ORDINANZA N. 340
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Guido NEPPI MODONA Giudice
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Franco GALLO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt.
9, commi 9 e 10, e 15, comma 1, della legge 27 dicembre 2002,
n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003),
promossi con due ordinanze del 12 gennaio 2004 dalla Commissione
tributaria provinciale di Alessandria nelle controversie vertenti
tra la s.a.s Riceinvest di Fabio Franzosi & C., la s.a.s.
Investriso di Fabio Franzosi & C. e l'Agenzia delle entrate,
uffici di Alessandria e di Tortona, iscritte ai numeri 552
e 553 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno
2004.
Visti gli atti di costituzione della s.a.s. Riceinvest di
Fabio Franzosi & C. e della s.a.s. Investriso di Fabio
Franzosi & C., nonché l'atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 aprile 2005 il Giudice
relatore Franco Gallo.
Ritenuto che con due ordinanze di identico contenuto (r.o.
n. 552 del 2004 e n. 553 del 2004), la Commissione tributaria
provinciale di Alessandria, nel corso di altrettanti giudizi
promossi nei confronti dell'Agenzia delle entrate avverso
il silenzio-rifiuto formatosi sulle istanze di rimborso dell'IVA
avanzate, rispettivamente, dalla s.a.s. Riceinvest di Fabio
Franzosi & C. e dalla s.a.s. Investriso di Fabio Franzosi
& C., ha sollevato – in riferimento agli artt. 3,
41, 42 e 53 della Costituzione – questione di legittimità
costituzionale degli artt. 9, commi 9 e 10, e 15, comma 1,
della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge finanziaria 2003);
che, secondo quanto esposto nelle ordinanze di rimessione:
a) le suddette società avevano chiesto il rimborso
dell'IVA per l'anno 2001, affermando di aver effettuato operazioni
passive (consistenti nell'acquisto di beni ammortizzabili),
in ordine alle quali assumevano di aver maturato il diritto
alla detrazione dell'imposta; b) l'Agenzia delle entrate aveva
successivamente disposto un accertamento globale nei confronti
di tali contribuenti ed aveva loro notificato il relativo
processo verbale; c) nei giudizi promossi avverso il silenzio-rifiuto
formatosi sulle istanze di rimborso, le ricorrenti avevano
sostenuto di aver consolidato il loro diritto ai rimborsi,
perché nelle more si erano avvalse delle disposizioni
sul condono fiscale contenute negli artt. 9 e 15 della legge
n. 289 del 2002; d) gli uffici dell'Agenzia delle entrate
si erano opposti alle domande delle ricorrenti, sia perché
ritenevano che le operazioni in questione fossero inesistenti
– tanto che avevano inoltrato alla competente Procura
della Repubblica un esposto per i reati di cui agli artt.
2 e 8 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova
disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul
valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno
1999, n. 205) – sia perché, comunque, nessun
versamento dell'IVA era stato effettuato dai soggetti coinvolti
nelle operazioni medesime; e) le disposizioni concernenti
il predetto condono fiscale non regolano espressamente l'ipotesi
di emissione di fatture per operazioni inesistenti, diversamente
dalla disciplina del condono contenuta nella legge 30 dicembre
1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili,
per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività
di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria
dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare
il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti
tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica
per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni
di centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), il cui
art. 52, comma 1, prevedeva per tale ipotesi condizioni particolari
al fine di accedere alla definizione agevolata dei rapporti
tributari;
che, per il giudice rimettente, la mancanza di una norma
analoga a quella per ultima citata potrebbe comportare un
grave danno all'erario, perché l'art. 9, comma 9, terzo
periodo, della legge n. 289 del 2002, stabilendo che la definizione
automatica delle imposte «non modifica l'importo degli
eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni
presentate ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali,
dell'imposta sul valore aggiunto, nonché dell'imposta
regionale sulle attività produttive», impone
di accogliere anche la richiesta di rimborso di imposte mai
versate;
che pertanto, sempre secondo la Commissione tributaria provinciale,
sussisterebbe una contraddizione tra le diverse previsioni
del citato art. 9, ed in particolare tra quella che preclude
ogni accertamento tributario nei confronti di chi ha richiesto
il condono e dei soggetti coobbligati e quella che consente
di procedere penalmente nei confronti dell'emittente delle
fatture per operazioni inesistenti;
che, sulla scorta di tali considerazioni, il rimettente afferma
che le norme censurate confliggono con gli artt. 3, 41, 42
e 53 della Costituzione e cioè: a) con il principio
di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in quanto creano,
in caso di condono, una disciplina ingiustificatamente diversa
da quella derivante dai princìpi ricavabili dall'art.
