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SENTENZE DANNO ESISTENZIALE
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Tribunale di Torre Annunziata, 20 marzo 2002 [Incidenti stradali, interruzione di gravidanza]

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Trib. Torre Annunziata, 20 marzo 2002 [Giud. D'Elia]

Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 19 giugno 1996 Amato Giuseppina conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Napoli Piacente Giuseppina, Polise Vincenzo e la Fondiaria Assicurazioni spa –in persona del rappresentante legale pro tempore -, per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito delle lesioni personali cagionategli dal Polise.
L’attrice precisava che, in data 18 aprile 1995 alle ore 21,00 in Castellammare di Stabia, veniva investita dal Polise, che era alla guida dell’auto Fiat Uno tg. NAM22868 (assicurata con la societa' assicuratrice convenuta e di proprieta' della Piacente), di talche' non solo abortiva (essendo gravida alla sesta settimana), ma riportava anche svariate gravi lesioni (con la rottura del vestiario) per cui si rendeva necessario l’immediato trasporto all’ospedale locale. In particolare, l’Amato chiariva che mentre era intenta ad attraversare la strada –essendosi alcuni veicoli che sopravvenivano momentaneamente fermati per consentirle l’attraversamento-, raggiunto gia' il margine opposto della carreggiata, veniva improvvisamente investita dall’auto guidata dal Polise, che a forte velocita' procedeva al sorpasso della predetta fila di veicoli momentaneamente fermi e slittava sul manto stradale bagnato. A sostegno di quanto riferito produceva copiosa documentazione (cartelle cliniche e certificati medici attestanti la degenza e lo stato morboso, una relazione di consulenza medico-legale, ecc.) e chiedeva che venisse espletata Ctu medico-legale sulla sua persona, oltre l’ammissione di prova testimoniale sulle circostanze dedotte e l’interrogatorio formale del Polise.
Instauratosi il contraddittorio, si costituivano tutti i convenuti che preliminarmente eccepivano l’incompetenza territoriale del giudice adito per essere competente il tribunale di Torre Annunziata, e nel merito impugnavano la ricostruzione dell’evento cosi' come riprodotta nell’atto di citazione, deducendo l’esclusiva responsabilita' dell’Amato, che non aveva attraversato sulle strisce pedonali.
Interveniva volontariamente Spagnuolo Domenico, marito dell’attrice, che si associava alle richieste dell’Amato, e chiedeva il risarcimento dei danni subiti sia in proprio che quale erede del nascituro.
Con ordinanza del 22 aprile 1997 il giudice del tribunale di Napoli accoglieva l’eccezione di incompetenza per territorio, cui si era associata anche parte attrice, e disponeva la cancellazione della causa dal ruolo ex articolo 38- comma 2- Cpc.
Veniva, quindi, riassunto il giudizio dall’Amato avanti a questo tribunale, si costituivano regolarmente i convenuti, ed interveniva lo Spagnuolo. Veniva ammessa ed espletata la prova testimoniale, nonche' la Ctu, mentre il Polise non si presentava per rendere interrogatorio. Precisate le conclusioni, la causa veniva assegnata in decisione.
Motivi della decisione
Preliminarmente va dichiarata la proponibilita' della domanda, avendo l'attrice adempiuto alle formalita' di cui all'articolo 22 legge 990/69, come comprovato dalla raccomandata prodotta in atti ricevuta in data 15.3.1996. Stesso discorso vale anche per l’interventore, che ha adempiuto alle formalita' di cui al predetto articolo 22 con la raccomandata ricevuta dalla societa' assicuratrice in data 5 febbraio 1996.
