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Trib. Genova, Sez. I stralcio, 29 novembre
2002 n. 4266 [G.O.A. Casalino]
Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato, i sigg. Marina
Piaggio, Andrea Piaggio, Giulio Piaggio e Paolo Piaggio
– in proprio e quali eredi della sig.ra Cosetta Piaggio
Soliani, convenivano in giudizio nanti questo Tribunale
il prof. Silvano Accardo, per sentir affermare giudizialmente
la responsabilita' professionale di quest’ultimo e
la sua condanna al risarcimento dei danni patrimoniali (quantificati
in lire 137 milioni circa, per i costi sostenuti per il
soggiorno e le cure alla Clinica Montallegro ove la sig.ra
Soliani venne ricoverata dal 3 aprile 1989 sino alla morte
avvenuta il 31 luglio 1990) nonche' dei danni non patrimoniali
da liquidarsi in conformita' alle tabelle in uso presso
il Tribunale.
Assumevano gli attori che la madre, accusando disturbi e
dolori ossei, nel 1985 si rivolse alle cure del Prof. Accardo
il quale diagnostico' un’artrite reumatoide e, successivamente,
un’osteoporosi diffusa sottoponendola alle terapie
conseguenti a tele diagnosi.
Non avendo tali cure sortito effetto, il convenuto fece
sottoporre la paziente ad una serie di accertamenti radiografici
il primo dei quali in data 11 dicembre 1986, e i successivi
in data 6-11 dicembre 1987, il 23 marzo 1988 ed il 10 marzo
1989.
L’esito di tali accertamenti non indusse il medico
a modificare o riesaminare la diagnosi predetta.
Solo nel marzo 1989 il prof. Accardo consiglio' alla paziente
di sottoporsi ad una visita neurologica al fine di verificare
se i perduranti disturbi potessero essere di origine nervosa.
Il neurologo escluse con certezza qualsiasi patologia neurologica;
per altro, nel corso della visita, una modesta pressione
esercitata dal medico sulla gamba sinistra, provoco' alla
paziente la frattura del femore; cio' richiese l’immediato
ricovero della sig. Soliani alla Clinica Montallegro.
Sostenevano ancora gli attori che alla paziente –
visitata da vari specialisti – venne immediatamente
diagnosticata, e dedotta dal semplice esame dei reperti
radiografici di cui il prof. Accardo aveva preso visione
nel 1986 e nel 1987, una forma tumorale alle ossa in avanzatissimo
stato patologico, causata da metastasi di un carcinoma al
seno presente da anni.
Il 17 aprile 1989, il tumore al seno venne chirurgicamente
asportato e, successivamente, la paziente venne sottoposta
a chemioterapia antiblastica, rivelatasi inefficace per
l’avanzato stato delle metastasi.
La morte giunse il 31/7/1990 dopo un periodo di gravi e
crescenti sofferenze.
Il convenuto si costituiva contestando in toto la responsabilita'
professionale ascrittagli chiedeva la totale reiezione delle
avverse domande.
L’istruttoria si articolava essenzialmente sulla produzione
di vari documenti e sul licenziamento di due CTU affidate,
la prima al prof. Leopoldo Basile – Ordinario di Medicina
Legale a Milano - e la seconda, previa rimessione in istruttoria,
al Dr. Enzo Galligioni, primario oncologo dell’ospedale
di Trento.
Sulle conclusioni in epigrafe la causa veniva assegnata
nuovamente a sentenza.
Motivi della decisione
Anche questo e' un altro “caso” emblematico
del fatto che in settori eminentemente specialistici della
medicina - cosi' come in campo giuridico, del resto, e forse
in ogni materia - si puo' sostenere tutto ed il contrario
di tutto.
E il giudice – (im)peritus peritorum – deve
trovare una soluzione (habent sua sidera lites) - coniugando
al meglio precetti giuridici ed elementari esigenze etiche,
che, sul piano del dover essere, impongono, anche, di connotare
la sentenza di, almeno dignitosi, elementi di giustizia
sostanziale.