52 della legge n. 413 del 1991 in tema di emissione di fatture
per operazioni inesistenti (che consentiva la definizione
fiscale in favore del cedente o del prestatore solo allorché
questi avessero corrisposto per intero l'imposta; nonché
in favore dell'acquirente o committente solo allorché
questi avessero eliminati gli effetti dell'indebita detrazione),
ed in quanto, sempre nel caso di condono, da un lato, escludono
la non punibilità dell'ipotesi di emissione di fatture
per operazioni inesistenti prevista dall'art. 8 del d.lgs.
n. 74 del 2000 (art. 9, comma 10, lettera c, della legge n.
289 del 2002) e, dall'altro, contraddittoriamente, non solo
precludono la punibilità del reato di dichiarazione
fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per
operazioni inesistenti di cui all'art. 2 del citato d.lgs.
n. 74 del 2000 (art. 9, comma 10, lettera c, della indicata
legge n. 289 del 2002) ed inibiscono ogni accertamento tributario
(art. 9, comma 10, lettera a, della stessa legge), ma, nel
caso di un precedente avvio dell'attività di accertamento
da parte delle agenzie fiscali, ammettono la definizione tributaria
alla sola condizione della mancata «formale conoscenza»
da parte del contribuente dell'esercizio dell'azione penale
per i reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 (art. 15, comma
1, della suddetta legge); b) con gli artt. 53 e 3 Cost., nonché
con i princìpi di eguaglianza sostanziale e solidarietà
sociale espressi da tali articoli, tenuto conto della fittizietà
del presupposto del rimborso richiesto, basato su fatture
emesse per operazioni inesistenti, e considerata la natura
fraudolenta dell'attività da cui deriverebbe tale rimborso;
c) con i princìpi di utilità e giustizia sociale,
espressi dagli artt. 41, secondo comma, e 42, secondo comma,
Cost.;
che il giudice a quo conclude per la rilevanza e non manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale
degli indicati artt. 9, commi 9 e 10, e 15, comma 1, della
legge n. 289 del 2002, nella parte in cui non prevedono una
“norma correttiva” che subordini l'operatività
dei benefici fiscali concessi all'eliminazione delle detrazioni
risultate indebite;
che nel giudizio di cui al r.o. n. 553 del 2004 è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che
la sollevata questione di legittimità costituzionale
sia dichiarata inammissibile ovvero infondata ed illustrando
la propria posizione con successiva memoria;
che la difesa erariale deduce l'irrilevanza e l'infondatezza
della questione, relativamente alle denunciate disposizioni
della legge n. 289 del 2002 concernenti gli effetti del condono
sul piano penale, nonché l'inconferenza del riferimento
del giudice rimettente agli artt. 41 e 42 della Costituzione;
che, quanto alle altre disposizioni censurate, con riferimento
agli altri parametri evocati, l'Avvocatura generale dello
Stato sostiene la praticabilità di un'interpretazione
“costituzionalmente orientata”, secondo cui la
preclusione di “ogni accertamento tributario”
prevista dal citato art. 9, comma 10, della legge n. 289 del
2002 riguarda solo l'accertamento dei debiti di imposta, mentre
il condono de quo rende immodificabili le precedenti richieste
di rimborso dei contribuenti condonanti, ma non rende incontestabili
i crediti da questi vantati, con la conseguenza che le agenzie
fiscali mantengono integre le proprie possibilità di
contestazione e difesa con riguardo alle richieste di rimborso,
e ciò a maggior ragione per le richieste basate su
condotte illecite, come l'emissione di fatture per operazioni
inesistenti;
che la s.a.s. Riceinvest di F. Franzosi & C. e la s.a.s.
