REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
il Tribunale di Genova
sezione I civile
in composizione collegiale, in persona di
dott. A Dimundo presidente
dott. F. Maganza giudice
dott. D. Canepa giudice relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa promossa da L.F., residente a Genova ed ivi elettivamente
domiciliata in Via Santa Zita 1/5, presso lo studio dell'Avv.
Mauro Mortello, che la rappresenta e difende in giudizio come
da mandato a margine dell'atto di citazione, unitamente all'avv..
Alessandro Orlando del foro della Spezia
-attore -
contro
BIPIELLE Società di Gestione del Credito s.p.a. quale
mandataria procuratrice della Banca Popolare di Lodi s.c.
a r.l., corrente in Lodi ed ivi elettivamente domiciliata
in Via G. D'Annunzio 2/56 Genova, presso lo studio dell'Avv.Ennio
Lucarelli, che la rappresenta e difende in giudizio come da
procura speciale del 7.8.2002
- convenuta -
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Per L.F.: dichiarare la nullità del contratto di compravendita
delle obbligazioni per violazione delle norme imperative di
cui al TUF ed in relazione all'art 1418 c.c. condannando per
l'effetto la società convenuta alla restituzione della
somma di € 115.612,010, oltre interessi legali dal 27.07.2000
al saldo e rivalutazione monetaria, in subordine, riconoscere
e dichiarare l'annullamento del medesimo contratto ai sensi
dell'art. 1427 c.c. condannando per l'effetto la società
convenuta alla restituzione della somma di € 115.612,010,
oltre interessi e rivalutazione monetaria, in via ulteriormente
subordinata, riconoscere e dichiarare il grave inadempimento
della banca convenuta per tutti i comportamenti posti in essere
all'atto della vendita delle obbligazioni e pertanto risolvere
il contratto de quo, nonché condannare per l'effetto
la società convenuta alla restituzione dell'investimento
e comunque al risarcimento del danno, oltre interessi e rivalutazione
monetaria. Condannare parte convenuta alle spese, diritti
ed onorari tutti di giudizio.
Per BIPIELLE Società di Gestione del Credito s.p.a.
quale mandataria e procuratrice della Banca Popolare di Lodi
s.c. a r.l, corrente in Lodi: Respinta ogni contraria istanza,
eccezione e/o deduzione; respingere in quanto infondate in
fatto e in diritto le domande tutte proposte nei confronti
della banca convenuta dalla signora L.F.; condannare di conseguenza
la attrice alla refusione delle spese, diritti ed onorari.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 16.3.2004 L.F. conveniva
in giudizio il Banco di Chiavali e della Riviera Ligure allo
scopo di ottenere da questo Tribunale pronuncia di dichiarazione
di nullità del contratto di compravendita delle obbligazioni
per violazione delle norme imperative di cui al TUF ed in
relaziona all'art. 1418 c.c. condannando per l'effetto la
società convenuta alla restituzione della somma di
€ 115.612,010. in subordine, chiedeva di dichiarare l'annullamento
del medesimo contratto ai sensi dell'art. 1427 c.c. condannando
per l'effetto la società convenuta alla restituzione
della somma di € 115.612,010, in via ulteriormente subordinata,
chiedeva di dichiarare il grave inadempimento della banca
convenuta per tutti i comportamenti posti in essere all'atto
della vendita delle obbligazioni e pertanto risolvere il contratto
de quo, nonché condannare per l'effetto la società
convenuta alla restituzione dell'investimento e comunque al
risarcimento del danno, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Assumeva a sostegno che era correntista del Banco di Chiavari
e della Riviera Ligure, che il 27.7.2000 aveva acquistato
dall'istituto di credito un titolo obbligazionario CIRIO FINANCE
FR03 per un controvalore pari a € 115.612,010, che il
titolo le era stato consigliato dal funzionario addetto all'Ufficio
Titoli della agenzia di Nervi della Banca, che l'addetto titoli
non aveva fatto presente che le suddette obbligazioni avevano
un margine di rischio superiore ai titoli di Stato, né
la gravità della situazione debitoria del gruppo CIRIO,
che era una investitrice con profilo di rischio "basso"
in quanto aveva sempre investito in titoli obbligazionari,
che fino al "default" del primo titolo del gruppo
CIRIO del 4.11.2002 parte attrice si era recata più
volte presso l'agenzia per chiedere delucidazioni circa, l'investimento
e veniva sempre rassicurata circa il buon esito dell'operazione,
che il 8.4.2003, dopo il primo "default", i funzionari
la rassicuravano ulteriormente circa la mancata pèrdita
di valore del titolo che veniva ancora inserito fra le sue
poste attive. Esponeva che le obbligazioni acquistate appartenevano
a emissioni effettuate da parte di società estere controllate
da Cirio Holding s.p.a. facenti parte del Gruppo Cirio, il
cui indebitamento finanziario, in gran parte rappresentato
da debito bancario a breve, era passato dai 280 mln. circa
di euro del 1996 a 870 mln. di euro nel 1999, che nel periodo
2000-2002 vi è stato il progressivo spostamento dell'indebitamento
del gruppo dalle banche alle obbligazioni in quanto i debiti
bancari, che avevano raggiunto a fine '99 il massimo di circa
900 mln di euro, si riducono a poco più di 300 min
nel 2002 mentre il debito consolidato sotto forma di obbligazioni
raggiunge alla medesima data l'ammontare di circa 850 mln.