Nel nostro caso abbiamo vari CT di parte – eminenti
professionisti – che sostengono tesi diametralmente
opposte. Il che, se rientra nella dialettica processuale,
non agevola certo il compito del giudicante nella ricerca
di quella “verita' processuale”che, in definitiva,
e' la sola “a contare” sul piano delle conseguenze
giuridiche.
Vi sono, poi, due perizie d’ufficio le quali –
ancorche' estremamente contestate dal CT del convenuto –
consentono allo scrivente di pervenire, pur con una certa
sofferenza, ad una decisione.
Il primo punto da affrontare e' quello della mancata tempestivita'
della diagnosi tumorale.
Al riguardo il CTU, prof. Basile, pare smentire, certo con
molto garbo ma, decisamente che si sia trattato di “una
sfortunata coincidenza di eventi (che) possano aver contribuito
a ritardare la diagnosi” come sostenuto dal CT di
parte prof. Boccardo. Il citato perito d’ufficio,
infatti, osserva che “…fino al 1987 non vi erano
palesi motivi di sospetto. E’ in seguito - quando
si sono constatati la molteplicita' delle lesioni fratturative
vertebrali e costali, la disomogeneita' strutturale, la
produzione di queste fratture non correlate a traumi…il
carattere francamente patologico del quadro – che
una localizzazione secondaria neoplastica poteva, e forse
doveva, essere intuita.”
Poi, indirettamente affrontando e superando alcuni argomenti
di difesa del convenuto, aggiunge che “ Si puo' obiettare
che dovevano i radiologi segnalare in modo esplicito i motivi
di un sospetto, ma, a prescindere dai compiti diagnostici
dei singoli, deve ammettersi che un riconoscimento piu'
precoce della natura metastatica delle lesioni scheletriche
era possibile.”
Ancor piu', diplomaticamente, esplicite sono, sul punto
specifico, le conclusioni del prof. Basile “Sulla
scorta dei dati disponibili e' da ritenere che vi fossero
elementi per sospettare piu' precocemente la natura metastatica
delle alterazioni scheletriche rilevate radiograficamente
e per anticipare l’accertamento diagnostico della
patologia”.
Al normale utente del servizio sanitario - le cui condizioni
economiche, fra l’altro, gli consentono di fruire
delle prestazioni di un illustre professionista, quale,
senza dubbio, e' il convenuto – vien da chiedersi,
legittimamente, se sia normale essere curati per oltre due
anni per una affezione diagnosticata come “artrite
reumatoide”, e poi come “osteoporosi diffusa”,
e scoprire che – in realta' – si trattava di
una gravissima affezione tumorale, in ordine alla quale,
secondo la motivata opinione del CTU, sussistevano elementi
( id est, in primis: le alterazioni scheletriche) sia per
sospettare piu' precocemente l’esistenza di un tumore
sia “per anticipare l’accertamento diagnostico
della patologia”.
V’e' da rilevare che l’accertamento diagnostico
della forma tumorale alle ossa, in avanzatissimo stato patologico,
avvenne quasi casualmente, e cioe' solo in conseguenza di
una visita neurologica prescritta alla paziente dal convenuto,
medico curante dal 1985, in occasione della quale, il neurologo,
con la semplice pressione del dito sulla gamba, provoco'
alla paziente la frattura patologica del femore, che richiese
l’immediato ricovero in clinica della sig.ra Soliani.
In tale occasione i sanitari intervenuti diagnosticarono
immediatamente una forma tumorale alle ossa in avanzatissimo
stato patologico.
Al riguardo va evidenziato che la circostanza che la diagnosi
venne subito, al ricovero, dedotta dall’esame dei
reperti radiografici - di cui il prof. Accardo aveva ben
avuto visione fra il 1986 e la fine del 1987 - non e' stata
smentita ma appare sostanzialmente e pienamente confermata
dal CTU Prof. Basile.
