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Svolgimento del processo
1) - Con sentenza del 31 ottobre 1992, il Pretore penale
di Mestre assolveva Francesco Cappelletto dal reato di cui
all'art. 570 co. 2, c.p. - del quale era stato chiamato
a rispondere per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza
al figlio naturale Daniele Hu Cheng - ritenendo esclusa
la sussistenza di tal reato in ragione del fatto che al
mantenimento del minore aveva comunque provveduto la madre
naturale Donatella Hu Cheng.
2) - Su ricorso proposto per i soli interessi civili, in
nome e per conto del minore, dalla Hu Cheng (già,
in tal veste, parte civile nel giudizio a quo) l'adita Corte
di cassazione - premesso che aveva errato il giudice penale
nel non applicare il principio per cui lo stato di bisogno
sussiste anche qualora alla somministrazione dei mezzi di
sussistenza provveda un solo genitore “essendo, invece,
entrambi egualmente obbligati” - cassava, conseguentemente,
con sentenza n. 566 del 1994, la statuizione pretorile e,
ai sensi del previgente art. 541 c.p.p., rinviava alla Corte
di Venezia “per i soli effetti civili”.
3) - Con citazione del settembre 1995, Daniele Cappelletto
(per mezzo della madre e poi, raggiunta la maggiore età,
in proprio) conveniva in giudizio Francesco Cappelletto
innanzi alla designata Corte di rinvio.
All'uopo deduceva di essere figlio dell'appellato, come
accertato con sentenza del 12 marzo 1987, la quale aveva
posto a di lui carico anche un assegno di mantenimento decorrente
(come da parziale riforma in appello) dalla data della domanda
giudiziaria; che solo a seguito di convenzione del giugno
1990, il Cappelletto aveva comunque pagato gli importi per
tale titolo da lui dovuti “a partire dal settembre
1984” (mentre, per il periodo antecedente, con separata
sentenza, era stato accolta la domanda risarcitoria proposta
dalla Hu Cheng per il mantenimento esclusivamente da lei
assicurato al figlio, dalla nascita).
E, ciò premesso, chiedeva conseguentemente, a sua
volta, il risarcimento dei danni personalmente subiti, “sia
sotto il profilo affettivo che economico”, in conseguenza
del comportamento intenzionalmente e pervicacemente defatigatorio
del padre naturale”.
4) - Con sentenza del 7 novembre 1997, la Corte veneziana
accoglieva la domanda e, in via equitativa, quantificava
in 30 milioni di lire i danni che riconosceva subiti dall'istante
in conseguenza dell'ingiusto comportamento del padre naturale.
5) - Avverso quest'ultima sentenza il Cappelletto ha proposto
ricorso per cassazione, illustrato anche con memoria ex
art. 378 c.p.c..
Nel costituirsi in questo giudizio, con congiunto controricorso,
Daniele e Donatella Hu Cheng hanno eccepito, entrambi, l'improcedibilità
del ricorso per omesso deposito della prescritta copia autentica
della sentenza impugnata e - la sola Donatella - il proprio
difetto di legittimazione passiva.
Motivi della decisone
1) - Va preliminarmente respinta l'eccezione di improcedibilità
del ricorso poiché, contrariamente a quanto dedotto
dai resistenti, il Cappelletto non ha mancato di depositare
la copia autentica della sentenza impugnata come prescritto
dall'art. 369 c.p.c..
2) - Accolta va invece l'ulteriore eccezione della Hu Cheng
- ed il ricorso va di conseguenza nei suoi confronti dichiarato
inammissibile - per non essere essa parte del giudizio risarcitorio
promosso contro il Cappelletto dal di lui figlio naturale.
3) - Anche nei confronti di Daniele Hu Cheng l'odierno ricorso
è comunque in ogni sua parte infondato.
4) - Privi di giuridica consistenza risultano, infatti,
i primi tre connessi motivi di detta impugnazione, con i
quali - nella triplice prospettiva della elusione del “dictum”
della sentenza di rinvio ex art. 384 c.p.c., del vizio di
ultrapetizione ex art. 112 stesso codice e della carenza
di motivazione - sostanzialmente si addebita al Collegio
a quo di aver omesso di svolgere l'ulteriore istruttoria,
che gli sarebbe stata demandata con la precedente sentenza
di cassazione, in ordine, alla effettiva sussistenza di
una responsabilità civile del Cappelletto.
Ed invero ciò che richiamata sentenza della Cassazione
penale aveva demandato al Giudice del rinvio - in conseguenza
dell'annullamento del giudicato assolutorio del Cappelletto
dal reato di cui all'art. 570 cpv. c.p. - era “un
nuovo esame dei fatti ai soli fini civili”. Ed è
evidente che la prescrizione di un tale riesame non equivale
né contiene in sé, come a torto ex adverso
preteso, anche l'“obbligo di acquisire nuove prove”,
che motivatamente quei giudici hanno comunque ritenuto superflue
ai fini del decidere.
5) - Parimenti non condivisibili sono poi tutte le ulteriori
censure svolte nel residuo quarto (ancorché non formalmente
numerato come tale) mezzo del ricorso, con cui si attacca
la statuizione risarcitoria per la (non rilevata) “inesistenza,
nella fattispecie, di alcun danno risarcibile in correlazione
con il fatto residuale naturalisticamente addebitato al
Cappelletto”, e la conseguente non ricorrenza dei
presupposti per una “decisione equitativa ai sensi
dell'art. 114 c.p.c.”.
