Trib. Torre Annunziata, 20 marzo 2002 [Giud.
D'Elia]
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 19 giugno 1996 Amato
Giuseppina conveniva in giudizio avanti al Tribunale di
Napoli Piacente Giuseppina, Polise Vincenzo e la Fondiaria
Assicurazioni spa –in persona del rappresentante legale
pro tempore -, per sentirli condannare al risarcimento dei
danni subiti a seguito delle lesioni personali cagionategli
dal Polise.
L’attrice precisava che, in data 18 aprile 1995 alle
ore 21,00 in Castellammare di Stabia, veniva investita dal
Polise, che era alla guida dell’auto Fiat Uno tg.
NAM22868 (assicurata con la societa' assicuratrice convenuta
e di proprieta' della Piacente), di talche' non solo abortiva
(essendo gravida alla sesta settimana), ma riportava anche
svariate gravi lesioni (con la rottura del vestiario) per
cui si rendeva necessario l’immediato trasporto all’ospedale
locale. In particolare, l’Amato chiariva che mentre
era intenta ad attraversare la strada –essendosi alcuni
veicoli che sopravvenivano momentaneamente fermati per consentirle
l’attraversamento-, raggiunto gia' il margine opposto
della carreggiata, veniva improvvisamente investita dall’auto
guidata dal Polise, che a forte velocita' procedeva al sorpasso
della predetta fila di veicoli momentaneamente fermi e slittava
sul manto stradale bagnato. A sostegno di quanto riferito
produceva copiosa documentazione (cartelle cliniche e certificati
medici attestanti la degenza e lo stato morboso, una relazione
di consulenza medico-legale, ecc.) e chiedeva che venisse
espletata Ctu medico-legale sulla sua persona, oltre l’ammissione
di prova testimoniale sulle circostanze dedotte e l’interrogatorio
formale del Polise.
Instauratosi il contraddittorio, si costituivano tutti i
convenuti che preliminarmente eccepivano l’incompetenza
territoriale del giudice adito per essere competente il
tribunale di Torre Annunziata, e nel merito impugnavano
la ricostruzione dell’evento cosi' come riprodotta
nell’atto di citazione, deducendo l’esclusiva
responsabilita' dell’Amato, che non aveva attraversato
sulle strisce pedonali.
Interveniva volontariamente Spagnuolo Domenico, marito dell’attrice,
che si associava alle richieste dell’Amato, e chiedeva
il risarcimento dei danni subiti sia in proprio che quale
erede del nascituro.
Con ordinanza del 22 aprile 1997 il giudice del tribunale
di Napoli accoglieva l’eccezione di incompetenza per
territorio, cui si era associata anche parte attrice, e
disponeva la cancellazione della causa dal ruolo ex articolo
38- comma 2- Cpc.
Veniva, quindi, riassunto il giudizio dall’Amato avanti
a questo tribunale, si costituivano regolarmente i convenuti,
ed interveniva lo Spagnuolo. Veniva ammessa ed espletata
la prova testimoniale, nonche' la Ctu, mentre il Polise
non si presentava per rendere interrogatorio. Precisate
le conclusioni, la causa veniva assegnata in decisione.
Motivi della decisione
Preliminarmente va dichiarata la proponibilita' della domanda,
avendo l'attrice adempiuto alle formalita' di cui all'articolo
22 legge 990/69, come comprovato dalla raccomandata prodotta
in atti ricevuta in data 15.3.1996. Stesso discorso vale
anche per l’interventore, che ha adempiuto alle formalita'
di cui al predetto articolo 22 con la raccomandata ricevuta
dalla societa' assicuratrice in data 5 febbraio 1996.
Ritiene, ancora, il giudice che l’attrice abbia fornito
ampia prova della propria legittimazione attiva, emergendo
detta qualita' dal verbale redatto dal drappello ospedaliero
di P.S., ed avendo l’Amato prodotto in giudizio copiosa
documentazione medica comprovante le lesioni conseguenti
al sinistro per cui e' causa nonche' la richiesta di risarcimento
danni ex articolo 22 legge990/69. A tal proposito, invero,
si evidenzia che soggetti legittimati attivamente sono tutti
i danneggiati e, cioe', tutti coloro che abbiano subito
un danno in rapporto causale con il sinistro: la legittimazione
ad agire, infatti, consiste nella titolarita' del potere
e del dovere —rispettivamente per la legittimazione
attiva e per quella passiva— di promuovere o subire
un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in
causa, secondo la prospettazione offerta dall'istante, indipendentemente
dall'effettiva titolarita', dal lato attivo o passivo, del
rapporto stesso; peraltro, nel caso specifico i fatti allegati
non sono stati oggetto di specifica contestazione.
