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Trib. Venezia, 27 settembre 2000 [Pres.
De Curtis]
FATTO
Con ricorso depositato il 26.2.1992 presso la Pretura Circondariale
di Venezia, sezione distaccata di Dolo Agnoletto Franco
e Cagliari Elisa esponevano che: erano proprietari di un
fabbricato in Comune di Mira risalente al 1954, dove a seguito
di concessione edilizia del 1982, erano stati fatti lavori
di ampliamento; nell'estate del 1989, a seguito dei lavori
di realizzazione della III corsia dell'autostrada Venezia
(Mestre)-Padova, la distanza tra il fabbricato e l'autostrada
era stata ridotta a m. 14 nel punto minimo e a m. 19 nel
massimo, con conseguente alterazione della flora preesistente,
che fungeva da filtro del rumore veicolare; da accertamenti
fatti eseguire dall'amministrazione comunale di Mira era
risultato che la rumorosità in prossimità
dell'autostrada nel periodo diurno (h. 6.00-22.00) era compresa
tra 75-79 dB(A) e nel periodo notturno (h. 22.00-6.00) tra
i 70 e 74 dB(A); ulteriore indagine effettuata nel 1991
su istanza dell'Agnoletto aveva evidenziato all'esterno
dell'abitazione 75 dB(A), all'interno dell'abitazione 67
dB(A) con finestre aperte e 50,5 dB(A) con finestre chiuse.
Ciò posto, stante l'intollerabilità delle
ridette immissioni, fonte di un pregiudizio imminente e
irreparabile alla salute, considerato che il d.m. 1°
aprile 1968 n. 1404, con cui si prescrive una distanza minima
di 60 m. tra le costruzioni e le nuove strade non era riferibile
al loro fabbricato, poiché risalente al 1954, i ricorrenti,
in funzione della fruttuosità del giudizio di merito
ex art. 844 c.c. e per il risarcimento dei danni patrimoniali
e morali, chiedevano ai sensi dell'art. 700 c.p.c. l'adozione
dei provvedimenti di urgenza diretti alla cessazione dell'attività
immissiva o in subordine all'adozione di un intervento di
bonifica acustica.
Si costituiva la resistente ed osservava preliminarmente
in punto di fatto che: la distanza minima tra l'autostrada
e l'edificio era di 17 m. e comunque inferiore di quattro
metri rispetto allo stato precedente, posto che la piattaforma
autostradale aveva subito un ampliamento di m. 3,75; l'immobile
era stato ampliato nel 1982 quando già si trovava
in zona di rispetto stradale, con ciò violando l'art.
9 l. 729/61 prescrivente una distanza non inferiore a 25
metri dalla zona di occupazione dell'autostrada, da qui
l'illegittimità della costruzione come per tempo
contestata.
Negava la resistente l'ammissibilità del ricorso
a causa del proprio difetto di legittimazione passiva quale
mera concessionaria dell'ANAS. Ad ogni modo, proseguiva
la resistente, non sussistevano i presupposti dell'invocata
tutela cautelare d'urgenza avendo la concessionaria eseguito
un progetto di un'opera pubblica approvato dall'ANAS e dalla
Conferenza dei servizi ex lege 205/89, quindi, sulla base
delle norme di diritto comune, l'opera era stata realizzata
in base ad atti amministrativi nel pieno rispetto di quanto
deliberato dalla ridetta Conferenza dei Servizi.
L'azione, pertanto, era inammissibile ai sensi dell'art.
4 l.a.c. non potendo avere cittadinanza azioni che si risolvono
nella sostituzione di un atto amministrativo sia di carattere
positivo sia di carattere negativo. L'orientamento giurisprudenziale
diretto a portare in esponente diritti soggettivi incomprimibili,
inoltre, non consentiva di superare i limiti interni della
giurisdizione del G.O., potendo quest'ultimo pronunciare
sentenza di condanna al risarcimento del danno, ma mai emanare
sentenza di revoca di atti amministrativi o sentenze che
impongano un facere, un pati o di sostituire alcunché.