Ritiene, ancora, il giudice che l’attrice abbia fornito ampia prova della propria legittimazione attiva, emergendo detta qualita' dal verbale redatto dal drappello ospedaliero di P.S., ed avendo l’Amato prodotto in giudizio copiosa documentazione medica comprovante le lesioni conseguenti al sinistro per cui e' causa nonche' la richiesta di risarcimento danni ex articolo 22 legge990/69. A tal proposito, invero, si evidenzia che soggetti legittimati attivamente sono tutti i danneggiati e, cioe', tutti coloro che abbiano subito un danno in rapporto causale con il sinistro: la legittimazione ad agire, infatti, consiste nella titolarita' del potere e del dovere —rispettivamente per la legittimazione attiva e per quella passiva— di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, secondo la prospettazione offerta dall'istante, indipendentemente dall'effettiva titolarita', dal lato attivo o passivo, del rapporto stesso; peraltro, nel caso specifico i fatti allegati non sono stati oggetto di specifica contestazione.
Risulta anche provata la legittimazione passiva dei convenuti, come si rileva dalla documentazione prodotta dall’attrice (certificato cronologico del veicolo investitore per quanto concerne la proprieta' dell’auto, relazione redatta dal drappello ospedaliero di P.S. ove emerge che l’auto era guidata dal Polise al momento del sinistro) e, comunque, non oggetto di precisa contestazione.
Ancora, sempre in via preliminare, va disattesa l’eccezione di estinzione del processo sollevata da parte convenuta per non essere stato riassunto nei confronti dell’interventore a seguito dell’ordinanza di incompetenza per territorio resa dal tribunale di Napoli: va precisato, invero, che, in virtu' del combinato disposto di cui agli articoli 303 e 307 ultimo comma Cpc, non solo sull’attrice non gravava alcun obbligo di riassumere il processo nei confronti dello Spagnuolo, non rivestendo questi la posizione di litisconsorte necessario (cfr. Cassazione 95/2298), ma nondimeno un’eventuale estinzione poteva essere eccepita solo dall’interessato e prima di ogni altra sua difesa.
Passando al merito della vicenda, osserva il giudice che dalla ricostruzione dell’evento si desume che solo il comportamento del conducente il veicolo investitore deve considerarsi fattore causale dell'evento dannoso, dovendosi sicuramente escludere ogni tipo di responsabilita' della pedone, e in quanto il convenuto Polise non ha dimostrato di essersi trovato ne' nell'effettiva impossibilita' di evitare l'evento, ne' di avere diligentemente osservato le norme sulla circolazione stradale e di quelle di normale prudenza.
Infatti, dalle dichiarazioni dei testi emerge che effettivamente alcune auto si erano fermate per consentire all’Amato di attraversare la strada (su cui peraltro non insistono strisce pedonali ed era anche bagnata dalla precedente pioggia), e che la Fiat Uno di parte convenuta –proveniente da tergo- non si era fermata, ma anzi aveva sorpassato le auto gia' ferme ed investito l’attrice, che aveva quasi completato l’attraversamento (cfr. dichiarazioni del teste Contaldo Santolo rese a verbale dell’udienza dell’11 ottobre 1999, confermate anche dalla teste Mona Annamaria, amica dell’attrice, che ricorda anche il successivo stato depressivo dell’Amato –che aveva persino paura di attraversare la strada e di uscire di casa- ulteriormente accentuato a seguito della perdita del bambino, stante il timore di non poter piu' avere figli).
A parere di questo giudice, invece, non possono ritenersi sufficienti a far desumere che i fatti siano andati diversamente le sole dichiarazioni del teste di parte convenuta, che si caratterizzano per molti «non ricordo» («con precisione come e' avvenuto l’incidente, se pioveva o meno, se la Fiat uno ha investito la signora, se questa lamentasse dolori, … non ho visto l’investimento,…»!) senza fornire migliori spiegazioni, sebbene viaggiasse in qualita' di trasportato sull’automobile guidata dal Polise, e sebbene, al contrario, ricordi che l’andatura dell’auto era moderata, che non c’era traffico e che procedevano tenendo la destra.
Inoltre, la mancata comparizione del convenuto Polise a rendere l’interrogatorio formale disposto dal giudice sulle circostanze specifiche del sinistro, in concorso con gli elementi istruttori acquisiti in corso di causa, deve far ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio. Sul punto bisogna precisare che al Polise non era necessario che venisse notificata –ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 292, comma1, codice di rito- l’ordinanza del 12 aprile 1999, ammissiva dell’interrogatorio formale, in quanto il Polise non era contumace, essendo regolarmente costituito in giudizio.