La crescita del debito sotto forma di obbligazioni determina
quindi una netta riduzione dell'esposizione bancaria. Ricorda
parte attrice che le obbligazioni vendutele dalla convenuta
appartenevano a emissioni effettuate da società estere
controllate da Cirio Holding s.p.a. dal Gruppo Cirio, il quale
tramite sei società aveva emesso obbligazioni per complessivi
€ 1.125 mln., che le obbligazioni non erano accompagnate
da prospetto informativo essendo riservate ad investitori
istituzionali, come risultante dalla offering circular e non
potevano formare oggetto di sollecitazione al risparmio indistinto;
che i fondi raccolti con i titoli emessi da Cirio Finance
Luxemburg s.a. erano stati pressoché interamente versati
alla Cirio s.p.a., i cui debiti bancari a seguito dell'emissione,
si erano ridotti di oltre 130 mln di euro rispetto al livello
raggiunto nel 1999 o, nel 2001, l'importo derivante dall'emissione
della Ciro Holding Luxemburg s.a. era stato girato a titolo
di finanziamento a varie società del Gruppo. Sostiene
parte attrice la responsabilità della banca convenuta
in quanto inadempiente agli obblighi generali di buona fede
e correttezza e per aver scientemente violato la normativa
in materia di prodotti finanziari.
In particolare, secondo la tesi di parte attrice, la banca
avrebbe violato l'art. 21 TUF per il comportamento tenuto
nei confronti dell'investitore, il contratto sarebbe nullo
ai sensi dell'art. 1418 c.c. per contrarietà alle norme
imperative di cui al D. Lgs. 24.2.1998 TUF, è comunque
annullabile per vizio del consenso dell'investitore ai sensi
dell'art. 1427 c.c, sarebbe in ogni caso risolvibile per inadempimento
contrattuale della banca, alla quale è altresì
addebitabile una responsabilità precontrattuale e un
conflitto di interessi, oltre che uno specifico inadempimento
all'obbligo di non vendere agli investitori "retail".
Parte convenuta si costituiva in giudizio contestando le
opposte pretese delle quali chiedevano il rigetto.
Rilevava che era stata la cliente, debitamente sconsigliata
dal funzionario di banca che l'aveva avvertita dei rischi
dell'investimento a voler effettuare comunque l'operazione,
che pertanto erano state rispettate dall'istituto di credito
tutte le prescrizioni normative.
Dopo lo scambio di memorie di repliche veniva ai sensi dell'art.
12 comma III del D.lgs. 5/2003 fissata l'udienza di discussone
della causa davanti al Collegio e le parti provvedevano a
depositare le memorie conclusionali. Rigettate le istanze
istruttorie volte all'escussione del teste funzionario della
banca che aveva curato l'operazione bancaria ed acquisita
la documentazione prodotta dalla banca convenuta, le parti
insistevano nelle rispettive difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda della parte attrice è volta ad ottenere
la condanna della banca alla restituzione delle somme corrisposte
a titolo di investimento, in quanto l'istituto di credito
avrebbe violato l'art. 21 TUF per il comportamento tenuto
nei confronti dell'investitore; il contratto è nullo
ai sensi dell'art. 1418 c.c. per contrarietà alle norme
imperative di cui al D. Lgs. 24.2.1998 TUF; è comunque
annullabile per vizio del consenso dell'investitore ai sensi
dell'art. 1427 c.c.; è in ogni caso risolvibile per
inadempimento contrattuale della banca, alla quale è
altresì addebitabile una responsabilità precontrattuale
e un conflitto di interessi, oltre che uno specifico inadempimento
all'obbligo di non vendere agli investitori "retail".