Investriso di F. Franzosi & C. si sono tardivamente costituite,
rispettivamente, nei giudizi registrati al n. 552 del 2004
ed al n. 553 del 2004.
Considerato che la Commissione tributaria provinciale di
Alessandria, con due ordinanze di identico contenuto emesse
nel corso di due diversi giudizi, dubita della legittimità
costituzionale degli artt. 9, commi 9 e 10, e 15, comma 1,
della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge finanziaria 2003), in riferimento agli artt.
3, 41, 42 e 53 della Costituzione;
che i giudizi di legittimità costituzionale, avendo
ad oggetto le stesse questioni, vanno riuniti per essere congiuntamente
decisi;
che il dubbio di incostituzionalità investe le citate
disposizioni in relazione alla loro incidenza sia nella materia
penale che in quella tributaria in senso stretto;
che, quanto all'aspetto penalistico, le norme sono denunciate
nella parte in cui prevedono: a) la definizione delle imposte
ed il perfezionamento della procedura relativa senza escludere
la punibilità del reato di emissione di fatture per
operazioni inesistenti di cui all'art. 8 del decreto legislativo
10 marzo 2000, n. 74, recante “Nuova disciplina dei
reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto,
a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205”
(art. 9, comma 10, lettera c, della legge n. 289 del 2002);
b) la definizione delle imposte ed il perfezionamento della
procedura relativa con effetti preclusivi della punibilità
per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di
fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui
all'art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 (art. 9, comma 10, lettera
c, della legge n. 289 del 2002);
che, per il rimettente, tali norme violerebbero, infatti:
a) il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.
in quanto, in caso di condono, da un lato escludono la non
punibilità dell'ipotesi di reato per emissione di fatture
per operazioni inesistenti prevista dall'art. 8 del d.lgs.
n. 74 del 2000 (art. 9, comma 10, lettera c, della legge n.
289 del 2002) e dall'altro, contraddittoriamente, precludono
la punibilità per il reato di dichiarazione fraudolenta
mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 (art. 9, comma
10, lettera c, della citata legge n. 289 del 2002) ed inibiscono
qualsiasi accertamento tributario (art. 9, comma 10, lettera
a, della stessa legge); b) gli artt. 53 e 3 Cost., nonché
i princìpi di eguaglianza sostanziale e solidarietà
sociale, espressi da tali articoli, tenuto conto della fittizietà
del presupposto del rimborso richiesto, basato su fatture
emesse per operazioni inesistenti, e considerata la natura
fraudolenta dell'attività da cui deriverebbe il rimborso;
c) i princìpi di utilità e giustizia sociale,
espressi dagli artt. 41, secondo comma, e 42, secondo comma,
Cost.;
che, quanto all'aspetto propriamente tributario, le stesse
norme sono invece censurate nella parte in cui prevedono:
a) che la definizione automatica delle imposte «non
modifica l'importo degli eventuali rimborsi e crediti derivanti
dalle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi
e relative addizionali, dell'imposta sul valore aggiunto,
nonché dell'imposta regionale sulle attività
produttive» (art. 9, comma 9, terzo periodo, della legge
n. 289 del 2002); b) che la definizione delle imposte ed il
perfezionamento della procedura relativa precludono «ogni
accertamento tributario» nei confronti del dichiarante
e dei soggetti coobbligati (art. 9, comma 10, lettera a della
stessa legge) ed escludono la punibilità per il reato
di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri
documenti per operazioni inesistenti di cui all'art. 2 del
d.lgs. n. 74 del 2000 (art. 9, comma 10, lettera c, della
citata legge n. 289 del 2002); c) che la definizione delle
imposte ed il perfezionamento della procedura relativa non
escludono la punibilità del reato di emissione di fatture
per operazioni inesistenti di cui all'art. 8 del d.lgs. n.
