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Il giudicato penale non esplica alcuna efficacia nel giudizio tributario

Cassazione , sez. V, sentenza 16.05.2005 n° 10269

SUPREMA CORTE DI CASSAIONE

SEZIONE V

SENTENZA 16-05-2005 n. 10269


Svolgimento del processo

Con tempestivo ricorso il sig. Giuseppe B. impugnava innanzi alla Commissione Tributaria di Primo Grado di Siena l'avviso di accertamento di sanzioni, con il quale l'Ufficio IVA di Siena - in forza di un verbale di constatazione della Guardia di Finanza dal quale risultava riscontrata la mancata emissione per l'anno 1988 di n. 100 scontrini fiscali a fronte di cessioni per L. 123.358.677 - gli aveva comminato la pena pecuniaria della somma di L. 20.000.00.

La Commissione adita, con sentenza n. 439/2/95 del 25 ottobre 1995, accoglieva il ricorso ritenendo che l'acquisizione della documentazione contabile da parte della Guardia di Finanza fosseavvenuta senza la formale autorizzazione della polizia giudiziaria.

La decisione era riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, la quale, con la sentenza in epigrafe, accoglieva l'appello dell'Ufficio.

Avverso tale sentenza, con atto notificato il 1^ febbraio 1999, il contribuente propone ricorso per Cassazione con cinque motivi.

Resiste il Ministero delle Finanze con controricorso notificato il 13 marzo 1999.


Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, il contribuente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 52 e 75, D.P.R. n. 633/1972, 33,D.P.R. 600/1973 e 110 c.p.c., affermando che "la mancanza della firma da parte del Procuratore della Repubblica di Montepulciano sul provvedimento emesso nei confronti del B., con il quale la Guardia di Finanza ha proceduto agli accessi e verifiche ai fini dell'accertamento delle imposte è atto insanabilmente nullo": di conseguenza "quanto acquisito dalla Guardia di Finanza è inutilizzabile e nulli devono ritenersi i rilievi mossi dai finanzieri e gli atti posti in essere dai medesimi".

Il motivo non è fondato. Il giudice tributario, come emerge dalla sentenza impugnata, ha accertato, in esito ad una apposita istruttoria, che il provvedimento di autorizzazione era, nell'originale, sottoscritto dal Procuratore della Repubblica: si tratta di un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità e che, peraltro, nel ricorso nemmeno è oggetto dialcuna adeguata censura in punto di motivazione. Non può dirsi, quindi, che l'accesso nella casa di abitazione del contribuente e nello studio del commercialista presso il quale si asseriva essere stata depositata la documentazione contabile sia stato eseguito sulla base di un provvedimento insanabilmente nullo, nè può parlarsi di inutilizzabilità delle prove eventualmente raccolte nell'esecuzione dell'accesso nei luoghi predetti. Peraltro, va evidenziato che il giudice d'appello ha affermato che l'istruttoria svolta ha rivelato che la documentazione utile (ed effettivamente utilizzata) ai fini dell'accertamento tributario che ha dato luogo alle sanzioni contestate nel giudizio de quo, è stata esclusivamente quella - costituita da "contabili bancarie", "chiusure giornaliere" e "rotolino del giornale di fondo del misuratore fiscale" - rinvenuta "presso la sede dell'attività del contribuente", in un luogo, cioè, per accedere al quale l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica non era necessaria, bastando quella del Capo dell'Ufficio dell'amministrazione finanziaria che aveva disposto la verifica.

Sicchè, essendo risultata irrilevante ai fini dell'accertamento e delle sanzioni irrogate la documentazione raccolta con l'accesso domiciliare e con quello eseguito nello studio del commercialista, l'eventuale inutilizzabilità di tali documenti per una supposta nullità del provvedimento di autorizzazione del Procuratore della Repubblica resterebbe ininfluente sul risultato del giudizio.

Con il secondo motivo di ricorso, il contribuente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 52, comma 1, ultimo cpv., D.P.R. n. 633/1973, in quanto la Guardia di Finanza avrebbe proceduto all'accesso nello studio del commercialista e all'acquisizione dei documenti riguardanti la ditta B. ivi custoditi in assenza del titolare dello studio, Dott. Gabriele M., o di un suo delegato.

