SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
SENTENZA 22 GIUGNO 2005 N. 13371
(Presidente V. Calfapietra, Relatore C. Cioffi)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 12 giugno 1990 Maria G., Antonio
e Paolo T., proprietari di uno dei due piani dell'edificio
nel dettaglio indicato, proposero innanzi al Pretore di Rieti
azione di danno temuto nei confronti di Agostino e Vincenzo
S., proprietari dell'altro piano, denunziando il pericolo
costituito dal progressivo crollo del tetto dell'edificio.
Ottenuto dal Pretore il provvedimento cautelare richiesto,
Maria G., Antonio e Paolo T., che avevano provveduto al restauro
del fabbricato, convennero Agostino e Vincenzo S. in riassunzione
innanzi al Tribunale di Rieti, del quale il Pretore aveva
affermato la competenza, e chiesero che fossero condannati
al pagamento di quanto da essi dovuto, "secondo la ripartizione
millesima-le da determinarsi in corso di causa", nonché
al risarcimento dei danni da essi subiti per la ritardata
esecuzione del detto restauro.
Agostino e Vincenzo S. si costituirono e chiesero il rigetto
della domanda.
Contestata la fondatezza dell'azione di danno temuto proposta
da Maria G., Antonio e Paolo T., i convenuti sostennero in
particolare che essi erano tenuti soltanto al pagamento delle
spese relative alla effettuazione dei lavori urgenti ed indifferibili
di manutenzione delle parti comuni dell'edificio, nella misura
e secondo la ripartizione millesimale da essi proposta; chiesero
inoltre, in riconvenzione, la demolizione di quanto gli attori
avevano realizzato, eseguendo le opere previste dall'ordinanza
pretorile, che era espressione di una inesistente "servitù
di grondaia" gravante su un contiguo fondo.
Con sentenza del 27 giugno 1995 il Tribunale di Rieti, individuato
con una consulenza tecnica l'ammontare dei lavori urgenti
ed indifferibili necessari per la conservazione dell'immobile
condominiale, nonché le quote millesimali delle parti
in lite, condannò Agostino e Vincenzo S. a pagare a
Maria G., Antonio e Paolo T. la somma di 3.602.400 lire (a
fronte dei 3.030.802 di lire, di cui i convenuti avevano riconosciuto
di essere debitori); e rigettò sia l'azione risarcitoria
esperita da Maria G., Antonio e Paolo T., sia la riconvenzionale
di Agostino e Vincenzo S., non avendo questi ultimi "neppure
dedotto di essere proprietari dell'asserito fondo servente".
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d'appello di
Roma ha rigettato il gravame di Agostino e Vincenzo S..
In particolare, ha disatteso il motivo di appello con cui
questi ultimi avevano censurato la sentenza impugnata per
aver riconosciuto la legittimità dell'ordinanza con
cui il Pretore aveva concluso la fase cautelare del procedimento
di danno temuto intentato nei loro confronti da Maria G.,
Antonio e Paolo T.; ha affermato poi che l'immobile per cui
è causa è condominiale, e dunque che sono applicabili,
nella specie, le norme dettate per gli edifici condominiali;
ha disatteso inoltre la censura con cui gli appellanti avevano
sostenuto l'erroneità della determinazione delle quote
millesimali, osservando che essi non avevano allegato alcunché
per dimostrare
tale asserita erroneità; infine ha disatteso anche
la censura con cui gli appellanti avevano ribadito che gli
attori, nel ricostruire il tetto, avevano posto le premesse
per l'acquisizione di una servitù di grondaia, osservando
che lo sporto realizzato non è maggiore di quello del
preesistente tetto, giusta quanto emerge dalla relazione del
consulente tecnico di ufficio e dalle fotografie esibite.
Vincenzo S. ha chiesto la cassazione di tale sentenza per
sette motivi.
Maria G., Antonio e Paolo T. hanno resistito con controricorso.
Agostino S. non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i primi quattro motivi del suo ricorso Vincenzo S. censura
la sentenza impugnata per non aver dichiarato la nullità,
ovvero per non aver annullato "tutti i provvedimenti
emessi nella fase cautelare".
Il ricorrente denunzia violazione dell'art. 163, 112, 260
e 689 del codice di rito, dell'art. 1172 del codice civile,
e vizi di motivazione.
Le censure sono inammissibili.
I provvedimenti cautelari emessi nell'ambito del procedimento
di denunzia di nuova opera ai sensi degli art. 689 e 690 del
codice di rito hanno carattere interinale e strumentale rispetto
alla causa di merito e, pertanto, non sono suscettibili di
impugnazione autonoma.
Volta poi che sia intervenuta una pronunzia che accerti o
neghi il diritto del quale con essi è stata chiesta
tutela, per l'appunto in via interinale, e provvisoria, viene
meno la loro ragion d'essere, e con essa l'interesse ad impugnarli
(cfr., tra le tante in tal senso, la sentenza di questa Corte
n. 982-1999).