74 del 2000 (art. 9, comma 10, lettera c, della legge n. 289
del 2002); d) che il perfezionamento della definizione delle
procedure di accertamento fiscale è ammesso alla condizione
della mancanza della «formale conoscenza» da parte
del contribuente dell'esercizio dell'azione penale per i reati
previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 (art. 15, comma 1, ultimo
periodo, della legge n. 289 del 2002);
che, simmetricamente, sempre in relazione all'aspetto propriamente
tributario, il giudice a quo denuncia le medesime disposizioni,
nella parte in cui non prevedono, nel caso di emissione di
fatture per operazioni inesistenti, una norma correttiva che
subordini l'operatività del citato condono all'eliminazione
delle detrazioni risultate indebite;
che, per il rimettente, le norme così denunciate violerebbero:
a) il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.,
in quanto, nel caso di condono, creano una disciplina ingiustificatamente
diversa da quella derivante dai princìpi ricavabili
dall'art. 52 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni
per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare
e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni
per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle
imprese, nonché per riformare il contenzioso e per
la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti;
delega al Presidente della Repubblica per la concessione di
amnistia per reati tributari; istituzioni di centri di assistenza
fiscale e del conto fiscale), in tema di emissione di fatture
per operazioni inesistenti (che consentiva la definizione
fiscale in favore del cedente o prestatore solo allorché
questi avessero corrisposto per intero l'imposta; nonché
in favore dell'acquirente o committente solo allorché
questi avessero eliminati gli effetti dell'indebita detrazione),
ed in quanto, sempre nel caso di condono, da un lato, escludono
la non punibilità dell'ipotesi di reato per emissione
di fatture per operazioni inesistenti prevista dall'art. 8
del d.lgs. n. 74 del 2000 (art. 9, comma 10, lettera c, della
legge n. 289 del 2002) e dall'altro, contraddittoriamente,
nel caso di un precedente avvio dell'attività di accertamento
da parte delle agenzie fiscali, ammettono la definizione tributaria
alla condizione della mancata «formale conoscenza»
da parte del contribuente dell'esercizio dell'azione penale
per i reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 (art. 15, comma
1, ultimo periodo, della legge n. 289 del 2002); b) gli artt.
53 e 3 Cost., i princìpi di eguaglianza sostanziale
e solidarietà sociale espressi da tali articoli, nonché
i princìpi di utilità e giustizia sociale espressi
dagli artt. 41, secondo comma, e 42, secondo comma, Cost.,
secondo le censure già sollevate in ordine agli aspetti
penalistici della disciplina censurata;
che le sollevate questioni sono in parte manifestamente inammissibili
ed in parte manifestamente infondate;
che le questioni concernenti gli aspetti penalistici delle
norme denunciate sono irrilevanti e, quindi, manifestamente
inammissibili, perché di tali norme e con riguardo
a tali aspetti non deve fare alcuna applicazione il giudice
a quo, chiamato a decidere esclusivamente sulle impugnazioni
proposte dai contribuenti avverso il silenzio-rifiuto formatosi
sulle loro istanze di rimborso dell'IVA;
che, del resto, sul punto della rilevanza nei giudizi a quibus
degli indicati effetti penali della disciplina censurata,
il rimettente ha omesso di fornire qualsiasi motivazione,
rendendo le questioni manifestamente inammissibili anche sotto
tale profilo;
che, in ordine alle questioni concernenti gli aspetti propriamente
tributari, il rimettente premette, in punto di fatto, che
le operazioni fatturate oggetto dei giudizi principali sono
inesistenti e che per esse non è stata versata alcuna
somma a titolo di IVA dai soggetti coinvolti;
che, posta tale premessa, il giudice a quo interpreta le
denunciate disposizioni nel senso che il perfezionamento del
condono precluderebbe all'amministrazione finanziaria la possibilità
di effettuare accertamenti tributari per contestare la debenza
del rimborso e renderebbe incontestabili le somme richieste
dai contribuenti quale rimborso dell'IVA, anche nell'ipotesi
in cui il rimborso si basi sulla fatturazione di operazioni
inesistenti e l'importo dell'IVA non sia mai stato versato;
che questo presupposto interpretativo è manifestamente
erroneo, in quanto: a) l'art. 9, comma 9, terzo periodo, della
legge n. 289 del 2002 si limita a stabilire che la definizione
automatica delle imposte «non modifica l'importo degli
eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni
presentate ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali,
dell'imposta sul valore aggiunto, nonché dell'imposta
regionale sulle attività produttive»; b) l'art.
