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Trib. Venezia, Sez. III Civ., 14 gennaio 2003
[Giud. Roberto Simone]
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 6/7 dicembre 1999 Maria
Maraffi conveniva dinanzi ai Tribunale di Venezia Marcello
Maraffi e l’Aurora Assicurazioni s.p.a. per essere
risarcita dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti
a causa di un sinistro stradale verificatosi per fatto e
colpa esclusivi del Maraffi. Esponeva l’attrice che
il 28-4-1998, verso le 11,30, mentre in localita' San Giuliano
a Venezia viaggiava bordo della BMW tg. VE640682, condotta
e di proprieta' del Maraffi, assicurato presso l’Aurora
Assicurazioni s.p.a., l’automezzo al momento di affrontare
una rotatoria, forse per l’eccessiva velocita', sbandava
e, avendo il guidatore perso il controllo, finiva nel fossato
posto al centro della rotatoria; a causa del sinistro l’autovettura
rimaneva distrutta al punto da dover essere demolita, mentre
le persone trasportate (non solo l’esponente, ma anche
Rita Ghezzo) riportavano gravi lesioni personali; in relazione
a quanto accaduto il Maraffi era stato sanzionato per la
violazione dell’art. 141, commi 1 e 11, C.d.S. e il
Ministero dei Trasporti aveva disposto la revisione della
patente; le gravissime lesioni riportate avevano reso necessario
il ricovero prima presso l’Ospedale Civile di Mestre
e dopo in quello di Venezia, dove rimaneva ricoverata fino
al 3-8-1998, per poi essere trasferita presso l’Ospedale
San Camillo del Lido di Venezia, dove sia pure con discontinuita'
permaneva fino al 6-2-1999; sottoposta ad accertamento specialistico
era accertata un’invalidita' permanente del 80% con
esclusione di qualsiasi prospettiva di miglioramento, oltre
una inabilita' temporanea assoluta della durata di dieci
mesi, con correlativa necessita' di assistenza continuativa.
Tanto esposto, l’attrice chiedeva la condanna in solido
dei convenuti al pagamento della somma di Lire 1.292.879.410
a titolo di danno biologico (permanente e temporaneo), morale,
esistenziale e patrimoniale per spese di assistenza sostenute
e sostenende, mediche e per l’adattamento della propria
abitazione per far fronte alla sua condizione. In via preliminare,
l’attrice chiedeva l’attribuzione di una provvisionale
pari a 4/5 dei danni subiti.
Si costituivano i convenuti e resistevano alle domande proposte,
contestando sia l’an sia il quantum debeatur. Assumevano
i convenuti che la riferita dinamica del sinistro e la localizzazione
delle lesioni riportate permettevano di far ritenere che
l’attrice non avesse in uso la prescritta cintura
di sicurezza. Condotta, quest’ultima, apprezzabile
sul piano del concorso causale.
In ogni caso contestavano i convenuti la quantificazione
dei danni avanzata dall’attrice, sia in relazione
alle ripercussioni sulla validita' psicofisica e al danno
morale, sia in ordine alle spese per assistenza.
Con ordinanza del 26-4-2000 era disposta in favore della
Maraffi una provvisionale di Lire 60.000.000 a carico della
societa' d’assicurazioni convenuta.
A seguito di istruttoria documentale e orale, espletata
C.T.U. medico legale, la causa, sulle conclusioni epigrafate,
era trattenuta in decisione all’udienza del 21-6-2002,
previa concessione dei termini per il deposito degli atti
difensivi ex art. 190 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) In ordine alla responsabilita' del Maraffi, sulla base
della dinamica del sinistro, non puo' sorgere alcun dubbio.
La descrizione della dinamica, non contestata da parte dei
convenuti, se non in punto di asserita condotta colposa
dell’attrice per il mancato uso delle cinture di sicurezza,
e' stata vieppiu' suffragata dal rapporto dell’incidente
redatto dalla Polizia Municipale di Venezia. In questo si
legge che il 28-4-1998 verso le 11.30, in presenza di buona
visibilita', ma con manto asfaltato bagnato da una precipitazione
in corso, l’autovettura del convenuto percorreva via
San Giuliano, proveniente da via Vespucci e con direzione
Venezia. Il conducente giunto all’altezza della curva
sinistrorsa esistente in fronte l’accesso di via Forte
Marghera, per cause rimaste ignote, perdeva il controllo
dell’autovettura, che, dopo una rotazione di 180 gradi
in senso antiorario sul fondo stradale, terminava la marcia
nel fossato a sinistra, ma con la parte frontale rivolta
verso il senso di provenienza. Sulla base di quanto riscontrato,
gli operatori della P.M. contestavano al Maraffi la violazione
dell’art. 141, commi 1 e 11, C.d.S.