Nel merito, notava la resistente che non era affatto provata
la lesività delle emissioni, tanto più che
la soglia di pericolo per la salute umana era ben superiore
ai livelli registrati. Contestava, inoltre, la resistente
l'applicabilità dei limiti contenuti nel d.p.c.m.
1.3.1991, stabiliti in relazione alle sorgenti fisse e non
a quelle mobili quali il traffico veicolare, come confermato
da un'ordinanza del Ministero dell'Ambiente del 20.11.1991,
recante misure per il contenimento dell'inquinamento acustico
nel Comune di Venezia, con cui per l'appunto i limiti di
valore stabiliti nel su detto decreto presidenziale erano
stati estesi anche alle sorgenti sonore mobili. In assenza
della prescritta zonizzazione, inoltre, i limiti di 65 e
55 dB(A) invocati dai ricorrenti non potevano trovare applicazione,
valendo al più quelli previsti dall'art. 6 (d.p.c.m.
1991) di 70 leq (A) diurno e 60 leq (A) notturno. Valori,
questi ultimi, senz'altro compatibili con quelli misurati
all'interno dell'abitazione.
Disposta una consulenza acustica con ordinanza del 30.8.1996,
previo riconoscimento dell'ammissibilità del ricorso
e l'applicabilità dei limiti di cui all'art. 6 d.p.c.m.
1.3.1991 ed espletata altra consulenza d'ufficio medico-legale,
con provvedimento del 14.10.1999 il G.D. (stante l'intervenuta
soppressione dell'ufficio del Pretore per effetto dell'art.
1 d.lgs. 51/98) in accoglimento del ricorso ordinava alla
resistente l'installazione di pannelli fonoisolanti-fonoassorbenti
secondo le modalità indicate dal C.T.U. in corrispondenza
dell'abitazione dei ricorrenti.
Nel dare atto che già in precedenza era intervenuta
pronuncia sull'ammissibilità della tutela cautelare
urgente e sulla legittimazione passiva della società
resistente, il giudice della prima fase sosteneva che l'accertamento
in punto di fatto della esistenza di fattori di inquinamento
ambientale (nella specie, immissioni acustiche) dannosi
per l'integrità psicofisica, non si risolve nel mero
accertamento della liceità dell'attività,
ossia dell'osservanza della disciplina che ne regola l'esercizio
onde tutelare l'interesse pubblico ambientale, ma può
estendersi a considerare parametri di tollerabilità
diversi da quelli provvisoriamente vigenti (art. 6 d.p.c.m.
1 marzo 1991) e previsti (art. 2 stesso provvedimento) in
base alla destinazione delle aree, ancora da delimitare
da parte del comune.
Tanto premesso, notava il giudicante che gli accertamenti
acustici fatti dal consulente d'ufficio avevano permesso
di verificare il superamento nell'arco dell'intera giornata,
tanto dei limiti massimi previsti dal cennato art. 6 (70
dB(A) di giorno e 60 dB(A) di notte), quanto di quello differenziale,
mentre la perizia medico-legale, pur escludendo l'esistenza
di patologie otolesive in atto, aveva evidenziato "una
situazione di annoyance accompagnata da disturbi del sonno
e, limitatamente, della comunicazione verbale, situazione
che si è innestata verosimilmente ed aggravandola
su una situazione di tipo ansioso e ansioso-depressiva per
la Cagliari".
In questo contesto, data l'incomprimibilità del bene
salute, esposto ad un pregiudizio non pienamente riparabile
per equivalente allorquando, come nel caso di specie, siano
superati i limiti della normale accettabilità, finendo
per incidere sull'equilibrio psico-fisico e anche sulla
qualità della vita, spetta al giudice del merito
determinare in concreto gli accorgimenti idonei a ricondurre
le immissioni entro la soglia della tollerabilità
applicando analogicamente l'art. 844 c.c. al campo del diritto
alla salute.
Avverso tale ordinanza ha proposto reclamo ex art. 669 terdecies
c.p.c. la Società delle Autostrade di Venezia e Padova
p.a. e ne ha chiesto la revoca.
