Tribunale di Bari - Sezione Lavoro, sentenza
21.12.2004
Esclusione socio cooperativa - tutela d’urgenza - aspetti
associativi - profili lavoristici - connessione§
(Artt. 40 co.3° e 700, c.p.c., 5 l. 3 aprile 2001, n.142,
9 l. 14 febbraio 2003, n.30, 12 lett. a) e b) l. 3 ottobre
2001, n.366, 1 lett. a) d.lgs.vo 17 gennaio 2003, n.5)
Tribunale di Bari
Sezione lavoro
IL GIUDICE
Sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza del 10.12.2004;
letti gli atti di causa
Osserva
Quanto segue.
Il ricorrente ha adito, ai sensi dell’art 700 c.p.c.,
questo Giudice del Lavoro,chiedendo di emettere nei confronti
delle società resistenti i seguenti provvedimenti:
Dichiarare inefficace o invalida l’esclusione dalla
qualità di socio della cooperativa convenuta, deliberata
in data 1.09.2004., nonché il licenziamento intimatogli
con decorrenza dal 2.09.2004;
Sospendere l’efficacia del licenziamento sino alla
decisione di merito e ordinare alle società resistenti
BARI ECOLOGIA SCARL ed ECORIPA s.r.l. l‘immediata reintegra
del lavoratore nel posto di lavoro e nella retribuzione.
Si costituiva ritualmente la convenuta, eccependo in via
preliminare l’incompetenza per materia e funzionale
del giudice adito e assumendo essere competente sulla domanda
esclusivamente il tribunale ordinario.
Ciò premesso in fatto, il giudicante osserva che si
configura fondata l’eccezione preliminare di incompetenza
formulata dalla parte resistente per le ragioni di seguito
indicate.
La risoluzione della delicata questione della competenza
e del rito applicabile alle controversie tra cooperativa e
socio lavoratore richiede un esame del panorama normativo,
anche alla luce del recente intervento di riforma operato
dalla legge 14 febbraio 2003, n.30.
La materia è regolata dall’ art 5 legge 3 aprile
2001 n.142.
Prima di tale intervento legislativo era prevalente in dottrina
e in giurisprudenza la tesi secondo cui, poiché le
cooperative di lavoro hanno come scopo mutualistico quello
di procurare occasioni di lavoro ai propri soci, la prestazione
lavorativa di questi costituirebbe adempimento del contratto
sociale quale conferimento; secondo questo approccio ermeneutico,
dunque, sarebbe stata applicabile la disciplina in materia
societaria, e non le norme sul lavoro subordinato.
Massima espressione di questo orientamento è costituito
dalla sentenza della Corte Costituzionale 12 febbraio 1996
n.30, in cui si colgono gli elementi differenziali che contraddistinguono
la posizione del socio lavoratore rispetto a quella del prestatore
di lavoro subordinato: in particolare, l’essere il primo
vincolato da un contratto che, oltre ad obbligarlo ad una
prestazione continuativa di lavoro in stato di subordinazione
rispetto alla società, lo rende altresì partecipe
dello scopo dell’impresa collettiva.
Successivamente, la giurisprudenza di legittimità
ha esteso al socio lavoratore la disciplina processualistica
del lavoro attraverso l’inquadramento della fattispecie
nell’ambito dei rapporti di lavoro parasubordinato di
cui all’art.409 c.p.c.(CASS. SEZ. UN. 30 ottobre 1998
n.10096).
La legge n.142/2001 segnava una svolta storica, costituendo
il superamento degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali
sopra citati.
In particolare, tale normativa si segnalava per l’adozione
del doppio rapporto-societario e di lavoro:
quest’ultimo allora definito ulteriore e distinto,
e dunque, configurazione di una pluralità di fattispecie
negoziali collegate.
Quanto alla competenza, l’art.5 della legge de qua
devolveva le controversie relative ai rapporti di lavoro in
qualunque forma al giudice del lavoro. Rimanevano, invece,
di competenza del Tribunale ordinario le controversie inerenti
al rapporto associativo.
Tale disciplina, esemplare per la chiarezza, è stata
di recente modificata dall’art.9 della legge 14 febbraio
2003 n. 30, in cui, oltre a stabilire che il rapporto di lavoro
si estingue con il recesso e l’esclusione del socio
deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità
con gli articoli 2526 e 2527 c.c., si affidano al Tribunale
ordinario le controversie tra socio e cooperativa relative
alle prestazioni mutualistiche.
L’esclusione del socio lavoratore viene, dunque, a
configurarsi, nel nuovo testo dell’art.5 comma 2, come
causa di estinzione ope legis del rapporto di lavoro.
Il duplice rapporto che lega il socio lavoratore alla cooperativa
può, dunque, essere qualificato in termini di collegamento
negoziale unilaterale: se cessa il rapporto sociale, viene
meno automaticamente anche il rapporto di lavoro. Viceversa,
la cessazione del rapporto di lavoro non determina affatto
di per sé la cessazione del rapporto sociale.