Tanto premesso, mette conto rilevare che, ponendo fine ad
un orientamento discriminatorio, ancorche' basato su una
indimostrata possibilita' di previsione del pericolo e di
controllo del rischio, non scevra da una improbabile maggiore
possibilita' di dimostrazione della colpa del conducente,
la Cassazione ormai da qualche tempo ritiene applicabile
l’art. 2054 c.c., quale norma espressiva di principi
di carattere generale nella materia della circolazione dei
veicoli, anche nei confronti del terzo trasportato indipendentemente
dal titolo (se gratuito o di mera cortesia), il quale potra'
invocare il criterio di imputazione previsto nei confronti
del conducente del veicolo su cui viaggiava al momento del
sinistro e, conseguentemente, avvalersi della regola di
responsabilita' prevista nei confronti del proprietario
(cfr. Cass. 26-10-1998, n. 10629; 21-1-2000, n. 681; 21-3-2001,
n. 4022). Orientamento, quest’ultimo, cui il giudicante
ritiene di aderire, non solo perche' frutto di un’attenta
lettura socioeconomica del fenomeno della circolazione dei
veicoli, ma soprattutto per l’implausibilita' del
precedente orientamento, la' dove assumeva in capo al trasportato
a titolo di cortesia una supposta capacita' di previsione
del pericolo e di controllo del rischio. In realta', volendo
intendere le norme in tema di responsabilita' civile (anche)
come strumento di prevenzione degli incidenti, non si vede
quali precauzioni unilaterali avrebbe potuto adottare il
terzo trasportato, non potendo questo influire sullo stato
di efficienza dell’automezzo ne' sul rispetto delle
norme del C.d.S. da parte del conducente, salvo ipotizzare
in capo allo stesso un obbligo di collaborazione nel segnalare
eventuali situazioni di rischio. A ben vedere la possibilita'
di previsione del pericolo e di controllo del rischio da
parte del trasportato e' assolutamente identica tanto rispetto
al mezzo su cui viaggia, quanto rispetto ad ogni altro mezzo
circolante senza guida di rotaie, risolvendosi di fatto
in un’alternativa secca: accettare, o no, di essere
trasportato. Alternativa, quest’ultima, che rispetto
allo scopo delle norme in tema di responsabilita' civile
non e' in grado di incidere punto sulla capacita' di prevenzione
degli incidenti mediante investimenti in precauzioni, ne'
sulla possibilita' di internalizzare le esternalita' provocate
dal proprio agire, poiche' il trasportato, a meno che non
cooperi nella causazione del sinistro, e' un mero spettatore
sul proscenio della circolazione di veicoli. Problema affatto
diverso, su cui ci si soffermera' fra poco, e' quello relativo
al concorso colposo prospettato dai convenuti per effetto
del mancato uso delle cinture di sicurezza.
Trovando applicazione l’art. 2054, comma 1, c.c.,
ai fini dell’affermazione della responsabilita' del
conducente non grava sull’attore l’onere della
prova della colpa del danneggiante, dovendo quest’ultimo,
secondo un modello di responsabilita' incentrato ora sulla
pericolosita' intrinseca dell’attivita' ora sulla
possibilita' di controllo del rischio, dare la dimostrazione
di aver fatto quanto possibile per evitare il danno. Sennonche',
di una siffatta allegazione non v’e' traccia alcuna,
salvo poi puntare, come gia' detto, su una concorrente condotta
colposa dell’attrice per l’asserito mancato
uso della cintura di sicurezza.
Al riguardo, l’istruttoria orale ha permesso di contraddire
siffatta circostanza, come emerso dalle dichiarazioni rese
in sede di interrogatorio e poi da quelle fornite dalla
teste Ghezzo, che al momento sinistro viaggiava in fianco
al conducente e anteriormente rispetto all’attrice.
