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Corte Costituzionale 11 luglio 2003, n. 233
[Pres. Chieppa]
Nell’astratta previsione della norma di cui all’art.
2059 c.c. deve ricomprendersi ogni danno di natura non patrimoniale
derivante da lesione di valori inerenti alla persona: sia
il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento
dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico
in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse,
costituzionalmente garantito, all’integrità
psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento
medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito
in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante
dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale
inerenti alla persona
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Roma, con ordinanza dell’11 maggio
2002, depositata il 20 giugno 2002, ha sollevato, in riferimento
agli artt. 2 e 3 Cost., questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2059 c.c.
In punto di rilevanza, il rimettente espone di doversi pronunciare
su domande di risarcimento del danno morale avanzate dagli
eredi di persone decedute in un sinistro stradale nei confronti
dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro stesso.
Aggiunge che nessuna delle parti è riuscita a superare
la presunzione di colpa in pari misura concorrente posta
a carico di ciascuno dei conducenti dall’art. 2054,
comma 2, c.c., cosicché le suddette domande risarcitorie
dovrebbero essere respinte, stante la limitazione posta
dall’art. 2059 c.c., dovendo – per diritto vivente
– escludersi la risarcibilità, ex art. 185
c.p., del danno morale nel caso in cui la responsabilità
dell’autore del fatto illecito, pur astrattamente
costituente reato, sia accertata in base ad una presunzione
di legge e non in base all’oggettiva ricostruzione
del fatto
La previsione di risarcibilità del danno non patrimoniale
nei soli casi previsti dalla legge, contenuta nella norma
impugnata, sarebbe tuttavia lesiva del diritto fondamentale
dell’individuo alla serenità morale, tutelato
dall’art. 2 Cost., oltre ad essere fonte di inique
ed ingiustificate disparità di trattamento, tali
da violare il principio di eguaglianza. Sotto altro aspetto,
essa avrebbe prodotto – per effetto di orientamenti
giurisprudenziali nel tempo consolidatisi – ingiustificate
duplicazioni risarcitorie, contrastanti con l’art.
3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, rispetto
al tertium comparationis rappresentato dall’art. 2043
c.c.
Con riguardo al primo dei profili considerati, il rimettente
osserva che la norma impugnata si fonderebbe, in definitiva,
sull’assunto secondo cui i diritti della personalità
non costituiscono elementi del patrimonio del titolare e
la loro lesione non darebbe perciò luogo a risarcimento
Siffatto assunto non potrebbe tuttavia trovare cittadinanza
nell’ordinamento costituzionale, posto che tutti i
diritti della personalità, nessuno escluso, ricevono
tutela dagli artt. 2 e 3 Cost., come è del resto
riconosciuto sia dalla giurisprudenza di legittimità
e di merito sia dalla migliore dottrina. Né, d’altro
canto, potrebbe sostenersi che la sofferenza morale causata
dalla perdita di un prossimo congiunto non sia tutelata
da alcun precetto costituzionale e quindi – non costituendo
un diritto della personalità – non possa essere
risarcita se non nei limiti stabiliti dall’art. 2059
c.c.
L’assurdità di una simile tesi, sul piano giuridico,
risulterebbe – secondo il rimettente - palese ove
si consideri che, secondo l’orientamento prevalente
della dottrina, della giurisprudenza di legittimità
e di quella costituzionale, l’art. 2 Cost. sancisce
il valore assoluto della persona umana ed è norma
a contenuto precettivo e non programmatico, cosicché
ogni proiezione della persona nella realtà sociale
sarebbe suscettibile di assurgere al rango di diritto soggettivo
perfetto, con la conseguente configurabilità di una
tutela risarcitoria in caso di lesione
Non potendo dubitarsi che la famiglia sia una delle formazioni
sociali nelle quali l’individuo esplica la propria
personalità e che i vincoli famigliari costituiscano
proiezione della persona nella realtà sociale, ne
discenderebbe che i suddetti vincoli costituiscono, ex art.
2 Cost., oggetto di un diritto soggettivo perfetto. L’art.
2059 c.c., impedendone la risarcibilità in caso di
lesione, salvo i casi previsti dalla legge, violerebbe perciò
tanto l’art. 2 Cost., frustrando un diritto fondamentale,
quanto l’art. 3, con riguardo al principio di eguaglianza,
differenziando ingiustamente la situazione di chi perde
un congiunto in conseguenza di un illecito accertato e quella
di chi invece lo perde in conseguenza di un illecito presunto
ex art. 2054 c.c.