La conseguenza di tutto quanto sopra esposto e' che –
per quanto qui interessa – al convenuto va, necessariamente,
ascritto un comportamento colpevole, per negligenza ed imperizia,
in senso tecnico-giuridico naturalmente, circa la mancata
e/o tempestiva diagnosi dell’affezione tumorale di
cui era affetta la paziente, pur sussistendo – come
afferma il CTU - diversi e seri elementi sia per il sospetto
sia per anticipare la diagnosi, come gia' visto.
Non puo' essere trascurato, infatti, dal giudicante che
il convenuto non era un medico generico ne' un principiante
ma un professore esperto e di chiara fama, di tal che il
livello di diligenza e di perizia - giuridicamente richiesto
per la valutazione della qualita' delle prestazioni dovute
al paziente – va necessariamente collocato ad un livello
superiore alla media,.un po’ come avviene per gli
onorari.
oooo
Arriviamo alla successiva “quaestio” che attiene
al fatto se una diagnosi tempestiva e/o precoce del tumore
– supportata da tutte le cure adeguate per l’epoca
– avrebbe prolungato o meno la sopravvivenza della
paziente.
Al riguardo, incidentalmente, va ricordato che la sig.ra
Soliani venne ricoverata alla Clinica Montallegro il 3/04/1989
e che ivi decedette il 31/7/1990.
Piu' precisamente, ancora, occorre chiedersi – come
anche precisato dal prof. Boccardo, CT del convenuto –
“se e quanto il ritardo con cui dette terapie sono
state applicate possa avere influito negativamente sul decorso
clinico della malattia”.
Il CTU, dr. Galligioni – richiesto di esprimere il
proprio parere sul punto specifico ora in discussione -
esordisce puntualizzando che “il carcinoma della mammella
metastatizzato e' per definizione una malattia cronica che
non puo' guarire” ma aggiunge “ tuttavia, anche
quando metastatica, questa malattia e' responsiva ad una
grande varieta' di approcci terapeutici, che hanno la capacita'
di arrestare o far regredire il tumore, per tempi piu' o
meno lunghi e/o di far regredire o alleviare i sintomi,
pur in assenza di una possibilita' di guarigione”.
Il convincimento del giudicante e' che l’affermazione
– oltre che supportata da pertinenti riferimenti statistici
,tratti dalla letteratura specialistica – derivi,
principalmente, dall’esperienza diretta del CTU, dalla
sua quotidiana fatica in ospedale, sul campo, nel reparto
oncologico, a diretto contatti con i malati.
Ed e' proprio tale circostanza che la rende maggiormente
convincente e condivisibile, poiche' – a sommesso
avviso dello scrivente, consente – e con il solo buon
senso comune e senza forzature – di superare, in relazione
al caso concreto, ogni sterile dissertazione accademica
sulla attendibilita', molto teorica, dei dati statistici
hinc et inde rilevati e citati.
Del resto, a ben vedere, anche le critiche del prof. Boccardo
alla CTU del Dr. Galligioni – certamente dotte, minuziose,
con i riferimenti scientifici aggiornati, severe ed anche
un po’, ex- cathedra, polemiche, a dir poco –
finiscono, tuttavia, per ammettere, con stupore dello scrivente
che ”certamente non si puo' escludere che una diagnosi
piu' tempestiva ed il ricorso anticipato alle terapie antineoplastiche
e di supporto avrebbe potuto prolungare di qualche mese
la sopravvivenza e controllare per periodi piu' protratti
i sintomi.”
Ma, subito, e per bilanciare l’affermazione forse
troppo condiscendente alle tesi del CTU, aggiunge “Tuttavia,
questa evenienza e' tutt’altro che probabile.”
