CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
SENTENZA 30-06-2005, n. 13957
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 3 aprile 1991, la s.p.a.
Arredamento Lombardo convenne in giudizio, dinanzi al tribunale
di Torino, la s.p.a. S. Paolo Factoring (successivamente S.
Paolo Fin) onde ivi sentir dichiarare inesistente qualsivoglia
suo atto di riconoscimento di un credito, in favore della
società convenuta (cessionaria del credito medesimo),
pari a L. 483.632.433, e relativo a forniture effettuate in
favore di essa attrice dalla s.a.s. Manifattura Biagioni,
che aveva stipulato, in relazione al detto credito, un contratto
di factoring con la s. Paolo.
Quest'ultima, nel costituirsi e nel chiedere il rigetto dell'istanza,
spiegò a sua volta domanda riconvenzionale con cui
si invocava, in via principale, la condanna dell'attrice al
pagamento della somma predetta, ed in via subordinata quella
al pagamento dei danni derivati dal silenzio mantenuto dall'attrice
stessa in ordine all'andamento dei rapporti intercorrenti
con la Manifatture Biagioni.
Presentato poi ricorso per ingiunzione (successivamente all'instaurazione
del primo giudizio di accertamento) dalla S. Paolo, il Presidente
del tribunale di Torino emise decreto ingiuntivo nei confronti
dell'Arredamento Lombardo per il pagamento della somma in
contestazione, decreto avverso il quale l'ingiunto propose
rituale opposizione.
Si costituì la S. Paolo Fin invocandone il rigetto
e la conseguente la condanna dell'opponente al maggior danno
ex art. 1224 c.c..
Dichiarato, nelle more, il fallimento della società
Manifattura Biagioni (creditore cedente), intervenne nel procedimento
di opposizione il curatore della procedura concorsuale, chiedendo
la declaratoria di inopponibilità alla curatela delle
cessioni di crediti operate dal fallito in favore dell'opposta,
e la conseguente condanna dell'Arredamento Lombardo a versare
al fallimento la somma oggetto dell'ingiunzione.
Riunite le due cause, il Tribunale di Torino confermò
il decreto ingiuntivo opposto, così inducendo all'appello
la soccombente Arredamento Lombardo, che vedrà respinto
il gravame dalla Corte subalpina con sentenza 20.9.1996.
Proposto ricorso per Cassazione da parte dell'appellante soccombente,
la S.C. rigettato un primo motivo di rito, accoglierà
quello di merito, avente ad oggetto una pretesa, erronea applicazione
degli artt. 1260 e 1264 c.c.: sosterrà il ricorrente
che erroneamente il giudice di appello aveva qualificato in
termini di accettazione incondizionata, con riferimento alla
cessione intercorsa tra Manifatture Biagioni e S. Paolo, alcuni
atti scritti di sua provenienza ed indirizzati a quest'ultima
società.
Riassunto il procedimento da parte della Arredamento Lombardo,
e costituitasi in giudizio la S. Paolo Fin, la Corte torinese,
in sede di rinvio, accoglierà l'appello ritenendo,
per quanto ancora di rilievo in sede di giudizio di legittimità:
- che, in conseguenza della pronuncia della S.C., il thema
decidendum del giudizio di rinvio doveva ritenersi ormai circoscritto
alla questione dell'esistenza della cessione e della eventuale
natura (incondizionata o meno) dell'accettazione della cessione
stessa intercorsa tra la Manifatture Biagioni e la S. Paolo;
- che, dovendosi predicare l'esistenza non di una accettazione
incondizionata, bensì di una mera presa d'atto della
cessione de qua, la Arredamento Lombardo non aveva perso il
diritto di opporre alla cessionaria le stesse eccezioni che
avrebbe potuto opporre alla cedente, ivi compresa quella secondo
cui il credito complessivo in realtà non era mai sorto,
essendosi estinto per compensazione nel momento stesso in
cui esso era venuto ad esistenza, per effetto della pregressa
esistenza di un controcredito dell'appellante nei confronti
della Biagoni;
- che tale conclusione era giustificata dal contenuto stesso
della sentenza di rinvio della S.C., ove si rilevava come
la lettera inviata dalla Arredamento Lombardo alla S.Paolo
- documento sul quale il tribunale e la Corte d'appello avevano
fondato il loro originario convincimento in ordine all'esistenza
di un'accettazione incondizionata della cessione - fosse,
quoad tempus, sicuramente precedente al contratto di factoring,
e, perciò, intrinsecamente inidonea ad integrare gli
estremi dell'atto di accettazione incondizionata, non essendosi
la relativa cessione ancora perfezionatasi;
- che doveva senz'altro escludersi la formazione di un giudicato
