CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II PENALE
SENTENZA 21 dicembre 2004 - 17 gennaio 2005, n. 669
Svolgimento del processo
Con ordinanza in data 26 maggio 2004, il Tribunale di Firenze,
sezione distrettuale del riesame, confermava il provvedimento
del GIP in sede, con il quale era stata disposta la misura
cautelare della custodia in carcere nei confronti di XX, YY,
HH, WW e ZZ, perchè gravemente indiziati del reato
di cui all'art. 270 bis c. 3^ c.p.. Il Tribunale, premesso
che - sulla scorta anche di quanto indicato nell'ordinanza
cautelare - in forza dell'interpretazione costituzionalmente
orientata delle convenzioni internazionali per terrorismo
internazionale deve intendersi la violenza, giuridica estorica,
che mira ad intaccare i fondamentali principi costituzionali
(nei quali lo Stato italiano si riconosce) e che si esplicita
in atti che intendono instaurare il "sistema di terrore"
contro chiunque (persone, Stati - intesi come "Stati
comunità" -, organizzazioni internazionali), riteneva
che l'esistenza dell'associazione (nella peculiarità
del fenomeno organizzativo riconducibile al terrorismo religioso
a matrice islamica di natura internazionale) era dimostrata
dall'appartenenza degli indagati (e degli altri coindagati)
al mondo dell'integralismo (ovvero del radicalismo) religioso
islamico e dall'esistenza del programma di azione (dimostrato
dal materiale sequestrato ad YY, in particolare dal documento
intitolato "Impronte sul muro della morte" contenente
la definizione della "Jihad" che "non è
una guerra di difesa") orientato verso l'indottrinamento
e la pratica ideologica del fanatismo religioso "militante"
inteso come teoria e prassi della violenza con uso della strage
indiscriminata nei confronti di popolazioni, dell'attacco
agli Stati, enti e organizzazioni, servendosi anche di "martiri"
suicidi. Le conversazioni oggetto di intercettazione, lette
in questa ottica, dimostravano che, sotto il coordinamento
di XX (indicato come il "reclutatore" e il selezionatore
dei soggetti da avviare alla Jihad: conversazione tra A. e
WW), con un crescendo di attività organizzativa, si
andava maturando il passaggio alla fase operativa come dimostrato:
per XX, AA e BB dalla decisione di recarsi in Irak e di partecipare
alla Jihad, nonchè per BB e AA, della programmazione
di un viaggio a Bagdad per portare 300 kg di esplosivo; per
RR dalla decisione di recarsi in Irak e di partecipare alla
Jihad; per GG dalla manifestazione dell'aspirazione al "martirio"
alla partecipazione alla Jihad; ovvero dalla partecipazione
al colloquio in cui si parla di un gruppo di trenta persone
pronte ad agire contro gli Stati Uniti, con adesione di tutti
alla cellula fiorentina che (come dimostrato da altri colloqui
intercettati) era collegata ad AA, che riveste un ruolo di
primo piano nella rete mondiale di Al Quaeda, fenomeno non
riconducibile alla partecipazione ad una lotta di resistenza
contro una coalizione di forze straniere d'occupazione perchè
coagulato attorno alla ideologia e alla pratica di "terrorismo
religioso islamico" che nella questione irakena vede
solo un'occasione per dare la massima espansione alla pratica
ed al programma del "terrore religioso" contro gli
infedeli e i miscredenti, contro gli USA, definito come il
Grande Satana, leader mondiale di un occidente depravato e
corrotto. Le esigenze cautelari erano individuate nel pericolo
di fuga, non rimediabile con sistemi alternativi a quello
della custodia in carcere.
Contro tale decisione hanno proposto tempestivo ricorso tutti
gli indagati, che ne hanno chiesto l'annullamento per i seguenti
motivi:
1) MM e BB - erronea applicazione dell'art. 270 bis c.p.,
in ordine all'elemento organizzativo ritenuto non necessario
dal Tribunale, mentre esso è l'elemento costitutivo
del fenomeno associativo in sè considerato; - carenza
e manifesta illogicità della motivazione, perchè
nella valutazione offerta dall'ordinanza impugnata della peculiarità
del fenomeno del sistema del terrore di matrice islamica finisce
col far perdere i contorni della definizione giuridica di
associazione, che invece, proprio a motivo della natura di
reato di pericolo, richiede un'attenta verifica dei requisiti
della concretezza ed attualità dei progetti di violenza.