Ad ogni buon conto, il consulente d’ufficio, pur riferendo
che una risposta esauriente in punto di compatibilita' delle
lesioni riportate con l’uso della cintura potrebbe
essere data solo in presenza di una consulenza cinematica,
ha precisato che l’apparecchio, pur potendo evitare
le lesioni al torace non avrebbe impedito “il traumatismo
cranico e la conseguente concussione encefalica e la successiva
emorragia (solo la presenza di un airbag avrebbe preservato
il capo dal violento movimento di flesso estensione e quindi
di concussione seguito all’arresto improvviso del
mezzo e alla proiezione anteriore del passeggero)…”.
Le considerazioni critiche svolte dalla difesa dei convenuti
in sede comparsa conclusionale appaiono tardive, considerato
che al momento della prestazione del giuramento da parte
del consulente d’ufficio, al fine di accelerare la
durata del procedimento, era stato disposto che eventuali
osservazioni alla relazione del consulente d’ufficio
fossero allo stesso tempestivamente consegnate, onde permettergli
di rispondere da subito. Sta di fatto che la difesa di parte
convenuta non ha formulato osservazioni in merito alla relazione
del prof. Tantalo, salvo sviluppare alcune considerazioni
critiche in termini di logicita' delle risposte fornite
al quesito formulato.
Osserva questo giudicante che ad ogni buon conto gli esiti
del sinistro oggetto di causa non sono quelli di un tamponamento,
sulla cui base la difesa di parte convenuta argomenta per
sottolineare come nel caso di specie l’attrice non
abbia riportato alcuna patologia ordinariamente riconducibile
all’uso della cintura di sicurezza, ma si e' trattato
dell’uscita di strada del mezzo, determinata dalla
scivolosita' dell’asfalto unitamente alla mancata
moderazione della velocita', cui ha fatto seguito una rotazione
in senso antiorario di 180 gradi, per poi terminare la fase
dinamica nel fossato. In altri termini, la tesi di parte
convenuta circa l’impossibilita', in caso di arresto
istantaneo, per il capo di andare in alto e, in caso di
uso della cintura di sicurezza, di subire fratture di entrambi
i lati del petto, non tiene conto del fatto che non si e'
trattato punto di un tamponamento, ma di una uscita di strada
a velocita' non moderata, come suffragato dalla sanzione
irrogata, con conclusione della fase dinamica in un fossato.
Appare pertanto verosimile, come peraltro documentato nelle
fotografie allegate al rapporto e dalla natura del danneggiamento
del mezzo, che l’auto e i suoi occupanti non si siano
limitati a subire le conseguenze di una forte decelarazione,
ma quelle derivanti dalla caduta del fossato. Cio' permette
di spiegare, in termini di elevata probabilita', il trauma
cranico patito dell’attrice e la conseguente irreversibile
compromissione della capacita' motoria e di articolazione
del linguaggio.
2) Questo giudicante, per quanto concerne il danno alla
persona, non puo' che riportarsi alla relazione del consulente
tecnico d’ufficio, il cui contenuto, espresso con
motivazione adeguata, perche' sorretta da argomentazioni
piane e convincenti, oltre che prive di incoerenze narrative,
deve intendersi pienamente richiamato in questa sede (cfr.
Cass. 3 marzo 1995 n. 2446).
Per quanto concerne il danno alla persona subito dall'attrice
vanno presi a riferimento i valori accertati in sede di
consulenza d'ufficio medico-legale. Va dunque, in primo
luogo, determinato il danno biologico, inteso, secondo i
noti e consolidati orientamenti giurisprudenziali della
Suprema Corte, come ostacolo alle attivita' realizzatrici
della persona umana che si verifica, quale effetto autonomo
e prioritario rispetto alle perdite economiche o ai mancati
guadagni, in conseguenza di menomazioni dell'integrita'
psico-fisica.
In considerazione di quanto sopra, si ritiene equo e conforme
a giustizia determinare in Euro 289.215,2 ai valori attuali
l'entita' del risarcimento spettante a titolo di danno biologico
permanente, liquidando pertanto in Euro 3.615,19 il valore
del singolo punto di invalidita', alla stregua dei parametri
piu' volte indicati ed adottati dal Tribunale di Venezia
(percentuale di invalidita' 80%, eta' - 72 anni - e natura
dei postumi v. tabelle del triveneto), nonche' dell'ineludibile
valutazione equitativa.
Con riguardo alla compromissione psico-fisica per il periodo
di inabilita' temporanea, va inoltre liquidato, quale danno
biologico temporaneo, l'importo di Euro 8.835 ai valori
attuali (Euro 31 al giorno X 285 giorni di ITT).