Partendo dall'esame di quest'ultimo rilievo si osserva che
il caso in esame non si colloca nella fase di mercato primario
(o di emissione), che intercorre fra l'emissione del titolo
da parte dell'impresa, avvenuta, in concreto, adottando non
la modalità di offerta diretta al pubblico (sollecitazione
all'investimento), ma l'offerta diretta a investitori istituzionali,
e la sua sottoscrizione da parte dell'investitore, bensì
nella fase successiva di mercato secondario, in cui il titolo,
già in possesso dell'investitore, viene negoziato con
altro investitore.
Si tratta di una modalità di vendita dei tutto legittima,
che, peraltro, deve avvenire secondo regole contenute nel
TUF e nella regolamentazione attuativa emanata dalla Consob
per disciplinare l'attività degli intermediari finanziari.
A quest'ultima categoria appartengono anche, le banche, quali
soggetti abilitati alla sollecitazione all'investimento cioè
all'offerta al pubblico di vendita o sottoscrizione di prodotti
finanziari, tra i quali rientrano le obbligazioni negoziabili
sul mercato dei capitali (art. 18 D.Lgs. 24.2.1998 n.58).
La rigorosa disciplina di vigilanza contenuta nel D. Lgs.
1.9.1993 n. 383 (TUB) è volta ad assicurare un regime
di ampia garanzia nel rispetto del principio di trasparenza
sancito dall'art. 11 TUB nell'esercizio dell'attività
creditizia e richiamata dalla norma di rinvio contenuta nel
comma 4° dell'art.19 D. Lgs. 24.2.1998 n.58 (TUF), che
stabilisce i requisiti occorrenti per svolgere l'attività
bancaria in senso tecnico e i requisiti di affidabile ingresso
dell'ente creditizio nel settore dell'intermediazione finanziaria
non bancaria. (v. Tribunale di Roma sentenza dell'8.10.2004).
La normativa di settore è raccolta nel T.U. 24.2.'98
n.58 delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria
e del successivo regolamento attuativo del 1.7.'98 che ha
specificato i doveri degli intermediari conglobati nei
principi codificati nel richiamato testo unico.
Tale normativa integra lo statuto dell'intermediatore finanziario
e deve applicarsi come regola generale di comportamento a
tutte le operazioni eseguite ove non sia disposto diversamente
dalla legge.
In particolare l'art. 21 TUF impone agli intermediari nell'attività
di servizi di investimenti ed accessori di:
a- comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nell'interesse
dei clienti e per l'integrità dei mercati;
b- acquisire le informazioni necessarie dei clienti ed operare
in modo che essi siano sempre adeguatamente informati;
c- organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio
di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire
in modo da assicurare comunque aiclienti trasparenza ed equo
trattamento;
d- disporre di risorse e procedura, anche di controllo interno,
idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi;
e- svolgere una gestione indipendente, sana e prudente e
adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti
sui beni affidati.
La banca convenuta assume la piena legittimità delle
operazioni compiute sottolineando che la richiesta di acquisto
è stata formulata dal cliente e che essa ha dovuto
accettare detta richiesta, in quanto dopo aver avvertito l'investitore
della non adeguatezza dell'operazione non aveva a disposizione
alcuno strumento per non dare seguito all'investimento avendo
parte
acquirente reso la dichiarazione di cui all'art.28 TUF.
In realtà i doveri imposti dalla banca si sostanziano
essenzialmente nel dovere di informarsi e nel dovere di informare.
Nel caso concreto, la violazione da parte della convenuta
di tali doveri è consistita, in primo luogo, nella
violazione delle regole generali di comportamento sancite
dall'art. 21 co. 1 lett. d) TUF: "disporre di risorse
e
procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare
l'efficiente svolgimento dei servizi" e dall'art. 26
D. Consob 11522/98, tra le quali alla lett. e) è previsto
che "Gli intermediari autorizzati, nell'interesse degli
investitori e dell'integrità del mercato mobiliare..,
e) acquisiscono una conoscenza degli strumenti finanziari,
dai servizi nonché dei prodotti diversi dal servizi
di investimento, propri o di terzi, da essi offerti, adeguata
al tipo di prestazione da fornire."