E poi, immediatamente di seguito, enuncia che “ d’altra
parte il ricorso piu' tardivo ai trattamenti oncologici
non fu certamente deliberato ( e qui, seguendo lo stile
della relazione, ci vorrebbe davvero un punto esclamativo,
anzi anche due…come glossa del lettore) ma ahime'
la logica conseguenza del ritardo con cui fu posta la diagnosi”.
Il ritardo – come gia' ricordato - viene ascritto
dal piu' volte citato prof. Boccardo, non a negligenza del
convenuto ma, ad una “sfortunata coincidenza di eventi”
di cui, come gia' visto, il primo CTU, prof. Basile, ha
chiaramente disatteso la valenza, a partire, quanto meno,
dalla fine del 1987.
Per concludere la doverosa disamina degli opposti elaborati
peritali, perche' e' su questi che si “gioca la partita”,
per cosi' dire, il giudicante, di questo grado del giudizio,
non condivide affatto l’opinione del CT di parte convenuta,
il quale ha ritenuto generiche le argomentazioni del CTU
e prudenti le sue conclusioni.
Una sommessa valutazione in proposito e' che la “prudenza”
nelle conclusioni – in relazione al nostro “delicato”
caso – parrebbe quasi doverosa e sarebbe, decisamente,
da apprezzare. Inoltre puo' solo evidenziare - da parte
del CTU - onesta' intellettuale, autentica modestia senza
presupponenza ed anco rispetto, senza iattanza, dell’altrui
opinione.
Quanto alle argomentazioni, poi, per la modestia intellettuale
dello scrivente, non sembrano per nulla generiche perche'
affrontano direttamente, senza cavilli e devianti arzigogoli,
il “cuore” del problema e la “sostanza”
del quesito.
Del resto tutte le argomentazioni del primario dr. Galligioni
sono poi dello stesso “spessore” scientifico
di quelle del prof. Rosso – primario della divisione
di oncologia medica dell’Istituto Nazionale per la
Ricerca sul Cancro – sulle quali ci dovremo, in seguito,
soffermare brevemente, puntualizzando sin d’ora, che
il supplemento di CTU si e' reso necessario proprio per
quanto emerso dal vivace “dibattito”- termine
assai eufemistico, in questo caso – fra il prof.Rosso
ed il Prof. Basile.
Dovendo, ora, fare un po’ di sintesi delle posizioni,
se il giudicante ha bene inteso, le conclusioni ,cui perviene
il CT del convenuto, prof. Boccardo, sarebbero, in sostanza,
le seguenti:
- il convenuto non e' reponsabile dell’errore e/o
del ritardo diagnostico perche' dovuto ad una “sfortunata
coincidenza di eventi”;
- nessuno puo' dire - essendo ancora indimostrato scientificamente
- se la paziente sarebbe vissuta piu' a lungo, grazie ad
una diagnosi piu' tempestiva e per effetto dei trattamenti
disponibili ai tempi dell’accaduto;
- il decorso temporale della malattia che ha afflitto la
sig.ra Soliani (5 anni) non si e' in realta' discostato
dalla media di sopravvivenza osservabile nella maggioranza
delle pazienti nelle sue condizioni;
- dal dicembre 1987 il ricorso alle terapie oncologiche
e di supporto non avrebbe potuto dare nessuna garanzia sulla
durata della vita ne' di prevenire la maggior parte delle
complicanze ossee che hanno maggiormente pesato sulla qualita'
della vita della paziente;
- la cura si sarebbe, comunque, protratta ancor piu' a lungo
di quanto non sia realmente accaduto….
V’e' da dire che anche il primo CTU, prof. Basile
- sia pure in termini meno perentori e dopo aver evidenziato,
in modo chiaro, che sussistevano le condizioni “per
anticipare l’accertamento diagnostico della patologia”
– perviene, comunque, alla conclusione che “non
puo' affermarsi che una diagnosi piu' precoce e l’attuazione
anticipata di cure avrebbero effettivamente prolungato la
sopravvivenza”.