Orbene, considerato quanto sopra, ed in assenza di ulteriori elementi probatori, non essendo possibile ricostruire la dinamica dell'incidente in maniera piu' precisa, ne' accertare i movimenti ed il comportamento della pedone immediatamente prima del sinistro (il cui accadimento storico, non contestato, e' comprovato dai documenti ospedalieri in atti), s’impone, quantomeno, l’integrale applicazione del principio sancito dall'articolo 2054, I comma, Cc, della colpa presunta a carico del conducente del veicolo (Giur. costante: cfr. per tutte, Cassazione 3846/1977, Cassazione 135/1978, Cassazione 4770/1987). Ed invero, non avendo parte convenuta fornito la prova che l’investitore abbia fatto tutto il possibile per evitare il danno o che non vi era un reale possibilita' di evitare l’incidente, deve presumersi la responsabilita' del conducente coinvolto nell’investimento del pedone (cfr. Cassazione sezione terza, 11 gennaio 2002; e a contrario, Cassazione 8451/93, rv.483364).
Per quanto attiene alla quantificazione del danno subito dall’Amato, ritiene questo giudice che vada valutato con criterio equitativo sulla base non solo della Ctu, ma anche della documentazione medica, delle cartelle cliniche e delle consulenze prodotte dalle parti.
Nel caso di specie proprio il consulente incaricato dalla Fondiaria ha ritenuto che «…la sofferta interruzione di gravidanza …risulta in nesso causale diretto con l’evento contusivo in sede addominale e lombare, la malattia deve essere riconosciuta, tenuto conto anche della degenza ospedaliera…» (cfr. relazione del professor Giancarlo Maltoni del 28 ottobre 1996), mentre il Ctu ritiene che «…ci troviamo di fronte ad un disturbo da stress post traumatico, ovvero i due coniugi hanno vissuto un’esperienza altamente angosciante e non si sono liberati da questo vissuto stressante sicche' hanno somatizzato le loro angosce in disturbi ansiosi che oramai sono da ritenersi cronici…».
Sulla scorta delle predette valutazioni e della documentazione prodotta, appare giusto determinare il periodo di invalidita' temporanea totale in giorni 10, e in giorni 7 il periodo di invalidita' temporanea parziale, con postumi permanenti, residuati alle lesioni riportate, valutati nella misura del 6%, e consistiti in «contusione escoriata mano destra, gomito destro, ginocchio destro caviglia sinistra, regione lombare, dorsale destra, addominale, metrorragia in gravida alla VI settimana, nevrosi ansiosa reattiva…» (vedi Ctu, cartelle cliniche e perizia di parte). E cosi' in via equitativa e riportandosi al sistema milanese del cosiddetto «calcolo a punto tabellare» (utilizzato da questo Tribunale in assenza di una regolamentazione normativa e perche' aderente alle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale in tema di liquidazione del danno biologico, secondo le quali il criterio liquidativo dovrebbe risultare «…rispondente da un lato ad un’uniformita' pecuniaria di base e dall’altro ad elasticita' e flessibilita', per adeguare la liquidazione del caso di specie all’effettiva incidenza dell’accertata menomazione sulle attivita' della vita quotidiana, attraverso le quali, in concreto, si manifesta l’efficienza psicofisica del soggetto danneggiato…» –cfr. Corte costituzionale 184/86), tenuto conto della natura delle lesioni riportate dall'infortunata, dell'eta' della stessa e dell'entita' dei postumi permanenti, possono esserle liquidate in via equitativa complessivamente € 7382,10 per il danno biologico.