La suddetta normativa pone a carico degli intermediari e
nell'interesse degli investitori un obbligo di conoscenza,
che è più della semplice informazione, sui prodotti
da loro offerti, conoscenza che si estende alla loro provenienza,
alla situazione degli stessi nei mercati, alla loro destinazione
tra il pubblico dei consumatori.
Va sottolineato che si tratta di conoscenza che l'investitore
risparmiatore, per esperienza, per cultura o per diverso campo
lavorativo non potrà mai acquisire, pervenendo ad un
giudizio completo sulla operazione finanziaria che si appresta
a sottoscrivere. Tanto più, se si considera che la
negoziazione in esame è stata posta in essere per un
titolo "non quotato" e in assenza di rating. ( v.
Tribunale di Roma sentenza dell'8.10.2004).
Le circostanze dedotte da parte attrice, da considerare provati
ai sensi dell'art 13 D.Lgs. 5/2003, evidenziano che la banca
si è del tutto sottratta al dovere di informare la
cliente in ordine alla tipologia e affidabilità del
titolo e, dunque, al livello relativo di adeguatezza e, comunque,
ha assunto in tale attività un comportamento non diligente
e non rispondente al "need of protection" degli
investitori non professionali.
La violazione da parte della convenuta degli obblighi a suo
carico è consistita, in secondo luogo, nel non aver
adeguatamente tenuto in considerazione le informazioni acquisite
dal cliente nella esecuzione dell'operazione, che avrebbe
dovuto essere conforme a quei principi di diligenza, correttezza
e trasparenza, imposti dalla lett. a dell'art. 21 TUF e dalle
generali prescrizioni del codice civile secondo il disposto
dell'art. 1337 c.c.
Si ricorda che l'art. 29 del regolamento CONSOB impone agli
intermediari di astenersi dall'effettuare con o per conto
degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto,
frequenza o dimensione. Dispone in tal senso il 1° comma
dell'art. 29 D. Consob 11522/98 che: "Gli intermediari
finanziari si astengono dall'effettuare con o per conto degli
investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto,
frequenza o dimensione. Ai fini di cui al comma 1, gli intermediari
autorizzati tengono conto delle informazioni di cui all'art.
28 e di ogni altre informazione disponibile in ordine ai servizi
prestati."
Di conseguenza, l'acquisizione della dichiarazione di cui
all'art. 28 non esaurisce l'obbligo di diligenza imposto all'intermediario
per dare corso all'operazione, dovendo questi tenere conto
di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi
prestati.
Secondo una interpretazione prevalente nella giurisprudenza
ed in dottrina, l'acquisizione delle notizie previste dall'art.
28 lett. A non è decisiva per stabilire se l'intermediario
debba procedere o debba astenersi dall'operazione per inadeguatezza
della stessa. In particolare, la Consob ha precisato con comunicazione
n. DI/30396 del 21.4.2000 che: "...in nessun caso gli
intermediari sono esonerati dall'obbligo di valutare l'adeguatezza
dell'operazione disposta dai clienti, neanche nel caso in
cui l'investitore abbia rifiutato di fornire le informazioni
sulla propria situazione patrimoniale o finanziaria, obiettivi
di investimento e propensione al rischio; nel caso la valutazione
andrà condotta in ossequio dei principi generali di
correttezza, diligenza e trasparenza, tenendo conto di tutte
le notizie di cui l'intermediario sia in possesso (es. età,
professione, presumibile propensione al rischio anche alla
luce dalla pregressa ed abituale operatività, situazione
del mercato...)". Per le specifiche informazioni rese
e per essere l'investitore soggetto titolare di conti correnti
presso la banca, le notizie in possesso dell'intermediario
rendevano chiaro che si trattava di soggetto nei cui confronti
l'operazione di negoziazione proposta non fosse adeguata sia
in relazione alla sua situazione patrimoniale sia in relazione
alla scarsa propensione al rischio. In conclusione l'intermediario
è venuto meno all'obbligo di curare l'interesse dell'investitore,
obbligo che costituisce espressione del generale principio
di correttezza e buona fede e impone al primo di valutare
l'adeguatezza di ogni operazione disposta dal secondo (art.
