SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza 4 febbraio 2005 n. 2197
Svolgimento del processo
A seguito di esposti della s.r.l. Eurocrediti, esercente attività
di recupero crediti, l'avvocato E.S. veniva sottoposto dal
consiglio dell'Ordine degli avvocati di Gorizia a procedimento
disciplinare per diversi addebiti, fra cui quello di avere,
in data 5 aprile 1991, stipulato con detta società
una convenzione, in forza della quale egli s'impegnava a richiedere
il proprio compenso per diritti ed onorari soltanto in caso
di esito positivo della causa, senza che ricorressero motivi
di liberalità o ragioni etico - sociali, in contrasto
con l'inderogabilità dei minimi tariffari.
L'incolpato sosteneva, a propria discolpa, che la convenzione
riguardava soltanto i rapporti tra la Eurocrediti e i clienti
di quest'ultima, e non era, quindi, a lui applicabile.
A seguito della ricusazione ed astensione dei consiglieri
il procedimento veniva trasmesso al consiglio dell'Ordine
di Trieste il quale, con decisione notificata il 21 settembre
2002, dichiarava responsabile il professionista del predetto
addebito, irrogandogli la sanzione della censura. Il consiglio
riteneva che la convenzione riguardava, almeno in parte, i
rapporti tra l'avvocato S. e la Eurocrediti, e che la stessa,
essendo stata conclusa con soggetto esercente attività
di recupero crediti, costituiva violazione dell'art. 10 del
codice deontologico. Pur non essendo il codice ancora in vigore
all'epoca del fatto, lo stesso era da ritenersi, comunque
sanzionabile, secondo la giurisprudenza del Consiglio Nazionale
Forense. Osservava, inoltre, il Consiglio che la eccepita
prescrizione non era maturata. Infatti, pur essendo stata
la convenzione stipulata nel 1991 ed essendo stato il procedimento
disciplinare iniziato nel 1998, la condotta sanzionabile si
era protratta fino al 1996, anno in cui l'avv. S. aveva richiesto
il pagamento di onorari in forza della convenzione.
L'incolpato proponeva ricorso dinanzi al Consiglio Nazionale
Forense, deducendo i seguenti motivi:
1) nullità per violazione del diritto di difesa. Era
stato contestato l'addebito di violazione dei minimi tariffari,
mentre il riferimento alla convenzione avrebbe avuto solo
carattere strumentale. Inoltre, nella contestazione era stato
fatto riferimento all'art. 5 del codice deontologico, mentre
la decisione si riferiva alla violazione di cui all'art. 10;
2) prescrizione dell'azione disciplinare;
3) l'art. 10 del codice deontologico non sanziona la condotta
di cuialla contestazione, essendo necessario esercitare attività
di recupero crediti; inoltre, l'ipotesi non era all'epoca
sanzionata;
4) non sussisteva alcuna convenzione, ma soltanto un contratto
di mandato.
Il Consiglio Nazionale Forense, con decisione 19 luglio 2003
- 16 marzo 2004, rigettava il ricorso del professionista con
la seguente motivazione:
- la decisione era stata resa sulla contestazione di aver
stipulato la convenzione, e non sussisteva la violazione denunciata,
in quanto l'art. 10 del codice deontologico, richiamato nella
decisione impugnata, non fa che recepire la clausola generale
della violazione dei doveri di lealtà e probità;
- pur non essendo il codice deontologico vigente all'epoca
del fatto, le regole in esso contenute non facevano che recepire
modelli di condotta sanzionabile già in precedenza
configurati, dei quali esso,come stabilito nell'art. 60, conteneva
solo un elenco esemplificativo, e non tassativo;
- la decisione aveva adeguatamente spiegato che la mera stipula
di convenzione avente ad oggetto attività di recupero
crediti costituisce illecito, in quanto viola l'indipendenza
dell'avvocato, ritenendo, inoltre, applicabile l'art. 10,
ultimo comma;
- la convenzione, contrariamente a quanto sostenuto dall'avv.
S., disciplinava proprio i rapporti tra il professionista,
la Eurocredit s.r.l. e i clienti di quest'ultima;
- quanto all'eccezione di prescrizione, l'illecito doveva
considerarsi perpetrato per tutto il periodo in cui si producevano
gli effetti obbligatori della convenzione.
Avverso tale decisione l'avv. S. ha proposto ricorso per Cassazione,
sulla base di quattro mezzi di annullamento e di memoria.
Le autorità intimate non hanno svolto attività
difensiva in questa sede. p. 2. I motivi di ricorso.
2.1. Col primo motivo, denunciando violazione degli articoli
45 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578; 48, n. 2, del r.d.
22 gennaio 1934, n. 37; 24, comma 2 Costituzione; in relazione
all'art. 56, 3 comma, r.d.l. n. 1578 del 1933, il ricorrente
lamenta la violazione del contraddittorio, per avere il Consiglio
Nazionale Forense dichiarato la sua responsabilità
disciplinare in relazione a fatto diverso da quello contestato.