Il prof. Rosso, che certamente non si espone ad essere censurato
dal Collega per la sua prudenza nelle conclusioni, procede
per linee dirette e, con convinzione e passione, scrive
“ le conclusioni del prof. Basile si possono tradurre
nel concetto che l’oncologia degli anni ’80
non ha nessuna rilevanza sul piano terapeutico. Se questo
e' vero per quanto riguarda l’ineluttabilita' della
prognosi infausta del carcinoma mammario metastatico, e'
altrettanto vero che i tempi ed i modi in cui tale prognosi
si realizza possono essere sostanzialmente differenti e
quindi il carico di sofferenza per le pazienti, di disagio
per i familiari, di costo economico puo' essere sostanzialmente
diverso.
L’impiego tempestivo di modalita' terapeutiche specifiche
in una strategia di trattamento ragionata, e modulata sulle
situazioni cliniche che progressivamente si sarebbero presentate
(trattamento sistemico ormonoterapico e chemioterapico per
la malattia nel suo complesso, radioterapia e chirurgia
per singoli problemi specifici di sintomatologia algica
o rischio di frattura, terapie di supporto) sicuramente
avrebbe comportato quanto segue:
1) qualita' di vita sostanzialmente migliore;
2) maggiore aspettativa di vita;
3) miglior controllo della sintomatologia dolorosa;
4) molto probabile assenza di complicazioni gravi ed urgenti;
5) riduzione delle spese per assistenza medica e paramedica,
6) evitato lunghe terapie prescritte per la diagnosi errata,
terapie inutili e potenzialmente dannose.”
L’eminente Professore, CT degli attori, non si ferma
alle suesposte considerazioni – che, a questo punto
va detto chiaramente, lo scrivente condivide per la gran
parte, e non perche' suggestive ma perche' non “tracheggiano”
sulle statistiche ma si fondano sull’ esperienza scientifica
ed, anche, sul comune buon senso, che non guasta –
e prosegue “le statistiche valgono per i grandi numeri,
ma non hanno nessuna rilevanza per il caso particolare”
che e', appunto quello, assolutamente individuale della
sig.ra Soliani.
Poi, cogliendo qua e la', si legge che“ e' ravvisabile
responsabilita' professionale in ordine al riconoscimento,
piu' precoce e tempestivo (18 mesi prima!) di un tumore
metastatizzato” e, successivamente, ormai coinvolto
e costretto nella polemica, dice “il prof. Boccardo
continua con citazioni statistiche dotte ma fini a se stesse:(riporta
la citazione) “d’altra parte, la sopravvivenza
osservata dopo la riduzione della frattura (circa 14 mesi)
e' risultata del tutto comparabile alla sopravvivenza osservata
dopo la frattura di un osso lungo di Coleman e Rubens (durata
mediana 12 mesi, range 0-66 mesi)”; perche' –
si chiede ponendosi nella nostra prospettiva, di non addetti
ai lavori ma pur sempre di medio comprendonio e convinti
ottimisti – sempre nell’individuale della sig.ra
Piaggio Soliani, dobbiamo dare per scontato che 14 mesi
vanno bene e non avrebbero dovuto andar bene i 66 mesi?”.
L’accurata disamina dell’assunto avversario
e l’evidente coinvolgimento nel caso portano il prof.
Rosso ancora a chiedersi, provocatoriamente ed a conclusione
della polemica, “ma perche' la povera sig.ra Piaggio
Soliani doveva a tutti i costi essere cosi' maledettamente
sfortunata che – oltre ad avere un tumore maligno
– ogni sorta di possibilita' terapeutica doveva essere
per lei come acqua bollita. Se esiste la possibilita' che
la terapia (o le terapie) sia di beneficio, negare questa
possibilita' o ritardarla e' negligenza e colpa professionale”.
oooo
Va da se' che nel quadro sopra delineato sussistessero tutte
le condizioni per convincere il giudicante a chiedere un
ulteriore parere scientifico, e per sgombrare subito il
campo da ogni eventualita' ascrivibile a, certo inesistenti
ma teoricamente supponibili, “inquinamenti ambientali”,
concetti ormai di vibrante attualita', l’incarico
e' stato affidato al dr.Galligioni, primario oncologico
dell’ospedale di Trento, ove vive e lavora.