L'appartenenza al mondo dell'integralismo islamico viene posta
come premessa logica e alla luce di tale presupposto, indimostrato,
sivaluta il materiale probatorio acquisito senza tenere conto
che si tratta di informazioni diffuse via internet configurabili
come un punto di vista ideologico di parte del mondo musulmano
con conseguente stravolgimento della interpretazione delle
conversazioni intercettate, con stridenti contrasti sul contenuto
delle conversazioni stesse; - contraddittorietà della
motivazione nella parte in cui si vuole attribuire natura
di associazione di tipo terroristico ad una cellula definita
"dormiente";
2) WW: - violazione dell'art. 270 bis c.p., perchè
dalle conversazioni intercettate non emerge chiaramente il
proposito del compimento di atti di violenza con finalità
di terrorismo internazionale, essendosi limitato l'indagato
ad utilizzare un linguaggio collegato alla cultura islamica
e al Corano. Anche ad ammettere il suo intendimento di voler
andare a combattere in Iraq(il suo programma era di andare
in Tunisia) in questo non sarebbe configurabile alcuna finalità
di terrorismo, apoditticamente ritenuto dal Tribunale; - violazione
dell'art. 273 c.p.p. per assenza di gravità indiziaria
rispetto al reato contestato, perchè le frasi attribuite
al ricorrente manifestano al più entusiasmo religioso,
espressione di un linguaggio che trae origine dalla cultura
islamica e dal Corano e che esprime solo critica all'abusiva
politica di aggressione di alcuni paesi occidentali contro
altri paesi; - violazione degli artt. 274 lett. b) e c) e
275 c.p.p. per non corretta applicazione dei principi di adeguatezza
e proporzione nella scelta della misura cautelare da applicare
con una presunzione sulla ricorrenza dei pericoli di fuga
e di recidiva.
3) GG: - violazione dell'art. 270 bis c.p., perchèdalle
conversazioni intercettate non emerge chiaramente il proposito
del compimento di atti di violenza con finalità di
terrorismo internazionale, essendosi limitato l'indagato ad
utilizzare un linguaggio collegato alla cultura islamica e
al Corano. Nulla dimostra che era suo intendimento andare
a combattere in Iraq (ed in questo, comunque, non sarebbe
configurabile alcuna finalità di terrorismo), e l'assunto
dell'appartenenza ad una cellula operativa e apoditticamente
ritenuto dal Tribunale; - violazione dell'art. 273 c.p.p.
per assenza di gravità indiziaria rispetto al reato
contestato, perchè le frasi attribuite al ricorrente
manifestano al più entusiasmo religioso, espressione
di un linguaggio che trae origine dalla cultura islamica e
dal Corano e che esprime solo critica all'abusiva politica
di aggressione di alcuni paesi occidentali contro altri paesi;
- violazione degli artt. 274 lett. b)e c) e 275 c.p.p. per
non corretta applicazione dei principi di adeguatezza e proporzione
nella scelta della misura cautelare da applicare con una presunzione
sulla ricorrenza dei pericoli di fuga e di recidiva.
4) YY: - nullità dell'ordinanza in punto di motivazione,
quanto alla sussistenza dell'elemento associativo perchè
i giudici di merito si limita a motivare in ordine alla comune
fede degli indagati, ipotizzando addirittura la possibilità
della non conoscenza reciproca, senza delineare i ruoli con
carenza di elementi indicativi della sussistenza di un vincolo
stabile; - nullità dell'ordinanza per mancata indicazione
del ruolo partecipativo dell'odierno indagato posto che la
contestazione indica i reati di cui agli artt. 270 bis commi
1^, 2^ e 3^ c.p. con doppia contestazione e senza specificazione
in motivazione del ruolo effettivo all'interno dell'associazione.
Motivi della decisione
1. Ricorso nell'interesse di XX e BB:
1.1. Il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia
erronea applicazione dell'art. 270 bis c.p., addebita all'ordinanza
impugnata di avere ritenuto non necessario l'elemento organizzativo
quale caratteristica del fenomeno associativo in esame. Ma
per pervenire a tale affermazione suggestivamente estrapola
dal contesto argomentativo la parte di una frase ("ecco
che l'aspetto organizzativo non può richiedersi, semplicemente
perchè non necessita") ricongiungendola con la
parte di un'altra frase ("è opera sterile ricercare
a forza gerarchie, figure di capi che la stessa ideologia
e pratica della fratellanza musulmana impedisce, a volte,
di trovare"), finendo in tal modo con lo stravolgere
il significato della parte della motivazione in esame. Ed
invero la nonnecessità dell'aspetto organizzativo è
dal Tribunale ravvisata "nel grado di complessità
che viceversa è riscontrabile nella vita di altri fenomeni
associativi criminali.
