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Telecom s.p.a., addebitando le spese
di spedizione della fattura all’utente, ha ottenuto
un illecito arricchimento che comporta il diritto per il
consumatore ad ottenere la ripetizione di quanto indebitamente
pagato, maggiorato degli interessi.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI COSENZA
Il Giudice di Pace di Cosenza, avv.Giliola Langher ha pronuciato
la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n°496/04/A R.G.A.C. vertente
TRA
V.M., rappresentato e difeso dall’ Avv.Loredana Veltri
ATTORE
E
TELECOM ITALIA SPA, in persona del suo legale rappresentante
pro-tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Carlo Boursier
Niutta, Patrizio Maria Raimondi Antonio Armentano
CONVENUTA
Oggetto : Risarcimento danni.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato, V.M. conveniva
in giudizio la Telecom Italia S.p.A. per sentirla condannare
al pagamento della somma di €. 21,56 a titolo di ripetizione
d’indebito, ed altra somma da determinare in via equitativa
e, comunque, entro il limite della competenza del giudice
adito, a titolo di risarcimento dei danni. Premetteva l’attore,
di essere titolare dell’utenza telefonica n. XXXX/XXXX,
allacciata in borgo Partenope Ctr/da Cerze della Torre,
e che, in esecuzione di tale contratto, aveva pagato regolarmente,
negli ultimi 10 anni, n. 60 fatture, sulle quali la Telecom
Italia S.p.A. aveva incassato indebitamente la somma di
€. 21,56, a titolo di spese di spedizione fattura.
Argomentava, altresì, che la predetta maggiorazione
era in contrasto con quanto previsto dall’art. 21
c.8 del D.P.R. n.633 /72 (legge Iva) e, conseguentemente,
costituiva violazione dell’obbligo di correttezza
e buona fede, sancito sia dall’art. 1175 cc. che dall’art.
1 della legge 281/98 che prevede, tra i diritti dei consumatori,
“ il diritto alla correttezza, trasparenza ed equità
nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi.”
Si costiuiva la società convenuta eccependo, preliminarmente,
l’improponibilità e/o improcedibilità
della domanda, per mancato esperimento del tentativo di
conciliazione, previsto dagli artt. 3 e 4 della delibera
n. 182/02 Cons.; difetto di giurisdizione rispetto al giudice
tributario; nullità della citazione per indeterminatezza
della stessa; difetto di legittimazione attiva per non avere,
parte attice, fornito la prova di essere titolare dell’utenza
per la quale si controverte. Nel merito, contestava l’infondatezza
della domanda.
Risultato infruttuoso il tentativo di bonario componimento,
reputata la causa provata per tabulas, veniva trattenuta
a sentenza sulle conclusioni precisate.
Motivi della decisione
La domanda è fondata e merita accoglimento.
Va rigettata, preliminarmente, l’eccezione di improponibilità
e/o improcedibilità della domanda per mancato esperimento
del tentativo di conciliazione, atteso che la delibera n.
182/02 Cons., all’art. 3, prevede che” gli utenti
singoli o associati, ovvero gli organismi di telecomunicazioni,
che lamentino la violazione di un proprio diritto o interesse
protetti da un accordo di diritto privato, o dalla norma
in materia di telecomunicazioni attribuite alla competenza
dell’autorità e che intendono agire in giudizio,
sono tenuti a promuovere preventivamente un tentativo di
conciliazione dinanzi al CORECOM competente per territorio”:
conseguentemente, la predetta normativa non può trovare
applicazione nella fattispecie che ci occupa.
Invero, il tentativo obbligatorio di conciliazione, in
quanto norma speciale non suscettibile d’interpretazione
estensiva, risulta circoscritto alle controversie aventi
ad oggetto diritti tutelati da accordi di diritto privato
o da norme in materia di telecomunicazioni, e non per la
tutela di un diritto soggettivo protetto da una norma di
legge, come nel caso in esame (cfr. art.21 DPR 633/72 ed
art 2033 cc).
Deve essere, altresì, disattesa l’eccezione
di difetto di giurisdizione posto che, ai sensi dell’art.
