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Il religioso sospettato è un noto estremista
«Strage di Madrid, imam saudita pagò il capo»
Svolta nell’indagine sui mandanti. La pista partita
da Milano con le intercettazioni di «Mohammed l’Egiziano»
MADRID - Dietro il capo operativo della strage di Madrid
si allunga l’ombra di un grande imam dell’Arabia
Saudita. Per le bombe sui quattro «treni della morte»
dell’11 marzo (191 vittime accertate) i magistrati
spagnoli hanno incriminato, finora, 30 integralisti islamici.
Al vertice della piramide di indagati c'è Osman Rabei,
33 anni, detto «Mohammed l'Egiziano»: scappato
da Madrid, è stato fermato a Milano, il 7 giugno,
come «capo-cellula» e «pianificatore»
della strage.
Arresto a Madrid dopo l'attentato dell'11 marzo (foto Epa)
Le sue conversazioni segrete prima dell’arresto, che
la polizia ha potuto registrare, ora offrono nuovi indizi
non solo sugli altri esecutori (4 restano latitanti con
3 fiancheggiatori), ma anche sui possibili mandanti intellettuali
e finanziatori occulti. Queste intercettazioni chiamano
in causa, in particolare, uno dei più noti predicatori
ultra-radicali dell’Arabia Saudita: Salman-Al Auda,
già amico personale di Bin Laden. Rabei ammette di
aver «lavorato per lui» in Spagna. E sembra
riconoscergli anche l’autorità di autorizzare
o meno il proprio martirio.
«LAVORAVO PER LO SCEICCO» - Il nome dell’imam
amico di Osama compare all'inizio della stessa conversazione-choc
del 26 maggio in cui Rabei confessa la strage al suo discepolo
Yahia: «L'attentato di Madrid è stato un mio
progetto e quelli che sono morti come martiri erano miei
carissimi amici... Mi ci sono voluti due anni e mezzo».
La stessa sera, Rabei confida di aver ricevuto finanziamenti
grazie allo «sceicco Al-Auda»: «Ho lavorato
per lui in Spagna, guadagnavo duemila euro al mese, c'erano
giorni che guadagnavo mille euro al giorno... Sono stato
molto bene in quel periodo, entravo e uscivo dalla Francia».
L'unità anti-terrorismo della polizia di Madrid (Ucie)
ha accertato che Rabei è vissuto in Spagna, «senza
alcun lavoro regolare», dall'ottobre 2001 al febbraio
2003, quando si è trasferito prima in Francia e poi
in Italia, ma è sospettato di essere rientrato segretamente
nella capitale iberica anche pochi giorni prima dell'11
marzo. Oltre a parlare dei «duemila euro al mese»
(che fanno pensare a uno stipendio pagato da un’organizzazione),
Rabei spiega a Yahia di potergli presentare Al-Auda, descrivendolo
come un leader mondiale dei fondamentalisti: «Lui
va da Bangkok (Thailandia) a Bamako (Mali), lui è
tutto, tutto».
Nonostante la varietà di trascrizione dall'arabo
(Auda, Awda, Aouda, Ouda...) la polizia di Milano ora è
certa di averlo identificato appunto nel saudita Salman
(o Suleyman) Al-Auda, giurista e teologo wahabita dell'università
"Imam Mohammed Ibn Saud" e storico oppositore
della casa reale di Riad. Cresciuto in una delle famiglie
più ricche dell'Arabia, è considerato uno
dei precursori di Al Qaeda e un ispiratore, con il collega
Safar Al Hawali, del movimento jihadista. Osama Bin Laden
ne ha riconosciuto pubblicamente l'insegnamento. Dopo l'11
settembre 2001, Al-Auda è stato arrestato ed è
poi tornato in libertà, come altri imam, a una condizione:
condannare apertamente Al Qaeda. Prima che a Milano si intercettasse
«Mohammed l'egiziano», negli archivi della polizia
spagnola su di lui c’era solo una scheda datata 13
settembre '94.
LA FATWA PER IL MARTIRIO - Le registrazioni portate a Madrid
dai pm milanesi collegano il nome di Al-Auda anche a progetti
recentissimi. Rabei «la Mente», secondo l'accusa,
era in Italia per preparare nuovi attentati e reclutare
kamikaze. «Ho due gruppi pronti a immolarsi - ammette
ancora il 26 maggio - il primo parte per l'Irak il 25 (giugno).
