiari, se causate dall’altrui atto illecito, costituiscono altrettante gravi violazioni di altrettanti diritti costituzionalmente protetti. Il danno morale dunque deriva (o almeno deriva anche) dalla lesione di diritti tutelati a livello di costituzione; ma se cosi' e', non si comprende come la vittima possa pretendere il risarcimento d’un danno esistenziale per la perdita di un’attivita' oggetto di tutela costituzionale, e nel contempo il risarcimento d’un danno morale per la sofferenza causata da quella rinuncia. Medesima e' la lesione, medesima la sofferenza, ma duplice il risarcimento invocato.
Si consideri, inoltre, che tra i vari «casi previsti dalla legge» in cui e' risarcibile il danno morale, rientrano l’impiego di modalita' illecite nella raccolta di dati personali (articolo 29, comma 9, legge 675/96), e l’adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi (articolo 44, comma 7, decreto legislativo 286/98). Ebbene, sarebbe assai difficile sostenere che il diritto alla riservatezza dei propri dati personali o quello a non essere discriminati per ragioni razziali non costituiscano diritti costituzionalmente garantiti. Eppure, se il legislatore ha voluto espressamente prevedere la risarcibilita' del danno morale anche in questi casi, vuol dire che gli strumenti ordinari (primo fra tutti, l’articolo 2043 Cc) non erano sufficienti a dare tutela ai diritti in esame. Detto altrimenti: se davvero, come sostengono i sostenitori della tesi del danno esistenziale, il combinato disposto dell’articolo 2 Costituzione e 2043 Cc consentisse di risarcire il danno (per restare nell’esempio) da discriminazione razziale che non costituisca reato e non causi perdite patrimoniali o biologiche, l’articolo 44, comma 7, decreto legislativo 286/98 non avrebbe alcun senso, ed il legislatore avrebbe sancito la risarcibilita' di un danno che sarebbe stato comunque pacificamente risarcibile, anche in assenza della suddetta norma.
In conclusione, la teoria del danno esistenziale non costituisce che un raffinatissimo tentativo di aggirare (consapevolmente o meno) il divieto di cui all’articolo 2059 Cc: tentativo ammissibile nelle sedi scientifiche, non in quelle giudiziarie, ove il giudice ha il compito di applicare la legge, non di disapplicarla.

8. Il credito risarcitorio delle attrici risulta cosi' ammontare:
- per Luciana Camera, a € 138.065,92 in conto capitale;
- per Paola Parrinello, a € 89.888,48 in conto capitale.
Risulta tuttavia dagli atti che le attrici hanno percepito dalla Milano spa in data 11 maggio 1989 la somma di € 25.822,84 ciascuna; ed in data 16 gennaio 1997 le ulteriori somme di € 103.291,38 (Luciana Camera) e 51.645,69 (Paola Parrinello), trattenute in conto del maggior danno.
Essendo il credito delle attrici una obbligazione di valore, non trova applicazione il principio di cui all’articolo 1194 c.c..
Ne consegue che, secondo il consolidato insegnamento della Suprema Corte (Cassazione 1982/90; Cassazione 11014/91; Cassazione 6228/94; Cassazione 2117/96), la somma gia' versata va rivalutata in base all’indice Istat del costo della vita per le famiglie di impiegati ed operai relativo al momento dei pagamenti parziali (1,5908 e 1,1085), e sottratta dal credito come sopra liquidato.
In esito a tale calcolo, il credito risarcitorio residuo delle attrici in conto capitale risulta interamente risarcito: addirittura con un’eccedenza di € 17.512 per Luciana Camera, e di € 8.440 per Paola Parrinello.
8.1. Alle danneggiate va tuttavia attribuita una ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante, per il mancato godimento dell’importo sopra liquidata a titolo di risarcimento, importo che - ove posseduto ex tunc - sarebbe stato presumibilmente investito per ricavarne un lucro finanziario.
Tale somma deve determinarsi equitativamente ex articolo 2056 comma I Cc, secondo il piu' recente orientamento giurisprudenziale (cfr. Cassazione, sezioni unite, 1712/95), col metodo seguente:
- a base di calcolo va posta non la somma sopra liquidata (cioe' rivalutata ad oggi), ma l’originario importo rivalutato anno per anno;
- su tale importo va applicato un saggio di rendimento ricavato - equitativamente - dalla media ponderata del rendimento dei titoli di stato e dal tasso degli interessi legali (7,00%);
- tale saggio va computato sull’intero importo del danno, per il periodo che va dalla data dell’evento dannoso alla corresponsione del primo acconto; sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto rivalutato, per il periodo che va dall’11.5.1989 (corresponsione del primo acconto) al 16.1.1997 (corresponsione del secondo); sulla somma che residua dopo la detrazione dei due acconti rivalutati, dal 17.1.1997 ad oggi.
Ne risulta che il lucro cessante patito dalle attrici ammonta:
- per Luciana Camera, a € 71.188 (ovvero € 28.672 maturati sino all’11.5.1985, ed € 42.516 maturati sino al 16.1.1997);
- per Paola Parrinello, a € 40.063 (ovvero € 18.667 maturati sino all’11.5.1985, ed € 21.396 maturati sino al 16.1.1997).
In considerazione del fatto che, come sopra evidenziato, la Milano risulta avere versato somme eccedenti rispetto al danno liquidato in sentenza, appare equo scomputare le somme pagate in eccesso dalla Milano, sopra evidenziate, dal danno da lucro cessante, al fine di evitare indebiti arricchimenti.
Il danno da lucro cessante subito da Luciana Camera risulta dunque ammontare a € 53.676 (ovvero € 71.188 - 17.512); quello subito da Paola Parrinello risulta ammontare a € 31.623 (ovvero € 40.063 - € 8.440).
Sulle somme ora indicate decorrono gli interessi legali dal giorno della pubblicazione della sentenza.