Risulta anche provata la legittimazione passiva dei convenuti,
come si rileva dalla documentazione prodotta dall’attrice
(certificato cronologico del veicolo investitore per quanto
concerne la proprieta' dell’auto, relazione redatta
dal drappello ospedaliero di P.S. ove emerge che l’auto
era guidata dal Polise al momento del sinistro) e, comunque,
non oggetto di precisa contestazione.
Ancora, sempre in via preliminare, va disattesa l’eccezione
di estinzione del processo sollevata da parte convenuta
per non essere stato riassunto nei confronti dell’interventore
a seguito dell’ordinanza di incompetenza per territorio
resa dal tribunale di Napoli: va precisato, invero, che,
in virtu' del combinato disposto di cui agli articoli 303
e 307 ultimo comma Cpc, non solo sull’attrice non
gravava alcun obbligo di riassumere il processo nei confronti
dello Spagnuolo, non rivestendo questi la posizione di litisconsorte
necessario (cfr. Cassazione 95/2298), ma nondimeno un’eventuale
estinzione poteva essere eccepita solo dall’interessato
e prima di ogni altra sua difesa.
Passando al merito della vicenda, osserva il giudice che
dalla ricostruzione dell’evento si desume che solo
il comportamento del conducente il veicolo investitore deve
considerarsi fattore causale dell'evento dannoso, dovendosi
sicuramente escludere ogni tipo di responsabilita' della
pedone, e in quanto il convenuto Polise non ha dimostrato
di essersi trovato ne' nell'effettiva impossibilita' di
evitare l'evento, ne' di avere diligentemente osservato
le norme sulla circolazione stradale e di quelle di normale
prudenza.
Infatti, dalle dichiarazioni dei testi emerge che effettivamente
alcune auto si erano fermate per consentire all’Amato
di attraversare la strada (su cui peraltro non insistono
strisce pedonali ed era anche bagnata dalla precedente pioggia),
e che la Fiat Uno di parte convenuta –proveniente
da tergo- non si era fermata, ma anzi aveva sorpassato le
auto gia' ferme ed investito l’attrice, che aveva
quasi completato l’attraversamento (cfr. dichiarazioni
del teste Contaldo Santolo rese a verbale dell’udienza
dell’11 ottobre 1999, confermate anche dalla teste
Mona Annamaria, amica dell’attrice, che ricorda anche
il successivo stato depressivo dell’Amato –che
aveva persino paura di attraversare la strada e di uscire
di casa- ulteriormente accentuato a seguito della perdita
del bambino, stante il timore di non poter piu' avere figli).
A parere di questo giudice, invece, non possono ritenersi
sufficienti a far desumere che i fatti siano andati diversamente
le sole dichiarazioni del teste di parte convenuta, che
si caratterizzano per molti «non ricordo» («con
precisione come e' avvenuto l’incidente, se pioveva
o meno, se la Fiat uno ha investito la signora, se questa
lamentasse dolori, … non ho visto l’investimento,…»!)
senza fornire migliori spiegazioni, sebbene viaggiasse in
qualita' di trasportato sull’automobile guidata dal
Polise, e sebbene, al contrario, ricordi che l’andatura
dell’auto era moderata, che non c’era traffico
e che procedevano tenendo la destra.
Inoltre, la mancata comparizione del convenuto Polise a
rendere l’interrogatorio formale disposto dal giudice
sulle circostanze specifiche del sinistro, in concorso con
gli elementi istruttori acquisiti in corso di causa, deve
far ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo
istruttorio. Sul punto bisogna precisare che al Polise non
era necessario che venisse notificata –ai sensi e
per gli effetti di cui all’articolo 292, comma1, codice
di rito- l’ordinanza del 12 aprile 1999, ammissiva
dell’interrogatorio formale, in quanto il Polise non
era contumace, essendo regolarmente costituito in giudizio.
