TRIBUNALE DI BARI
SEZIONE I CIVILE
SENTENZA N. 90 DEL 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice del Tribunale di Bari — Sez. I Civile in
composizione monocratica - Dott. Saverio U. de Simone ha emesso
la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al N. 3317/95 R. G. A. C. vertente
TRA
INTESA GESTIONE CREDITI S. p. A. (già Cassa di Risparmio
di Puglia S. p. A. — CARISAL -) nonché BANCA
INTESA BCI S.p.A., entrambe rappresentate e difese dall’Avv.
Prof. Giuseppe TUCCI con mandato a margine della comparsa
di costituzione e risposta
- OPPOSTA ATTRICE -
CONTRO
P. Fernando e A. Carmela, rappresentati e difesi come da
mandato a margine della comparsa di costituzione dall’avv.
Carlo RAINONE; successivamente solo P. Fernando, rappresentato
e difeso come da mandato a margine del ricorso in riassunzione
dagli Avv.ti Giorgia RAINONE e Antonio TANZA
- OPPONENTI CONVENUTI -
OGGETTO: Opposizione a decreto ingiuntivo n. 4107/95.
CONCLUSIONI: all’udienza di discussione del 20/10/2004
la causa passava in decisione ex art. 190 c. p. c. sulle conclusioni
rassegnate contestualmente dai procuratori delle parti, da
intendersi qui pedissequamente trascritte.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione in opposizione notificato il 13/12/95
P. Fernando ed A. Carmela, il primo quale debitore principale
e la seconda fideiubente, convenivano in giudizio dinanzi
al Tribunale di Bari la CARIPUGLIA 5. p. A., in persona del
suo legale rappresentante pro—tempore, per ivi sentir
revocare il decreto ingiuntivo n. 4107/95 emesso il 1 9/10/95
e notificato il 4/11/95 con il quale venivano condannati in
solido a pagare in favore della banca stessa la somma di £.
64.613.060 oltre gli interessi al tasso del 12,53% annuo dall’11/4/95,
quale saldo debitore del dc n. XXXXXXXXXXXXXX intrattenuto
dal marzo 1984 fino a quella data.
Gli opponenti eccepivano in primo luogo l’infondatezza
della pretesa creditoria, relativa ad un c/c diverso da quello
intrattenuto con il correntista: la documentazione di saldaconto,
infatti, si riferiva non al conto suddetto ma a quello n.
018010084104.
In secondo luogo lamentavano che mancava la pattuizione scritta
del tasso di interesse ultralegale sicché la clausola
sia del contratto di c/c, che faceva genericamente riferimento
agli usi praticati su piazza, sia di quello di apertura di
credito che era seguito all’instaurazione del rapporto,
che appunto tale clausola richiamava, doveva considerarsi
nulla; la banca, quindi, non solo aveva sempre applicato in
costanza di rapporto tassi superiori a quelli di legge, così
violando l’art. 1284 comma III, c. c., ma aveva altresì
proceduto a capitalizzare trimestralmente gli interessi passivi,
secondo una pratica ormai ripetutamente dichiarata illegittima.
Concludevano chiedendo, oltre alla revoca del D. I. ed alla
declaratoria di inadempimento della banca agli obblighi assunti
con il contratto, la nullità dei contratti ovvero il
loro annullamento e, in accoglimento della domanda riconvenzionale,
la condanna dell’opposta alla ripetizione del saldo
attivo per essi opponenti, ivi comprese le spese indebitamente
percepite, ed al risarcimento del danno.
Si costituiva ritualmente in giudizio la CARIPUGLIA S.p.A.,
in persona del suo legale rappresentante pro—tempore,
impugnando e contestando il contenuto dell’atto di opposizione,
del quale chiedeva l’integrale rigetto. Quanto allo
scoperto di c/c e quindi all’ammontare del credito preteso,
la banca sosteneva per un verso che il richiamo agli usi di
piazza era perfettamente valido ed efficace, per l’altro
che ogni contestazione del suo ammontare era ormai preclusa,
essendosi verificata la decadenza di cui all’art. 1832
C. C. a seguito della mancata impugnazione degli estratti
conto trimestrali.