Rileva che, mentre il decreto di citazione dinanzi al Consiglio
dell'Ordine faceva riferimento alla violazione del divieto
di deroga ai minimi tariffari, conseguente all'applicazione
della convenzione, la responsabilità è stata
ritenuta in relazione alla mera stipulazione della convenzione
stessa. In altre parole, mentre l'addebito originario integrava
una ipotesi di violazione dei doveri di lealtà e probità,
di cui all'art. 5 del codice deontologico, come specificato
nel decreto di citazione, l'illecito ritenuto in decisione
era quello previsto dall'art. 10, n. 3, del codice deontologico,
il quale vieta la stipulazione di convenzioni con società
di recupero crediti e riguarda, quindi, il dovere d'indipendenza
dell'avvocato.
Inoltre il divieto di comportamenti contrari ai doveri di
lealtà e probità non costituisce - secondo il
ricorrente - ipotesi d'illecito a sè stante, ma è
uno dei principi informatori dell'attività professionale.
2.2. Col secondo motivo, denunciando violazione dell'art.
51 delr.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, in relazione all'art.
56, 3 comma, dello stesso r.d.l., il ricorrente censura la
mancata applicazione della prescrizione. Deduce che, contrariamente
a quanto affermato nella decisione, l'illecito ritenuto sussistente
era costituito soltanto dalla stipulata convenzione, e non
già dall'esecuzione della stessa, la quale esula dall'ipotesi
prevista dall'art. 5, comma 3, del codice deontologico.
Rileva, inoltre, che, anche ad ammettere che il termine decorresse
dal momento in cui l'esecuzione della convenzione era cessata
(1996), la prescrizione si era, comunque, verificata, essendo
stata la diversa ipotesi d'illecito ritenuta nella decisione
portata a sua conoscenza soltanto il 21 settembre 2002, data
in cui gli era stata notificata la decisione del Consiglio
dell'Ordine di Trieste.
2.3. Col terzo motivo, denunciando violazione degli articoli
38, 1 comma, e 40, n. 2, del r.d.l. n. 1578 del 1933, in relazione
all'art. 56, 3 comma, stesso r.d.l., il ricorrente lamenta
che l'ipotesi d'illecito disciplinare ritenuta in decisione
non era prevista all'epoca dei fatti, essendo stata introdotta
col codice deontologico, approvato dal Consiglio Nazionale
Forense il 17 aprile 1997. In nessun caso, in precedenza,
la semplice stipula di convenzione con soggetto esercente
attività di recupero crediti veniva considerata illecito
disciplinare. Nella giurisprudenza del Consiglio Nazionale
Forense veniva censurata, non già la semplice stipula
di convenzione, ma la condotta di aver ospitato nel proprio
studio un'agenzia di recupero crediti, concedendo alla stessa
l'uso del proprio telefono, ovvero la condotta dell'avvocato
che, nei rapporti con una società di recupero crediti,
abbia ricevuto deleghein bianco dei clienti della società
medesima; oppure che abbia consentito la stampa di carta intestata
al proprio nome con l'indirizzo della società e l'uso
di tale carta da parte dei dipendenti della società
stessa.
La disposizione contenuta nell'art. 60 del codice deontologico,
secondo cui possono esistere altre ipotesi d'illecito oltre
quelle descritte nello stesso codice, non può far trascurare
il fatto che l'ipotesi ritenuta in decisione è stata
espressamente prevista in una specifica norma del codice.
Lamenta, infine, il ricorrente che sia stata affermata l'esistenza
di una convenzione, laddove si trattava di un semplice mandato,
col quale la società Eurocrediti lo nominava difensore
dei suoi clienti, i quali avrebbero, poi, dovuto conferirgli
la procura alle liti.
2.4. Col quarto motivo, denunciando eccesso di potere e omessa,
insufficiente, contraddittoria motivazione, in relazione all'art.
56,3 comma, r.d.l. n. 1575 del 1933, il ricorrente ripropone
le censure svolte nei precedenti motivi sotto il profilo del
vizio di motivazione, lamentando che i punti della decisione
oggetto di critica, oltre a violazione di norme giuridiche,
non contengano alcuna motivazione, sia sulla modifica dell'ipotesi
d'illecito disciplinare, sia per quanto attiene alla ricostruzione
del rapporto come convenzione, e non come mandato.
Motivi della decisione
3.1. Il primo motivo merita accoglimento, dovendosi ritenere
violato il principio del contraddittorio, per avere il consiglio
dell'Ordine posto a base della decisione un' ipotesi di illecito
disciplinare diversa da quella contestata e non costituente
oggetto del dibattito dinanzi allo stesso consiglio.
E' da premettere che, pur avendo il procedimento dinanzi al
consiglio dell'Ordine natura amministrativa, lo stesso, stante
il suo carattere contenzioso, preordinato ad una successiva
fase giurisdizionale e in considerazione dell'incidenza che
il suo esito può svolgere nella sfera professionale
e personale dell'avvocato, è retto dai fondamentali
principi regolatori della giurisdizione e, in particolare,
da quello del contraddittorio e della pienezza del diritto
di difesa.