29 Reg. Consob. N. 11522/98).
La circostanza che all'investitore sia stato consegnato il
documento sui rischi generali degli investimenti finanziari
non è sufficiente a soddisfare tale esigenza di tutela
del risparmiatore, trattandosi di informativa del tutto generica
che non garantisce quella conoscenza concreta ed effettiva
del titolo negoziato che l'intermediario deve assicurare in
modo da rendere il cliente capace di tutelare il proprio interesse
e di assumersi consapevolmente i rischi dell'investimento
compiuto.( v. Tribunale di Roma sentenza dell'8.10.2004) Si
ricorda che la norma regolamentare in materia dispone che
in presenza di una operazione non adeguata l'intermediario
debba astenersi dal dare esecuzione all'operazione se prima
non abbia avvertito l'investitore e ottenute dal medesimo
l'espressa autorizzazione ad agire ugualmente.
Questo onere della banca è funzionale alla realizzazione
del migliore risultato possibile per il cliente; una valutazione
che va fatta non in senso assoluto ma (come specificato anche
nell'alt. 26 lett. f del suddetto regolamento) in relazione
al livello di rischio prescelto per sé da ciascun investitore.
Si ritiene che la sola ipotesi in cui tali obblighi di valutazione
dall'adeguatezza e di correlata astensione dall'agire non
si applicano è quella in cui il servizio prestato si
limiti alla mera esecuzione o trasmissione degli ordini dell'investitore,
senza che sia fornita dall'intermediario alcuna indicazione
circa le operazioni da effettuare e sempre che vi sia stata
da parte
dell'intermediario una preventiva individuazione scritta
dei limiti quantitativi e delle tipologie di strumenti finanziari,
di operazioni e di ordini entro i quali le operazioni sono
considerate automaticamente adeguate (ed. execution only).
Ne caso in cui, invece, tale servizio consegue ad una consulenza
anche solo illustrativa o strumentale, l'intermediario svolge
un ruolo attivo nel processo formativo della volontà
dell'investitore e, pertanto, sussiste a carico dell'intermediario
l'obbligo di valutazione.
Nella presente fattispecie, questa attività di consulenza
deve ritenersi avvenuta avendo parte attrice affermato di
essersi indotta all'acquisto di titoli su indicazione dei
funzionari preposti, considerato, altresì, che non
aveva l'investitore alcuna possibilità di conoscere
altrimenti tali titoli, in quanto la relativa negoziazione
è avvenuta per un titolo "non quotato".
Ha dedotto dei capitoli di prova la Banca per tentare di
dimostrare di aver avvertito l'investitore della non adeguatezza
dell'investimento, ma ha indicato quale unico teste il funzionario
della banca che ha curato l'operazione.
Occorre a tale riguardo affrontare la questione sulla ammissibilità
del teste Doriano Guglielmi, funzionario della banca che aveva
curato l'investimento operato da parte attrice.
L'interesse a partecipare al giudizio previsto come causa
d'incapacità a testimoniare dall'art. 246 cod. proc.
civ. si identifica con l'interesse a proporre la domanda e
a contraddirvi previsto dall'art. 100 dello stesso codice,
sicché deve ritenersi colpito da detta incapacità
chiunque si presenti legittimato all'intervento in giudizio,
senza che possa distinguersi tra legittimazione attiva e legittimazione
passiva, tra legittimazione primaria e secondaria (intervento
adesivo dipendente), tra intervento volontario e intervento
su istanza di parte. In particolare, è incapace di
testimoniare chi potrebbe, o sarebbe potuto, essere chiamato
dall'attore, in linea alternativa o solidale, quale soggetto
passivo della stessa pretesa fatta valere contro il convenuto
originario, nonché il soggetto da cui il convenuto
originario potrebbe, o avrebbe potuto, pretendere di essere
garantito ( v. Cass. 03/04/1998 n. 3432) La presente fattispecie
rientra, pertanto, nella suddetta previsione in quanto ai
sensi dell' art 2049 cod. civ. il committente è responsabile
in solido con il dipendente nei confronti del danneggiato
(v. Cass. 11/05/1973 n. 1267) per cui l'investitore avrebbe
potuto convenire quale soggetto passivo della stessa pretesa
fatta valere contro il convenuto originario anche il funzionario
della banca che ha curato l'operazione finanziaria.
Ne consegue che quest'ultimo è incapace a testimoniare
secondo il disposto dell'art. 246 cod. proc. civ.
Sostiene la banca convenuta che, comunque, l'investitore
era stato informato della non adeguatezza dell'operazione
attraverso l'ordine di acquisto dei titoli del 27.7.2000.