Si è inteso cioè chiarire, come si spiega nell'altra
frase riportata, che la peculiarità del sistema della
c.d. "fratellanza musulmana" rende sterile "il"
ricercare a forza gerarchie, figure di capi". L'ordinanza"
impugnata, quindi, lungi dall'escludere la necessità
dell'elemento organizzativo, ne descrive le peculiarità,
sicchè" il motivo di ricorso è infondato
e deve essere rigettato.
1.2. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si denuncia
carenza e manifesta illogicità della motivazione, procede
ancora con l'inammissibile sistema di estrapolare dal contesto
della motivazione, frasi o spezzoni di esse, riferendole a
proposizioni diverse da quelle del testo del provvedimento.
Cosi l'assunto secondoil quale "non si può non
prescindere dalla peculiarità del fenomeno", che
nell'ordinanza è riferito al "fatto organizzativo",
(pag. 5, quinto capoverso: "nella valutazione del Sfatto
organizzativo non si può prescindere dalla "peculiarità"
del fenomeno......") dal ricorrente viene messo in connessione
con il concetto di terrorismo internazionale ("Previamente
fissato il concetto di terrorismo internazionale nella violenza
giuridica che si esplicita in atti che intendono instaurare
il sistema del terrore il Tribunale del Riesame precisa che
se è di matrice islamica non si può non prescindere
dalla peculiarità del fenomeno"). Analogamente
il ricorrente opera con la frase successiva estrapolata ancora
da pagina 5 dell'ordinanza che, inserita nella parte della
motivazione destinata a definire la particolarità del
tipo di organizzazione (quindi dell'aspetto che attiene al
fenomeno associativo), lo trasferisce al diverso aspetto che
attiene alla finalitàdell'associazione cioè
al terrorismo internazionale. Concetto quest'ultimo che, dopo
un approfondito richiamo alle convenzioni internazionali,
è definito correttamente dal Tribunale come "violenza"
che mira ad intaccare i principi, ai quali la nostra Costituzione
si ispira, instaurando il "sistema del terrore"
contro persone, Stati o organizzazioni internazionali, ed
in relazione al quale indica in termini concreti ed attuali
quali fossero i propositi che animavano i ricorrenti, avendo
riportato stralci significativi delle conversazioni intercettate.
Il riferimento alla "cellula di tipo triangolare dove.....il
coordinatore può essere quello che tiene le fila del
gruppo" è contenuto nella parte della motivazione
che si preoccupa di rispondere a specifiche osservazioni difensive
tese a ricondurre il fatto in esame allo slancio di giovani
"irredentisti" arabi che esprimono propositi di
"resistenza" contro una coalizione di forze dioccupazione.
Il Tribunale, dopo aver rilevato l'"ingenuità"
di una simile interpretazione, ha insistito su quanto già
esposto in ordine all'esistenza della "cellula operativa",
individuandone un'ulteriore caratteristica, con un richiamo
storico a quanto accaduto nel fenomeno del terrorismo algerino,
dove operava una cellula di tipo "triangolare".
Una notazione di tipo incidentale viene di nuovo estrapolata
dal percorso argomentativo seguito dal giudice e criticata
in quanto priva dei requisiti di concretezza ed attualità,
dimenticando che tutte le precedenti pagine della motivazione
individuano circostanze concrete sulle quali si ancora il
convincimento di esistenza dell'associazione finalizzata al
terrorismo internazionale.
L'appartenenza degli indagati "al mondo dell'integralismo
islamico" è affermata come premessa condivisa
dagli stessi ricorrenti, cioè come appartenenza a quel
filone culturale nel quale essi siriconoscono (nello stesso
ricorso si da atto di tale punto di vista ideologico di parte
del mondo musulmano escludendone, in quanto tale, il rilievo
sotto il profilo penale, perchè manifestazione della
libertà di pensiero). Ma non si tratta di affermazione
apodittica, perchè confermata dal risultato dell'attività
di indagine, ampiamente illustrata, e che da riscontro non
solo dell'adesione dei ricorrenti a tale corrente del pensiero
islamico ma anche della loro aspirazione e disponibilità,
in procinto di attuazione, a dare concreto contributo al terrorismo
di matrice islamica.