Orbene, considerato quanto sopra, ed in assenza di ulteriori
elementi probatori, non essendo possibile ricostruire la
dinamica dell'incidente in maniera piu' precisa, ne' accertare
i movimenti ed il comportamento della pedone immediatamente
prima del sinistro (il cui accadimento storico, non contestato,
e' comprovato dai documenti ospedalieri in atti), s’impone,
quantomeno, l’integrale applicazione del principio
sancito dall'articolo 2054, I comma, Cc, della colpa presunta
a carico del conducente del veicolo (Giur. costante: cfr.
per tutte, Cassazione 3846/1977, Cassazione 135/1978, Cassazione
4770/1987). Ed invero, non avendo parte convenuta fornito
la prova che l’investitore abbia fatto tutto il possibile
per evitare il danno o che non vi era un reale possibilita'
di evitare l’incidente, deve presumersi la responsabilita'
del conducente coinvolto nell’investimento del pedone
(cfr. Cassazione sezione terza, 11 gennaio 2002; e a contrario,
Cassazione 8451/93, rv.483364).
Per quanto attiene alla quantificazione del danno subito
dall’Amato, ritiene questo giudice che vada valutato
con criterio equitativo sulla base non solo della Ctu, ma
anche della documentazione medica, delle cartelle cliniche
e delle consulenze prodotte dalle parti.
Nel caso di specie proprio il consulente incaricato dalla
Fondiaria ha ritenuto che «…la sofferta interruzione
di gravidanza …risulta in nesso causale diretto con
l’evento contusivo in sede addominale e lombare, la
malattia deve essere riconosciuta, tenuto conto anche della
degenza ospedaliera…» (cfr. relazione del professor
Giancarlo Maltoni del 28 ottobre 1996), mentre il Ctu ritiene
che «…ci troviamo di fronte ad un disturbo da
stress post traumatico, ovvero i due coniugi hanno vissuto
un’esperienza altamente angosciante e non si sono
liberati da questo vissuto stressante sicche' hanno somatizzato
le loro angosce in disturbi ansiosi che oramai sono da ritenersi
cronici…».
Sulla scorta delle predette valutazioni e della documentazione
prodotta, appare giusto determinare il periodo di invalidita'
temporanea totale in giorni 10, e in giorni 7 il periodo
di invalidita' temporanea parziale, con postumi permanenti,
residuati alle lesioni riportate, valutati nella misura
del 6%, e consistiti in «contusione escoriata mano
destra, gomito destro, ginocchio destro caviglia sinistra,
regione lombare, dorsale destra, addominale, metrorragia
in gravida alla VI settimana, nevrosi ansiosa reattiva…»
(vedi Ctu, cartelle cliniche e perizia di parte). E cosi'
in via equitativa e riportandosi al sistema milanese del
cosiddetto «calcolo a punto tabellare» (utilizzato
da questo Tribunale in assenza di una regolamentazione normativa
e perche' aderente alle indicazioni fornite dalla Corte
costituzionale in tema di liquidazione del danno biologico,
secondo le quali il criterio liquidativo dovrebbe risultare
«…rispondente da un lato ad un’uniformita'
pecuniaria di base e dall’altro ad elasticita' e flessibilita',
per adeguare la liquidazione del caso di specie all’effettiva
incidenza dell’accertata menomazione sulle attivita'
della vita quotidiana, attraverso le quali, in concreto,
si manifesta l’efficienza psicofisica del soggetto
danneggiato…» –cfr. Corte costituzionale
184/86), tenuto conto della natura delle lesioni riportate
dall'infortunata, dell'eta' della stessa e dell'entita'
dei postumi permanenti, possono esserle liquidate in via
equitativa complessivamente € 7382,10 per il danno
biologico.