A sostegno della riforma, si legge nel reclamo, il provvedimento
impugnato ha stravolto gli esiti dell'istruttoria, poiché,
attese le conclusioni della C.T.U. medico-legale, con cui
è stata esclusa l'esistenza di un pericolo imminente
ed irreparabile alla salute dei ricorrenti, indebitamente
ha sovrapposto la valutazione riferita all'individuo medio
con la specifica situazione in cui versano i ricorrenti
(nella specie, situazione di tipo ansioso per l'Agnoletto
e di tipo ansioso-depressiva per la Cagliari). In altri
termini, si è attribuita rilevanza pregiudizievole
ad una fonte immissiva sol perché incidente su soggetti
già compromessi, volontariamente espostisi al pericolo.
Lamenta ancora la reclamante l'omessa valutazione comparativa
degli interessi in conflitto da parte del primo giudice,
il quale avrebbe confuso l'immissione lesiva per la salute
(nella specie, insussistente a ciò non bastando il
mero superamento dei limiti previsti dal d.p.c.m. 1.3.1991),
l'immissione intollerabile ex art. 844 c.c. e l'immissione
(rectius, emissione) rumorosa inquinante alla stregua della
normativa pubblicistica.
Ribadisce la reclamante la non invocabilità nel caso
di specie del d.p.c.m. 1.3.1991, sia perché afferente
il solo campo pubblicistico, sia perché in ogni caso
i limiti in esso indicati non valgono per le fonti sonore
mobili, come definitivamente chiarito dall'art. 15 della
legge quadro 447/1995. Né tantomeno, varrebbero i
limiti previsti dal d.p.c.m. 14.11.1997. Da ultimo, la reclamante
sostiene che il provvedimento reclamato costituisce un'indebita
sostituzione all'amministrazione mercé l'imposizione
di una misura genericamente determinata.
Si sono costituiti l'Agnoletto e la Cagliari ed hanno resistito
al gravame.
Disposto con ordinanza del 3.2.2000 un approfondimento dell'accertamento
medico-legale e stabilita l'audizione del consulente che
aveva curato i rilievi acustici, all'udienza del 19.9.2000
il reclamo è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il reclamo è infondato per le ragioni di seguito
espresse.
In primo luogo, dal punto di vista metodologico, mette conto
sottolineare che, sia pure per ragioni diverse da quelle
espresse dalla reclamante, questo collegio ritiene che nella
presente controversia nella rilevazione del superamento,
o no, della soglia di tollerabilità delle immissioni
si sarebbe ben potuto fare a meno dei parametri previsti
dal d.p.c.m. 1.3.1991.
Ritiene infatti il collegio, sulla scorta della prevalente
giurisprudenza (cfr. App. Milano 28.2.1995; Trib. Monza
14.8.1993; App. Torino 23.3.1993; App. Milano 17.7.1992;
Trib. Milano 10.12.1992; Pret. Monza 18.7.1991), che le
disposizioni contenute nel d.p.c.m. 1° marzo 1991 nonché
quelle del d.p.c.m. 14.11.1997 (la cui operatività,
tuttavia, è subordinata alla zonizzazione da parte
delle amministrazioni comunali, come stabilito dall'art.
6, comma 1, lett. a), l. 447/95), in quanto orientate a
disciplinare sul piano pubblicistico i livelli di inquinamento
acustico (le c.d. emissioni), di per sé non escludono
la possibilità che, pur rispettati i livelli normativamente
fissati, possa comunque accertarsi la lesione di diritti
soggettivi, in considerazione della specificità del
luogo dove si verifica la denunciata attività. Ciò
vale soprattutto in relazione alla predeterminazione in
sede normativa di una soglia al di sotto della quale non
sussiste alcun disturbo secondo il decreto del 1991.
Per converso, per quanto attiene al piano dei rapporti interindividuali,
quale quello oggi in esame, si sarebbe dovuto fare riferimento
al c.d. criterio comparativo differenziale di tre dB(A)
ancorato al "rumore di fondo", concetto affatto
diverso da quello di "rumore residuo" utilizzato
dalla normativa pubblicistica. Infatti, mentre quest'ultimo
si basa sul Leq, ossia sul livello sonoro equivalente, che
esprime la media dei valori rilevati in assenza della specifica
fonte sonora disturbante, il rumore di fondo, tradizionalmente
espresso come il livello della distribuzione cumulativa
superato per il 95% del tempo L95, in quanto ancorato alla
rilevazione dei valori istantei-intrusivi misura la media
dei minimi. Si stima al riguardo che la differenza tra il
rumore residuo ed il rumore di fondo sia di circa 4/5 dB(A),
con il conseguente innalzamento del termine di comparazione
di più del doppio.