L'ordine, prodotto in copia da entrambe le parti, in effetti
presenta una doppia sottoscrizione dell'investitore.
La seconda firma è stata apposta in calce ad una serie
di opzioni diverse tra loro, che seguono la dizione : "vi
informiamo che l'operazione oggetto del presente ordine: è
una operazione non adeguata, in relazione:", cui seguono
sei possibili ragioni di inadeguatezza e ancora " è
una operazione in cui abbiamo un interesse in conflitto. Nessuna
delle opzioni è stata, peraltro, barrata. L'unica croce
è stata apposta in relazione alla dicitura: "è
un'operazione non adeguata in relazione.:"
Tale generica indicazione non può essere considerata,
sicuramente, senza altre specifiche indicazioni, rispondere
alla prescrizione di informare adeguatamente l'investitore
degli specifici rischi suddetti secondo il disposto del comma
1, dell'art. 21 del d.lgs. 58 del 1998 e l'art. 28, comma
2, della deliberazione 1 luglio 1998 n. 11522, né si
può ritenere che con quel generico avvertimento l'investitore
sia stato messo al corrente "delle ragioni per cui non"
fosse opportuno procedere" all'esecuzione di tale operazione
secondo la prescrizione di cui all'art. 29, comma 3, della
deliberazione 1 luglio 1998 n.11522.
La suddetta conclusione viene altresì rafforzata dalla
circostanza che il funzionario addetto, che ha seguito l'operazione,
non ha neppure apposto la propria firma in calce alla suddetta
generica dichiarazione. La banca stessa predisponendo il modulo
firmato con l'indicazione dei vari motivi di inadeguatezza
dell'operazione ha riconosciuto che il dovere di informativa
doveva essere specifico e non riferito genericamente alla
dicitura di non adeguatezza della operazione e barrando la
relativa casella ha altresì riconosciuto che era consapevole
della non adeguatezza dell'investimento con riferimento all'investitore.
Essendo applicabile il co. 6 dell'art. 23 TUF a stregua del
quale: "Nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati
al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e
di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l'onere
della prova di avere agito con la diligenza richiesta."
La banca convenuta avrebbe dovuto adempiere a detto onere.
Non avendovi adempiuto, ne consegue che può concludersi
nel senso che la Banca convenuta non ha affatto ottemperato
agli specifici e circostanziati obblighi che la disciplina
di settore le imponeva nei riguardi del cliente investitore,
lasciando costui nell'ignoranza circa i reali rischi che l'operazione
comportava. ( v. Tribunale di Taranto Sentenza n. 2273 del
27 ottobre 2004) Si ritiene, pertanto, accertata la violazione
dei doveri di informarsi e di informare incombente sulla banca
negoziatrice e, in particolare, l'omessa informazione sulle
caratteristiche dei titoli venduti, sulla non destinazione
primaria ai risparmiatori e sul grappo cui appartengono le
emittenti, merita, pertanto, accoglimento la domanda di risarcimento
dei danni proposta da parte attrice.
Al riguardo, si osserva che, secondo un maggioritario indirizzo
giurisprudenziale, la violazione dell'obbligo del venditore
di informare costituisce inadempimento in quanto: "nei
contratti con prestazioni corrispettive i doveri di correttezza,
di buona fede e di diligenza, di cui agli art. 1338, 1374,
1575 e 1175 c.c, si estendono anche alle cosiddette obbligazioni
collaterali di protezione, di informazione, che presuppongono
e richiedono una capacità discretiva ed una disponibilità
cooperativa e, quindi, nel tenere conto delle controparti
all'acquisto. Tali doveri ed obblighi impongono che l'imprenditore,
anzitutto, si preoccupi dell'esatta specificazione delle caratteristiche
del bene compravenduto al momento dell'acquisto (Cass.16.11.2000
n. 14865).
In particolare la negoziazione dei prodotti finanziari deve
avvenire secondo regole di diligenza, correttezza e trasparenza
nell'interesse dei clienti, specificate nel TUF e nel Regolamento
attuativo della Consob, regole precise e dettagliate, in quanto
i doveri di informazione richiesti agli intermediari si pongono
come obbligazioni di carattere primario, il cui adempimento
deve essere valutato a stregua dell'art. 1176 c.c. co. 2°,
nel quale è indicato il criterio di determinazione
della specifica diligenza richiesta nell'adempimento da parte
di chi svolge attività professionale.