9. L’eccezione di incapienza del massimale sollevata dalla Milano va rigettata. Nel caso di specie, infatti, la responsabilita' dell’assicurato emergeva con solare evidenza gia' dal rapporto redatto dalla polizia stradale, sicche' la renitenza della Milano all’adempimento del proprio obbligo di indennizzo appare grave ed inescusabile. Ne consegue che la stessa va condannata, anche oltre il massimale, al pagamento delle somme sopra liquidate.

10. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, avuto riguardo all’effettivo contenuto economico residuo della controversia.
Non sono rifondibili le spese inutili e superflue, quali ad esempio quelle derivanti dalla costituzione con atti separati (ma col medesimo difensore) di madre e figlia, il che ha comportato una duplicazione delle notifiche e delle conseguenti attivita' difensive.
E' opportuno aggiungere, a fronte delle allegazioni di parte attrice in merito alle determinazioni del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di altri distretti, che la potestas iudicandi demandata a questo Tribunale dall’articolo 92 Cpc ha da attenersi solo alla legge, e non a suggerimenti o voti di chicchessia. Del resto, e' proprio la possibilita' per il giudice di disattendere le tariffe forensi che ha «salvato» queste ultime dalla declaratoria di contrarieta' all’ordinamento comunitario, secondo quanto stabilito dalla recente decisione di Corte giustizia Ce, 19 febbraio 2002, in causa C-35/99, Arduino.


PQM

Il tribunale, definitivamente pronunciando, cosi' provvede:
-) condanna Stefano Aquilanti, Giancarlo Falappa e Milano spa in solido al pagamento in favore di Luciana Camera della somma di euro 53.676, oltre interessi come in motivazione;
-) condanna Stefano Aquilanti, Giancarlo Falappa e Milano spa in solido al pagamento in favore di Paola Parrinello della somma di euro 31.623, oltre interessi come in motivazione;
-) condanna Stefano Aquilanti, Giancarlo Falappa e Milano spa alla rifusione in favore di Paola Parrinello e Luciana Camera delle spese del presente giudizio, che si liquidano in euro 1.200 per spese; euro 2.200 per diritti di procuratore; euro 4.400 per onorari di avvocato, per complessivi euro 7.800, oltre Iva e Cnp, che si distraggono in favore dell'avvocato Michele Liguori, il quale ha dichiarato ex articolo 93 comma I Cpc di aver anticipato le spese e di non aver riscosso gli onorari

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