SENTENZA N. 274
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Guido NEPPI MODONA Giudice
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art.
46, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.
546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione
della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della
legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso con ordinanza
del 14 ottobre 2003 dalla Commissione tributaria provinciale
di Napoli sul ricorso proposto da Costruzioni Cerimele S.p.a.
in liquidazione contro l’Ufficio delle Entrate di
Napoli 1, iscritta al n. 1021 del registro ordinanze 2004
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
2, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Udito nella camera di consiglio del 4 maggio 2005 il Giudice
relatore Annibale Marini.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 9 dicembre 1997 la Commissione tributaria
provinciale di Napoli ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 46, comma 3, del decreto legislativo
31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario
in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art.
30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), "nella parte
in cui preclude ai giudici, nella declaratoria di estinzione
della controversia per cessazione della materia del contendere,
di condannare l'Amministrazione virtualmente soccombente
al pagamento delle spese". Con successiva ordinanza
del 14 ottobre 2003 il medesimo giudice ha rinnovato l'ordine
di trasmissione degli atti a questa Corte, rimasto precedentemente
ineseguito.
1.1.- Il giudizio a quo ha ad oggetto l'impugnativa di
una cartella di pagamento emessa nell'anno 1996 dal I Ufficio
IVA di Napoli nei confronti di una societa' in liquidazione,
per l'importo di L. 1.401.962.497.
In punto di fatto, il giudice adito ha accertato che, successivamente
all'instaurazione del giudizio, l'Ufficio impositore aveva
disposto lo sgravio, in sede di autotutela, dell'intera
somma iscritta a ruolo. Cessata di conseguenza la materia
del contendere, rileva il rimettente che andrebbe dichiarata
l'estinzione del giudizio, ai sensi dell'art. 46, comma
1, del decreto legislativo n. 546 del 1992, con conseguente
applicabilita' della disposizione di cui al comma 3 dello
stesso articolo, secondo cui "le spese del giudizio
estinto a norma del comma 1 restano a carico della parte
che le ha anticipate, salvo diverse disposizioni di legge".
Si tratta - continua il rimettente - di una disposizione
che preclude l'applicabilita', nel processo tributario,
della disciplina propria del processo civile, secondo la
quale il regolamento delle spese, nel caso di cessazione
della materia del contendere, consegue invece alla valutazione
della soccombenza virtuale rimessa al giudice della causa.
1.2.- Ad avviso del medesimo rimettente, la norma in questione
si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali sotto
un duplice profilo.
In primo luogo - tenuto conto che, per la particolare natura
del processo tributario, solo il contribuente puo' assumere
la veste di ricorrente e d'altro canto la cessazione della
materia del contendere consegue, normalmente, ad atti compiuti
dall'amministrazione convenuta in via di autotutela - sarebbe
leso il principio di uguaglianza di trattamento tra le parti
del processo, esonerandosi irragionevolmente l'amministrazione
dall'onere del pagamento delle spese anticipate dalla controparte.
In secondo luogo, considerata l'esistenza dell'obbligo di
difesa tecnica per le cause di valore superiore a L. 5.000.000,
la norma di cui si tratta costituirebbe un indubbio ostacolo
all'esercizio, da parte del contribuente, del diritto alla
tutela giurisdizionale di cui all'art. 24 della Costituzione.
Considerato in diritto
1.- La Commissione tributaria provinciale di Napoli dubita,
in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della
legittimita' costituzionale dell'art. 46, comma 3, del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo
tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), secondo
cui, in caso di estinzione del giudizio per definizione
delle pendenze tributarie o per qualsiasi altra ipotesi
di cessazione della materia del contendere, le spese restano
a carico della parte che le ha anticipate, salvo diverse
disposizioni di legge. La norma impugnata violerebbe il
principio di eguaglianza, favorendo ingiustamente l'amministrazione
finanziaria nei confronti della controparte, e si porrebbe
altresi' in contrasto con il diritto di difesa, tutelato
dall'art. 24 della Costituzione, operando in funzione obiettivamente
dissuasiva rispetto all'esercizio, da parte del contribuente,
del diritto alla tutela giurisdizionale.
2.- L'art. 46, comma 3, del decreto legislativo n. 546
del 1992 e' stato piu' volte oggetto di scrutinio di legittimita'
costituzionale, in riferimento a diversi parametri ed anche
all'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo dell'asserita
violazione del principio di eguaglianza rispetto al tertium
comparationis rappresentato dalla disciplina del processo
civile. Le relative questioni sono state dichiarate non
fondate (sentenza n. 53 del 1998), manifestamente infondate
(ordinanze n. 465 del 2000, n. 265 e n. 77 del 1999, n.