interno in ordine alla anteriorità della stipula del
contratto di factoring (asseritamente intercorsa in forma
orale, secondo l'assunto della S.Paolo, prima della sua materiale,
successiva riproduzione scritta) rispetto alla missiva de
qua, atteso che la prospettazione dell'esistenza di un contratto
in forma verbale risalente ad epoca anteriore tanto a quello
scritto quanto alla missiva della società appellante
non aveva, in realtà, mai formato oggetto di considerazione
e valutazione da parte dei giudici di merito di primo e secondo
grado;
- che, pertanto, era onere della S.Paolo fornire la prova
diretta di tale, pregressa stipula negoziale del factoring,
in ipotesi realizzatasi in forma soltanto orale;
- che tale prova, pur in costanza di circostanze significative
(ed idonee ad integrare gli estremi della prova indiretta,
quale la comunicazione con missiva dell'avvenuta cessione
intercorsa tra la Biagioni e la Arredamento Lombardo) non
era stata completamente fornita dall'appellata, di talchè
la missiva con la quale quest'ultima comunicava al cessionario
di aver preso "buona nota" del contenuto della comunicazione
di cessione proveniente dalla Biagioni era del tutto privo
di valenza e, comunque, sicuramente priva della valenza di
accettazione incondizionata della cessione stessa, e ciò
quand'anche si fosse ipoteticamente ritenuta provata la conclusione
di un precedente contratto orale di factoring Biagioni-S.Paolo,
atteso che l'espressione "prendere nota" adottata
dall'appellante equivaleva non altro che ad un mero riscontro
dell'avvenuta acquisizione di una conoscenza di fatti giuridicamente
rilevanti (dovendosi qualificare per converso "atto di
accettazione" una manifestazione di volontà del
dichiarante riconducibile ad un'adesione al negozio giuridico
intercorso tra cedente e cessionario), mentre l'ulteriore
specificazione, pur contenuta nella missiva in parola, in
ordine all'assicurazione circa i pagamenti da eseguirsi in
favore del cessionario, era da ritenersi una locuzione necessitata
dalla premessa concernente la comunicazione della presa d'atto
della intercorsa cessione dei crediti (alla stessa soluzione
perverrà la corte subalpina con riferimento alle ulteriori
comunicazioni attinenti alla cessione di singoli crediti con
le quali l'Arredamento Lombardo confermava al cessionario
l'aver preso buona nota dell'avvenuta cessione, "non
essendo anche in relazioni ad esse in alcun modo ravvisabili
manifestazioni di volontà implicantiadesione");
- che, per l'effetto, l'Arredamento Lombardo aveva facoltà
di opporre in compensazione alla S. Paolo i crediti vantati
nei confronti della cedente Manifattura Biagioni e precedenti
alle comunicazioni delle singole cessioni, crediti quantificabili
in L. 272.963.200, tale somma (e solo essa) potendosi legittimamente
ritenere opponibile in compensazione alla luce delle prove
addotte;
- che l'appello incidentale della S.Paolo relativo alla richiesta
di risarcimento per comportamento omissivo da parte del debitore
ceduto, ammissibile in rito, nonostante la sua mancata proposizione
nel corso del giudizio di secondo grado precedente la cassazione
con rinvio sotto forma di appello incidentale condizionato,
era da respingersi nel merito, non sussistendo, nella specie,
un obbligo a carico del debitore di impedire l'evento dannoso.
Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di
Torino ricorre la S. Paolo Fin, sulla base di 7 motivi di
doglianza.
Resiste con controricorso la Arredamento Lombardo s.p.a.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex
art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato e va, pertanto,
rigettato.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa
applicazione dell'art. 342 c.p.c. e dell'art. 384 c.p.c. -
omessa insufficiente motivazione su un punto decisivo della
controversia:
egli sostiene che la Corte di rinvio, anzichè attenersi
al principio di diritto enunciato dalla S.C. con la sentenza
1876/1999, avrebbe ecceduto i limiti di indagine imposti dalla
sentenza della Cassazione, limiti consistenti (a suo dire)
nella ricerca, e nella conseguente motivazione, dell'esistenza
di una accettazione pura e semplice manifestata, o meno, dal
ricorrente (avendo la Corte di legittimità giudicato
insufficiente la motivazione della sentenza d'appello in parte
qua).
Con il secondo motivo, si censura la sentenza del giudice
d'appello sotto il profilo della pretesa violazione dell'art.