Il Giudice ritiene, altresi', di dover liquidare all’attrice € 3691,00 per il danno morale, in considerazione della rilevanza penalistica del comportamento del Polise e del turbamento dello stato d’animo dell’Amato come conseguenza della lesione subita e dell’interruzione non voluta della gravidanza, cosicche' il relativo risarcimento deve soddisfare all’esigenza di assicurare alla danneggiata un’utilita' sostitutiva che la compensi, per quanto e' possibile, delle sofferenze morali e psichiche ricevute (proprio per tale suo carattere, va necessariamente rapportata anche alla dimensione temporale di dette sofferenze, cfr. Cassazione 4947/85 rv.442321, nonche' alla gravita' dell’illecito di natura penale e di tutti gli elementi peculiari della fattispecie concreta, cfr. Cassazione 9430/87). Il caso concreto in esame puo', infatti, essere sussunto nelle fattispecie criminose astratte previste dall’articolo 590 Cp (lesioni personali colpose) e dall’articolo 17 legge 194/78 (aborto colposo).
Sul punto la scarsa giurisprudenza e' orientata nel senso di ritenere che «…la forzosa interruzione della gravidanza, cagionata da un sinistro stradale, non costituisce da sola lesione della salute permanentemente invalidante; essa puo' tuttavia obbligare l'autore del fatto al risarcimento del danno morale, ove siano integrati gli estremi del reato di cui all'articolo 17 legge 194/78…» (cfr. Tribunale di Roma 24 gennaio 1995); ed anche la Suprema Corte (cfr. Cassazione 2677/98, in materia di interruzione della gravidanza per colpa medica), nel confermare la sentenza n.738/95 della Corte di appello di Venezia, e muovendo dalla natura delittuosa dell’aborto, ha precisato che «… i danni morali subiti vanno individuati nell'immenso dolore per la perdita del figlio e nelle sofferenze susseguenti …».
Purtuttavia, ritiene questo Giudice che la perdita del feto –con tutte le conseguenze che ne derivano- deve essere risarcita anche a titolo di danno esistenziale: infatti, il pregiudizio derivante dall'interruzione forzosa della gravidanza, con gli inevitabili strascichi sulla salute della donna, il ricovero ospedaliero ed anche le conseguenze patrimoniali, non risultano certamente risarcibili a titolo di danno biologico, e talune conseguenze ed aspettative non possono di certo essere ricomprese nel danno morale, essendo questa categoria, come tradizionalmente ricostruita dagli interpreti, limitata e circoscritta, sia nei suoi contenuti (patemi d'animo, sofferenze patite dalla vittima consistenti in un transeunte turbamento psicologico), sia per effetto del criterio di liquidazione utilizzato (il danno morale e' normalmente determinato e liquidato in misura pari a 1/4 - 1/2 del danno biologico) (cfr. sul punto anche gdp Casamassima del 10 giugno 1999).
Ed invero, le aspettative riposte da una donna in una gravidanza sono collegate a specifiche speranze e desideri che non possono essere delimitati e riassunti nel mero ambito del danno morale. La scienza medica sull’argomento si e' indirizzata nel ritenere che l’espulsione spontanea del feto (cosiddetto aborto), in qualunque momento della gravidanza si verifichi, incide purtroppo profondamente ed inevitabilmente sulla psiche di una donna, che, come in questo caso, desideri un altro figlio e si senta gia' madre: cio' non e' dovuto solo al fatto di avere perduto il bambino, ma anche alla cessata attivita' ormonale tipica della gravidanza che fa subito sentire il suo effetto, senza purtuttavia essere ripagata dalla gratificazione e dall’emozione di aver dato alla luce una persona (concetti questi, peraltro, acquisiti oramai nel sentire comune). I predetti studi medici in proposito sono concordi nel ritenere che la donna entra inevitabilmente in un stato di timore se non di prostrazione: prova una sensazione di fallimento, subentra la paura di non poter piu' avere figli, teme per la sua futura fecondita', per cui e' normale che possa provare rabbia e dolore per il fatto accaduto, se non addirittura sensi di colpa.