La norma impugnata, d’altro canto, non sarebbe - ad
avviso del rimettente – suscettibile di una lettura
costituzionalmente orientata, così da superare il
prospettato dubbio di legittimità con riferimento
al canone di ragionevolezza
In particolare, non ritiene il giudice a quo di poter condividere
la tesi secondo la quale la lesione di un diritto costituzionalmente
protetto sarebbe comunque risarcibile, nonostante il tenore
dell’art. 2059, in base al combinato disposto dell’art.
2043 e della norma costituzionale di volta in volta violata
In primo luogo, tale orientamento si fonda sull’assunto
che l’art. 2043 sia una norma in bianco, ma siffatto
assunto è stato ormai abbandonato dalla giurisprudenza
delle Sezioni unite della Cassazione, con la sentenza 500/99,
nella quale il danno risarcibile è espressamente
definito come la lesione dell’interesse al bene della
vita al quale l’interesse leso, secondo il concreto
atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega.
In tale ottica la risarcibilità discende dunque dal
fatto che l’interesse leso sia rilevante per l’ordinamento,
a prescindere dall’esistenza di una garanzia costituzionale,
e non vi è dubbio – ad avviso sempre del giudice
a quo – che l’interesse alla propria serenità
morale sia preso in considerazione, sotto molti aspetti,
dall’ordinamento
Secondariamente, la tesi cosiddetta "del combinato
disposto" condurrebbe a svuotare l’art. 2059
c.c. di ogni contenuto, atteso che qualsiasi danno morale
potrebbe astrattamente ricondursi alla lesione di un diritto
costituzionalmente protetto. Ma tra una interpretatio abrogans
conforme a Costituzione ed una interpretatio utilis con
questa contrastante l’interprete – secondo il
rimettente - dovrebbe necessariamente scegliere la seconda
L’orientamento ermeneutico in esame porterebbe, infine,
ad una irragionevole duplicazione di risarcimento nel caso
in cui il fatto illecito integri gli estremi di un reato:
in tal caso, infatti, il danneggiato potrebbe agire sia
per il risarcimento del danno ingiusto, in base al combinato
disposto degli artt. 2 Cost. e 2043 c.c., sia per il risarcimento
del danno morale in base all’art. 2059 c.c.
In via dichiaratamente subordinata, il rimettente solleva
poi, in riferimento all’art. 3 Cost., una diversa
questione di legittimità costituzionale della stessa
norma, nella parte in cui non consente la liquidazione del
danno non patrimoniale nei casi in cui la responsabilità
dell’offensore venga affermata – come è
nel giudizio a quo - in base ad una presunzione di legge
Il rimettente muove dalla considerazione che siffatta lettura
della norma, costituente diritto vivente, nacque in un’epoca
storica nella quale, vigendo l’art. 3 c.p.p del 1930,
l’accertamento dell’illecito in sede civile
era necessariamente subordinato all’accertamento del
reato in sede penale
L’irrisarcibilità del danno morale in caso
di responsabilità presunta, quale conseguenza dell’inesistenza
del reato affermata in sede penale, discenderebbe pertanto
dalla preminenza logica della giurisdizione penale rispetto
a quella civile
La situazione sarebbe radicalmente mutata a seguito dell’introduzione
del nuovo art. 75 c.p.p, per effetto del quale l’azione
risarcitoria in sede civile può avere uno svolgimento
del tutto autonomo, ed un esito anche contrastante, rispetto
all’eventuale azione penale che sia promossa per lo
stesso fatto
La norma impugnata si porrebbe pertanto in contrasto con
l’art. 3 Cost. in quanto - "in modo irrazionale
rispetto al dettato dell’art. 75 c.p.p, considerato
quale tertium comparationis" - nonostante la conclamata
parità delle giurisdizioni, precluderebbe al danneggiato
che agisca in sede civile ai fini del risarcimento del danno
morale "di avvalersi di uno dei mezzi di prova più
tipici e risalenti del processo civile, cioè la presunzione"