Il Giudice ritiene, altresi', di dover liquidare all’attrice
€ 3691,00 per il danno morale, in considerazione della
rilevanza penalistica del comportamento del Polise e del
turbamento dello stato d’animo dell’Amato come
conseguenza della lesione subita e dell’interruzione
non voluta della gravidanza, cosicche' il relativo risarcimento
deve soddisfare all’esigenza di assicurare alla danneggiata
un’utilita' sostitutiva che la compensi, per quanto
e' possibile, delle sofferenze morali e psichiche ricevute
(proprio per tale suo carattere, va necessariamente rapportata
anche alla dimensione temporale di dette sofferenze, cfr.
Cassazione 4947/85 rv.442321, nonche' alla gravita' dell’illecito
di natura penale e di tutti gli elementi peculiari della
fattispecie concreta, cfr. Cassazione 9430/87). Il caso
concreto in esame puo', infatti, essere sussunto nelle fattispecie
criminose astratte previste dall’articolo 590 Cp (lesioni
personali colpose) e dall’articolo 17 legge 194/78
(aborto colposo).
Sul punto la scarsa giurisprudenza e' orientata nel senso
di ritenere che «…la forzosa interruzione della
gravidanza, cagionata da un sinistro stradale, non costituisce
da sola lesione della salute permanentemente invalidante;
essa puo' tuttavia obbligare l'autore del fatto al risarcimento
del danno morale, ove siano integrati gli estremi del reato
di cui all'articolo 17 legge 194/78…» (cfr.
Tribunale di Roma 24 gennaio 1995); ed anche la Suprema
Corte (cfr. Cassazione 2677/98, in materia di interruzione
della gravidanza per colpa medica), nel confermare la sentenza
n.738/95 della Corte di appello di Venezia, e muovendo dalla
natura delittuosa dell’aborto, ha precisato che «…
i danni morali subiti vanno individuati nell'immenso dolore
per la perdita del figlio e nelle sofferenze susseguenti
…».
Purtuttavia, ritiene questo Giudice che la perdita del feto
–con tutte le conseguenze che ne derivano- deve essere
risarcita anche a titolo di danno esistenziale: infatti,
il pregiudizio derivante dall'interruzione forzosa della
gravidanza, con gli inevitabili strascichi sulla salute
della donna, il ricovero ospedaliero ed anche le conseguenze
patrimoniali, non risultano certamente risarcibili a titolo
di danno biologico, e talune conseguenze ed aspettative
non possono di certo essere ricomprese nel danno morale,
essendo questa categoria, come tradizionalmente ricostruita
dagli interpreti, limitata e circoscritta, sia nei suoi
contenuti (patemi d'animo, sofferenze patite dalla vittima
consistenti in un transeunte turbamento psicologico), sia
per effetto del criterio di liquidazione utilizzato (il
danno morale e' normalmente determinato e liquidato in misura
pari a 1/4 - 1/2 del danno biologico) (cfr. sul punto anche
gdp Casamassima del 10 giugno 1999).
Ed invero, le aspettative riposte da una donna in una gravidanza
sono collegate a specifiche speranze e desideri che non
possono essere delimitati e riassunti nel mero ambito del
danno morale. La scienza medica sull’argomento si
e' indirizzata nel ritenere che l’espulsione spontanea
del feto (cosiddetto aborto), in qualunque momento della
gravidanza si verifichi, incide purtroppo profondamente
ed inevitabilmente sulla psiche di una donna, che, come
in questo caso, desideri un altro figlio e si senta gia'
madre: cio' non e' dovuto solo al fatto di avere perduto
il bambino, ma anche alla cessata attivita' ormonale tipica
della gravidanza che fa subito sentire il suo effetto, senza
purtuttavia essere ripagata dalla gratificazione e dall’emozione
di aver dato alla luce una persona (concetti questi, peraltro,
acquisiti oramai nel sentire comune). I predetti studi medici
in proposito sono concordi nel ritenere che la donna entra
inevitabilmente in un stato di timore se non di prostrazione:
prova una sensazione di fallimento, subentra la paura di
non poter piu' avere figli, teme per la sua futura fecondita',
per cui e' normale che possa provare rabbia e dolore per
il fatto accaduto, se non addirittura sensi di colpa.