Sul punto di diritto bisogna, inoltre, evidenziare che da un canto la ratio sottesa al precetto penale violato e' quella di tutelare il diritto primario della donna ad essere madre, e dall’altro l’ordinamento giuridico non considera del tutto irrilevante la situazione dell’individuo che deve ancora nascere (parlandosi in proposito di personalita' anticipata del nascituro), dovendosi riconoscere anche al prodotto del concepimento la tutela costituzionale del diritto alla salute ex articolo 32 Costituzione, ovvero la tutela apprestata dall’articolo 2 Costituzione, in considerazione che tra i diritti inviolabili della persona umana «non puo' non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito» (cfr. Corte costituzionale 27/1975). In particolare, la legge 194/78 sull’interruzione volontaria della gravidanza pone quale suo principio fondamentale la tutela della vita umana «dal suo inizio», riconoscendosi cosi' rilevanza giuridica anche alla vita prenatale, che pertanto in caso di danni va risarcita. Posto che il nostro sistema normativo tutela la salute e la vita del concepito, ne consegue che tale principio deve costituire un criterio interpretativo per tutti gli operatori del diritto, e conseguentemente, s’impone a questo Giudice tenerne conto anche ai fini della presente decisione. Pertanto, il concepito che per le scienze biologiche ed etiche e' gia' un individuo che si va sviluppando in persona umana, deve come tale essere definito anche ai fini giuridici, cioe' come una autonoma entita' «di rapporti giuridici, in previsione ed attesa della persona».
Il punctum dolens e' che le figure del risarcimento da danno psichico e da danno morale non soddisfano adeguatamente il tipo di danno subito in conseguenza dell’avvenuto aborto, e deve percio' farsi ricorso al cd. «danno esistenziale», consistente nella perdita o nella compromissione di una o piu' attivita' realizzatrici della persona salvaguardate sempre dall’articolo 2 Costituzione, quali in questo caso specifico poteva essere il danno alla serenita' familiare, il danno per la perdita di un figlio, per il disagio, per la sofferenza subita, per la mancata maternita', ecc. .
Dolore e commozione di certo hanno contraddistinto molte giornate di quella famiglia: dover rinunciare a quel figlio che si era sognato, prospettive bruciate, carezze e dialoghi ad un figlio che era stato concepito ma non verra' mai ad esistenza, libri e giornali di maternita' senza senso, esami medici inutili, entusiasmi sfumati, ecc., tutti gesti che non si potranno nell’hic et nunc piu' compiere, tutto svanito per quell’incidente. Vi e' di piu': non solo momenti relazionali spezzati, ma anche malesseri vari quali insonnia, ansia, sogni spiacevoli, ecc., come emerge chiaramente dagli accertamenti sanitari e dalla perizia di parte e d’ufficio, che servono quantomeno a confermare uno stato di perturbamento psichico, di disagio, di preoccupazione protrattosi nel tempo per quel bambino, che era certamente desiderato dai coniugi (sebbene avessero gia' un’altra figlia: riprova ne e' il fatto che di li' a poco hanno cercato ed intrapreso una nuova gravidanza).