Contestava infine la doglianza relativa alla capitalizzazione
degli interessi, che invece rispondeva ad una prassi del tutto
legittima.
Poiché nessun inadempimento contrattuale le era imputabile,
la domanda, anche riconvenzionale, andava integralmente rigettata.
Disposta l’acquisizione di informative dalla Camera
di Commercio di Lecce in ordine alle raccolte provinciali
degli usi per l’anno 1988 e successivi ed espletata
una C.T. U. per ricalcolare l’ammontare dello scoperto
di c/c, all’udienza del 19/1/2000 la causa veniva interrotta
per la fusione per incorporazione della CARIPUGLIA in BANCA
INTESA S.p.A..
Con ricorso notificato il 26/3/2001, il solo P. Fernando
riassumeva il giudizio, in cui si costituivano sia BANCA INTESA
S.p.A., la quale chiedeva di essere estromessa per le ragioni
ivi indicate, sia INTESA GESTIONE CREDITI S.p.A., società
cessionaria di tutti i beni ed i rapporti già appartenenti
alla CARIPUGLIA S.p.A..
All’udienza del 21/5/2003 la causa veniva introitata
per la prima volta a sentenza ma era rimessa sul ruolo per
aggiornare la C. T. U. alla luce dell’orientamento giurisprudenziale
affermatosi nella materia delle c. d. “clausole uso
piazza” e della capitalizzazione trimestrale degli interessi.
Depositata la seconda consulenza, la causa veniva assegnata
definitivamente a sentenza all’udienza indicata in epigrafe
e sulle conclusioni contestualmente rassegnate dai procuratori
delle parti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’opposizione proposta è fondata e ad essa consegue
la revoca del D. I. opposto e l’accoglimento in parte
qua della domanda riconvenzionale.
Esclusa la rilevanza dell’eccezione di infondatezza
del credito azionato per essere stato indicato nel ricorso
per D. I. un numero di c/c diverso da quello effettivo, atteso
che per l’espletamento della C.T. U. risulta utilizzata
la documentazione effettivamente regolante il rapporto in
oggetto, e passando al merito della vicenda, é risaputo
che a seguito dell’opposizione viene ad instaurarsi
fra le parti un ordinario giudizio di cognizione caratterizzato
da un’inversione della rispettiva posizione processuale,
mentre ne resta invariata quella sostanziale: la veste di
attore compete al creditore che ha chiesto l’ingiunzione
e quella di convenuto al debitore opponente, con le naturali
conseguenze in tema di onere probatorio dei fatti costitutivi
ed estintivi del credito.
La banca opposta ha provato per tabulas di aver stipulato
con il P. il 10/3/88 un contratto di conto corrente di corrispondenza
e di aver puntualmente rimesso al correntista gli estratti
conto trimestrali (la circostanza, infatti, non é stata
contestata dall’opponente); è stato pure depositato
il contratto con cui il 28/5/92 A. Carmela - che non ha riassunto
il giudizio dopo la sua interruzione-, si è costituita
fideiussore per il debitore principale.
Ebbene, tale documentazione non appare però sufficiente
a fondare la pretesa creditoria nella misura richiesta con
l’opposto decreto.
Invero, dalla lettura del contratto di c/c non si evince
quale fosse il tasso debitore concordato, né all’uopo
appare sufficiente il richiamo operato dalla banca “...alle
condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla
piazza...” (v. clausola n. 7 comma III del contratto):
tale richiamo, infatti, non è idoneo a provare la pattuizione
di un tasso debitore ultralegale che, come è risaputo,
deve risultare espressamente per iscritto ex art. 1284 comma
III, c.c.