2. È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, che ha concluso per la declaratoria
di non fondatezza della questione
Ad avviso della parte pubblica, il senso della norma impugnata
sarebbe quello non di negare il riconoscimento dei diritti
della personalità tutelati dagli artt. 2 e 3 Cost.,
ma di limitare un profilo risarcitorio privo – per
la particolare natura di quei diritti - di effettiva idoneità
ripristinatoria della perdita subita
La norma troverebbe in definitiva la propria giustificazione
nell’esigenza – pur essa frutto di civiltà
giuridica - di evitare che il debitore si trovi assoggettato
ad un carico risarcitorio sproporzionato rispetto all’entità
del fatto illecito, tanto più che, una volta ammessa
la piena risarcibilità del danno morale, sarebbe
difficile giustificare la limitazione della tutela risarcitoria
– in una fattispecie come quella sottoposta all’esame
del giudice a quo - ai soli congiunti e non anche ad altri
soggetti legati alle vittime del sinistro da rapporti di
diversa natura
La scelta operata dal legislatore sarebbe dunque frutto
di una valutazione non solo ampiamente discrezionale ma
altresì riconducibile ad un sistema complessivo,
"non suscettibile di riscrittura attraverso una mera
pronuncia abrogativa"
Legando la possibilità del risarcimento alla natura
penale dell’illecito, l’ordinamento avrebbe
inteso, non irragionevolmente, attribuire valore differenziale,
tenuto conto della specialità di questo tipo di danni,
alla natura della condotta anziché a quella dell’evento
Considerato in diritto 1. Il Tribunale di Roma – chiamato
a pronunciarsi su domande di risarcimento del danno morale
avanzate dai prossimi congiunti di persone decedute in un
incidente automobilistico, nei confronti dei conducenti
dei veicoli coinvolti, la cui responsabilità discende,
secondo lo stesso giudice, esclusivamente dalla presunzione
di cui all’art. 2054, comma 2, c.c. – solleva
due diverse questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 2059 c.c.
La prima, che il rimettente qualifica come principale, ha
ad oggetto – con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.
– la previsione di risarcibilità del danno
non patrimoniale "solo nei casi determinati dalla legge"
Siffatta limitazione risarcitoria sarebbe – ad avviso
del rimettente – lesiva del diritto fondamentale dell’individuo
alla serenità morale, tutelato dall’art. 2
Cost., nonché fonte di ingiustificate disparità
di trattamento tra danneggiati. Avrebbe inoltre dato causa
– per effetto di orientamenti giurisprudenziali nel
tempo consolidatisi – ad ingiustificate duplicazioni
risarcitorie, contrastanti con l’art. 3 Cost. sotto
il profilo della ragionevolezza
La seconda questione, indicata come subordinata, riguarda
invece, con riferimento all’art. 3 Cost., la medesima
norma nella parte in cui escluderebbe la risarcibilità
del danno non patrimoniale allorché la responsabilità
dell’autore del fatto, corrispondente ad una fattispecie
astratta di reato, venga affermata – come appunto
nel caso di specie - in base ad una presunzione di legge
Siffatta esclusione si porrebbe in irragionevole contrasto
con il principio di parità delle giurisdizioni civile
e penale, proclamato dall’art. 75 c.p.p, precludendo
al danneggiato che agisca in sede civile ai fini del risarcimento
del danno non patrimoniale di avvalersi di un mezzo di prova
tipico del processo civile, quale la presunzione
Presupposto interpretativo comune ad entrambe le questioni
è quello – certamente non implausibile –
secondo cui l’ambito di applicazione dell’art.
2059 c.c. copre l’intera area del danno non patrimoniale,
restando perciò preclusa al giudicante la possibilità
di risarcire il pregiudizio alla serenità morale,
derivante dalla perdita di un congiunto per fatto illecito
altrui, mediante il ricorso all’art. 2043 c.c., in
combinato disposto con l’art. 2 Cost.