In ragione della rilevanza penalistica del comportamento
del convenuto e dell'accertamento della colpa in concreto
di quest'ultimo, va altresi' liquidato il danno non patrimoniale
che si indica nel caso concreto in Euro 208.635,14 in moneta
attuale, pari al 70% del danno biologico complessivo (permanente
e temporaneo - v. tabelle del triveneto, tenuto conto del
livello medio di sofferenza accertato dal C.T.U.).
Al riguardo si reputa conforme ad equita' discostarsi dalle
percentuali standardizzate nelle indicate tabelle considerata
l’ampiezza (ben nove mesi e mezzo) del periodo di
inabilita' temporanea assoluta. Periodo, quest’ultimo,
contraddistinto, a parte brevi momenti di dimissioni, da
lunghi ricoveri ospedalieri. Cio' giustifica la prospettata
quantificazione in funzione della naturale intensita' delle
sofferenze ricollegabili alle patite lesioni, tanto piu'
che l’attrice proprio perche' sempre vigile e orientata
nel tempo e nello spazio ha avuto una percezione piu' immediata
e, per questo, piu' traumatizzante, della condizione venutasi
a determinare.
3) Nulla puo' essere riconosciuto a titolo di danno esistenziale.
Con tale categoria -- di origine dottrinaria, sul piano
concettuale, ma di derivazione pretoria, quanto all’emersione
di nuove situazioni soggettive meritevoli di tutela -- si
e' cercato di uscire dalle secche argomentative connesse
alla dilatazione ipertrorfica del danno alla salute ed al
suo asserito non ancor compiuto inquadramento. Detto diversamente,
nel superare, non senza denunciare l’eccessivo ricorso
a categorie concettuali asseritamente piu' comuni all’argomentazione
giudiziaria, la tendenza alla c.d. pansomatizzazione di
ogni vicenda produttiva di conseguenze di tipo relazionale,
si e' proposto di operare una nuova riclassificazione delle
poste di danno meritevoli di risarcimento. Si badi, con
l’espressione danno esistenziale non si e' inteso
dare vita ad una nuova tipologia di danno-evento (per usare
una terminologia ormai invalsa a far data dalla Corte Cost.
184/86) correlata alla lesione di un bene-interesse, ma
soltanto porre accanto al danno patrimoniale ed al danno
morale (ossia quelli tradizionalmente definiti come danno-conseguenza)
una terza posta, ossia quella esistenziale.
Per meglio intendere il significato di danno esistenziale
si e' precisato che mentre il danno morale e' fondamentalmente
rivolto verso l’interno della persona, e' un sentire,
il danno esistenziale per sua vocazione e' volto verso l’esterno,
e' un non fare o un fare diverso, in ogni caso coinvolgente
attivita' di tipo areddituale, mentre il danno patrimoniale
s’incentra sull’individuazione dei “beni”
(distrutti, deteriorati, non restituiti). Si fa al riguardo,
l’esempio dello sconvolgimento delle abitudini di
vita, all’alterazione del piano “dell’agenda”,
alla sottoposizione ad esami e visite mediche periodiche,
alla dipendenza da farmaci, ai condizionamento indotti dall’ambiente
esterno, ivi compreso fenomeni di tipo criminale. Vicende,
queste ultime, affatto diverse tanto dalla lesione dell’integrita'
psico-fisica (non senza marcare la differenza tra danno
biologico e danno psichico connesso alla presenza di una
patologia mentale), quanto dal danno morale soggettivo,
ossia le sofferenze morali, il patimento interiore, quello
che comunemente e' definito come pretium doloris, altrimenti
definito come lesione di un valore idiosincratico.
In questo giro di orizzonte, il danno esistenziale come
evento pregiudizievole ha in se', neanche troppo velatamente,
un’aspirazione alla monopolizzazione delle conseguenze
di natura non patrimoniale con conseguente assorbimento
del danno biologico. In altri termini, secondo l’impianto
triestino (dal nome della scuola che per prima ha coniato
l’espressione), accanto ad un danno esistenziale derivante
dalla lesione di interessi meritevoli di tutela (di rango
costituzionale) e selezionati secondo il consueto (ma sempre
piu' evanescente) canone dell’ingiustizia del danno,
sempre che sia ipotizzabile un nesso di causa ex art. 1223
c.c., e' affiancabile un danno esistenziale di tipo biologico
per la lesione dell’integrita' psicofisica.