Tale rilievo basterebbe da solo a far dichiarare la nullità
del relativo contratto in forza del combinato disposto degli
artt. 1325 e 1418 C. C., essendo indeterminabile un suo elemento
essenziale (l’oggetto) ex art. 1346 C. C., se non soccorresse
la disposizione dell’art. 1419 comma 2° C. C., recepita
dalla costante giurisprudenza della S. C. in tema di sostituzione
delle clausole nulle con quelle legali: “La convenzione
relativa alla pattuizione degli interessi in misura superiore
a quella legale, in difetto della forma scritta richiesta
ad substantiam, è colpita da nullità solo per
la parte relativa alla differenza tra il tasso legale e quello
convenuto, con riferimento alla quale l’ordinamento
interviene non per espungerla dal regolamento pattizio senza
riconnettervi alcun effetto, bensì per sostituirla
con la disciplina legale” (cfr. Cassaz. Civ., Sez. 11,
14/1/97 n. 280).
Né può sostenersi che il tasso debitore sia
stato accettato dal correntista e non potrebbe più
essere contestato per omessa impugnazione degli estratti conto
nei termini di legge: tale situazione di fatto non impedisce
certo al cliente di contestare in radice la validità
e l’efficacia del rapporto giuridico sostanziale con
la BANCA che è fonte di quelle annotazioni (cfr. Cassaz.
Civ., Sez. I, 11/3/96 n. 1978 e Cassaz. Civ., Sez. Il, 14/1/97
n. 280, già innanzi citata).
In ordine al minimum richiesto per l’identificazione
dell’oggetto del contratto, l’indirizzo giurisprudenziale
consolidatosi prima dell’entrata in vigore della legge
sulla trasparenza bancaria (cfr., in proposito, Cassaz. Civ.,
3/2/94 n. 1110; Cassaz. Civ., 7/3/92 n. 2745 ed altre) riconosceva
efficacia alla clausola di rinvio alle “condizioni usualmente
praticate dalle aziende di credito sulla piazza” sul
rilievo che tali condizioni vengono determinate su scala nazionale,
sicché il rinvio al tasso usuale vale comunque ad ancorarlo
a criteri oggettivi, di agevole riscontro e non influenzabili
ad libitum dal singolo istituto di credito.
Tale orientamento, che legittimava una prassi bancaria che
rendeva di fatto incontrollabile da parte del cliente il tasso
debitore di volta in volta applicato, è di recente
mutato anche a seguito delle sollecitazioni dei Giudici di
merito (cfr. Trib. Napoli, 25/3/94, Trib. Pavia, 1/10/93,
Trib. Milano, 24/2/92), i quali avevano ripetutamente dichiarato
la radicale nullità di tale clausola sia per violazione
dell’obbligo imposto dall’art. 1284 C. C. di pattuire
per iscritto gli interessi in misura ultralegale sia per la
sua assoluta genericità, che non consentiva di determinare
l’oggetto della prestazione in violazione dell’art.
1346 C. C.
Tale portato giurisprudenziale, tradottosi sul piano normativo
nella espressa previsione della nullità di siffatte
clausole, introdotta dall’art. 4 L. n. 154/92 e dall’art.
117 co 6° D. Leg.vo n. 385/93, ha indotto recentemente
la S. C. a mutare orientamento ed a statuire che il generico
riferimento alle “condizioni di piazza” non soddisfa
di per sé il requisito di oggettiva determinabilità
del tasso di interesse, il quale, sia pure per relationem,
deve essere fissato fin dal momento della stipulazione del
contratto in base ad elementi certi ed oggettivi che escludano
ogni successiva valutazione discrezionale della banca (cfr.
Cassaz. Civ., 13/3/96 n. 2103; Cassaz. Civ. 29/11/96 n. 10657;
Cassaz. Civ., 10/11/97 n. 11042, Cassaz. Civ., 8/5/98 n. 4696
e, più di recente, Cassaz. Civ., Sez. I, 28/3/2002
n. 4490; conforme anche Trib. Trani, 11/7/98 n. 1023 ed altre
successive).