346 c.p.c. e dell'art. 2909 c.c. quanto al non ritenuto passaggio
in giudicato della sentenza dei primi giudici di merito sull'esistenza
della cessione di credito alla data del 12.4.1989 - omessa
e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.
A detta del ricorrente, dunque, il giudice ad quem non era
chiamato ad accertare o meno la preesistenza della cessione
alla data del 12.4.1989, ma soltanto a verificarne la portata
(a verificare se, cioè, essa era stata accettata puramente
e semplicemente oppure no), mentre il giudice di rinvio, ritenuto
insussistente alcun giudicato sul punto, aveva indagato sull'esistenza
stessa della prima cessione.
Con il terzo motivo, il ricorrente si duole di una asserita
violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.,
1325 c.c. - omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione
-omessa e/o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c.. La Corte
torinese avrebbe, comunque, errato (impregiudicate le doglianze
di cui al secondo motivo) nel ritenere non provata la cessione
verbale in epoca antecedente al 12.4.1989, potendo la cessione
stessa essere dimostrata anche con presunzioni, ed avendo
i giudici del rinvio ritenuta raggiunta, sul punto, "una
prova indiretta significativa di una preesistente cessione".
Con il quarto motivo, si rappresenta a questa Corte una ulteriore
violazione e falsa applicazione degli artt. 1260 e 1264 c.c.
- motivazione insufficiente - omessa pronuncia su punti decisivi
della controversia. Sostiene il ricorrente che "l'eccezione
di inesistenza del contratto costituisce un falso problema,
atteso che il debitore ceduto non potrebbe opporre al cessionario
le eccezioni che attengonoal rapporto di cessione, perchè
il debitore è rimasto ad esso estraneo e tale rapporto
non incide in alcun modo sull'obbligo di adempiere" (viene
citata, in proposito, la pronuncia di questa Corte 5.2.1988,
n. 1257).
Con il quinto motivo, si lamenta ancora violazione e falsa
applicazione degli artt. 1264 e 1248 c.c. - omessa e/o insufficiente
motivazione su un punto decisivo della controversia. Il ricorrente
sottopone a critica l'interpretazione della corte di merito
con riferimento all'espressione adottata dall'odierna resistente
"aver preso buona nota", ritenendo che tale sintagma,
lungi non poter assumere il significato giuridico di un'accettazione,
come opinato da quei giudici, costituisca, per converso, proprio
l'espressione di una accettazione che, come noto, non deve
rivestire alcuna formasacramentale. Inoltre, non essendo stata
formulata alcuna riserva in quella sede, l'accettazione doveva
ritenersi pura e semplice.
Con il sesto motivo, si critica ancora la sentenza d'appello
sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell'art.
1248, comma 2 c.c. - omessa e/o insufficiente motivazione
su un punto decisivo della controversia: osserva il ricorrente
come, incontrovertibile (a suo dire) l'esistenza di un contratto
di cessione alla data del 12.4.1989, i crediti vantati da
Arredamento Lombardo non potevano in alcun modo essere opposti
in compensazione, perchè sorti posteriormente alla
notifica della cessione stessa.
Con il settimo ed ultimo motivo, infine, si lamenta una ulterioreviolazione
e falsa applicazione degli artt. 1260, 1264, 1115, 2043 c.c.
- omessa, insufficiente motivazione su un punto decisivo della
controversia, sotto il profilo della non riconosciuta sussistenza,
in capo alla ricorrente, del diritto ad un risarcimento conseguente
all'omissione di informazione, da parte dell'Arredamento Lombardo,
e nei confronti di essa cessionaria, dell'esistenza di suoi
controcrediti nei confronti della cedente Biagioni, crediti
che sarebbero poi regolarmente opposti in compensazione.
Tutte le doglianze così come sinora esposte sono destituite
di giuridico fondamento.
I primi tre motivi ed il quinto, da esaminarsi congiuntamente
stante la loro intima connessione, censurano la sentenza d'appello
per un presunto travalicamento dei limiti imposti da un procedimento
(quale quello di rinvio) che, come noto, si caratterizza per
la sua struttura "a critica limitata" rispetto all'actio
finium regundorum compiuta dalla Corte di Cassazione con riferimento
all'oggetto del giudizio, e per una inesatta ricostruzione/interpretazione
degli atti processuali.