Gia' si e' detto, ma va ripetuto, l’elaborato peritale
risulta pacato nei toni, semplice e chiaro nella stesura,
logico ed esaustivo in ordine a tutti i quesiti –
di ambito strettamente medico-specialistico - proposti.
Il punto di partenza - il principio deontologico ed etico
- risulta essere quello indicato dal prof. Rosso, ed e'
incentrato sul dovere del medico di instaurare quanto prima
possibile quelle procedure di trattamento che, pur al di
fuori di ogni certezza, possano migliorare i sintomi della
malattia, ridurre le complicanze, migliorare la qualita'
della vita e – se mai possibile – aumentare
la durata della vita.
Il CTU precisa che “in tutta la comunita' scientifica
oncologica e' ben radicato il concetto che esistono terapie
efficaci per il carcinoma della mammella metastatizzato”,
il quale come gia' visto, e non contestato da nessuno, risulta
essere uno dei piu' responsivi .
Illustra poi le varie terapie antitumorali – presidi
terapeutici farmacologici, radioterapici e chirurgici e
di supporto – che (nella seconda meta' degli anni
80) potevano essere utilmente impiegati per il trattamento
specifico della malattia da cui era affetta la sig.ra Soliani
e per il controllo della sintomatologia.
Pertinente al nostro caso e', al riguardo, la puntualizzazione
che “laddove questi presidi non vengano utilizzati,
la malattia evolve necessariamente; ed infatti la diagnosi
di questa paziente e' stata posta in seguito alla comparsa
della frattura patologica del femore”.
Fa , anche, rilevare che “un trattamento adeguato
puo' effettivamente avere un impatto anche sulla sopravvivenza
delle pazienti e non solo sul decorso clinico”….”l’efficacia
delle terapie specifiche – nelle citate pazienti -
e' un’eventualita' che si verifica nel 50-85% dei
casi”…”sebbene la prognosi sia sfavorevole,
una buona parte di queste pazienti puo' sopravvivere molti
mesi o anni e richiede un atteggiamento terapeutico attivo”.
Di particolare interesse – per il giudicante –
sono le conclusioni cui il CTU perviene, e che devono essere
trascritte per esteso:
”Nel caso specifico..non esiste alcun elemento per
escludere che la paziente potesse beneficiare di tale terapie,
sia in termini di risposta clinica al tumore che di riduzione
della sintomatologia dolorosa e di prevenzione delle complicanze.
Per quanto riguarda il problema della tempestivita' delle
cure, se e' vero che nessuno possa affermare che un ricorso
tempestivo alle terapie antitumorali e di supporto, esistenti
all’epoca dei fatti, avrebbe potuto allungare la sopravvivenza
e modificare il decorso clinico dei questa paziente, e'
anche vero che nessuno lo possa escludere, perche' questo
e' quanto si verifica regolarmente in un certo numero di
pazienti.
E’ comunque assolutamente probabile che un tempestivo
ricorso alle suddette terapie avrebbe influito in maniera
significativa sulla qualita' della vita di questa paziente”
.
oooo
Da tutto quanto sopra esposto il giudicante si e' convinto
che – nella fattispecie in esame - sussista la responsabilita'
professionale del convenuto in ordine:
a) alla colposa - per negligenza ed imperizia - mancata
tempestivita' della diagnosi tumorale, gia' possibile alla
fine del 1987;
b) al conseguente ritardo – circa 18 mesi –
in ordine alla possibilita' di sottoporre la paziente a
tutti i presidi terapeutici e di supporto esistenti all’epoca.