Nel caso di specie la BANCA non ha neppure esibito le delibere
A. B. I. ovvero gli accordi di cartello cui far riferimento,
omettendo così di provare la conformità del
tasso debitore applicato alle condizioni di piazza, sicché
deve concludersi che il tasso applicato sia espressione di
proprie scelte discrezionali, incontrollabili e non preventivamente
concordate nelle forme di legge, in insanabile contrasto con
le norme codicistiche più volte innanzi richiamate.
Gli interessi passivi, addebitati sulla scorta di una clausola
contrattuale nulla, devono quindi ritenersi conteggiati illegittimamente
e non possono trasformarsi in crediti incontestabili ex art.
1832 C. C. (come già innanzi rilevato) per il semplice
fatto di non essere stati impugnati per tempo: l’inoppugnabilità,
infatti, attiene unicamente al profilo contabile degli addebiti
ma non impedisce di contestare la validità od efficacia
delle singole annotazioni.
Ciò perché, in difetto di una pattuizione del
tasso nelle forme legali, il negozio è radicalmente
nullo e quindi il rapporto obbligatorio sottostante dal quale
le singole partite derivano é consequenzialmente inefficace
ed improduttivo di effetti giuridici: l’approvazione
degli estratti conto, anche ripetuta, non può sanare
una situazione radicalmente viziata e quindi supplire alla
mancanza dello scritto (cfr. Cassaz. Sez. I, 18/11/94 n. 9792)
L’esposizione debitoria del P. é stata calcolata
dalla banca anche in violazione de norma che sancisce il divieto
degli interessi anatocistici.
E’ ormai nota la giurisprudenza della S. C. affermatasi
nel corso degli ultimi anni - che questo Giudice condivide
in toto e che qui deve intendersi pedissequamente richiamata
— che ha definitivamente sancito l’illegittimità
di tale pratica perché costituente espressione non
di un uso normativo ex art. 1283 C. C. — fondato sulla
costanza della pratica (c. d. usus) e sulla convinzione della
sua cogenza (c. d. opinio iuris ac necessitatis) - bensì
negoziale, ed ha quindi dichiarato la nullità della
previsione, contenuta nei contratti di c/c bancario, avente
ad oggetto la capitalizzazione trimestrale degli interessi
dovuti dal cliente (cfr. Cassaz. Civ., Sez. III, 30/3/99 n.
3096; Sez. I, 16/3/99 n. 2374, Cassaz. Civ., Sez. I, 28/3/2002
n. 4490 già innanzi richiamata e, da ultimo, Cassaz.
Civ. SS. UU. 4/11/2004 n. 21095).
Il C.T.U., avendo rilevato il costante superamento del tasso
debitore di legge, nell’effettuare il calcolo della
posizione debitoria del correntista scaturente dal contratto
di c/c e dalla successiva apertura di credito, ha correttamente
applicato il tasso passivo pari a quello legale vigente pro-tempore,
in ossequio alla giurisprudenza della S. C. in tema di sostituzione
delle clausole nulle con quelle legali già innanzi
richiamata.
Non può invece essere applicato, quale tasso sostitutivo
rispetto al saggio illegittimo c. d. “uso piazza”,
quello previsto dall’art. 117 co 7° del D. Leg.vo
n. 385/93: trattasi, infatti, di norma priva di effetti retroattivi,
come stabilisce espressamente l’art. 161 co 6° s.
1., secondo cui “i contratti già conclusi ed
i procedimenti esecutivi in corso alla data di entrata in
vigore del presente decreto legislativo restano regolati dalle
norme anteriori” (cfr., a conforto della tesi qui seguita
dell’irretroattività del c.d. tasso sostitutivo,
Cassaz. Civ., Sez. III, 18/4/2001 n. 5675).
Tenendo conto del capitale, del tempo e del tasso legale
vigente, escludendo dal calcolo sia la capitalizzazione trimestrale
degli interessi passivi che le commissioni di massimo scoperto
e le spese (non previste in contratto), effettuando la capitalizzazione
annuale tanto degli interessi attivi che passivi ex artt.