La ricostruzione del rapporto tra socio lavoratore e cooperativa
in termini di collegamento negoziale unilaterale contribuisce
a risolvere anche la delicata questione della competenza e
del rito applicabile alle controversie in oggetto. Da tale
ricostruzione, infatti, si desume quanto meno una prevalenza
del rapporto sociale rispetto a quello di lavoro.
È certo che il legislatore del 2003 ha complicato
notevolmente la questione, sostituendo ad un principio generale
chiaro(se la causa verte sul rapporto associativo, cognizione
del giudice civile;se verte sul rapporto di lavoro, cognizione
del giudice del lavoro) un altro principio ermeneuticamente
oscuro, attraverso l’attribuzione della cognizione al
giudice civile nelle controversie attinenti alla prestazione
mutualistica.
Una ragionevole proposta di lettura è stata quella
di chi ha interpretato la novella, anche per la sua collocazione
topografica nell’art.5 co. 2, subito dopo la previsione
della cessazione ex lege del rapporto di lavoro in caso di
estinzione individuale del rapporto sociale, nel senso che
precluderebbe al giudice del lavoro solamente la cognizione
delle controversie relative al recesso o all’esclusione
del socio, malgrado questi eventi abbiano appunto effetto
estintivo anche del rapporto di lavoro e malgrado possano
in ipotesi essere stati originati da condotte plurioffensive(che
costituiscono, cioè, inadempimento su entrambi i piani).Pertanto
il giudice del lavoro dovrebbe restare competente su tutte
le controversie inerenti il rapporto di lavoro che non investano
anche quello associativo.
Invero, a parere di questo Giudicante, la risoluzione della
questione di competenza non può prescindere da un’indagine
sul significato che deve attribuirsi al termine prestazione
mutualistica: indagine tanto più complicata in assenza
di una definizione normativa.
Non convincente appare una lettura della norma che equipari
la prestazione mutualistica al rapporto mutualistico: rapporto
quest’ultimo avente ad oggetto la prestazione di attività
lavorativa del socio.
Da tale interpretazione dovrebbe desumersi che tutte le domande
relative ai diversi aspetti del rapporto di lavoro, collegato
al rapporto associativo, sarebbero rimesse al tribunale ordinario
e non al giudice del lavoro.
Né piace al giudice adito la ricostruzione della prestazione
mutualistica in termini di prestazione proveniente dalla cooperativa
e non dal socio:quindi come attribuzione mutualistica, vantaggio
mutualistico ovvero situazione che trova il suo titolo nel
contratto di società e non in quello di lavoro.
La prestazione mutualistica va intesa in senso reciproco
e bilaterale.
Di conseguenza questo Giudicante ritiene che la legge n.30
del 2003 non abbia per nulla intaccato la duplice natura del
rapporto - associativo e di lavoro - che lega il socio lavoratore
alla cooperativa.
Sicuramente la prestazione lavorativa del socio non può
considerarsi, seguendo orientamenti anteriori alla legge n.
142 del 2001, mero adempimento del contratto sociale.
Si tratta, infatti, di un rapporto che, sebbene non più
distinto, può considerarsi tuttavia ulteriore rispetto
a quello associativo e costituisce, pertanto, il titolo giuridico
diretto in forza del quale la prestazione lavorativa viene
esplicata.
Pertanto, rimane indiscussa la competenza del giudice del
lavoro per tutto quanto riguardi i profili inerenti all’attuazione
del rapporto di lavoro (che resta ulteriore rispetto a quello
associativo), dalle controversie in materia di retribuzione
o di contribuzione a quelle in materia di sanzioni disciplinari,
o di modalità di svolgimento del rapporto (mansioni,
trasferimento ecc.).
Tale competenza discende dalla normativa generale (art.409
c.p.c.)in grado di attribuire al giudice del lavoro le controversie
relative ai rapporti di lavoro subordinato e parasubordinato:
normativa che non pare possa considerarsi implicitamente derogata
dalla previsione del nuovo art.5 co.2.. Potranno, invece,
ritenersi sicuramente escluse dalla cognizione del giudice
del lavoro le controversie inerenti i rapporti di lavoro sprovvisti
degli elementi della subordinazione ovvero della prevalente
personalità, continuità e coordinazione richiesti
dalla previsione di cui all’art.409 c.p.c., quali le
controversie di lavoro dei soci con rapporto di lavoro autonomo.
Giova a questo punto richiamare il principio generale in
base al quale la competenza del gudice adito è regolata
dal petitum e dalla causa petendi.
Il ricorrente chiede, in primo luogo, la dichiarazione di
inefficacia della delibera di esclusione da socio, sicchè
la proposizione di tale domanda di per sé già
vale ad individuare nel Tribunale ordinario il giudice competente
a conoscere della causa.