Costruito nei termini indicati, cioe' come effetto pregiudizievole,
ma diverso dai risvolti puramente interni dell’individuo,
il danno esistenziale si sottrae alla possibile censura
prospettabile in relazione al principale criterio di imputazione
in tema di r.c., ossia la colpa e, segnatamente, in relazione
al profilo della prevedibilita' dell’evento. Infatti,
quel che deve essere prevedibile ed evitabile, quindi tale
da giustificare l’imputazione a titolo di colpa, sempre
che si individui l’inosservanza di una regola comportamentale
(legislativa, regolamentare, deontologica ecc.) e' l’evento,
ossia la lesione ad un bene meritevole di tutela in base
all’ordinamento. Stabilire poi quali siano le conseguenze
pregiudizievoli in concreto risarcibili e' un problema diverso
dall’imputazione dell’evento ed e' risolvibile
mediante il ricorso agli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c. in
base al criterio della causalita'.
In una diversa prospettazione, anch’essa favorevole
alla categoria del danno esistenziale, ma sostanzialmente
in un’ottica di ostracizzazione dell’art. 2059
c.c., si e' osservato che esso e' figlio delle sentenze
della Consulta sugli artt. 2043 e 2059 c.c. Se il danno
non patrimoniale e' il danno morale soggettivo (sent. 184/86)
e se e' legittimo un trattamento differenziato tra danno
patrimoniale e danno non patrimoniale, sempre che non vi
sia una lesione di una posizione soggettiva costituzionalmente
tutelata (sent. 87/79), allora l’art. 2043 c.c. in
correlazione con l’art. 2 cost. (e' il ragionamento
di Cass. 7713/2000) puo' servire a sanzionare le lesioni
di situazioni soggetti di rango costituzionale (appunto
il danno esistenziale), sempre che non vi sia una lesione
medicalmente accertabile. In altri termini, si fa ancora
notare, la Corte si e' posta in un vicolo cieco, poiche'
il meccanismo innescato dalla sentenza dell’Andro
non puo' non valere anche per ogni violazione di diritti
costituzionalmente garantiti. Questo, ad avviso del giudicante,
dovrebbe essere il settore di applicazione di tale figura
di danno.
Sennonche', l’argomentazione dell’attrice sembra
far leva sulla prima accezione del danno esistenziale, inteso
come pregiudizio relazione di segno negativo strettamente
correlato all’azzeramento del valore uomo in funzione
dell’elevatissima percentuale d’invalidita'
permanente, che ha ridotto l’attrice a non potersi
piu' muovere autonomamente e a dipendere, come si dira'
piu' avanti, dall’assistenza di terzi anche nei piu'
elementari gesti quotidiani.
In questa prospettiva, si puo' convenire con l’orientamento
di chi sostiene che il danno esistenziale biologico e il
danno alla salute in senso dinamico sono in realta' la stessa
cosa. Non c’e' bisogno di alcun riscontro per affermare
che il danno biologico tutela il valore uomo in se', nel
complesso delle sue funzioni, non solo in ragione della
sua attitudine a produrre reddito, ma anche nella sua proiezione
familiare, sociale e culturale. Con il risarcimento del
danno alla salute si tende ad attribuire una somma in funzione
riparatoria-satisfattiva per la perdita delle utilita' esistenziali
perdute. Non a caso da sempre il modello risarcitorio del
danno alla salute, quantomeno dall’affermazione del
modello pisano del punto, si compone di due elementi: un’uniformita'
pecuniaria di base, cui si aggancia una valutazione individualizzata,
atta ad modulare il risarcimento al danno in concreto patito
dall’individuo (quindi, anche l’alterazione
del proprio sistema di vita, il non poter piu' fare, o il
dovere soggiacere ad un rigido calendario di visite, controlli,
prescrizioni e quant’altro).
Lo stesso meccanismo tabellare in uso presso questo Tribunale,
basato su un valore del punto crescente in funzione della
percentuale di invalidita', ma decrescente per l’eta',
risponde in pieno all’esigenza enunciata dalla Corte
costituzionale di un’uniformita' pecuniaria di base
non scevra da una valutazione individualizzata. Rebus sic
stantibus, se il meccanismo tabellare del danno biologico
lo si estende tout court al danno biologico, e' evidente
che saremmo al cospetto di un’operazione meramente
nominalistica. Qualora invece il danno esistenziale fosse
liquidato in termini percentuali sul biologico si finirebbe
per operare un’indebita duplicazione di poste risarcitorie.