La violazione delle regole di informazione e di valutazione
dell'adeguatezza dell'operazione proposta ai clienti risparmiatori
costituisce inadempimento imputabile all'intermediario e trattandosi
di regole di comportamento esplicitamente codificate nell'interesse
del cliente l'inadempimento è da porsi in relazione
causale con l'evento dannoso. Ricade sull'intermediario l'onere
di provare che tra la violazione ed il danno non vi è
alcun nesso di causalità, dimostrando che il danno
è derivato da eventi estranei alla sua sfera di azione
e la convenuta nulla ha provato al riguardo.( v. Tribunale
di Roma sentenza dell'8.10.2004).
Bisogna, altresì, considerare che per i titoli negoziati,
le agenzie più qualificate non avevano fornito il "rating"
internazionale sicché, in assenza di tale dato, non
era possibile accertare il grado di solvibilità del
debitore e per questo i rischi dell'operazione dovevano ritenersi
altamente elevati. Molteplici erano dunque gli elementi a
conoscenza dell'istituto al momento della sottoscrizione dell'ordine,
elementi che, ove adeguatamente ponderati, avrebbero indotto
un soggetto particolarmente qualificato alla maggiore prudenza
possibile e a evidenziare la rischiosità dell'investimento
sconsigliando ai clienti un tale tipo di operazione.
Nulla di tutto ciò risulta sia avvenuto nel caso in
esame, certamente quella generica indicazione con riferimento
ad un non precisato avvertimento di non adeguatezza dell'operazione
non ha assolto all'onere in questione.
Ancora osserva la banca che vi era nel caso in esame una
mancanza di obbligo di trasmettere al cliente quel prospetto
informativo che dette circostanze evidenzia, certamente vista
la disciplina legislativa regolamentare e contrattuale fondata
sulle informazioni circa i rischi che l'operazione di investimento
comporta, non trattasi di circostanza che esimeva la banca
da
tale onere.
Neppure può valere come esimente per la Banca la circostanza
che parte attrice in quanto operante già in precedenza
nel mercato borsistico attraverso l'acquisizione di titoli,
erano consapevole del rischio che correva.
Sul punto occorre rilevare che l'acquisto dei titoli presenti
nel suo portafoglio, obbligazioni, unitamente a quelli dello
Stato, non trasforma automaticamente l'investitore in un soggetto
esperto in grado di valutare i rischi dell'operazione.
Resta da esaminare la prospettazione di parte attrice secondo
cui nelle fattispecie sussisterebbe la nullità della
operazione finanziaria.
La nullità del contratto per violazione di norme imperative
potrebbe conseguire all'applicazione dell'art. 1418, comma
1, c.c.
La disciplina regolamentare e legislativa richiamata, di
per sè fonte di responsabilità sotto il profilo
sanzionatorio amministrativo, secondo il disposto dell'art.
190 del d.lgs. 58 del 1998, comma 1), è stata certamente
emanata a protezione di un interesse pubblico.
Parte della giurisprudenza condivisibile considera la sanzione
amministrativa indice significativo della rilevanza in termini
di interesse pubblico della norma alla cui protezione è
posta ( v. Cass. 18/07/2003 n. 11247 e Cass. 3 novembre 2000
n. 14381; in senso contrario, Cass. 27 giugno 2002 n. 9380,
Cass. 7 marzo 2001 n. 3272 e Cass. 25 febbraio 2000 n. 2135).
Gli interessi di carattere eminentemente pubblicistico alla
cui tutela la disciplina richiamata è protesa sono
evidenti.
In tale senso si esprime la Corte di legittimità,
"non par dubbio che la normativa introdotta dalla legge
2 gennaio 1991 n. 1... consideri interessi di carattere generale,
che vanno dalla tutela dei risparmiatori uti singoli , a quella
del risparmio pubblico, come elemento di valore' della economia
nazionale, a quella della stabilità del sistema finanziario,
come considerata dalla direttiva 93/22 CEE del 10 maggio 1993,
alla esigenza di preservare il mercato da inquinamenti derivanti
dall'impiego di risorse provenienti da circuiti illegali,
a quella di rendere efficiente il mercato dei valori mobiliari,
con vantaggi per le imprese e per la economia pubblica, interessi
tutti chiaramente prevalenti su quelli del privato, che pure
di riflesso ne rimane tutelato" (Cass. 7 marzo 2001 n.
3272).
La violazione della disciplina del settore, che è
stata posta a tutela di interessi generali, quindi pubblici,
potrebbe comportare la nullità di quegli atti negoziali
che siano conclusi in contrasto con essa.