Con il quinto motivo del suo ricorso Vincenzo S. censura
la sentenza impugnata per ripartito le spese necessarie per
i necessari rifacimenti dell'edifìcio applicando le
norme del codice civile relative al condominio negli edifici
(segnatamente gli art. 1123 e 1134), e non, come egli aveva
sostenuto in appello, essendo l'edificio composto da due sole
unità immobiliari, quelle sulla comunione in generale
(segnatamente l'art. 1110).
Il ricorrente denunzia violazione delle citate nome, non
senza sostenere che la motivazione della sentenza impugnata
è carente ed illogica, non essendo configurabile nella
specie, per la ragione detta, un condominio.
La censura è infondata.
La statuizione impugnata ha fatto puntuale applicazione del
principio sempre affermato da questa Corte (cfr. le sentenze
n. 7181-1997, 5298-1998, ed in particolare quella n. 5914-1993),
secondo il quale, in base all'art. 1139 del codice civile,
la disciplina del capo II del Titolo VII del terzo libro del
codice civile (art. 1117-1138) è applicabile ad ogni
tipo di condominio e, quindi, anche ai cosiddetti "condomini
minimi", e cioè a quelle collettività condominiali
composte da due soli partecipanti; in relazione alle quali
sono da ritenersi inapplicabili soltanto le sole norme procedimentali
sul funzionamento dell'assemblea condominiale, che resta regolato,
dunque, dagli art. 1104, 1105, 1106. del codice civile.
Con il sesto motivo del suo ricorso Vincenzo S. censura la
sentenza impugnata per aver rigettato il suo motivo di appello
con cui aveva sostenuto che la ripartizione millesimale effettuata
dal Tribunale era illegittima.
Il ricorrente denunzia violazione dell'art. 1123 del codice
civile, e lamenta che la Corte d'appello ha affermato, nella
sua sentenza, che "nessun elemento sussiste a conforto
delle sue apodittiche affermazioni circa gli errori sulla
consistenza volumetrica e gli spazi condominiali", senza
tener conto della "precisa e puntuale elencazione di
argomenti tecnico-giuridici ampiamente motivati, esposti nelle
sue difese, suffragati da una consulenza tecnica di parte
(in atti), che espone, con dovizia di particolari e con precise
confutazioni tecniche, una precisa tesi circa l'erroneità
e la incongruità delle ripartizioni millesimali adottate
dal Tribunale per la ripartizione delle spese".
Il motivo, con cui si censura la sentenza non tanto per la
de-nunziata violazione di legge, quanto piuttosto per vizio
di motivazione, è inammissibile.
Il ricorso per cassazione - in virtù del principio
di cosiddetta autosufficienza dello stesso - deve contenere
in sé tutti gli elementi necessari per individuare
le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza
di merito, e per valutarne la fondatezza, in modo che non
sia necessario far ricorso ad altri documenti o atti, in particolare
quelli relativi al pregresso giudizio di merito (cfr. tra
le tante, tutte conformi, da ultimo, le sentenze n. 12912-2004
e 13550-2004).
Il ricorrente non ha precisato, nel ricorso, quali sono gli
argomenti tecnici giuridici da lui sviluppati per sostenere
il motivo di gravame che a suo dire è stato disatteso
senza adeguata motivazione, e che la Corte d'appello non avrebbe
adeguatamente considerati e valutati.
Con l'ultimo motivo del suo ricorso Vincenzo S. censura la
sentenza impugnata per aver confermato il rigetto della sua
domanda riconvenzionale relativa alle dimensioni della sporgenza
del tetto ricostruito deciso dal Tribunale in prime cure.
Il ricorrente sostiene che non è vero quanto affermato
al riguardo dalla Corte d'appello di Roma e in narrativa sintetizzato;
in particolare sostiene che il consulente tecnico di ufficio
si è limitato a proporre "valutazioni presuntive",
e che dalle fotografie che raffigurano lo stato pregresso
dei luoghi risulta il contrario di quanto affermato in sentenza.
Denunzia quindi violazione dell'art. 2697 del codice civile
e vizi di motivazione.
La censura è inammissibile.
Con essa il ricorrente non fa altro che proporre una valutazione
delle prove raccolte diversa da quella che ne ha data il giudice
del merito, e a contrapporla a quella di questo ultimo; chiede
in altri termini un riesame delle prove raccolte, che questa
Corte, giudice della sola legittimità, non può
effettuare.
Le spese seguono la soccombenza.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso, e condanna Vincenzo S. a rifondere
a Maria G., Antonio e Paolo T. le spese di questo giudizio,
che liquida in 1.300,00 euro, di cui 1.200,00 per onorari,
oltre accessori di legge.
Roma, 15 aprile 2005.
La redazione di megghy.com |