4) A titolo di danno emergente, va riconosciuta sulla scorta
della documentazione versata in causa, del giudizio di congruita'
e pertinenza espresso dal C.T.U. e di una necessaria valutazione
equitativa e forfetaria, per spese mediche, di assistenza
e per modifiche gia' effettuate all’immobile attoreo,
la complessiva somma di Euro 5.130,52, ai valori attuali.
Per converso, nulla puo' essere riconosciuto per la prospettata
installazione del montascale, come richiesto in sede di
precisazione delle conclusioni, trattandosi di una posta
risarcitoria prospettata per la prima volta solo in tale
sede.
In ordine alle spese per assistenza futura, considerato
che, come evidenziato dallo stesso C.T.U., l’attrice
e' venuta a trovarsi in una situazione di totale dipendenza
da terzi per l’espletamento anche dei piu' normali
incombenti quotidiani (cfr. pag. 11 della relazione del
C.T.U.), appare giustificato il ricorso all’aiuto
di terzi, i quali saranno chiamati ad integrare il sostegno
al momento prestato dai familiari della Maraffi.
A tal proposito si stima ragionevole, in una prospettiva
di tipo equitativo, ipotizzare una spesa costante mensile
di Euro 1.000 al mese per dieci anni. Sull’importo
cosi' ipotizzato, operata la capitalizzazione anticipata,
connessa all’immediata erogazione di una somma volta
a compensare un esborso futuro e che si assume costante
in un arco di tempo di dieci anni, sulla base di un tasso
di sconto del 2,5% si perviene all’importo finale
di Euro 9.000 (Euro 12.000 – Euro 3.000 pari all’ammontare
dello sconto da operare per la capitalizzazione anticipata).
Il danno fin qui liquidato e' pari a Euro 518.815,86, si'
che, detratto l’ammontare gia' attualizzato della
provvisionale (pari a Euro 32.929,33), si perviene a quella
di Euro 485.886,53. Sulle somme spettanti a titolo di risarcimento
danni, inoltre, sono dovuti gli interessi compensativi da
calcolarsi secondo quanto si dira' tra breve.
Accertata la responsabilita' esclusiva di Maraffi Marcello
nella causazione del sinistro oggetto di causa, quest’ultimo
deve essere condannato in solido con l’Aurora Assicurazioni
s.p.a. al pagamento in favore dell’attrice della somma
di Euro 485.886,53, oltre gli interessi compensativi sull’importo
di Euro 509.815,86 (pari al totale del danno liquidabile,
a prescindere dalla provvisionale, ma con esclusione della
somma di Euro 9.000 per spese future di assistenza) dalla
data del sinistro sino al 25-5-2000, e poi sul residuo di
Euro 476.886,53 dal 26-5-2000 al saldo. Infine, sull’importo
di Euro 9.000 gli interessi legali saranno dovuti dalla
data della presente decisione.
Le spese di lite comprese quelle per c.t.p., liquidate come
da dispositivo, seguono la soccombenza.
Spese di C.T.U. a definitivo e solidale carico dei convenuti.
Sentenza provvisoriamente esecutiva per legge.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa in
epigrafe riportata, respinta ogni altra domanda o eccezione,
cosi' provvede:
1) accertata la responsabilita' esclusiva di Maraffi Marcello
nella causazione del sinistro oggetto di causa, condanna
quest’ultimo al pagamento in solido con l’Aurora
Assicurazioni s.p.a., in persona del legale rappresentante
p.t., in favore di Maraffi Maria della somma di Euro 485.886,53,
oltre gli interessi compensativi sull’importo di Euro
509.815,86 dalla data del sinistro sino al 25-5-2000 e poi
sul residuo di Euro 476.886,53 dal 26-5-2000 al saldo, nonche'
agli interessi legali sull’importo di Euro 9.000 dalla
data della presente decisione fino al saldo;
2) condanna Maraffi Marcello e Aurora Assicurazioni s.p.a.,
in persona del legale rappresentante p.t., alla rifusione
in solido in favore dell’attrice delle spese di lite,
liquidate in complessivi Euro 22.922,97, di cui Euro 1.239,75
per spese, Euro 5.483,22 per diritti e Euro 16.200 per onorari,
oltre IVA e CPA se dovuti per legge;
3) spese di C.T.U. a definitivo e solidale carico dei convenuti;
4) sentenza provvisoriamente esecutiva per legge
La redazione di megghy.com
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