È evidente che il ricorrente sia, quanto meno formalmente
socio, essendo stata formalizzata la sua domanda di ammissione
a socio in data 14/07/2003. Con tale atto il ricorrente, oltre
ad obbligarsi al versamento di una quota del valore nominale
di euro 129,12 quale tassa di ammissione, dichiarava di conoscere
lo statuto e il regolamento interno della cooperativa e di
accettarli integralmente.
L ‘esclusione da socio, deliberata in data 1/09/2004,
ha dunque determinato ope legis la cessazione del rapporto
di lavoro che legava il R. alla BARI ECOLOGIA S.C.A.R.L.
Invero, la controversia sull’esclusione del socio,
la quale è per definizione potenzialmente connessa
ad una controversia di competenza del giudice del lavoro,
non subisce l’attrazione del rito del lavoro (a meno
di non voler considerare pleonastica la norma speciale).
La norma sulla competenza di cui all’art.5 co.2 della
legge n.142 sicuramente non ha derogato alla normativa generale
di cui all’art. 409 c.p.c.; tuttavia, essa costituisce
una deroga alla norma di cui all’art.40, co.3, la quale
prevede che le cause accessorie,di garanzia, pregiudiziali,
sulla compensazione o riconvenzionali siano attratte dal rito
del lavoro. La legge di riforma ha, dunque, introdotto un’eccezione
alla vis attractiva prevalente di cui - ai sensi dell’art.
40, 3° comma - il rito del lavoro è munito rispetto
a quello ordinario.
Per quanto finora si è detto va affermata la competenza
del Tribunale ordinario in relazione alle controversie tra
socio e cooperativa attinenti alla prestazione mutualistica
e, dunque, anche alla possibilità di svolgere o meno
tale prestazione.Tale possibilità è negata in
radice dall’esclusione la quale, incidendo sul rapporto
associativo, fa automaticamente venir meno anche quello di
lavoro.
L’esclusione del socio, pertanto, è un aspetto
strettamente attinente alla prestazione mutualistica e alla
possibilità di svolgere tale prestazione.
Lì dove la controversia presenti un’inscindibilità
tra aspetti associativi e profili lavoristici, come nel caso
de quo, i primi devono ritenersi assorbenti e ciò incide
anche sul piano della competenza, in deroga alla previsione
dell’art. 40 co.3, c.p.c.
Rimane, invece, ferma in base alla normativa generale di
cui all’art.409 c.p.c. la competenza del giudice del
lavoro per tutti gli aspetti strettamente attinenti al rapporto
di lavoro, ove questi presenti i requisiti della subordinazione
e della parasubordinazione.
Inoltre, è opportuno evidenziare come, quand’anche
questo Tribunale avesse rigettato l’eccezione di incompetenza
al fine di dichiarare l’illegittimità del licenziamento
e la reintegra del dipendente nel posto di lavoro, questo
risultato non sarebbe stato in concreto perseguibile, ostandovi
il disposto dell’art.2, co.1, della legge n.142/2001.
Tale norma prevede l’estensione ai soci lavoratori
di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato
dei diritti previsti dallo Statuto dei Lavoratori, con esclusione
dell’art.18 ogni volta che venga a cessare, con il rapporto
di lavoro, anche quello associativo. La norma in questione
fa, dunque, riferimento all’impossibilità di
apprestare i rimedi previsti dall’art.18 laddove il
vincolo societario si sia estinto.
Nella fattispecie in esame, come si desume anche dai documenti
prodotti in giudizio (comunicazione di esclusione da socio
e di licenziamento da lavoratore), l’estinzione del
vincolo sociale è cronologicamente anteriore rispetto
a quella del rapporto di lavoro.
Pertanto, sarebbe comunque pregiudiziale, rispetto alla domanda
di reintegra, l’accertamento preliminare della legittimità
dell’esclusione da socio, accertamento questo relativo
ad un aspetto societario e, dunque, necessariamente devoluto
al Giudice ordinario.
Allo stesso modo devono ritenersi riservate alla cognizione
di quest’ultimo le valutazioni inerenti alla sussistenza
dell’affectio societatis da parte del ricorrente, nonché
quelle concernenti la verifica di una effettiva e non soltanto
formale qualità di socio.
Ne consegue la declaratoria di incompetenza del giudice del
lavoro e la trasmissione degli atti al Presidente del Tribunale
per le determinazioni consequenziali.
Le spese restano compensate.
P.Q.M.
Il Giudice, D.ssa Angela Arbore dichiara la propria incompetenza,
e, per l’effetto, rimette gli atti al Presidente del
Tribunale.
Le spese sono compensate.
Bari, 21.12.2004
IL GIUDICE
D.ssa Angela Arbore
Depositata in Cancelleria il 21.12.2004
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