2 D.lgs. 546/92, ”appartengono alla giurisdizione
triburaria le controversie aventi ad oggetto tributi di
ogni genere e spese, compresi quelli regionali, provinciali
e comunali, il contributo al s.s.n. nonché le sovrimposte
e le addizionali, le sanzioni amministrative irrogate dagli
uffici finanziari”. Nel caso di specie, parte attrice
non contesta il pagamento di un tributo bensì richiede
la restituzione di una somma percepita indebitamente dalla
Telecom per spese spedizione fatture. Pertanto, la competenza
a decidere spetta al GdP.
Infine, vengono rigettate le eccezioni di nullità
della citazione, per difetto di indicazione dell’anno
di attivazione dell’utenza e della somma corrisposta
alla società convenuta; e di carenza di legittimazione
attiva per non essere stata provata la titolarità
del contratto di abbonamento.
In ordine alla prima, nell’atto di citazione è
stata richiesta la restituzione delle somme pagate “per
spese di spedizione della fattura” che vengono specificate
nelle fatture spedite dalla Telecom bimestralmente, prodotte
in atti, e, quindi, le stesse sono chiaramente determinate
nel loro ammontare.
In ordine alla seconda, parte attrice ha dimostrato, in
maniera incontrovertibile, la sua legittimazione ad agire
desunta dalla documentazione allegata, che copre l’intero
arco temporale, nella quale, la società convenuta,
indica la medesima quale utente a cui viene richiesto il
pagamento del corrispettivo del servizio prestato.
Nel merito, di nessun pregio appare la difesa di parte
convenuta quando assume che l’abbonato, nel sottoscrivere
il contratto di utenza, abbia accettato l’onere di
sopportare ogni spesa, imposta o tassa (art. 28 Reg. di
Servizio), incluso le spese postali di spedizione delle
bollette telefoniche (art. 14 Condizioni generali di abbonamento).
Tali norme sono clausole contenute: una, in un regolamento
che, se anche approvato con decreto ministeriale, è
sempre una norma di rango inferiore alla legge; l’altra,
in un contratto di massa, imposto dall’imprenditore-commerciale
all’utente-consumatore, privo di ogni diritto alla
contrattazione, inefficace ai sensi dell’art. 1469
quinquies n. 3, costituendo una evidente clausola vessatoria.
Entrambe, devono essere disapplicate perché in contrasto
con l’art. 21 c.8 della c.d. legge sull’IVA:
“Le spese di spedizione fattura e dei conseguenti
adempimenti e formalità non possono formare oggetto
di addebito a qualsiasi titolo:”
Ne consegue che la convenuta Telecom, addebitando le spese
di spedizione della fattura all’utente, in violazione
a quanto disposto dal legislatore, ha ottenuto un illecito
arricchimento che comporta il diritto per il consumatore
ad ottenere la ripetizione di quanto indebitamente pagato,
maggiorato degli interessi ma non della rivalutazione in
quanto il maggior danno non risulta provato. Tale illecito
comportamento, reiterato nel tempo, determinato dall’abuso
di una posizione dominante, ha violato il principio di buona
fede che sottende ad ogni rapporto contrattuale, integrando
la violazione sia dell’art. 1175 cc che della legge
281/98 posta a tutela del consumatore e comportando, per
lo stesso, il diritto al risarcimento del danno che può
essere quantificato, ai sensi dell’art. 1226 cc.,
nella somma di €.100,00.
Concludendo la domanda viene accolta; le spese seguono
la soccobenza.
P.Q.M.
Il Giudice di Pace di Cosenza, avv. Giliola Langher, definitivamente
decidendo così provvede: accoglie la domanda attrice
e per l’effetto condanna la Telecom Italia S.p.A.,
in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, al
pagamento della somma di €.21,56, oltre accessori,
a titolo di ripetizione di indebito, e di €.100,00
a titolo di risarcimento danni, a favore di V.M..
Condanna, altresì, la soccombente al pagamento delle
spese e competenze del presente giudizio che si liquidano
in €. 100,00 di cui € 60,00 per onorario, oltre
IVA e CAP, come per legge, da distrarsi a favore del procuratore
costituito che ne ha fatto richiesta.
Esecutività come per legge.
Così deciso in Cosenza 21/4/2004
IL GIUDICE DI PACE
Avv. Giliola Langher
La redazione di megghy.com.
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