Sul punto di diritto bisogna, inoltre, evidenziare che da
un canto la ratio sottesa al precetto penale violato e'
quella di tutelare il diritto primario della donna ad essere
madre, e dall’altro l’ordinamento giuridico
non considera del tutto irrilevante la situazione dell’individuo
che deve ancora nascere (parlandosi in proposito di personalita'
anticipata del nascituro), dovendosi riconoscere anche al
prodotto del concepimento la tutela costituzionale del diritto
alla salute ex articolo 32 Costituzione, ovvero la tutela
apprestata dall’articolo 2 Costituzione, in considerazione
che tra i diritti inviolabili della persona umana «non
puo' non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche
sue proprie, la situazione giuridica del concepito»
(cfr. Corte costituzionale 27/1975). In particolare, la
legge 194/78 sull’interruzione volontaria della gravidanza
pone quale suo principio fondamentale la tutela della vita
umana «dal suo inizio», riconoscendosi cosi'
rilevanza giuridica anche alla vita prenatale, che pertanto
in caso di danni va risarcita. Posto che il nostro sistema
normativo tutela la salute e la vita del concepito, ne consegue
che tale principio deve costituire un criterio interpretativo
per tutti gli operatori del diritto, e conseguentemente,
s’impone a questo Giudice tenerne conto anche ai fini
della presente decisione. Pertanto, il concepito che per
le scienze biologiche ed etiche e' gia' un individuo che
si va sviluppando in persona umana, deve come tale essere
definito anche ai fini giuridici, cioe' come una autonoma
entita' «di rapporti giuridici, in previsione ed attesa
della persona».
Il punctum dolens e' che le figure del risarcimento da danno
psichico e da danno morale non soddisfano adeguatamente
il tipo di danno subito in conseguenza dell’avvenuto
aborto, e deve percio' farsi ricorso al cd. «danno
esistenziale», consistente nella perdita o nella compromissione
di una o piu' attivita' realizzatrici della persona salvaguardate
sempre dall’articolo 2 Costituzione, quali in questo
caso specifico poteva essere il danno alla serenita' familiare,
il danno per la perdita di un figlio, per il disagio, per
la sofferenza subita, per la mancata maternita', ecc. .
Dolore e commozione di certo hanno contraddistinto molte
giornate di quella famiglia: dover rinunciare a quel figlio
che si era sognato, prospettive bruciate, carezze e dialoghi
ad un figlio che era stato concepito ma non verra' mai ad
esistenza, libri e giornali di maternita' senza senso, esami
medici inutili, entusiasmi sfumati, ecc., tutti gesti che
non si potranno nell’hic et nunc piu' compiere, tutto
svanito per quell’incidente. Vi e' di piu': non solo
momenti relazionali spezzati, ma anche malesseri vari quali
insonnia, ansia, sogni spiacevoli, ecc., come emerge chiaramente
dagli accertamenti sanitari e dalla perizia di parte e d’ufficio,
che servono quantomeno a confermare uno stato di perturbamento
psichico, di disagio, di preoccupazione protrattosi nel
tempo per quel bambino, che era certamente desiderato dai
coniugi (sebbene avessero gia' un’altra figlia: riprova
ne e' il fatto che di li' a poco hanno cercato ed intrapreso
una nuova gravidanza).
Sa bene questo Giudice che l’esistenza della categoria
del «danno esistenziale» non e' ancora un dato
pacifico nell’attuale panorama giurisprudenziale e
dottrinario, potendo la stessa apparire incerta e dai contorni
non definiti. Non per questo bisogna necessariamente negarne
la possibilita' di esistenza pur in presenza di situazioni
sicuramente meritevoli di tutela ma non inquadrabili nell’impianto
tradizionale del concetto di danno risarcibile (patrimoniale,
morale, biologico). In effetti, senza pretendere di ripercorrere
le tappe di un dibattito che impegna da lustri gli operatori
del diritto, bisogna, oggi piu' che mai, convenire sul fatto
che il danno non patrimoniale non si identifica necessariamente
ed esclusivamente con il danno morale, potendo invece benissimo
ricomprendere tutte quelle situazioni che vanno a ledere
la persona, nel senso di intaccarne l’identita', lo
sviluppo morale e relazionale, la personalita', la dignita'.