Peraltro, nel caso in esame non pare che si possa parlare
di vizio genetico, relativo alla conclusione del contratto,
bensì di vizio funzionale, che inerisce il contratto
oramai perfezionatosi, e cioè di difetto che riguarda
le prestazioni che dovevano esser rese sulla base del negozio
concluso. ( v. Tribunale di Taranto Sentenza n. 2273 del 27
ottobre 2004).
Resta da esaminare ancora la denunciata violazione dell'art
21 del TUIF il quale impone che una organizzazione che "riduca
al minimo il rischio di conflitti di interessi e che "in
situazione di conflitto", impone di "agire in modo
da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento".
Si deve osservare relativamente alla eccezione svolta da parte
attrice relativamente alla circostanza che la banca avesse
agito in conflitto di interessi che è emerso come la
banca non avesse i titoli nel proprio portafoglio ma li abbia
acquistati sul mercato contestualmente al ricevimento dell'ordine
da parte del cliente.
La circostanza provata da documentazione prodotta dalla banca
e non contestata esclude la sussistenza del conflitto di interessi
nella fattispecie in esame.
Va pertanto escluso che la banca abbia violato il disposto
di cui agli artt. 21 I co. lett. e) d. lgs. 58/98 e 27 reg.
Consob per non avere segnalato di avere un interesse in conflitto
con quello del cliente ( v. Tribunale di Mantova sentenza
del 18-3-2004)
Deve essere, infine, respinta la domanda di annullamento
dei contratti per errore o dolo, non essendovi alcuna prova
che la convenuta abbia artificiosamente indotto gli attori
ad acquistare i titoli obbligazionari in questione per arrecare
ad essi un danno, tale prova non potendosi certamente desumere
dalla obiettiva situazione di forte indebitamento del Gruppo
Cirio e dalla posizione di creditrice dello stesso rivestita
dalla convenuta. Si conferma, pertanto, che nella fattispecie
in esame possa ritenersi verificato un inadempimento, da parte
della Banca convenuta, di un contratto già perfezionatosi,
con ogni consequenziale pronuncia.
Relativamente al danno si osserva che è pacifico essersi
verificato il rischio che avrebbe dovuto costituire oggetto
di apposita ed espressa informativa, ossia il default in relazione
alle obbligazioni emesse, ossia essersi determinata l'assoluta
incertezza in ordine al recupero del capitale investito, da
parte del risparmiatore.
La convenuta non ha neppure contestato la sussistenza del
danno, che risulta evidente in quanto le obbligazioni non
sono più negoziabili sul mercato e non appaiano, allo
stato, suscettibili di rimborso.
Ne consegue il diritto dell'investitore a recuperare il capitale
investito nei confronti della banca che, col suo comportamento
inadempiente, ha messo l'investitore inconsapevole nella situazione
di accollarsi i rischi dell'investimento, per cui l'azione
di recupero del capitale dovrà essere posta in capo
all'inadempiente.
Deve essere, pertanto, accolta la domanda di parte attrice
con conseguente condanna della banca convenuta al rimborso
della somma di € 115.612,010. Richiede parte attrice
anche gli interessi e la rivalutazione monetaria, peraltro,
non essendo stato dimostrato che investimenti finanziari alternativi
avrebbero reso interessi superiori al tasso legale, sì
ritiene di attribuirli in tale misura, dalla data dell'investimento,
27.7.2000, al saldo, considerato il mancato godimento della
somma per tale periodo.
Dalla soccombenza deriva che parte convenuto dovrà
rispondere delle spese processuali sostenute dall'attore.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni
contraria istanza:
in accoglimento della domanda di L.F.,
- dichiara la risoluzione del contratto per inadempimento
della convenuta BIPIELLE società di gestione credito
s.p.a, nella qualità di procuratrice speciale di Banca
Popolare di Lodi s.c. a r.l. e la condanna a corrispondere
a controparte la somma di € 115.612,010, oltre interessi
legali dal 27.7.2000 al saldo;
- respinge ogni altra domanda,
- condanna la convenuta al pagamento delle spese processuali,
che liquida in favore degli attori complessivamente in €
5.300,00, di cui € 1.500,00 per competenze ed €
3.500,00 per onorari, oltre IVA, CPA e 12,5% rimborso spese
generali.
Genova, lì 7.03.2005
Il Presidente
Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2005
N.1230
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