L'applicazione di tale principio è stata costantemente
affermata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite (sentenze
10 febbraio 1998, n. 1342; 7 maggio 1998, n. 4630; 5 febbraio
1999, n. 39) la quale ha specificato che il dovere di contestazione
dei fatti su cui si fonda la decisione costituisce una garanzia
irrinunciabile nel procedimento dinanzi al consiglio dell'Ordine.
La formula impiegata dall'art. 45 del r.d.l. 27 novembre 1933,
n.1578, che trova corrispondenza nell'art. 112 cod. proc.
civ., deve, naturalmente, essere letta ed opportunamente integrata
alla luce dei principi costituzionali, e cioè in quello
della piena attuazione del diritto di difesa ( art. 24 Cost.)
e in quello del giusto processo, contenuto nel nuovo testo
dell'art. 111, comma primo, Cost..
Tale norma, integrata con quella contenuta nel secondo comma,
il quale stabilisce che ogni processo si svolga "nel
contraddittorio tra le parti", non rende più possibile
un'indiscriminata applicazione del principio jura novit curia,
imponendo al giudice di non porre a base della propria decisione,
non solo fatti diversi da quelli chehanno costituito oggetto
di dibattito processuale, ma anche soluzioni giuridiche sulle
quali le parti non abbiano avuto la possibilità di
svolgere le loro difese.
Si tratta del c.d. divieto di emettere decisioni a sorpresa,
già noto in altre esperienze giuridiche e che deve
considerarsi - a seguito della riforma costituzionale - un
naturale corollario del principio del contraddittorio.
Per verificare se sia stata fatta rigorosa applicazione di
tale principio, certamente operante anche nel procedimento
(amministrativo) dinanzi al consiglio dell'Ordine, occorre
considerare, altresì, la speciale configurazione normativa
dell'illecito disciplinare degli avvocati, non regolato secondo
forme tipizzate, ma dalla clausola generale (o concetto giuridico
indeterminato) contenuta nell'art. 38 del r.d. 27 novembre
1933, n. 1578.
Come le Sezioni Unite Corte hanno già ritenuto in precedenti
decisioni (si veda, tra le ultime, la sentenza 10 dicembre
2001, n. 15607), l'individuazione di fattispecie disciplinarmente
rilevanti - nell'applicazione del citato art. 38, o in casi
analoghi, quali l'art. 18 del r.d.l. n. 511 del 1946 in tema
di responsabilità disciplinare dei magistrati ordinari
- è rimessa esclusivamente agli organi disciplinari,
e non è sottoposta a diretto riesame in sede di legittimità.
Pertanto, la scelta effettuata dall'organo disciplinare nell'atto
di iniziativa e contenuta nel decreto di citazione costituisce
un atto di definizione dell'ipotesi d'illecito. La modificazione
posta in essere nel caso in esame va ben al di là di
una diversa qualificazione giuridica dello stesso fatto, in
quanto proprio l'individuazione dell'illecito sanzionabile
- nell'ambito del concetto giuridico indeterminato che definisce
i confini esterni della fattispecie normativa d'illecito -
costituisce un giudizio non meramente conoscitivo, ma assiologico.
Orbene, nella specie, la contestazione enunciata inizialmente
e trasfusa nel decreto di citazione a giudizio si riferiva
alla stipulazione della convenzione, non già in relazione
alla violazione del dovere d'indipendenza, ma soltanto di
quello d'inderogabilità dei minimi tariffari, ipotesi
in relazione alla quale l'incolpato aveva svolto le sue difese.
La scelta iniziale compiuta dall'organo disciplinare, quindi,
non individuava alcun profilo illiceità disciplinare
nella stipulazione della convenzione, se non con riferimento
all'inderogabilità dei minimi tariffari, non apparendo
risolutivo il rilievo che tale ipotesi fosse stata successivamente
prevista nel codice deontologico di comportamento.
Tale modificazione dell'originaria incolpazione in altra ipotesi
che non poteva in alcun modo considerarsi parte integrante
della prima (e quindi in essa ricompresa) viola il principio
del contraddittorio in relazione agli articoli 24 Cost. e
112 cod. proc. civ., ed ancor più in relazione al principio
del giusto processo, introdotto col nuovo testo dell'art.
111 Cost., proprio perchè con essa l'organo disciplinare
ha posto in essere una vera e propria decisione a sorpresa,
compiendo un giudizio di valore del tutto diverso da quello
originariamente espresso attraverso la definizione della condotta
illecita originariamente contestata, e senza che, in relazione
alla nuova ipotesi, si fosse svolta alcuna attività
difensiva dell'incolpato.
3.2. L'accoglimento della censura, nei termini sopra precisati,
comporta la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata,
con assorbimento degli altri motivi.
Ricorrono giusti motivi per compensare le spese.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite; accoglie il primo
motivo e dichiara assorbiti gli altri; cassa senza rinvio
la sentenza impugnata; compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle
Sezioni Unite civili, il 21 ottobre 2004.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2005.
La redazione di megghy.com |