2. Una corretta valutazione del rapporto di pregiudizialità
tra le questioni oggetto del presente giudizio porta ad
invertire l’ordine di trattazione seguito dal rimettente,
esaminando prioritariamente la questione sollevata, nell’ordinanza,
in via subordinata
Il rimettente infatti, in relazione ad una domanda di risarcimento
del danno morale derivato agli attori dalla morte di congiunti
in uno scontro tra veicoli provocato da fatto illecito altrui,
ritiene di non poter accertare concretamente l’elemento
soggettivo del dolo o della colpa dell’autore dell’illecito
e di dover quindi ricorrere alla presunzione di pari responsabilità
dei conducenti dei veicoli, posta dall’art. 2054,
comma 2, c.c. Pertanto il dubbio di costituzionalità
da lui sollevato in ordine all’art. 2059 c.c., nella
parte relativa alla limitazione della risarcibilità
del danno non patrimoniale ai soli casi determinati dalla
legge (tra i quali rientra quello del danno derivante da
reato, ai sensi dell’art. 185 c.p.) in tanto può
ritenersi rilevante in quanto si assuma l’esclusione
di tale risarcibilità nelle ipotesi in cui il ricordato
elemento soggettivo discenda da una presunzione di legge
Ma poiché il rimettente dubita (anche) della legittimità
costituzionale dell’art. 2059 c.c. proprio sotto questo
specifico profilo, è evidente come la relativa questione
sia preliminare all’altra, prospettata come principale
3. La questione individuata come logicamente preliminare
deve essere dichiarata non fondata nei sensi di cui in motivazione
3.1.- Il rimettente nel sollevare il dubbio di costituzionalità
muove dalla ritenuta necessità, ai fini della risarcibilità
del danno non patrimoniale, dell’accertamento in concreto
di un reato e, quindi, anche dell’elemento soggettivo
del dolo o della colpa
Ma è proprio una interpretazione siffatta, assunta
in termini di diritto vivente, a risultare del tutto dissonante
rispetto alla ratio della norma impugnata, quale si desume
dalla evoluzione legislativa e giurisprudenziale verificatasi
in materia
3.2. Non vi è dubbio che l’art. 2059 c.c.,
stabilendo che il danno non patrimoniale deve essere risarcito
solo nei casi determinati dalla legge, circoscriveva originariamente
la risarcibilità all’ipotesi, contemplata dall’art.
185 c.p., del danno non patrimoniale derivante da reato,
e le conferiva un carattere sanzionatorio, reso manifesto,
tra l’altro, dalla stessa relazione al c.c., secondo
la quale "soltanto nel caso di reato è più
intensa l’offesa all’ordine giuridico e maggiormente
sentito il bisogno di una più energica repressione
con carattere anche preventivo"
Coerentemente a ciò, si riteneva, poi, che il riferimento
al reato, contenuto nell’art. 185 c.p., dovesse essere
inteso nel senso della ricorrenza in concreto di una fattispecie
criminosa in tutti i suoi elementi costitutivi, anche di
carattere soggettivo. Con la conseguente inoperatività,
in tale ambito, della presunzione di legge destinata a supplire
la prova, in ipotesi mancante, della colpa dell’autore
della fattispecie criminosa
3.3.- L’indirizzo interpretativo riassuntivamente
esposto risulta, tuttavia, destinato ad entrare in crisi
per effetto della richiamata evoluzione sull’area
di risarcibilità del danno non patrimoniale
Da un lato, infatti, il legislatore ha introdotto ulteriori
casi di risarcibilità del danno non patrimoniale
estranei alla materia penale, riguardo ai quali è
del tutto inconferente qualsiasi riferimento ad esigenze
di carattere repressivo (si pensi, ad esempio, alle azioni
di responsabilità previste dall’art. 2 della
legge 117/88, per i danni derivanti da ingiusta privazione
della libertà personale nell’esercizio di funzioni
giudiziarie; dall’art. 2 della legge 89/2001, per
i danni derivanti dal mancato rispetto del termine ragionevole
di durata del processo)
Dall’altro, la giurisprudenza – sia pure muovendosi
nell’ambito di operatività dell’art.