Le critiche successive introducono considerazioni in fatto,
mediante l'affermazione della reperibilità in qualsiasi
sito internet delle informazioni e dei programmi contenuti
nel materiale sequestrato, ovvero mediante la proposizioni
di valutazioni alternative a quelle formulate dal Tribunale
sulla definizione del significato dellaJihad. L'indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione
ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato
alla Corte di Cassazione essere limitato - per espressa volontà
del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato
argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni
di cui il giudice di merito si è avvalso per sostenere
il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali.
Esula infatti dai poteri della Corte di cassazione quello
della "rilettura" degli elementi di fatto posti
a fondamento della decisione, la cui valutazione è,
in via esclusiva, riservata al giudice del merito, senza che
possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione
di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione
delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30.4/2.7.97 n. 6402,
ric. Dessimone e altri).
Ulteriori critiche propongono il confronto fra il contenuto
dei brogliacci delle intercettazioni effettuati con quanto
riportato nel testo dell'ordinanza, denunciando quindi sostanzialmente
un travisamento dei fatti stessi. Ma nel giudizio di legittimità
non è deducibile tale vizio, inteso come ipotesi di
contrasto tra le argomentazioni del contesto motivazionale
e gli atti processuali; il controllo demandato alla Corte
di Cassazione ha ad oggetto l'accertamento della mancanza
e della illogicità manifesta della motivazione risultante
dal testo del provvedimento impugnato e non può esplicarsi
in indagini extratestuali dirette a verificare se i risultati
dell'interpretazione delle prove, costituenti dati fondanti
della decisione, siano effettivamente corrispondenti alle
acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo
(Cass. Sez. 1^, 10.1-10.2.2000 n. 94).
Tale vizio in tanto può essere oggetto di valutazione
e di sindacato in sede di legittimità in quanto risulti
inquadrabile nelle ipotesi tassativamente previste dall'art.
606 lett. e) c.p.p..
L'accertamento di esso richiede pertanto la dimostrazione,
da parte del ricorrente, dell'avvenuta rappresentazione al
giudice del precedente grado di impugnazione degli elementi
dai quali quest'ultimo avrebbe dovuto rilevare il detto travisamento,
sicchè la Corte di Cassazione possa a sua volta desumere
dal testo del provvedimento impugnato se e come quagli elementi
siano stati valutati, in modo che il vizio si possa eventualmente
tradurre in mancanza o manifesta illogicità della motivazione
(Cass. S:U: 30 aprile 1997, Dessimone e altri).
Questa Corte, ancora a sezioni unite, ha ribadito la necessità
di mantenere fermo "il sindacato di legittimità
in termini di rigorosa non interferenza con le valutazioni
fattuali riservate al "merito"della prova"
nel senso che il vizio di motivazione deve rimanere incanalato
nel suo significato strettamente testuale, senza possibilità
alcuna di sconfinamento nella verifica attraverso il controllo
degli atti. L'esame deve quindi rimanere vincolato alla motivazione,
ma la verifica della sua completezza (cioè della sussistenza
del vizio di omessa motivazione) o correttezza (vizio di manifesta
illogicità della motivazione) impone di considerare
come tertium comparazionis non solo l'atto di impugnazione
(precisa questo Collegio: sia in senso proprio, come l'appello,
sia in senso più lato come il riesame), ma anche le
memore e gli atti difensivi con i quali la parte abbia rappresentato
la questione (cfr. da ultimo Cass. 3.U. 30.10-24.11.2003 n.
45276).
1.3. Con l'ultimo motivo i ricorrenti criticano il passaggio
motivazionale nel quale, in esordio della motivazione, si
afferma che alle persone sottoposte alle indagini si contesta
di aver costituito"una cellula dormiente" e comunque
già in fase di "risveglio", rilevandone la
contraddittorietà con l'assunto dell'esistenza di associazione
aventi finalità di terrorismo internazionale.