820 e 1284 cc 2° C. C. (trattandosi, questa si, di pratica
conforme ad un uso normativo), il C. T.U. - il cui operato,
immune da vizi logici e di metodo, questo Giudice condivide
appieno - é pervenuto a determinare correttamente l’ammontare
del rapporto di dare ed avere tra le parti, ribaltando sostanzialmente
la pretesa della banca assertivamente creditrice, che risulta
invece debitrice verso l’opponente. La debitoria della
banca nei confronti del P. all’11/4/95 (data di chiusura
del rapporto) ammonta ad € 350,61 (pari a vecchie £.
678.875).
Il decreto ingiuntivo va pertanto revocato, mentre, in accoglimento
della domanda riconvenzionale di accertamento negativo del
credito altrui e di ripetizione di indebito, la INTESA GESTIONE
CREDITI va condannata al pagamento in favore del P. della
somma suddetta, oltre gli interessi legali correnti pro—tempore
dalla data di proposizione della domanda fino all’integrale
soddisfo.
Va invece rigettata la generica domanda di risarcimento danni,
che l’opponente non ha debitamente coltivato né
in punto di an che di quantum.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno
poste a carico della banca, ivi comprese quelle della C. T.
U., resasi indispensabile proprio per acclarare l’infondatezza
della pretesa dell’opposta.
La condanna alla ripetizione d’indebito va pronunciata
solo nei confronti di INTESA GESTIONE CREDITI S.p.A., subentrata
alla CARIPUGLIA nella titolarità pro soluto di tutti
i suoi crediti a sofferenza, mentre BANCA INTESA BCI S.p.A.,
nella quale si è fusa per incorporazione la CARIPUGLIA,
va estromessa dal presente giudizio.
Irrilevante è, infine, la circostanza che il giudizio
interrotto sia stato riassunto a cura del solo P., e non anche
di A. Carmela, in danno della quale sarebbero divenuti definitivi
gli effetti del D. I.; in forza del vincolo di sussidiarietà
ed accessorietà che lega l’obbligazione di garanzia
a quella principale, la revoca del decreto ingiuntivo consequenziale
al riconoscimento di un credito in favore del correntista
non riverbera alcun effetto di giudicato sfavorevole nei confronti
della fideiubente, ma estingue consequenzialmente il suo preteso
debito verso la banca.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo
equitativamente, mancando il deposito di una apposita nota
specifica.
La sentenza è provvisoriamente esecutiva per legge
ex art. 282 c. p. c.
P.Q.M.
il Giudice del Tribunale di Bari — Sez. I Civile in
composizione monocratica —, definitivamente pronunciando,
nel contraddittorio fra i procuratori delle parti, sulla opposizione
al decreto ingiuntivo 4107/95 proposta con atto di citazione
notificato il 13/12/95 da P. Fernando ed A. Carmela nei confronti
della CARIPUGLIA S.p.A. e proseguita dal solo P. Fernando
nei confronti della BANCA INTESA BCI S.p.A. nonché
di INTESA GESTIONE CREDITI S.p.A., così provvede:
1.estromette dal giudizio BANCA INTESA BCI S.p.A.;
2.accoglie l’opposizione e per l’effetto revoca
il D. I. opposto;
3.accoglie la domanda riconvenzionale per quanto di ragione
e condanna INTESA GESTIONE CREDITI a pagare in favore di P.
Fernando la somma di € 350,61 (pari a vecchie £.
678.875), oltre gli interessi legali correnti pro-tempore
dalla data di proposizione della domanda fino all’integrale
soddisfo;
4.condanna INTESA GESTIONE CREDITI S.p.A. al pagamento delle
spese e competenze del giudizio, che liquida equitativamente
in complessivi € 3.300,00, di cui € 300,00 per esborsi
- oltre le spese di C.T.U. ove effettivamente corrisposte
dall’opponente -, € 1.500,00 per diritti ed €
1.500,00 per onorari, oltre IVA e CAP come per legge;
Dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva
per legge.
Bari, lì 16/1/2005
IL GIUDICE
Saverio U. DE SIMONE
La redazione di megghy.com |