Sa bene questo Giudice che l’esistenza della categoria del «danno esistenziale» non e' ancora un dato pacifico nell’attuale panorama giurisprudenziale e dottrinario, potendo la stessa apparire incerta e dai contorni non definiti. Non per questo bisogna necessariamente negarne la possibilita' di esistenza pur in presenza di situazioni sicuramente meritevoli di tutela ma non inquadrabili nell’impianto tradizionale del concetto di danno risarcibile (patrimoniale, morale, biologico). In effetti, senza pretendere di ripercorrere le tappe di un dibattito che impegna da lustri gli operatori del diritto, bisogna, oggi piu' che mai, convenire sul fatto che il danno non patrimoniale non si identifica necessariamente ed esclusivamente con il danno morale, potendo invece benissimo ricomprendere tutte quelle situazioni che vanno a ledere la persona, nel senso di intaccarne l’identita', lo sviluppo morale e relazionale, la personalita', la dignita'. Danno alla persona, dunque, non in termini di insorgenze patologiche (inquadrabili nel danno biologico, danno alla salute, danno psichico), bensi' in termini di offesa alla piena esplicazione dei momenti qualificanti l’esistenza, vista nell’aspetto dinamico correlato all’ambiente di vita in cui si e' inseriti, offesa che costringe la persona a dover mutare (ovvero a subire il mutamento di) tali momenti rispetto alla loro programmazione ed attuazione, a dover, sia pure momentaneamente o transitoriamente, «cambiare registro» alla propria vita, a vedere compresse o limitate o addirittura negate, spazzate via, occasioni e situazioni che avrebbero agevolato e sostenuto lo sviluppo e la realizzazione della propria personalita'; offesa che crea disagio, disappunto, delusione, malessere. Disagio e malessere che non rientrano, ovvero non generano un danno biologico o un danno alla salute, e che nemmeno e' possibile identificare col patema d’animo comunemente denominato danno morale. Disagio e malessere che accompagnano, per poco o per lungo tempo, l’esistenza di una persona, turbandola e rendendola spiacevole, difficile, generando cosi' un danno al vivere quotidiano, un danno alla propria libera e serena esistenza. Ove questo danno venga prodotto dall’altrui fatto illecito, non appare possibile – e certamente non giusto - negarne la risarcibilita'. E’ possibile utilizzare, in questo caso, lo stesso metodo ermeneutico che ha portato all’individuazione del danno biologico. Si e' accennato sopra al varco offerto dall’articolo 2 della Costituzione, che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo idonei a garantire il pieno sviluppo e la massima realizzazione della personalita' umana, in una parola, tutto cio' che concorre e contribuisce a rendere agevole l’esistenza di una persona, assicurandogli il necessario benessere. In tale contesto, alla luce anche dell’evoluzione del comune sentire, puo' tranquillamente riconoscersi cittadinanza nel nostro ordinamento al danno cd. esistenziale, inteso come offesa al diritto di ogni persona ad un’esistenza serena.
Per completezza di esposizione, bisogna evidenziare che difficile sarebbe per la parte lesa poter offrire una prova precipua del danno esistenziale subito (sarebbe quasi una probatio diabolica), potendo fornire solo una serie di presunzioni. Peraltro, va da se' che mancando qualsiasi criterio cui ancorare la liquidazione di detto danno, s’impone a questo giudice ricorrere ad un criterio equitativo puro.
A seguito di dette considerazioni, reputa questo Giudice di dover liquidare all’attrice, a titolo di risarcimento per il danno esistenziale patito, l’importo di € 13000,00.
Possono poi essere riconosciute a favore dell'Amato € 361,40 quali spese mediche verosimilmente sostenute durante il decorso della malattia, nonche' per i vestiti rovinati a seguito dell’investimento.
Stesso discorso vale per le richieste dell’interventore Spagnuolo Domenico, marito dell’attrice, che in quanto prossimo congiunto e' legittimato a chiedere il risarcimento dei danni riflessi, avendo il fatto colpevole del terzo impedito alla moglie il legittimo esercizio del diritto alla gravidanza, cagionandole un danno grave alla salute. (cfr., a contrario, Cassazione civile, sezione terza, 12195/98). Il risarcimento del danno compete, difatti, sia sotto il profilo patrimoniale che extrapatrimoniale, a tutti coloro che abbiano subito, sul piano economico e/o su quello morale, grave perturbamento dall’evento che sia cagione del trauma affettivo patito con tutte le implicazioni derivatene.
E cosi' in considerazione che, come emerge dalle conclusioni del Ctu e dalla documentazione agli atti, lo Spagnuolo, a causa del sinistro per cui e' causa, ha subito un danno biologico, consistito in «nevrosi ansiosa reattiva» e valutabile intorno al 2% del grado d’invalidita' quale danno biologico, tenuto conto della natura delle lesioni riportate, dell'eta' dello stesso e dell'entita' dei postumi permanenti, gli possono essere liquidate in via equitativa complessivamente € 1715,42 per il danno biologico.