Sono in quattro, pronti a diventare martiri». Due
giorni prima, Rabei aveva parlato al telefono, dunque con
grandi cautele, con un certo Mourad, che vive in Belgio
(dove anche lui verrà arrestato il 7 giugno). Secondo
la polizia spagnola, Mourad si identifica con Ray Mohamed,
un integralista che frequentava Rabei fin dal 2001 in Spagna,
da dove entrambi erano scappati per sfuggire alle indagini
del giudice Baltasar Garzon. Il 24, i due parlano in codice,
ma non riescono a nascondere che loro stessi progettano
di immolarsi in attentati suicidi in Iraq. Rabei infatti
dice di «avere nelle orecchie la cassetta con la "lezione
del martire"»: lo stesso nastro ascoltato dai
terroristi che si fecero esplodere il 3 aprile nell'appartamento-covo
madrileno di Leganès. E Mourad gli risponde che il
suo «viaggio benedetto da Dio» è già
fissato: «Vado per sempre... tra 25 giorni».
Ma qui Rabei lo interrompe: «Ascoltami, ho contattato
lo sceicco Al Auda, ho parlato con lui e ho chiesto un parere
sulla questione religiosa della donna spagnola... Lui mi
ha detto: niente viaggi fino a quando non mi contatti. Prima
si deve parlare con lui. Mi ha detto che la religione prevale
sul viaggio. Ho parlato con un altro imam del Qatar e mi
ha detto lo stesso». Per decifrare questa telefonata,
gli inquirenti ricordano che Rabei è sposato con
una tunisina che vive in Spagna, Rafika Ben Sadok Hamdi,
con cui è in pessimi rapporti. «La questione
religiosa della donna spagnola», dunque, può
spiegarsi così: chi aspira al martirio, deve prima
purificarsi e risolvere i problemi terreni; per cui il «separato»
Rabei ha bisogno del responso (fatwa) di un'autorità
islamica in grado di stabilire se sia lecito o meno immolarsi
ignorando la famiglia. Lui stesso autorizza questa lettura,
quando riparla di viaggi per il martirio con Yahia: «E'
la seconda volta che arrivo sulla mia strada, quella che
ho scelto, ma purtroppo sono stato bloccato dall'Arabia
Saudita... Mi hanno detto che prima devo rafforzare la mia
fede e solo dopo potrò seguire la strada verso Dio».
La polizia sospetta che questa intercettazione fotografi
una catena di comando più generale: sono gli imam
che hanno il potere di legittimare il martirio a stabilire
se e quando possano immolarsi i tanti aspiranti uomini-bomba.
Un primo dato certo è che gli agganci di Rabei in
Arabia sono documentati da una «videoconferenza su
Internet»: da Milano, il terrorista egiziano chiede
istruzioni via computer a un misterioso interlocutore nel
regno saudita, il «dottor Allal», che è
in contatto proprio con Al-Auda.
LE MOSCHEE DI AL QAEDA - Rabei parla di fondi sauditi anche
in un'altra intercettazione: «I soldi li ho, sono
a Jedda, mi arrivano da Jedda». Ma qui il discorso
va molto al di là del suo stipendio: «Ho un
amico che sta facendo un grande progetto e ha bisogno di
soldi. Ci sono anche ministri interessati. E' un progetto
in Germania e consiste nella costruzione di scuole e di
accademie islamiche. Il progetto si chiama Nour».
Al Nour è una moschea di Amburgo, nuovissima, con
quattro piani di camere e servizi per centinaia di fedeli.
Si trova a meno di 200 metri dalla piccola e oggi sorvegliatissima
moschea Al Quds, quella dove pregavano Mohammed Atta e altri
due piloti-kamikaze dell'11 settembre. La polizia tedesca
considera Al Nour il più pericoloso polo integralista:
una nuova base anche per gli operativi di Al Qaeda. E le
parole di Rabei sembrano confermarlo, anche se resta da
capire cosa c’entrino i «ministri» e i
«soldi sauditi».
Paolo Biondani
Manuel Cerdan
dal corriere della sera
La redazione di megghy.com
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