Corte di Cassazione
Sezione III penale
Sentenza 21 gennaio 2005, n. 1716
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Con sentenza del 18 dicembre 2001
il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di
Teramo ha, tra l'altro, dichiarato non doversi procedere
contro (rectius: assolto) R.D.T. per il reato di favoreggiamento
della prostituzione di V.M.G., ascrittogli perché,
dopo aver consumato con questa un rapporto sessuale
a pagamento all'interno di un'autovettura, l'aveva riaccompagnata
con la stessa autovettura sul luogo dove adescava abitualmente
gli occasionali clienti (art. 3, comma 2, n. 8, l. 75/1958).
I carabinieri della stazione di Martinsicuro
avevano riferito che la notte del 19 agosto 2000 il
D.T. a bordo della sua auto si era avvicinato alla prostituta
G. nella strada provinciale dove questa era solita sostare
per reperire clienti, quindi, dopo una breve conversazione,
aveva caricato a bordo la donna. Allontanatisi in auto,
si erano appartati in una strada buia, dove avevano
consumato un rapporto carnale, al termine del quale
il D.T. aveva riaccompagnato la donna nella strada dove
l'aveva prelevata.
Al riguardo, il giudice ha osservato che il contestato
reato di favoreggiamento si configura come intermediazione
tra offerta e domanda di prostituzione sessuale, sicché
non può essere commesso dal cliente della prostituta.
Ha precisato inoltre che riaccompagnare la meretrice
nel luogo di adescamento, dopo aver consumato il rapporto
mercenario, "è una condotta correlata piuttosto
alla esigenza della consumazione del rapporto in luogo
diverso da quello dell'incontro". Ha quindi ritenuto
che il fatto non sussiste.
2. - Il procuratore della Repubblica
di Teramo ha proposto ricorso per Cassazione, limitatamente
al suddetto capo di imputazione, deducendo violazione
della norma incriminatrice.
Il ricorrente ha rilevato che l'interpretazione
del giudice è fondata su considerazioni metagiuridiche
che non hanno efficacia scriminante. Infatti il favoreggiamento
della prostituzione non richiede la intermediazione
tra offerta e domanda, ma è fattispecie a forma
libera che sanziona tutte quelle condotte che in qualsiasi
maniera agevolano l'attività di meretricio e
che possono essere perpetrate anche dal cliente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. - Va preliminarmente osservato che
il P.M. ha proposto ricorso immediato per Cassazione,
come dimostra il contenuto dell'impugnazione e il richiamo
esplicito all'art. 569 c.p.p., sicché non può
accogliersi la richiesta del procuratore generale di
convertirlo in appello e di trasmettere gli atti alla
corte distrettuale competente.
4. - Nel merito, il ricorso è
privo di fondamento giuridico.
Il ricorrente coglie nel segno quando contesta che
nella nozione di favoreggiamento della prostituzione
sia inclusa come elemento essenziale la intermediazione
tra offerta e domanda, che è propria invece del
lenocinio. Tuttavia la nozione del favoreggiamento che
egli sostiene, facendo leva sulla formulazione letterale
della norma, e in particolare sulla locuzione avverbiale
"in qualsiasi modo", non resiste a un rigoroso
vaglio critico.
Giova ricordare che la l. 75/1958,
avente per oggetto "abolizione della regolamentazione
della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della
prostituzione", nell'abolire i locali di meretricio
disciplinati dagli artt. 190-208 del T.u.l.p.s. e nell'abrogare
implicitamente gli artt. 531-536 c.p., ha introdotto
nuove figure di reato, tutte riconducibili a quattro
categorie generali, relative rispettivamente alle case
di prostituzione, al prossenetismo in senso lato (comprendente
reclutamento, induzione, agevolazione, pubblico lenocinio,
tratta, favoreggiamento), allo sfruttamento e all'adescamento
(ora configurato come semplice illecito amministrativo).
Benché, secondo dottrina e
giurisprudenza, l'oggetto delle nuove figure criminose
sia ancora la moralità pubblica e il buon costume,
di cui al titolo nono del libro secondo del codice penale,
non v'è dubbio che - come pure sottolinea un'autorevole
dottrina - l'interesse tutelato sia anche quello di
impedire che le persone dedite alla prostituzione siano
sfruttate, strumentalizzate e comunque indotte alla
loro umiliante attività. Se si considera che
la prostituzione in quanto tale non costituisce reato
e non è neppure più disciplinata come
fonte di malattie veneree, si deve concludere che oggetto
concorrente della norma è anche quello di tutelare
la libertà e dignità delle persone che
si prostituiscono di fronte alle insidie di terzi. Questa
duplice oggettività giuridica (moralità
pubblica e libertà delle persone che si prostituiscono)
è confermata anche dal composto scopo del legislatore
che traspare chiaramente dal titolo della legge (abolizione
della regolamentazione della prostituzione e lotta contro
lo sfruttamento della prostituzione). Si può
dire tranquillamente che in questo caso ratio legis
e intentio legis corrispondono.
5. - Alla luce di questa premessa
si deve interpretare restrittivamente la fattispecie
di favoreggiamento della prostituzione. Tra tutte quelle
introdotte dalla l. 75/1958 essa è quella caratterizzata
da maggiore indeterminatezza nella descrizione della
condotta tipica; richiede pertanto una esegesi costituzionalmente
adeguatrice, che rispetti i principi di determinatezza
del precetto penale e di responsabilità penale
personale, consacrati rispettivamente negli artt. 25
e 27 della Carta repubblicana.
Orbene, per evitare ogni assurda dilatazione
della condotta incriminata, soccorre il ricorso alla
oggettività giuridica del reato come sopra individuata,
che impone di escludere dal perimetro penale quelle
condotte di astratto favoreggiamento che non offendono
né la moralità pubblica o il buon costume
né la libertà delle persone dedite alla
prostituzione, che la l. 75/1958 ha inteso tutelare.
In altri termini, è il principio di offensività
che in questo caso consente di restringere la tipicità
della condotta nei limiti imposti dai principi costituzionali.
In base a questi criteri si può
concludere che la condotta del cliente della prostituta
il quale, dopo il congresso carnale, riaccompagni la
prostituta nel luogo in cui questa esercita la sua professione,
esula dal delitto di favoreggiamento previsto dal n.
8 dell'art. 3 della l. 75/1958.
Infatti, se si considera che la prostituzione
in se stessa non è penalmente illecita e che
dall'entrata in vigore del d.lgs. 507/1999 (art. 81,
comma 1, lett. a) il reato contravvenzionale di adescamento
previsto dall'art. 5 della l. 75/1958 è stato
degradato a illecito amministrativo, si deve affermare
che:
- il riaccompagnamento della prostituta al
luogo di adescamento, da parte del suo cliente,
non offende né la moralità pubblica o
il buon costume, né la libertà della prostituta,
ma anzi si configura semplicemente come una condotta
accessoria alla consumazione del rapporto sessuale mercenario,
che risponde a un sentimento di cortesia e di
rispetto della dignità personale della prostituta;
- per questa ragione, una siffatta condotta
accessoria più che un aiuto alla prostituzione
è un favore personale alla prostituta.
In altri termini, essa da una parte non attenta alla
(ma anzi rispetta la) libertà personale della
prostituta, dall'altra non "favorisce" la
prostituzione in quanto tale. O almeno non la favorisce
più di quanto non faccia la consumazione stessa
del congresso carnale, che tuttavia nessuno (ancora)
è arrivato a imputare al cliente come favoreggiamento
della prostituzione.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione respinge il ricorso.
La redazione di megghy.com
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