TAR CAMPANIA
NAPOLI, SEZ. III
Sentenza 12 luglio 2005 n. 9499
Pres. De Leo, Est. Storto - Nunziata (Avv.ti Laudario e Scotto)
c. Comune di Pompei (Avv.ti Esposito e Giuffrè).
(omissis)
PER L’ANNULLAMENTO
del provvedimento prot. n. 35857 del 5.11.2004, con il quale
il dirigente UTC del Comune di Pompei ha annullato la concessione
edilizia n. 970 rilasciata a favore del ricorrente in data
26.11.2003;
della nota prot. 1261/04 del 4.11.2004 con cui il Comune
di Pompei ha diffidato il ricorrente e il Direttore dei lavori
a sospendere l’attività edilizia in corso;
di ogni altro atto o provvedimento presupposto, preordinato,
connesso e conseguente, se lesivo degli interessi del ricorrente.
(omissis)
FATTO
Il ricorrente, con il ricorso indicato in epigrafe, notificato
all’amministrazione intimata il 31 dicembre 2004 ed
alla controinteressata il 5 gennaio 2005, premesso:
che il 26.11.2003 era stata rilasciata in suo favore la concessione
edilizia n. 970/03 per la realizzazione - su un proprio terreno
sito in Pompei alla via Treponti e confinante con strada sul
cui ciglio opposto insiste il fondo di proprietà di
Giuseppa C. - di un fabbricato per civile abitazione i cui
lavori erano iniziati il 27.11.2004;
che, a seguito di una richiesta di revoca del titolo concessorio
presentata dalla C., la quale (avendo formulato il 16.1.2004
istanza di condono edilizio per un manufatto realizzato a
suo dire nel 1978 ma, in realtà, costruito tra il 1991
ed il 1997) lamentava la lesione dei propri diritti di confinante,
ed acquisito il parere favorevole del consulente, Avv.to Vincenzo
Giuffrè, il Comune di Pompei aveva annullato in via
di autotutela la predetta concessione edilizia (provv. datato
5.11.2004) e aveva, quindi, diffidato il ricorrente a sospendere
l’attività edilizia (provv. datato 4.11.2004),
nonostante questi avesse sua volta diffidato (il 14.6.2004)
il medesimo Comune a rigettare l’istanza di condono
edilizio presentata dalla C.,
impugna i cennati provvedimenti per i seguenti motivi:
violazione dei principi generali regolanti l’annullamento
d’ufficio di atti ampliativi in materia edilizia; violazione
e falsa applicazione del T.U. di cui al d.P.R. n. 380 del
6.6.2001, violazione e falsa applicazione della legge n. 241
del 1990; violazione delle norme del P.R.G. vigente nel Comune
di Pompei; violazione e falsa applicazione della normativa
codicistica in materia di costruzioni; eccesso di potere;
carenza assoluta dei presupposti in fatto ed in diritto, difetto
di motivazione; omessa istruttoria; contraddittorietà,
in quanto, nonostante lo stesso (secondo) parere reso dall’Avv.to
Giuffrè all’Amministrazione comunale indicasse
la necessità di compiere attività istruttorie
in ordine alla possibilità di costruire sul confine
o in aderenza e circa l’esistenza di una strada tra
i due fondi, il Comune non vi aveva provveduto; ed inoltre,
in quanto, sotto il profilo urbanistico, l’art. 11-bis
delle norme di attuazione del P.R.G. consente le costruzioni
sul confine alieno, né, nel caso di specie, si applicherebbero
le norme sulle distanze tra edifici, non potendosi definire
edificio il pollaio di proprietà della C. insistente
sul ciglio prospiciente la strada in questione; tale edificio,
infine, per essere stato costruito tra il 1991 ed il 1997
(e non invece nel 1978 come dichiarato dalla controinteressata),
sarebbe non condonabile perché realizzato in zona vincolata;
gli stessi motivi sopra sinteticamente enunciati, in quanto
nel provvedimento gravato non si fa menzione di alcuna violazione
di legge o di regolamenti vigenti in materia edilizia ed urbanistica,
anche perché il titolo abilitativo annullato sarebbe
in realtà perfettamente legittimo;
illogicità, in quanto la determinazione in parola vanifica
il diritto ad edificare del ricorrente, fondando sull’esistenza
di opera abusiva e non condonabile, secondo una comparazione
delle posizioni soggettive che vede quella della C. come recessiva
e non meritevole di tutela;
gli stessi motivi indicati al n. 1), con specifico riguardo
al fatto che, per come risulta dalla relativa denunzia presentata
all’INAIL, i lavori di costruzione del manufatto ad
opera del ricorrente erano già iniziati da lungo tempo
e che, comunque, manca uno specifico interesse pubblico all’annullamento;
sulla diffida a sospendere i lavori, illegittimità
derivata e sviamento di potere, tenuto anche conto del fatto
che la diffida, fondando sull’avvenuto annullamento,
in realtà è di data anteriore rispetto a quello,
ciò che dimostrerebbe la volontà dell’amministrazione
di impedire comunque la realizzazione dell’intervento.