Si osserva che si tratta di contraddizione solo apparente,
perchè evidente frutto di dislalia semantica riconducibile
a semplice errore materiale che trova la sua implicita correzione
nel successivo capoverso dove si riporta in sintesi l'oggetto
della contestazione e dove si addebita chiaramente la costituzione
di una "cellula attiva ed organizzata". 2. Ricorso
di Ragoubi Choki:
2.1. Il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia
violazione dell'art. 270 bis c.p., sostanzialmente critica
i passaggi della motivazione con i quali si definisce la Jihad,
si indica come destinazione dell'esplicazione dell'azione
del ricorrente l'Iraq e si attribuisca apoditticamente alla
cellula la funzione di coagulo dell'ideologia e della pratica
del terrorismo religioso islamico. Ed invero le premesse interpretative
dell'art. 270 bis c.p. sono coincidenti, nel senso che sia
il ricorrente che l'ordinanza impugnata concordano nella definizione
dell'associazione con finalità di terrorismo internazionale,
da intendersi come struttura organizzativa caratterizzata
da un programma comune ai partecipanti con il proposito del
compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo
internazionale.
Tanto chiarito, si osserva che il ricorso è inammissibile
per la parte in cui sostanzialmente denuncia travisamento
del fatto, laddove afferma non esser vero quanto affermato
dal Tribunale in ordine alla volontà del ricorrente
di recarsi in Iraq per combattere la Jihad, perchè
invece dagli atti risulterebbe che sua intenzione era recarsi
in Tunisia, e in ordine al significato attribuito al termine
Jihad.
Nel giudizio di legittimità non è deducibile
il vizio di travisamento del fatto, inteso come ipotesi di
contrasto tra le argomentazioni del contesto motivazionale
e gli atti processuali; il controllo demandato alla Corte
di cassazione ha ad oggetto l'accertamento della mancanza
e della illogicità manifesta della motivazione risultante
dal testo del provvedimento impugnato e non può esplicarsi
in indagini extratestuali dirette a verificare se i risultati
dell'interpretazione delle prove, costituenti dati fondanti
della decisione, siano effettivamente corrispondenti alle
acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo
(Cass. Sez. 1^, 10.1-10.2.2000 n. 94).
Tale vizio in tanto può essere oggetto di valutazione
e di sindacato in sede di legittimità in quanto risulti
inquadrabile nelle ipotesi tassativamente previste dall'art.
606 lett. e) c.p.p..
L'accertamento di esso richiede pertanto la dimostrazione,
da parte del ricorrente, dell'avvenuta rappresentazione al
giudice del precedente grado di impugnazione degli elementi
dai quali quest'ultimo avrebbe dovuto rilevare il detto travisamento,
sicchè la Corte di cassazione possa a sua volta desumere
dal testo del provvedimento impugnato se e come quagli elementi
siano stati valutati, in modo che il vizio si possa eventualmente
tradurre in mancanza o manifesta illogicità della motivazione
(Cass. S.U. 30 aprile 1997, Dessimone e altri).
Questa Corte, ancora a sezioni unite, ha ribadito la necessità
di mantenere fermo "il sindacato di legittimità
in termini di rigorosa non interferenza con le valutazioni
fattuali riservate al "merito" della prova"
nel senso che il vizio di motivazione deve rimanere incanalato
nel suo significato strettamente testuale, senza possibilità
alcuna di sconfinamento nella verifica attraverso il controllo
degli atti. L'esame deve quindi rimanere vincolato alla motivazione,
ma la verifica della sua completezza (cioè della sussistenza
del vizio di omessa motivazione) impone di considerare come
tertium comparazionis non solo l'atto di impugnazione (precisa
questo Collegio: sia in senso proprio, come l'appello, sia
in senso più lato come il riesame), ma anche le memore
e gli atti difensivi con i quali la parte abbia rappresentato
la questione (cfr. da ultimo Cass. S.U. 30.10-24.11.2003 n.
45276).
La successiva critica al passaggio della motivazione dell'ordinanza
impugnata, laddove afferma l'esistenza di "cellula operativa
che si è coagulata attorno a un'ideologia e pratica
di terrorismo religioso islamico", è formulata
in maniera manifestamente infondata attraverso la sua estrapolazione
dall'iter argomentativo seguito dal Tribunale, che perviene
a tale affermazione dopo un'esame complessivo delle risultanze
probatorie costituite dal contenuto del materiale sequestrato
ad YY, dal quale si è desunta la definizione di Jihad
(per come intesa dagli appartenenti all'associazione, "che
non è guerra di difesa"); dalle conversazioni
intercettate, di cui è protagonista anche il ricorrente,
che individuano in RR come il punto di riferimento e come
finalità quella di partecipare alla Jihad, con la programmazione
di imminenti partenze con destinazione paesi dove operare
non per partecipare alla "resistenza" ma per mettere
in pratica il terrorismo, come giustificato con il passaggio
della motivazione (non oggetto di critica) in cui si spiegano
i collegamenti della cellula, alla quale il ricorrente apparteneva,
con movimenti che riconducevano alla rete mondiale di Al Quaeda.