5.1) - In relazione al primo e più rilevante profilo
di doglianza, anche in sede di discussione orale la difesa
del ricorrente ha tenuto a ribadire il carattere “suicida”
della sentenza impugnata, la quale avrebbe liquidato il
contestato risarcimento ancorché avesse in premessa
accertato la già intervenuta corresponsione da parte
del Cappelletto, in parte al figlio e in parte alla Hu Cheng,
di tutto quanto da lui dovuto a titolo di mantenimento o
di concorso del mantenimento nei confronti del minore; e
non ostante avesse - la stessa sentenza - altresì
sottolineato come, nella specie, (a prescindere dal “danno
patrimoniale”, così escluso) neppure alcun
“danno morale” fosse liquidabile, in conseguenza
della esclusa illiceità del fatto per effetto della
sentenza pretorile assolutoria, passata in giudicato agli
effetti penali.
Ma tali rilievi, pur suggestivi, non valgono a scalfire
la statuizione contestata.
A prescindere infatti dalla considerazione che il pagamento,
pacificamente effettuato a molti anni di distanza dalla
nascita del piccolo Daniele, sia pur di tutti gli arretrati
dovuti dal Cappelletto, a titolo di mantenimento secondo
le prescrizioni del giudice civile, non esclude residuali
profili di danno patrimoniale (conseguenti proprio al rilevante
ritardo della erogazione), è assorbente comunque
il rilievo che ciò che soprattutto la Corte veneziana,
nella specie, ha inteso risarcire è la lesione in
sé, che dal comportamento del ricorrente (di iniziale
ostinato rifiuto di corrispondere al figlio i mezzi di sussistenza),
ne è scaturita di fondamentali diritti della persona,
in particolare inerenti alla qualità di figlio e
di minore.
E, in questa prospettiva, non v'è dubbio che il comportamento
sanzionato dall'art. 570 del codice penale - sia pur costituito
nella sua materialità dalla mancata corresponsione
di mezzi di sussistenza - rilevi, sul piano civile, in termini
di violazione non di un mero diritto di contenuto patrimoniale
ma di sottesi e più pregnanti diritti fondamentali
della persona, in quanto figlio e in quanto minore.
Ed è poi del pari innegabile che la lesione di diritti
siffatti, collocati al vertice della gerarchia dei valori
costituzionalmente garantiti, vada incontro alla sanzione
risarcitoria per il fatto in sé della lesione (danno
evento) indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali
che la stessa possa comportare (danno conseguenza).
Il che è stato del resto già ben posto in
luce dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n.
184 del 1986, relativa al danno - evento da lesione del
diritto alla salute (cd. danno biologico) ma riferibile
(per la latitudine dei suoi enunciati) ad ogni analoga lesione
di diritti comunque fondamentali della persona risolventesi
in un danno esistenziale od alla vita di relazione.
La vigente Costituzione, garantendo principalmente e primariamente
valori personali impone, infatti una lettura costituzionalmente
orientata dell'art. 2043 c.c. (che non si sottrarrebbe altrimenti
ad esiti di incostituzionalità), “in correlazione
agli articoli della Carta che tutelano i predetti valori”,
nel senso appunto che quella norma sia “idonea a compensare
il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa dell'illecito”,
attraverso “il risarcimento del danno (che) è
sanzione esecutiva del precetto primario ed è la
minima delle sanzioni che l'ordinamento appresta per la
tutela di un interesse”.
Il citato art. 2043 c.c., correlato agli artt. 2 e ss. Costituzione,
va così “necessariamente esteso fino a ricomprendere
il risarcimento non solo dei danni in senso stretto patrimoniali
ma di tutti danni che almeno potenzialmente ostacolano le
attività realizzatrici della persona umana”.
Per cui, quindi - essendo le norme costituzionali di garanzia
dei diritti fondamentali della persona pienamente e direttamente,
operanti “anche nei rapporti tra privati” (cd.
“drittwirkung”) - “non è ipotizzabile
limite alla risarcibilità”, della correlativa
lesione, “per sé considerata” (n. 184/1986
cit.), ai sensi dell'art. 2043 c.c.: che, per tal profilo
la Corte veneziana ha per ciò correttamente applicato,
riconoscendo all'attore il ristoro del danno (non già
“morale” da illecito penale, ma) da lesione
in sé di suoi diritti fondamentali, in conseguenza
della riferita condotta del suo genitore.
5.2) - D'altra parte il contenuto stesso del danno riconnesso
ad un tal tipo di lesione ne comporta naturaliter la liquidazione
equitativa: che resta, a sua volta, così immune da
censure (in ricorso impropriamente, per di più, formulate
sull'erroneo presupposto di equivalenza di una tal liquidazione
ad una statuizione secondo equità ai sensi dell'art.
114 c.p.c.).
6) - Il ricorso nei confronti di Daniele Hu Cheng, va pertanto
integralmente respinto.
7) - Le spese di questo giudizio seguono la soccombenza
e si liquidano, come in dispositivo, in favore di ciascun
resistente.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile nei confronti
di Donatella Hu Cheng e lo rigetta nei confronti di Daniele
Hu Cheng; condanna il ricorrente alle spese che liquida,
in favore di ciascun resistente, in L. 173.000 oltre a L.
2.000.000 per onorario.
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