Si è costituito il Comune di Pompei che ha chiesto
il rigetto dell’avverso ricorso osservando, in particolare,
che qualsiasi entità materiale insistente sui fondi
finitimi, a prescindere del suo carattere abusivo o meno,
determina l’applicabilità dei limiti inderogabili
sulle distanze tra manufatti, dettati a tutela del prevalente
interesse pubblico.
Si è altresì costituita in giudizio la controinteressata,
Giuseppa C., la quale, premesso che i fabbricati di sua proprietà
erano costituiti da comodi rurali, ha dedotto che, pur avendo
chiesto sin dal 21.5.2001 una concessione per civile abitazione,
analoga domanda era stata assentita per prima in favore del
Nunziata (che l’aveva però proposta solo il 31.10.2001)
per un fabbricato che non rispettava la distanza tra fabbricati
imposta in metri 10 dalle Norme di attuazione del PRG (applicabile
al caso di specie in quanto il viale che separa le proprietà
è privato e gravato da servitù di passaggio
in favore di terzi), con l’effetto di inibire il rilascio
della concessione chiesta per prima.
Nel merito delle censure avverse, la C., ribadito che i comodi
rurali, costituenti edifici, furono realizzati nel 1978, ha
chiesto che il ricorso venga rigettato siccome infondato.
Nella Camera di consiglio del 10 febbraio 2005 il Tribunale
ha respinto l’istanza di sospensione del provvedimento
impugnato.
Le parti hanno effettuato vari depositi documentali ed hanno
interloquito, in prossimità dell’udienza, con
proprie memorie.
All’odierna udienza la causa è stata trattenuta
in decisione.
DIRITTO
La questione devoluta all’esame del Collegio riguarda
un’ipotesi di annullamento in via di autotutela di una
concessione edilizia perché rilasciata – in favore
del ricorrente - in violazione delle distanze legali tra costruzioni
previste dallo strumento urbanistico.
Nel caso in questione, infatti, la costruzione assentita
col provvedimento poi annullato sarebbe situata ad una distanza,
ben inferiore a quella prescritta, da altre preesistenti costruzioni
(depositi di attrezzi agricoli e pollaio: cfr. perizia tecnica
giurata depositata il 5.5.2005 da Giuseppa C.) - abusive e
per le quali è stata presentata istanza di condono
edilizio - insistenti sul ciglio della proprietà della
controinteressata, separata da quella del ricorrente da un
strada.
Preliminarmente, il ricorrente ha contestato che le norme
sulle distanze legali tra costruzioni fossero applicabili
alla fattispecie concreta in quanto senz’altro non definibile
«costruzione», ai fini di quella disciplina, il
pollaio della Ciaravola.
L’eccezione è infondata. Ed infatti, ha stabilito
la Cassazione, con valutazione condivisa da questo Collegio,
che «costituisce costruzione, agli effetti della disciplina
del codice civile sulle distanze legali, non soltanto l'opera
che abbia le caratteristiche di un edificio o di una fabbrica
in muratura, ma ogni manufatto che, per struttura e destinazione,
ha carattere di stabilità e permanenza (nella specie
il manufatto, con finestra, era coperto da tettoia formata
da travi con soprastanti lamiere, ed era destinato a fienile,
magazzino e pollaio)» (ex multis, Cass., Sez. II, 24.5.1997,
n. 4693). Facendo applicazione di tale principio, il richiamo
alle norme sulle distanze legali tra costruzioni deriva dunque
dal fatto (indicato proprio dal ricorrente nella perizia di
asseveramento dell’11.5.2005 a firma dell’arch.
Anna Primavera Sirico, depositata il 13.5.2005) che il manufatto
di proprietà della Ciaravola è costituito, quantomeno,
da «un piccolo pollaio, avente dimensioni in pianta
di m. 2,00 x 2.50, altezza min. di mt. 1.70 e max di mt. 1.80,
costituito da blocchi in lapicemento con copertura in legno
e lamiera ondulata», oltre che (cfr. perizia tecnica
giurata dep. il 5.5.2005 dalla Ciaravola e già sopra
citata) da un «deposito attrezzi agricoli realizzato
in muratura, copertura in lamiere e dotato di porta in ferro
(…)».