Per quanto concerne il danno morale ed esistenziale patito dallo Spagnuolo, vanno qui ribadite le stesse motivazioni adottate per l’Amato, di talche', sempre in via equitativa, ritiene questo giudice corretto liquidare la minor somma di € 3557,58 per i predetti danni (in considerazione che certi stati emozionali ed ansie possono essere provati solo dalla donna gravida, rectius, non piu' gestante).
Essendo stata effettuata la liquidazione con riferimento ai valori attuali della moneta ed in via equitativa, non ricorrono i presupposti per la richiesta rivalutazione.
Va invece rigettata la richiesta di risarcimento, avanzata dai coniugi Spagnuolo-Amato, per i pretesi danni conseguenti alla loro qualita' di eredi del nascituro, non avendo quest’ultimo ancora acquistato la capacita' giuridica. Ed infatti, proprio perche' le disposizioni di legge che, in deroga al principio generale di cui all’articolo 1 Cc prevedono la tutela del nascituro, sono da considerarsi disposizioni di carattere eccezionale e come tali di stretta interpretazione, conseguentemente la risarcibilita' del danno presuppone che il soggetto danneggiato sia gia' venuto ad esistenza al momento del fatto lesivo (cfr. Cassazione 3467/73).
Va, infine, rigettata la domanda per lite temeraria, non essendo stato provato ne' l’an ne' il quantum dell’eventuale danno subito dall’Amato, e, comunque, essendo diritto precipuo della parte convenuta resistere alle pretesi attrici. Sul punto il disposto normativo di cui all’articolo 96 Cpc e l’interpretazione giurisprudenziale della stessa norma sono rigorosi nel senso che necessariamente richiedono la prova concreta ed effettiva del danno subito in conseguenza del comportamento processuale della controparte (oltre alla prova del dolo o della colpa grave, del mancato uso di diligenza, della totale soccombenza, che nel caso di specie sono state adeguatamente provate ed emerse in corso di causa) (cfr. Cassazione 1384/80, Cassazione 6637/92, Cassazione 4651/90): «…ne consegue che, ove dagli atti del processo non risultino elementi obiettivi dai quali desumere la concreta esistenza del danno, nulla puo' essere liquidato a tale titolo, neppure ricorrendo a criteri equitativi…»(Cassazione 12422/95).
Logico corollario di quanto sopra esposto e' la condanna di tutti i convenuti a risarcire i danni subiti dall’Amato nella misura di € 24434,50, e a risarcire allo Spagnuolo la somma di € 5273,00.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come indicato in dispositivo.
PQM
Il giudice, definitivamente pronunciando, cosi' decide:
1. accoglie la domanda e dichiara Polise Vincenzo responsabile della produzione del fatto illecito di cui trattasi, e, per l’effetto,
2. condanna Piacente Giuseppina, Polise Vincenzo e «La Fondiaria Assicurazioni» spa, in persona del rappresentante legale pro tempore, -in solido tra loro- al pagamento in favore di Amato Giuseppina della complessiva somma di € 24434,50, oltre interessi legali dal giorno dell’evento al soddisfo;
3. condanna Piacente Giuseppina, Polise Vincenzo e «La Fondiaria Assicurazioni» spa, in persona del rappresentante legale pro tempore, -in solido tra loro- al pagamento in favore di Spagnuolo Domenico della complessiva somma di € 5273,00, oltre interessi legali dal giorno dell’evento al soddisfo;
4. rigetta la domanda dell’Amato e dello Spagnuolo di lite temeraria;
condanna Piacente Giuseppina, Polise Vincenzo e «La Fondiaria Assicurazioni» spa, in persona del rappresentante legale pro tempore, -in solido tra loro- a rimborsare all’Amato e allo Spagnuolo le spese di giudizio che si liquidano in complessivi € 15000,00 , di cui € 8000,00 per onorari, € 5000,00 per diritti, e € 2000,00 per spese, oltre la maggiorazione di legge per spese generali, a favore del procuratore dichiaratosi anticipatario

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