I motivi si infrangono, da un canto, contro il tenore letterale
della prima sentenza di questa stessa Corte, che, nell'accogliere
il secondo motivo del ricorso Arredamento Lombardo, indica
al giudice del rinvio, quale thema decidendum, l'accertamento
tanto sull'esistenza quanto sull'accettazione della cessione
contestata;
dall'altro, sull'insuperabile ostacolo costituito dalla duplicità
di ratio decidendi in realtà adottata dal giudice del
rinvio che, sia pur con motivazione estremamente sintetica,
ha ritenuto non soltanto carente la prova certa dell'esistenza
della cessione anteriormente alla data del 12.3.1990, ma anche,
ad ogni buon conto - e pur volendo invece opinare che tale
cessione si fosse invece perfezionataanteriormente -, non
provata alcuna accettazione della cessione stessa. Risulta
così evidente che, pur accogliendo le doglianze del
ricorrente riferibili alla questione circa l'esistenza della
cessione, la decisione oggi impugnata non ne risulterebbe
modificata nel suo definitivo decisimi, atteso che la mancata
accettazione di quella vicenda negoziale inter alios acta
legittimava, di per sè, il resistente alla proposizione
delle eccezioni derivanti dai suo rapporti con il cedente
(come nella specie avvenuto). L'accertamento compiuto in parte
qua dalla Corte torinese, scevro da vizi logico- giuridici,
risulta pertanto definitivamente cristallizzato nella sua
dimensione fattuale (e perciò solo impeditiva di qualsiasi
censura da parte di questa Corte di legittimità) nella
misura in cui l'interpretazione letterale fornita alla dizione
"prendere buona nota" ne abbia escluso una inequivocabile
valenza di accettazione pura e semplice: sicchè, pur
lamentando formalmente un difetto dimotivazione ed una violazione
dei canoni ermeneutici funzionali alla corretta ricostruzione
delle vicende negoziali intervenute inter partes, i motivi
esaminati si risolvono, in realtà, nella (non più
ammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti ormai definitivamente
accertati in sede di merito, evidente apparendo come il ricorrente,
lungi dal prospettare alcun vizio rilevante della sentenza
gravata sotto il profilo di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c.,
nella parte in cui ha ritenuto non provata la cessione verbale
e, comunque (e decisivamente), non provata l'accettazione
del debitore ceduto, si limiti ad invocare una diversa lettura
delle risultanze come accertare e ricostruite dalla corte
di merito: censura invero inammissibile perchè la valutazione
delle risultanze probatorie (non meno che il giudizio sull'attendibilità
delle stesse) così come lascelta, fra esse, di quelle
ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involge
apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice
di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento
e della propria decisione una fonte di prova con esclusione
di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale
a scapito di altre pur astrattamente possibili (o addirittura
probabili), non incontra altro limite che quello di indicare
le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro
tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale
ovvero a confutare ogni e qualsiasi deduzione difensiva. E'
principio di diritto ormai consolidato quello per cui l'art.
360 n. 5 del codice di rito non conferisce in alcun modo e
sotto nessun aspetto alla Corte di Cassazione il potere di
riesaminare il merito della causa, consentendole, per converso,
il solo controllo - sotto il profilo logico/formale e della
correttezza giuridica - dell'esame e delle valutazioni compiute
dal giudice del merito, al quale soltanto, va ripetuto, spetta
l'individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando
le prove, controllandone l'attendibilità e la concludenza,
scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione
dei fatti in discussione (eccezion fatta, beninteso, per i
casi di prove c.d. legali, tassativamente previste dal sottosistema
ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando,
apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza
di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto
con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio
di legittimità) sollecita una nuova valutazione delle
risultanze fattuali del processo ad opera di questa Corte,
onde trasformare surrettiziamente il giudizio di Cassazione
in un terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente
tanto il contenuto difatti e vicende processuali, quanto l'attendibilità
maggiore o minore di questa o di quella risultanza procedimentale,
quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non
condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne
la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata
(quasi che la fungibilità nella ricostruzione di un
fatto fosse ancora legittimamente predicabile in seno al giudizio
di Cassazione).
Il quarto motivo si articola secondo un iter argomentativo
non facilmente comprensibile sotto il profilo giuridico: la
sentenza citata dal ricorrente sul tema delle eccezioni proponibili
dal debitore ceduto, difatti, recita, nella sua interezza
(e non nella versione "depurata" offerta dal ricorrente
stesso a questa Corte) e testualmente: il debitore ceduto
può opporre al cessionario solo le eccezioni opponibili
al cedente. Tali eccezioni sono sia quelle dirette contro
la validità dell'originario rapporto (nullità
-annullabilità), sia quelle dirette a far valere l'estinzione
del credito (pagamento - prescrizione e, va aggiunto, compensazione,
).
Al contrario, non può il debitore ceduto opporre al
cessionario le eccezioni che attengono al rapporto di cessione,
perchè il debitore è rimasto ad essa estraneo
e tale rapporto non incide in alcun modo sull'obbligo di adempiere.