Quanto invece all’applicabilità della richiamata
normativa anche ad edifici abusivi, occorre rilevare come
le «disposizioni sulle distanze fra costruzioni sono
giustificate dal fatto di essere preordinate, non solo alla
tutela degli interessi dei due frontisti, ma, in una più
ampia visione, anche al rispetto di una serie di esigenze
generali, tra cui i bisogni di salute pubblica, sicurezza,
vie di comunicazione e buona gestione del territorio»
(così Corte cost., sent. n. 120 del 1996). Pertanto,
l’interesse pubblico primario tutelato dalle norme urbanistiche
sulle distanze impone di prendere in considerazione, ai fini
della valutazione di legittimità di una concessione
edilizia, «la situazione di fatto quale si presenta
in concreto al momento del rilascio della concessione, a nulla
rilevando che taluno dei fabbricati in relazione ai quali
va calcolata la distanza della nuova costruzione sia abusivo»
(in questo senso, Cons. giust. amm. Sicilia, 1 giugno 1993,
n. 226; Consiglio di Stato, sez. V, 6 novembre 1992, n. 1174;
T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 6 luglio 1991, n. 340). Inoltre,
se ai fini di tutela del prevalente interesse pubblico occorre
prendere in esame la sola «situazione di fatto»
esistente al momento del rilascio, neppure appare rilevante
la circostanza che l’edificio avente effetto inibente
sia o meno insanabile, tenuto conto che solo a seguito della
concreta riduzione in pristino dei luoghi potrà dirsi
sussistente una situazione di fatto conforme alla normativa
sulle distanze.
Sotto altro profilo, tuttavia, occorre rilevare come il provvedimento
di annullamento in questione trovi il suo unico fondamento
nel parere legale espresso dal Prof. Avv. Vincenzo Giuffrè,
in data 30.4.2004, per sconsigliare all’Amministrazione
di costituirsi nel giudizio amministrativo intrapreso dalla
C. per ottenere l’annullamento del permesso di costruire
n. 970 del 23.11.2004 e per suggerire l’autoannullamento
dello stesso, e poi il 6.8.2004, per ribadire, anche a seguito
dell’invio di note interlocutorie del Nunziata, le conclusioni
già prese. Orbene, il ricorrente osserva in proposito
– e tale circostanza non è contestata dalle controparti
– che il consulente giuridico del Comune, nel parere
espresso nell’agosto del 2004, avrebbe evidenziato la
necessità per l’Amministrazione di vagliare attentamente
talune circostanze concrete, tra le quali «l’esistenza
di una strada (per quel che si comprende privata ma "asservita
a pubblico transito") che interromperebbe il calcolo
delle distanze» (v. pag. 6 del ricorso introduttivo,
nonché le precisazioni effettuate a pag. 7 della memoria
depositata il 13.5.2005). Il suggerimento, evidentemente,
si misurava con il principio per cui anche una strada privata
può legittimamente dirsi asservita ad uso pubblico,
ai fini dell'esenzione dal rispetto delle distanze stabilite
dagli art. 873 ed 878 c.c., ove la natura pubblica della strada
(o dell'uso che, di essa, ne faccia la collettività),
in mancanza di specifiche convenzioni tra privati e p.a.,
derivi dalla sua destinazione al pubblico transito che deve
risultare secondo modalità di comportamento uti cives
e non uti singuli, come nel caso di passaggio finalizzato
all'accesso ad unità abitative, uffici o negozi ubicati
su suoli privati» (cfr. Cass., 29 agosto 1998. n. 8619).
Orbene, dall’esame del provvedimento gravato (nonché
da quello dagli altri atti processuali) non risulta tuttavia
che l’istruttoria indicata come necessaria sul punto
dall’Avv.to Giuffrè sia stata in alcun modo compiuta
per cui, in assenza di indici probatori contrari, può
dirsi che si è verificata una situazione nella quale
il provvedimento di autoannullamento è stato assunto
dall’Amministrazione fondando unicamente e pedissequamente
sulla sintesi delle conclusioni giuridiche del consulente
(riportate testualmente con riguardo al solo parere dell’aprile
2004) ed omettendo di procedere alle verifiche della concreta
situazione di fatto che proprio il Consulente indicava come
pregiudiziali rispetto a quelle conclusioni.
Il difetto di istruttoria così evidenziato, che ridonda
peraltro in un difetto di motivazione del provvedimento, ne
determina l’illegittimità ed il conseguente annullamento
in uno alla successiva e consequenziale diffida a sospendere
l’attività edilizia in corso, pure gravata col
ricorso in esame.
Sussistono giusti motivi per dichiarare integralmente compensate
le spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Terza
Sezione di Napoli, definitivamente pronunciando sul ricorso
in epigrafe lo accoglie e, per l’effetto, pronuncia
l’annullamento dei provvedimenti impugnati.
Le spese del giudizio sono compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità
amministrativa.
Così deciso in Napoli, nelle camere di consiglio del
26 maggio e del 9 giugno 2005.
Dott. Giovanni de Leo Presidente
Dott. Alfredo Storto Estensore
Depositata in data 12 luglio 2005.
La redazione di megghy.com |