9, comma 10, lettera a), della stessa legge dispone soltanto
la preclusione di ogni accertamento tributario nei confronti
del dichiarante e dei soggetti coobbligati, nel caso di perfezionamento
della definizione automatica delle imposte;
che, in particolare, la prima delle due norme ora citate
va intesa nel senso che il condono non influisce di per sé
sull'ammontare delle somme chieste a rimborso, non impone
al contribuente la rinuncia al credito e non impedisce all'erario
di accogliere tali richieste, allorché la pretesa di
rimborso sia riscontrata fondata;
che la seconda norma citata preclude bensì l'accertamento
dei debiti tributari dei contribuenti che hanno ottenuto il
condono, ma non impedisce l'accertamento dell'inesistenza
dei crediti posti a base delle richieste di rimborso, data
la natura propria del condono, che incide sui debiti tributari
dei contribuenti e non sui loro crediti;
che pertanto, nell'ipotesi di operazioni inesistenti per
le quali non sia stata versata l'IVA e per le quali sia stato
richiesto il rimborso dell'imposta, le censurate disposizioni
non impongono affatto all'erario di procedere al rimborso,
nel caso di intervenuto condono fiscale, né inibiscono
accertamenti diretti a dimostrare l'inesistenza dell'invocato
diritto al rimborso;
che tale esito interpretativo non solo deriva dalla semplice
lettura delle norme denunciate e dalla indicata natura dell'istituto
del condono, ma risulta anche coerente con la giurisprudenza
della Corte di cassazione, che in più occasioni ha
affermato, da un lato, che la detrazione dell'IVA non è
ammessa, per difetto del requisito dell'inerenza all'impresa,
in caso di operazioni materialmente inesistenti (Cass., n.
14337 del 2002 e n. 9665 del 2000) e, dall'altro, che, in
generale, il condono non vale di per sé a consolidare
i crediti IVA richiesti a rimborso e non vagliati dall'Amministrazione
finanziaria (Cass., n. 6429 del 1996 e n. 9646 del 1993);
che, poiché a questa interpretazione si perviene indipendentemente
dall'esistenza di una espressa disposizione che la imponga,
è irrilevante che le norme denunciate non contengano
una disposizione analoga a quella contenuta in una precedente
legge di condono (art. 52 della legge n. 413 del 1991, indicato
dal rimettente quale tertium comparationis), secondo la quale
il contribuente era ammesso a godere di quel condono alla
condizione della previa eliminazione degli effetti provocati
dall'operazione inesistente;
che alla manifesta erroneità del presupposto interpretativo
da cui muove il rimettente consegue la manifesta infondatezza
delle corrispondenti questioni.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni
di legittimità costituzionale degli artt. 9, commi
9 e 10, e 15, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2003), per le parti
riguardanti gli effetti del condono nella materia penale,
sollevate, in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 53 della
Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di
Alessandria con le ordinanze indicate in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 9, commi 9 e 10, e 15, comma 1,
della legge 27 dicembre 2002, n. 289, per le parti riguardanti
gli effetti del condono nella materia tributaria, sollevate,
in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 53 della Costituzione,
dalla Commissione tributaria provinciale di Alessandria con
le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 luglio 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2005.
La redazione di megghy.com |