2.2. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si denuncia
violazione dell'art. 273 c.p.p. per assenza di gravità
indiziaria,è ancora inammissibile, perchè addebita
un significato di ambiguità al contenuto delle conversazioni
intercettate e riferibili al ricorrente attraverso una valutazione
alternativa del medesimo materiale probatorio già valutato,
in maniera non manifestamente illogico, dal giudice di merito.
L'indagine di legittimità sul discorso giustificativo
della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione essere limitato - per espressa
volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza
di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione
impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza
delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è
avvalso per sostenere il suo convincimento o la loro rispondenza
alle acquisizioni processuali.
Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello
della "rilettura" degli elementi di fatto posti
a fondamento delladecisione, la cui valutazione è,
in via esclusiva, riservata al giudice del merito, senza che
possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione
di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione
delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30.4/2.7.97 n. 6402,
ric. Dessimone e altri).
2.3. Il terzo motivo di ricorso, con il quale si denuncia
violazione degli artt. 274 lett. b) e c) e 275 c.p.p., per
non corretta applicazione dei principi di adeguatezza e proporzione
nella scelta delle misure da applicare, è infondato
perchè la concretezza ed attualità delle esigenze
(ancorchè rilevate in motivazione con affermazione
di sussistenza in re ipsa) è motivata in considerazione
di quanto evidenziato dal complesso della motivazione. I comportamenti
concreti dai quali il Tribunale ha desunto la sussistenza
del pericolo di fuga sono individuati nella manifestata intenzione
di allontanarsi dall'Italia, desunta dall'annotazione di servizio
della Digos di Firenze del 5 maggio 2004 e già resa
palese dal contenuto delle conversazioni intercettate (tel.
n. 1340 del 19.10.2003 e n. 1927 del 14.4.2004).
3. Ricorso di HH:
3.1. Il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia
violazione dell'art. 270 bis c.p., è coincidente con
il primo motivo di ricorso proposto da WW sicchè si
rinvia al paragrafo 2.1. che precede, con le seguenti specificazioni,
necessarie per la peculiarità della posizione del ricorrente,
il quale sostanzialmente denuncia travisamento del fatto,
laddove afferma non esser vero quanto affermato dal Tribunale
in ordine alla sua volontà di recarsi in Iraq per combattere
la "guerra santa". Ed invero il Tribunale addebita
al GG non di avere intenzione di recarsi in Irak ma di aspirare
al "martirio" e alla "guerra santa". Tali
elementi, assieme alla partecipazione ad un incontro nel quale
si parlava di un gruppo di trenta persone pronte a colpire,
sono stati valutati dal Tribunale come significativi della
sua piena adesione alla cellula operativa definita, sulla
base di una serie di altri riscontri gravemente indizianti
(non criticati), come finazzata al terrorismo internazionale.
Tale parte della motivazione, in quanto non manifestamente
illogica, non può essere oggetto di censura in sede
di legittimità, in considerazione dei limiti posti
al sindacato del giudizio di Cassazione dalla lettera e) dell'art.
606 c.p.p..
La successiva critica al passaggio della motivazione dell'ordinanza
impugnata, laddove afferma l'esistenza di "cellula operativa
che si è coagulata attorno a un'ideologia e pratica
di terrorismo religioso islamico", è identica
a quella proposta nel ricorso di WW, sicchè è
manifestamente infondata per le ragioni soprariportate al
par. 2.1., ultimo capoverso, al quale si rinvia.
3.2. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si denuncia
violazione dell'art. 273 c.p.p. per assenza di gravità
indiziaria e che ricalca pedissequamente il secondo motivo
di ricorso di WW, è inammissibile per i motivi già
indicati al par. 2.2. al quale pertanto si rinvia.