Ciò premesso, posto che comunque le misurazioni hanno
fatto ricorso alla nozione del rumore residuo, mette conto
rilevare che tanto nelle postazioni esterne all'abitazione,
quanto in quella interna, sono stati accertati molteplici
superamenti del limite di riferimento (ossia quello previsto
dal decreto del 1991) in misura eccedente i tre dB(A). Ciò
segnatamente in ora notturna e fino alle prime ore del giorno
per le postazioni esterne, mentre nella postazione interna
all'abitazione gli scostamenti compresi fra + 4,4 dB(A)
e + 14,5 dB(A) sono risultati variamente distribuiti nell'intero
arco della giornata.
Con riferimento alle misurazioni fatte all'interno dell'abitazione
la principale contestazione fatta dal c.t.p. della reclamante
riguarda l'adozione del valore L95, motivato dal C.T.U.
per l'impossibilità di fermare il traffico autostradale.
Al riguardo, osserva il collegio che tale scelta è
stata fatta dai tecnici in pieno accordo. Invero, come si
desume dal verbale di sopralluogo (cfr. all. 3 della relazione
di chiarimenti dell'8.2.2000 resa dal C.T.U.), il consulente
della società reclamante, pur ammettendo l'equivalenza
del valore L95 al rumore di fondo, si è limitato
a negare l'applicabilità del "criterio differenziale".
Poiché il decibel, unità di misura dell'intensità
del suono, ha scala logaritmica, il limite massimo ammissibile
di tre db(A) sul rumore di fondo, normalmente impiegato
dalla giurisprudenza, comporta un raddoppio della intensità
del rumore (ossia, la componente del rumore immesso, considerata
da sola, non può superare il rumore di fondo), appare
evidente come nel caso di specie le immissioni provenienti
dall'autostrada siano fonte di notevole disturbo per le
normali occupazioni dei reclamanti, considerata l'ampiezza
dell'arco temporale durante il quale le stesse si verificano.
Venendo a trattare più da presso il profilo attinente
il fumus valorizzato nel provvedimento reclamato, s'impone
una puntualizzazione, peraltro correlata alla lamentata
confusione fra immissione lesiva della salute, immissione
intollerabile e immissione inquinante.
L'art. 844 c.c., a parte il fatto che la norma prescinde
del tutto dal profilo dell'illiceità della condotta
dell'immittente, non sancisce un divieto assoluto di immissione,
ma si limita a prevedere la possibilità di reazione,
qualora le immissioni eccedano la normale tollerabilità
avuto riguardo allo stato dei luoghi, non senza aggiungere
l'esigenza del contemperamento tra le ragioni della produzione
e quelle della proprietà statica, con la possibilità
di valutare il preuso. Possibilità, quest'ultima,
in grado di penalizzare la volontaria esposizione al pericolo,
come peraltro reiteratamente lamentato dalla reclamante,
ma sul punto un maggior approfondimento dovrà essere
effettuato in sede di giudizio di merito.
Per converso, in presenza di una lesione del diritto alla
salute (su cui si dirà più oltre) non è
dato procedere in linea teorica ad alcun giudizio comparativo
teso alla ricerca della soluzione economicamente più
efficiente (di qui il ricorso, in sede di applicazione dell'art.
844 c.c., alla tecnica indennitaria, volta a compensare
il deprezzamento connesso alla prosecuzione dell'attività
immissiva). In questo contesto, il raddoppio della pressione
sonora, quale limite per valutare il grado di disturbo della
fonte sonora, costituisce l'unico parametro praticabile
al fine di apprezzare in termini di causalità la
relazione tra l'attività immissiva e la dedotta lesione
del diritto alla salute.