368 del 1998) o manifestamente inammissibili (ordinanza
n. 68 del 2005). La questione di legittimita' costituzionale
della stessa norma deve essere ora esaminata sotto il diverso
aspetto, anch'esso evocato dal rimettente, della irragionevolezza
della norma censurata. Il rimettente, infatti, nel rilevare
che la norma avvantaggia in maniera ingiustificata la parte
che determina con un proprio comportamento volontario la
cessazione della materia del contendere (il che, egli afferma,
"puo' avvenire - e avviene con maggior frequenza -
per effetto di ravvedimento dell'Amministrazione finanziaria
nel corso della controversia attraverso l'istituto dell'autotutela")
denuncia solo apparentemente una violazione del principio
di eguaglianza tra le parti del processo - proprio in quanto,
come egli stesso implicitamente riconosce, della norma puo'
giovarsi talvolta anche il contribuente - ma in realta'
pone in dubbio la ragionevolezza stessa del regolamento
delle spese dettato, in riferimento a tale ipotesi astratta,
dalla norma impugnata.
2.1.- La questione, prospettata in tali termini, e' fondata.
Occorre muovere dalla premessa che il processo tributario
e' in linea generale ispirato - non diversamente da quello
civile o amministrativo - al principio di responsabilita'
per le spese del giudizio, come dimostrano l'art. 15 del
decreto legislativo n. 546 del 1992, secondo cui la parte
soccombente e' condannata a rimborsare le spese, salvo il
potere di compensazione della commissione tributaria (a
norma dell'art. 92, secondo comma, del codice di procedura
civile), e l'art. 44 del medesimo decreto legislativo, secondo
cui, in caso di rinuncia al ricorso, il ricorrente che rinuncia
deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso
accordo tra loro. La compensazione ope legis delle spese
nel caso di cessazione della materia del contendere, rendendo
inoperante quel principio, si traduce, dunque, in un ingiustificato
privilegio per la parte che pone in essere un comportamento
(il ritiro dell'atto, nel caso dell'amministrazione, o l'acquiescenza
alla pretesa tributaria, nel caso del contribuente) di regola
determinato dal riconoscimento della fondatezza delle altrui
ragioni, e, corrispondentemente, in un del pari ingiustificato
pregiudizio per la controparte, specie quella privata, obbligata
ad avvalersi, nella nuova disciplina del processo tributario,
dell'assistenza tecnica di un difensore e, quindi, costretta
a ricorrere alla mediazione (onerosa) di un professionista
abilitato alla difesa in giudizio. L'intrinseca irragionevolezza
della norma, in quanto riferita all'ipotesi di ritiro dell'atto
impugnato, che ricorre nel giudizio a quo, emerge del resto
con particolare evidenza anche nel confronto con la disciplina
prevista per l'ipotesi di annullamento o riforma dell'atto,
in via di autotutela, nel corso del processo amministrativo,
avente analoga natura impugnatoria.
L'art. 23, settimo comma, della legge 6 dicembre 1971,
n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali),
dispone infatti, in tal caso, che "il tribunale amministrativo
regionale da' atto della cessata materia del contendere
e provvede sulle spese", anche, ovviamente, dichiarandone
la compensazione qualora ne ricorrano i presupposti.
3.- L'art. 46, comma 3, del decreto legislativo n. 546
del 1992 risulta in definitiva lesivo, sotto l'aspetto considerato,
del principio di ragionevolezza, riconducibile all'art.
3 della Costituzione, e ne va di conseguenza dichiarata
l'illegittimita' costituzionale nella parte in cui si riferisce
alle ipotesi - cui esclusivamente ha riguardo l'ordinanza
di rimessione - di cessazione della materia del contendere
diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie
previsti dalla legge, dovendo, pertanto, in tali ipotesi
la commissione tributaria pronunciarsi sulle spese ai sensi
dell'art. 15, comma 1, del decreto legislativo n. 546 del
1992. Resta assorbita ogni altra e diversa censura avanzata
dal rimettente.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 46,
comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della
delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30
dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui si riferisce
alle ipotesi di cessazione della materia del contendere
diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie
previsti dalla legge.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2005.
Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2005.
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