3.3. Il terzo motivo di ricorso, con il quale si denuncia
violazione degli artt. 274 lett. b) e c) e 275 c.p.p., per
non corretta applicazione dei principi di adeguatezza e proporzione
nella scelta delle misure da applicare, è infondato
perchè la concretezza ed attualità delle esigenze
(ancorchè rilevate in motivazione con affermazione
di sussistenza in re ipsa) è motivata in considerazione
di quanto evidenziato dal complesso della motivazione.
I comportamenti concreti dai quali il Tribunale ha desunto
la sussistenza del pericolo di fuga sono individuati nella
manifestata intenzione di allontanarsi dall'Italia (chiaro
in tal senso è il riferimento all'annotazione di servizio
della Digos di Firenze del 5 maggio 2004 e alla tel. n. 12481
del 14.4.2004).
4. Ricorso di YY;
4.1. il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia
mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento
associativo, è infondato in quanto il ricorrente si
è limitato ad estrapolare dal contesto motivazionale
la frase con la quale si spiega il tipo di organizzazione,
esasperando peraltro la connotazione "cellulare"
e ponendo come contrastante, con la sussistenza del necessario
elemento soggettivo la possibilità che gli associati
non si conoscessero tra di loro. Si osserva che la condotta
di partecipazioneall'associazione per delinquere (ancorchè
connotata dalla finalità di terrorismo) è a
forma libera, nel senso che il comportamento del partecipe
può realizzarsi in forme e contenuti diversi, purchè
si traduca in un contributo non marginale ma apprezzabile
alla realizzazione degli scopi dell'organismo in tal modo
realizzandosi la lesione dell'interesse salvaguardato dalla
norma incriminatrice.
L'elemento della conoscenza reciproca tra gli affiliati ovvero
di ciascuno di essi con i capi non è decisivo ai fini
dell'appartenenza consapevole all'associazione. Elementi essenziali
sono quelli dell'esistenza del vincolo consapevolmente diretto
alla commissione di un numero indeterminato di delitti con
la predisposizione dei mezzi necessari al raggiungimento degli
scopi dell'associazione stessa (Cass. Sez. 2^, 17.1-28.5.97
n. 4976).
In maniera del tutto generica il ricorrente addebita, poi,
all'ordinanza impugnata di aver omesso di indicare l'esistenza
di unostabile vincolo associativo. Si osserva che il provvedimento
impugnato pone il fondamentalismo religioso come elemento
di base sul quale si innesta la congerie di elementi probatori,
tratti non solo dal materiale sequestrato al ricorrente ma
anche dal contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazioni
ambientali e telefoniche, che è stato congruamente
valutato come significativo della finalità di terrorismo
dell'organizzazione di tipo cellulare, sullo schema, storicamente
accertato, del terrorismo algerino degli anni '90.
Una volta verificata la sussistenza dei requisiti richiesti
per la configurabilità del reato associativo desumibile
dalla continuità e sistematicità dei collegamenti
di natura organizzativa (sia pure nella rilevata "peculiarità"
del fenomeno definibile come terrorismo religioso a matrice
islamica di natura internazionale), la costituzione del sodalizio
criminoso non è esclusa per il fatto chelo stesso sia
imperniato per lo più attorno a nuclei culturali che
si rifanno all'integralismo religioso islamico, perchè,
al contrario, i rapporti idelogico-religiosi, sommandosi al
vincolo associativo che si propone il compimento di atti di
violenza finalizzati a terrorizzare, lo rendono ancor più
pericoloso.
4.2. Anche il secondo motivo di ricorso, che denuncia la mancata
indicazione del ruolo partecipativo dell'odierno indagato,
è infondato. La circostanza che nel capo provvisorio
di incolpazione vi sia un richiamo normativo sia al primo
che al secondo comma dell'art. 270 bis c.p. non determina
la denunciata carenza di motivazione.
L'ordinanza impugnata delinea con sufficiente precisione il
ruolo del ricorrente allorchè ne descrive le condotte.
La circostanza che questi non sia indicato come capo o promotore
non può che ritornare a suo favore, per la ovvia considerazione
che, allo stato, in difettodi specifica diversa indicazione,
il suo ruolo può essere solo quello di partecipe.
5. I ricorso debbono in conseguenza essere rigettati, con
condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese
processuali. A norma dell'art. 94 disp, att. c.p.p., a cura
della Cancelleria deve essere trasmessa copia del presente
provvedimento al Direttore dell'istituto penitenziario per
quanto di competenza.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento
delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti
di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2005
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