Corollario di tale imputabilita' e' che la mancanza dell’impiego
tempestivo di moduli terapeutici, e di supporto, specifici
ha sicuramente inciso, pesantemente,
- sulla “qualita'”, generalmente intesa, della
vita e particolarmente
- sul controllo della sintomatologia dolorosa, nonche',
anche,marginalmente,
- sulle spese per assistenza medica e paramedica.
Inoltre tutto il quadro d’insieme - pur tenendo conto
dei dati statistici e superando, con il solo buon senso
comune, tutte le disquisizioni dottrinali sulle eventualita'
ipotetiche ma privilegiando, quanto al credito e per impostazione
mentale, le argomentazioni essenzialmente fondate sulla
quotidiana esperienza – porta il giudicante a ragionevolmente
presumere, anche se – va detto - notevoli dubbi ancora
sussistono, che, nello specifico caso in questione, l’incidenza
della mancata tempestivita' di cure adeguate si sia estesa
sino ad una apprezzabile riduzione della sopravvivenza.
Questo, pero' - ed e' necessario essere molto chiari sul
punto - non significa che il prof. Accardo possa considerarsi
responsabile della morte della paziente, per la semplice
considerazione che tutti i periti sono concordi nel ritenere
il carcinoma alla mammella metastatizzato, oggi, ancora
inguaribile e letale.
Tale addebito di responsabilita' non appare, quindi, giuridicamente
fondato e va respinto, considerando, anche, che il nesso
eziologico fra il ritardo diagnostico e la riduzione della
sopravvivenza – ancorche' ragionevolmente intuibile,
presumibile e motivata, come s’e' visto – non
puo', tuttavia, considerarsi sufficientemente provato.
oooo
Il danno
Il danno causato alla paziente, ad avviso dello scrivente,
e' essenzialmente di natura biologico-morale, derivando,
come rileva la difesa degli attori, dalle maggiori sofferenze
causate alla paziente per il “mancato tempestivo ricorso”
alle opportune terapie in grado di contrastare la proliferazione
delle metastasi ossee o cumunque di ridurre le conseguenze
ed i sintomi delle lesioni scheletriche gia' esistenti.
Forse sarebbe meglio definirlo danno esistenziale, in quanto,
in questo caso, direttamente afferente le condizioni della
vita e la sfera individuale ed intima del paziente; ed e'
quindi la qualita' di vita – nel complesso di tutti
i suoi molteplici aspetti - che e' stata oggettivamente,
e di molto, compromessa e degradata dal dolore e dalla sofferenza
ingiustamente subiti.
Siamo, quindi, di fronte ad una “ingiusta lesione”
alla sfera esistenziale dell’individuo, la quale,
ad avviso del giudicante, merita – secondo la piu'
recente dottrina ed anche cogliendo i segnali di una prudente
evoluzione della giurisprudenza - giuridica considerazione
e tutela , e, quando se ne verifica una apprezzabile lesione,
va risarcita.
Ora pur accertato che sussista un danno tecnicamente risarcibile,
gia' acquisito alla sfera giuridica della defunta e trasmesso
agli eredi, iure successionis, il giudicante, nel foro interno,
si chiede come sia possibile quantificare (id est: valutare,
misurare o pesare) il dolore e la sofferenza, se non affidandosi
a criteri meramente equitativi, suscettibili di infinite
incidenze da caso a caso.
Nel caso in esame, infatti, non appare, allo scrivente,
utilizzabile il ricorso alle tabelle in uso per il danno
biologico e morale, sia perche' il caso esula dal contesto
delle previsioni (siamo fuori dall’omicidio colposo
e fors’anche dalle lesioni gravissime, come ipotizzano
gli attori, proprio per la citata carenza probatoria sul
nesso causale) sia perche' qui abbiamo a che fare con “qualcosa”
(rectius, una figura giuridica) che – pur avendo elementi
concettuali in comune con il c.d. danno biologico e morale
- non coincide proprio esattamente con le lesioni ovvero
con il pretium doloris, generalmente inteso come conseguente
al reato.