E' pur vero che, non diversamente da quanto emerso all'esito
della C.T.U. medico-legale effettuata nel corso della precedente
fase del procedimento, anche la C.T.U. disposta dal collegio
ha escluso l'esistenza a carico degli odierni reclamanti
di alcun danno biologico anche di mero interesse psichiatrico,
né lo stesso, allo stato, appare verificabile per
il futuro. Sta di fatto che il consulente nominato dal collegio,
a seguito dei colloqui, cui ha sottoposto i periziandi,
ha concluso per l'esistenza di un modesto danno esistenziale,
derivante dalla limitazione di alcune manifestazioni relazionali
oppure di tenere aperte le finestre in caso di necessità.
In verità, per quanto allo stato sovvengano soltanto
le dichiarazioni dei reclamati, ma le conclusioni cui è
pervenuto il prof. Tantalo non le smentiscono, è
emerso che la prolungata esposizione alla fonte immissiva
ha determinato nel corso degli anni una significativa alterazione
dell'ambiente di vita. Nella specie, l'impossibilità
di fruire degli spazi esterni all'abitazione (il prof. Tantalo
ha riferito che nel giardino dell'abitazione si percepisce
oltre al rumore del traffico anche l'odore dei gas di scarico,
cfr. pag. 10 della relazione), disturbo del sonno e più
in generale difficoltà nella conversazione con conseguente
stato di irritabilità e stato di confusione (Agnoletto),
impossibilità di vivere con le finestre aperte (Cagliari).
Tanto esposto, ritiene il collegio che nel caso in esame
sussista il fumus del diritto azionato, ossia la verosimile
sussistenza di un pregiudizio attuale alla salute dei reclamati,
rispetto al quale non è precluso il ricorso alla
condanna ad un facere anche nei confronti di un soggetto
pubblico (cfr. Cass. sez. un. 20.2.1992, n. 2092).
Si badi che il collegio nel pervenire ad una siffatta conclusione
non può che partire da quella nozione di salute in
senso lato, ossia come l'insieme delle condizioni di vita
ed ambientali al cui interno l'individuo può svolgere
la propria personalità, in sintonia con quanto affermato
già da Cass. sez. un. 6.10.1979, n. 5172, che, sulla
scorta della precettività dell'art. 32 cost. è
giunta ad affermare l'esistenza del diritto all'ambiente
salubre. Ciò sul presupposto dell'inadeguatezza di
una lettura del danno biologico (avallata da Corte Cost.
184/86) in chiave di pura menomazione dell'integrità
biopsichica, posto che, come rilevato da Corte Cost. 372/94,
il danno alla salute deve essere ravvisato nelle conseguenze
della lesione nell'ambito dell'intera personalità
dell'individuo.
A questo punto il discorso deve inevitabilmente scivolare
sul piano del c.d. "danno esistenziale", da tempo
teorizzato da una parte della dottrina in termini di "somma
di ripercussioni relazionali di segno negativo". Di
questa sistemazione dogmatica v'è traccia, sia pur
per implicito, in quella serie di pronunce rese dalla giurisprudenza
di merito dirette ad assicurare il risarcimento per la lesione
alla serenità familiare (cfr. Trib. Milano 18.2.1988;
Trib. Avezzano 31.3.1993; Trib. Trento 19.5.1995) e più
di recente, ma in modo espresso (Trib. Verona 26.2.1996;
Trib. Milano 20.10.1997 e Cass. 7713/2000). Come avvertito
dalla dottrina l'idea sottesa alla categoria del danno esistenziale
tende a dare una cornice giuridica univoca a quella c.d.
area intermedia, con cui la giurisprudenza ha inteso sanzionare
conseguenze pregiudizievoli, estranee tanto all'ambito del
danno morale soggettivo, confinato nei ristretti limiti
dell'art. 2059 c.c., quanto a quello del danno biologico
derivante da una lesione psicofisica, ma pur sempre incidenti
su una posizione soggettiva di rango costituzionale. Che
poi il danno biologico psico-fisico debba essere considerato
come sottocategoria del danno esistenziale, come sostenuto
dai teorici di quest'ultimo, non è un problema affrontabile
in questa sede.