Danno alla persona, dunque, non in termini di insorgenze
patologiche (inquadrabili nel danno biologico, danno alla
salute, danno psichico), bensi' in termini di offesa alla
piena esplicazione dei momenti qualificanti l’esistenza,
vista nell’aspetto dinamico correlato all’ambiente
di vita in cui si e' inseriti, offesa che costringe la persona
a dover mutare (ovvero a subire il mutamento di) tali momenti
rispetto alla loro programmazione ed attuazione, a dover,
sia pure momentaneamente o transitoriamente, «cambiare
registro» alla propria vita, a vedere compresse o
limitate o addirittura negate, spazzate via, occasioni e
situazioni che avrebbero agevolato e sostenuto lo sviluppo
e la realizzazione della propria personalita'; offesa che
crea disagio, disappunto, delusione, malessere. Disagio
e malessere che non rientrano, ovvero non generano un danno
biologico o un danno alla salute, e che nemmeno e' possibile
identificare col patema d’animo comunemente denominato
danno morale. Disagio e malessere che accompagnano, per
poco o per lungo tempo, l’esistenza di una persona,
turbandola e rendendola spiacevole, difficile, generando
cosi' un danno al vivere quotidiano, un danno alla propria
libera e serena esistenza. Ove questo danno venga prodotto
dall’altrui fatto illecito, non appare possibile –
e certamente non giusto - negarne la risarcibilita'. E’
possibile utilizzare, in questo caso, lo stesso metodo ermeneutico
che ha portato all’individuazione del danno biologico.
Si e' accennato sopra al varco offerto dall’articolo
2 della Costituzione, che riconosce i diritti inviolabili
dell’uomo idonei a garantire il pieno sviluppo e la
massima realizzazione della personalita' umana, in una parola,
tutto cio' che concorre e contribuisce a rendere agevole
l’esistenza di una persona, assicurandogli il necessario
benessere. In tale contesto, alla luce anche dell’evoluzione
del comune sentire, puo' tranquillamente riconoscersi cittadinanza
nel nostro ordinamento al danno cd. esistenziale, inteso
come offesa al diritto di ogni persona ad un’esistenza
serena.
Per completezza di esposizione, bisogna evidenziare che
difficile sarebbe per la parte lesa poter offrire una prova
precipua del danno esistenziale subito (sarebbe quasi una
probatio diabolica), potendo fornire solo una serie di presunzioni.
Peraltro, va da se' che mancando qualsiasi criterio cui
ancorare la liquidazione di detto danno, s’impone
a questo giudice ricorrere ad un criterio equitativo puro.
A seguito di dette considerazioni, reputa questo Giudice
di dover liquidare all’attrice, a titolo di risarcimento
per il danno esistenziale patito, l’importo di €
13000,00.
Possono poi essere riconosciute a favore dell'Amato €
361,40 quali spese mediche verosimilmente sostenute durante
il decorso della malattia, nonche' per i vestiti rovinati
a seguito dell’investimento.
Stesso discorso vale per le richieste dell’interventore
Spagnuolo Domenico, marito dell’attrice, che in quanto
prossimo congiunto e' legittimato a chiedere il risarcimento
dei danni riflessi, avendo il fatto colpevole del terzo
impedito alla moglie il legittimo esercizio del diritto
alla gravidanza, cagionandole un danno grave alla salute.
(cfr., a contrario, Cassazione civile, sezione terza, 12195/98).
Il risarcimento del danno compete, difatti, sia sotto il
profilo patrimoniale che extrapatrimoniale, a tutti coloro
che abbiano subito, sul piano economico e/o su quello morale,
grave perturbamento dall’evento che sia cagione del
trauma affettivo patito con tutte le implicazioni derivatene.
E cosi' in considerazione che, come emerge dalle conclusioni
del Ctu e dalla documentazione agli atti, lo Spagnuolo,
a causa del sinistro per cui e' causa, ha subito un danno
biologico, consistito in «nevrosi ansiosa reattiva»
e valutabile intorno al 2% del grado d’invalidita'
quale danno biologico, tenuto conto della natura delle lesioni
riportate, dell'eta' dello stesso e dell'entita' dei postumi
permanenti, gli possono essere liquidate in via equitativa
complessivamente € 1715,42 per il danno biologico.