Non poche perplessita' sussistono, per il giudicante, in
ordine alla domanda afferente al danno patrimoniale lamentato
dagli attori, e cioe' di rimborso delle spese di degenza
della sig.ra Piaggio Soliani presso la Clinica Montallegro
ove la paziente resto' dal 3/4/89 sino al 31/7/1990.
Il dubbio attiene, ancora, al nesso eziologico fra il comportamento
omissivo della diagnosi tempestiva e delle cure adeguate,
da un lato, e, dall’altro, la necessita' del ricovero
in casa di cura – privata – per un cosi' lungo
periodo.
Al riguardo il CTU prof. Basile appare deciso nel sostenere
che “la Soliani sarebbe stata ugualmente ricoverata
in casa di cura e li' curata sino alla morte, considerato
che l’assistenza continua e definitiva in quel luogo…non
puo' ritenersi dovuta al ritardo nella diagnosi, ma alle
esigenze proprie del male” ed ancora ribadisce che
“…con un accertamento piu' precoce…si
sarebbe anticipato il ricovero e prolungata la degenza”.
Il Dr. Galligioni, invece, pare dell’avviso che la
tempestiva adozione di rimedi terapeutici specifici avrebbe
con ogni probabilita' “tenuto sotto controllo”
le lesioni ossee indotte dalle metastasi, evitando –
forse – una lunga degenza ospedaliera.
Per l’appassionata ed indomita difesa del convenuto
si sarebbe, invece, trattato di un “parcheggio”
a lungo termine da scriversi – presumibilmente - ad
un comportamento egoistico dei familiari.
Quid iuris?
Lo scrivente e' dell’avviso che, in una qualche misura,
la tardiva diagnosi potrebbe essere, anche, responsabile
della lungo degenza ospedaliera (rectius, in Clinica) ma
che l’integrale rimborso delle spese di degenza in
una clinica privata, non possa essere, in tali termini,
riconosciuto, potendo, tuttavia, trovare un parziale riconoscimento
nel complesso della valutazione equitativa del danno.
Infatti – al di la' delle facili e scontate deduzioni,
non sempre esatte, sulla “qualita'” del servizio
pubblico – non appare del tutto provata la specifica
“necessita'” del ricovero in Clinica Privata,
avuto riguardo alla possibilita' di usufruire - con innegabile
maggior disagio, certamente, a prescindere, pero', dall’efficienza
terapeutica - del Servizio Sanitario Nazionale.
Il danno de quo, in tutte le possibili accezioni, viene
quantificato dallo scrivente con criteri equitatitivi, avuto
riguardo al complesso di tutti gli elementi emersi in causa,
nel complessivo ammontare di Euro 35.000,00.
La cifra – certamente, forse, solo simbolica ed inappagante,
ma - e' riferita prevalentemente a sanzionare una evidente
responsabilita' professionale da cui e' direttamente derivato
alla paziente il danno esistenziale, nei termini sopra citati.
La somma e' comprensiva del parziale riconoscimento delle
spese di degenza.
Le spese processuali - liquidate come in dispositivo - possono
essere compensate per la meta' .
P.Q.M.
Il GOA, in funzione di Giudice Unico – contrariis
reiectis –
Dichiara
per quanto esposto in parte motiva – sussistente,
nella fattispecie in esame, la responsabilita' professionale
del convenuto prof. Silvano Accardo e conseguentemente
condanna
il convenuto, al pagamento in favore degli attori ed a titolo
risarcitorio, della somma complessiva di Euro 35.000,00
(trentacinquemila) al valore attuale, nonche' al pagamento
della meta' delle spese del giudizio che liquida, quanto
alla meta', in euro 300,00 per spese ed euro 4.500,00 per
diritti ed onorari oltre iva e cpa.
Pone definitivamente le spese di CTU a carico delle parti
per meta' ciascuna.
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