2043 c.c., nel corso di un travagliato itinerario interpretativo
nel quale questa Corte è ripetutamente intervenuta
- ha da tempo individuato ulteriori ipotesi di danni sostanzialmente
non patrimoniali, derivanti dalla lesione di interessi costituzionalmente
garantiti, risarcibili a prescindere dalla configurabilità
di un reato (in primis il cosiddetto danno biologico). Il
mutamento legislativo e giurisprudenziale venutosi in tal
modo a realizzare ha fatto assumere all’art. 2059
c.c. una funzione non più sanzionatoria, ma soltanto
tipizzante dei singoli casi di risarcibilità del
danno non patrimoniale
Su tale base, pertanto, anche il riferimento al "reato"
contenuto nell’art. 185 c.p., in coerenza con la diversa
funzione assolta dalla norma impugnata, non postula più,
come si riteneva per il passato, la ricorrenza di una concreta
fattispecie di reato, ma solo di una fattispecie corrispondente
nella sua oggettività all’astratta previsione
di una figura di reato. Con la conseguente possibilità
che ai fini civili la responsabilità sia ritenuta
per effetto di una presunzione di legge. Del resto, è
significativo come la stessa giurisprudenza di legittimità
abbia affermato, in relazione al reato commesso da persona
non imputabile, che la risarcibilità del danno non
patrimoniale a norma dell’art. 2059 c.c., in relazione
all’art. 185 c.p., non richiede che il fatto illecito
integri in concreto un reato punibile per il concorso di
tutti gli elementi a tal fine rilevanti per la legge penale,
essendo sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente
preveduto dalla legge come reato
Sicché può dirsi che, anche sotto l’aspetto
della complessiva coerenza del sistema, la tesi che alla
parola "reato" attribuisce il significato di fatto
(solo) astrattamente previsto come tale dalla legge risulta
certamente non estranea alla stessa giurisprudenza, pur
richiamata dal rimettente a sostegno della contraria opinione
Né, d’altro canto, potrebbe ancora invocarsi,
quale argomento a favore della tesi opposta, una asserita
prevalenza della giurisdizione penale rispetto a quella
civile
L’art. 75 c.p.p ha definitivamente consacrato il principio
di parità delle giurisdizioni, cosicché perfino
la possibilità di giudicati contrastanti in relazione
al medesimo fatto, ai diversi effetti civili e penali, costituisce
evenienza da considerarsi ormai fisiologica
3.4. Occorre da ultimo considerare che l’indirizzo
interpretativo assunto dal rimettente come diritto vivente
risulta disatteso, successivamente all’ordinanza di
rimessione, dalla stessa giurisprudenza di legittimità
Giova al riguardo premettere – pur trattandosi di
un profilo solo indirettamente collegato alla questione
in esame – che può dirsi ormai superata la
tradizionale affermazione secondo la quale il danno non
patrimoniale riguardato dall’art. 2059 c.c. si identificherebbe
con il cosiddetto danno morale soggettivo. In due recentissime
pronunce (Cassazione, 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828),
che hanno l’indubbio pregio di ricondurre a razionalità
e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria
del danno alla persona, viene, infatti, prospettata, con
ricchezza di argomentazioni – nel quadro di un sistema
bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale
– un’interpretazione costituzionalmente orientata
dell’art. 2059 c.c., tesa a ricomprendere nell’astratta
previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale
derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e
dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte
turbamento dello stato d’animo della vittima; sia
il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione
dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità
psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento
medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito
in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante
dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale
inerenti alla persona
Per quanto specificamente riguarda il tema – che qui
ci occupa - della risarcibilità del danno non patrimoniale
in caso di colpa presunta, altre, anch’esse recentissime,
sentenze del giudice di legittimità, muovendo dalla
"sempre più avvertita esigenza di garantire
l’integrale riparazione del danno ingiustamente subito
(...) nei valori propri della persona, anche in riferimento
all’art. 2 Cost.", sono giunte all’enunciazione
di un principio di diritto perfettamente coerente con le
considerazioni sin qui svolte. Si afferma, infatti, in tali
pronunce che alla risarcibilità del danno non patrimoniale
ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p. non osta il mancato positivo
accertamento della colpa dell’autore del danno se
essa, come nei casi di cui agli artt. 2051 e 2054 c.c.,
"debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione
di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile
come reato" (Cass. 7281 e 7282/03)
Sicché, nessun ostacolo sussiste, neppure sotto l’aspetto
di un contrario diritto vivente, all’accoglimento
di una interpretazione opposta a quella da cui muove il
rimettente nel sollevare il dubbio di costituzionalità
3.5. Conclusivamente, l’art. 2059 c.c. deve essere
interpretato nel senso che il danno non patrimoniale, in
quanto riferito alla astratta fattispecie di reato, è
risarcibile anche nell’ipotesi in cui, in sede civile,
la colpa dell’autore del fatto risulti da una presunzione
di legge
Resta in tal modo superato il dubbio di legittimità
costituzionale originato da una contraria lettura della
norma, mentre la concreta possibilità di una tutela
risarcitoria dei danneggiati nel giudizio principale rende
evidentemente priva di rilevanza e, pertanto, inammissibile
l’ulteriore questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2059 c.c., prospettata dal medesimo rimettente
in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. e diretta a censurare
la limitazione della risarcibilità del danno non
patrimoniale ai soli casi stabiliti dalla legge
PQM
La Corte costituzionale Dichiara non fondata, nei sensi
di cui in motivazione, la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2059 del c.c. sollevata,
in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale di
Roma con l’ordinanza in epigrafe; dichiara inammissibile
l’ulteriore questione di legittimità costituzionale
della medesima norma, sollevata dallo stesso rimettente
in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.
La redazione di megghy.com |