Per quanto concerne il danno morale ed esistenziale patito
dallo Spagnuolo, vanno qui ribadite le stesse motivazioni
adottate per l’Amato, di talche', sempre in via equitativa,
ritiene questo giudice corretto liquidare la minor somma
di € 3557,58 per i predetti danni (in considerazione
che certi stati emozionali ed ansie possono essere provati
solo dalla donna gravida, rectius, non piu' gestante).
Essendo stata effettuata la liquidazione con riferimento
ai valori attuali della moneta ed in via equitativa, non
ricorrono i presupposti per la richiesta rivalutazione.
Va invece rigettata la richiesta di risarcimento, avanzata
dai coniugi Spagnuolo-Amato, per i pretesi danni conseguenti
alla loro qualita' di eredi del nascituro, non avendo quest’ultimo
ancora acquistato la capacita' giuridica. Ed infatti, proprio
perche' le disposizioni di legge che, in deroga al principio
generale di cui all’articolo 1 Cc prevedono la tutela
del nascituro, sono da considerarsi disposizioni di carattere
eccezionale e come tali di stretta interpretazione, conseguentemente
la risarcibilita' del danno presuppone che il soggetto danneggiato
sia gia' venuto ad esistenza al momento del fatto lesivo
(cfr. Cassazione 3467/73).
Va, infine, rigettata la domanda per lite temeraria, non
essendo stato provato ne' l’an ne' il quantum dell’eventuale
danno subito dall’Amato, e, comunque, essendo diritto
precipuo della parte convenuta resistere alle pretesi attrici.
Sul punto il disposto normativo di cui all’articolo
96 Cpc e l’interpretazione giurisprudenziale della
stessa norma sono rigorosi nel senso che necessariamente
richiedono la prova concreta ed effettiva del danno subito
in conseguenza del comportamento processuale della controparte
(oltre alla prova del dolo o della colpa grave, del mancato
uso di diligenza, della totale soccombenza, che nel caso
di specie sono state adeguatamente provate ed emerse in
corso di causa) (cfr. Cassazione 1384/80, Cassazione 6637/92,
Cassazione 4651/90): «…ne consegue che, ove
dagli atti del processo non risultino elementi obiettivi
dai quali desumere la concreta esistenza del danno, nulla
puo' essere liquidato a tale titolo, neppure ricorrendo
a criteri equitativi…»(Cassazione 12422/95).
Logico corollario di quanto sopra esposto e' la condanna
di tutti i convenuti a risarcire i danni subiti dall’Amato
nella misura di € 24434,50, e a risarcire allo Spagnuolo
la somma di € 5273,00.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come indicato
in dispositivo.
PQM
Il giudice, definitivamente pronunciando, cosi' decide:
1. accoglie la domanda e dichiara Polise Vincenzo responsabile
della produzione del fatto illecito di cui trattasi, e,
per l’effetto,
2. condanna Piacente Giuseppina, Polise Vincenzo e «La
Fondiaria Assicurazioni» spa, in persona del rappresentante
legale pro tempore, -in solido tra loro- al pagamento in
favore di Amato Giuseppina della complessiva somma di €
24434,50, oltre interessi legali dal giorno dell’evento
al soddisfo;
3. condanna Piacente Giuseppina, Polise Vincenzo e «La
Fondiaria Assicurazioni» spa, in persona del rappresentante
legale pro tempore, -in solido tra loro- al pagamento in
favore di Spagnuolo Domenico della complessiva somma di
€ 5273,00, oltre interessi legali dal giorno dell’evento
al soddisfo;
4. rigetta la domanda dell’Amato e dello Spagnuolo
di lite temeraria;
condanna Piacente Giuseppina, Polise Vincenzo e «La
Fondiaria Assicurazioni» spa, in persona del rappresentante
legale pro tempore, -in solido tra loro- a rimborsare all’Amato
e allo Spagnuolo le spese di giudizio che si liquidano in
complessivi € 15000,00 , di cui € 8000,00 per
onorari, € 5000,00 per diritti, e € 2000,00 per
spese, oltre la maggiorazione di legge per spese generali,
a favore del procuratore dichiaratosi anticipatario
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