Sul punto della eccepibilità di fatti estintivi del
rapporto obbligatorio cedente-ceduto, ogni ulteriore osservazione
sembra, pertanto, un fuor d'opera.
Anche il sesto motivo si infrange sull'insuperabile ostacolo
costituito dall'accertamento di fatto compiuto dalla Corte
torinese in ordine ai crediti concretamente opponibili in
compensazione quoad tempus, accertamento correttamente fondato
su supporti documentali e contabili (accertamento che, nel
suo assoluto rigore di indagine, ha per converso escluso la
compensabilità di crediti relative a pregresse forniture
difettose, ritenendoli sostanzialmente "sconto corrispondente
nella sostanza ad una mera riduzione di prezzo").
Quanto al settimo motivo, rettamente ritenuto ammissibile
in rito dalla Corte subalpina, va preliminarmente osservato
come, nella giurisprudenza di questa Corte, esista un contrasto
circa i limiti che incontra il debitore nell'evitare al creditore
un maggior danno come conseguenza del proprio comportamento
omissivo. In argomento, di recente, la sentenza 29 luglio
2004, n. 14484 di questa stessa sezione, nell'affrontare funditus
il tema della responsabilità per danno da illecito
omissivo, ha predicato il principio di diritto secondo cui:
l'obbligo giuridico di impedire il verificarsi di un evento
dannoso può sorgere in capo all'autore dell'illecito
non soltanto quando una norma o uno specifico dovere negoziale
impongano di attivarsi per impedire l'evento, ma anche quando
si verifichi una specifica situazione che esige il compimento
di una determinata attività a tutela di un diritto
altrui (si è così ritenuto responsabile del
danno subito dall'emittente di un assegno bancario il soggetto
che, ricevuta una lettera contenente l'assegno sebbene indirizzata
ad altri, invece di restituirla al mittente l'aveva trattenuta
omettendo di custodirla onde impedire che il titolo di credito
venisse sottratto da terzi che, frequentandone la casa, ovvero
introducendosi in essa con il suo consenso, se ne erano impossessati
e, a mezzo di ulteriore attività illecita, avevano
riscosso la somma indicata nell'assegno).
La sentenza si ricollega ad uno dei due contrastanti orientamenti
affermatisi in seno alla Corte di legittimità in tema
di tipicità (ovvero di atipicità) dell'illecito
omissivo. Secondo un primo, più rigoroso filone interpretativo,
difatti, non sarebbe sufficiente una generica antidoverosità
sociale dell'inerzia, essendo, viceversa, necessaria la presenza
di un vero e proprio obbligo giuridico (legaleo negoziale)
di attivarsi per impedire l'evento dannoso (in tali sensi,
Cass. n. 116 del 1979, n. 2134 del 1992, n. 9590 del 1990,
secondo la quale, in particolare, affinchè una condotta
omissiva possa essere assunta come fonte di responsabilità
per danni, non basta riferirsi al solo principio del neminem
laedere o ad una generica antidoverosità sociale della
condotta del soggetto che non abbia impedito l'evento, ma
occorre individuare, caso per caso, a suo carico, un vero
e proprio obbligo giuridico di impedire l'evento lamentato,
obbligo che può derivare o direttamente da una norma,
ovvero da uno specifico rapporto negoziale o di altra natura
intercorrente fra il titolare dell'interesse leso e il soggetto
chiamato a rispondere della lesione). L'opposto orientamento,
cui fa riferimento la sentenza 14484/2004, accoglie invece
una più ampia nozione dell'obbligo di attivarsi per
impedire l'evento, predicandonela riconducibilità anche
a particolari situazioni (ricorrenti specie in tema di rapporti
bancari) nelle quali un soggetto abbia la chiara consapevolezza
del pericolo del danno altrui e della relativa evitabilità
attraverso un proprio comportamento attivo/cautelare (in tal
senso si sono espresse, tra le altre, Casa. n. 11207 del 1992,
n. 72 del 1997, n. 6691 del 1998).
Questa Corte, nel far proprie le argomentazioni adottate a
sostegno del primo dei due ricordati orientamenti, ritiene
di aderire a quello più rigoroso espresso in subiecta
materia, confermando, pertanto, la decisione adottata, sul
punto, dalla Corte torinese.
Il ricorso è conclusivamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo
che segue.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamentodelle
spese del presente giudizio che si liquidano in complessivi
Euro 8100, di cui 100 per spese generali.
Così deciso in Roma, il 2 marzo 2005.
Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2005.
La redazione di megghy.com |