Per certo, in presenza di una lesione ad una posizione soggettiva
di rango costituzionale, ossia del diritto alla salute letto
in relazione all'art. 2 cost., il collegio non può
esimersi dal condividere il provvedimento impugnato, laddove,
proprio per la particolarità della situazione accertata
s'ingegna, sulla scorta delle conclusioni della consulenza
acustica, nell'individuare una soluzione di contemperamento
delle situazioni in conflitto.
D'altro canto non è neppure ipotizzabile, come sostenuto
dalla reclamante, che seguendo la soluzione contenuta nel
provvedimento reclamato, qualsiasi cittadino potrebbe invocare
una tutela risarcitoria nei confronti delle amministrazioni
comunali per la mancata adozione di provvedimenti atti a
limitare l'inquinamento acustico delle città. Sul
punto si osserva che sul piano della specifica lesione della
salute in questa sede non rileva tanto il generale innalzamento
del rumore di fondo, connesso al crescente inquinamento,
quanto la presenza di rumori intrusivi che determinano un
significativo aumento della pressione sonora. In ogni caso
le due fattispecie non sono assimilabili, poiché
mentre la crescita dell'inquinamento acustico urbano deriva
da un aumento del traffico a fronte della immutazione del
numero e delle dimensioni delle strade, nel caso oggi in
esame le immissioni risultano provocate indirettamente dalla
realizzazione della terza corsia autostradale e, quindi,
da una condotta direttamente riferibile alla reclamante.
In ordine al periculum in mora, mette conto evidenziare
che nella specie sussiste un pregiudizio sicuramente imminente,
stante l'attualità della situazione in atto (il fatto
che quest'ultima si sia protratta per oltre sette anni dall'instaurazione
del procedimento non la rende meno rilevante), ed irreparabile,
sia perché la cennata lesione di per sé stenta
a poter essere ristorata mediante un meccanismo riparatorio
per equivalente pecuniario, sia perché al tipo di
lesione in dibattito meglio si attaglia un rimedio di tipo
inibitorio anche se formulato in termini positivi.
La stessa soluzione divisata dal primo giudice, ossia l'installazione
di pannelli fonoassorbenti, come già detto, realizza
un adeguato contemperamento delle situazioni in conflitto.
Contemperamento, quest'ultimo, in linea di massima da escludere
allorquando si sia al cospetto del diritto alla salute,
ma nel caso di specie perfettamente praticabile in quanto
idoneo alla tutela del diritto leso. Non sarà possibile
la riduzione in pristino dei luoghi, ma quantomeno sarà
garantita la piena fruibilità dell'ambiente abitativo
dei reclamati.
Si aggiunga che parte reclamante non può dolersi
per l'adozione di una siffatta soluzione, peraltro conforme
all'accantonamento dei fondi per la realizzazione di misure
di abbattimento del rumore (come espresso nel reclamo e
ribadito all'odierna udienza), che, appare in sintonia,
come osservato da una recente dottrina, con la funzione
organizzativa della responsabilità civile, intesa
quale complesso normativo costituente un meccanismo sociale
autoregolativo delle attività umane, in grado di
indurre i vari soggetti a regolarsi in modo spontaneo. In
altri termini, si fa notare, la responsabilità civile,
mediante segnali monetari, fa sì che i consociati
si strutturino da sé, così da evitare di trovarsi
a pagare dei danni in conseguenza della loro condotta.
Da ultimo si osserva che, quand'anche non sufficientemente
determinata la misura stabilita dal primo giudice, la questione
potrà essere risolta in sede di art. 669 duodecies
c.p.c.
Il reclamo, pertanto, deve essere rigettato, con la conseguente
conferma del provvedimento impugnato.
Spese al definitivo.
P.Q.M.
Il Tribunale, visto l'art. 669 terdecies c.p.c. così
provvede:
1) rigetta il reclamo presentato da Società delle
Autostrade di Venezia e Padova s.p.a. e, per l'effetto conferma,
l'ordinanza resa il 14.10.1999 dal Tribunale di Venezia
- sezione distaccata di Dolo;
2) spese al definitivo.
La redazione di megghy.com
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