Il motivo non è fondato per le stesse ragioni dapprima evidenziate:

se la documentazione utile (e utilizzata) ai fini dell'accertamento tributario è stata sola quella rinvenuta nella sede dell'attività del contribuente, resta irrilevante l'eventuale vizio concernente l'accesso presso lo studio del Dott. M.. Con il terzo motivo di ricorso, il contribuente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 12, L. n. 516/1982, in relazione all'art. 654 c.p.p.. La censura presenta una stretta correlazione con quella sollevata con il quinto motivo di ricorso, con il quale il contribuente denuncia omessa motivazione su un punto decisivo della controversia per aver il giudice tributario omesso l'esame della sentenza penale irrevocabile del Tribunale di Montepulciano che aveva assolto il B. dai reati ascrittigli. I due motivi vanno, quindi, esaminati congiuntamente, poichè concernono, sotto aspetti diversi, una medesima problematica, quella, cioè, della rilevanza del giudicato penale nel giudizio tributario. Si tratta di censure infondate alla luce dell'orientamento espresso da questa Suprema Corte, secondo cui "ai sensi dell'art. 654 del codice di procedura penale - il quale aveva portata modificativa dell'art. 12 del D.L. n. 429/1982 (convertito nella legge n. 516/1982), poi espressamente abrogato dall'art. 25 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 -, l'efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale), e, dall'altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna" (Cass. n. 6337/2002; cfr. altresì Cass. 19481/2004; n. 17037/2002; n. 9109/2002): sicchè l'esistenza di un provvedimento penale favorevole al contribuente non impedisce al giudice tributario una valutazione dei fatti conforme alle tesi dell'amministrazione.

Anzi il giudice tributario deve procedere ad una autonoma valutazione, secondo la regole proprie della distribuzione dell'onere della prova nel giudizio tributario, degli elementi probatori acquisiti nel processo penale, anche qualora ritenga di fondare il proprio convincimento su tali elementi (Cass. n. 17037/2002; n. 9109/2002).

Infatti, la conseguenza del mutato quadro normativo indotto dall'art. 654 c.p.p. "è che nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l'Amministrazione finanziaria ha promosso l'accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all'azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell'esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti ( art. 116 c.p.c.), deve, in ogni caso,verificarne la rilevanza nell'ambito specifico in cui esso è destinato ad operare" (Cass. n. 9109/2002).

Ed è quanto il giudice tributario ha fatto nel caso di specie, accertando, nell'esercizio doveroso dei propri autonomi poteri di valutazione, che: a) l'originale del provvedimento di autorizzazione all'accesso domiciliare (e allo studio del commercialista) era sottoscritto dal Procuratore della Repubblica di Montepulciano; b) l'irrilevanza ai fini dell'accertamento tributario della documentazione acquisita mediante l'accesso domiciliare e l'accesso nello studio del commercialista e, quindi, l'irrilevanza nel giudizio tributario de quo dell'eventuale nullità del relativo provvedimento di autorizzazione (che costituisce l'unico elemento su cui si radica la sentenza penale assolutoria).

Con il quarto motivo di ricorso, il contribuente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 39, d.p.r. n. 600/1973, in quanto il giudice tributario avrebbe motivato che "il numero degli scontrini fiscali che il B. non avrebbe emesso, trova riscontro nel numero dei buoni di consegna rinvenuti e riscontrati con il giornale di fondo del misuratore fiscale", dando così valore ad "una presunzione semplice (a buoni di consegna rinvenuti corrispondono altrettanti scontrini emessi)" e non, come richiesto dalla normativa di cui si lamenta il malgoverno, ad una presunzione grave, precisa e concordante.

Il motivo è infondato. Il giudice tributario, in base ad un accertamento di fatto non sindacabile in questa sede di legittimità, ha affermato che "l'esame delle contabili bancarie - ha consentito di accertare l'effettivo ammontare dei corrispettivi conseguiti nell'anno in contestazione. Tali conclusioni hanno trovato conforto nei buoni di consegna che, riscontrati con il giornale di fondo del misuratore fiscale, hanno consentito di verificare la mancata emissione di 100 scontrini fiscali". Non è vero, quindi, come afferma il ricorrente, che la motivazione della sentenza impugnata si esaurisca nell'affermazione di un riscontro incrociato tra scontrini fiscali non emessi, buoni di consegna e giornale di fondo del misuratore fiscale: nel quadro della motivazione si inserisce anche l'elemento della verifica dell'"effettivo ammontare dei corrispettivi conseguiti nell'anno in contestazione" ricostruito attraverso l'esame dei movimenti bancari, che costituiscono "valida prova presuntiva" di fronte alla quale spetta al contribuente l'"onere della prova liberatoria" (Cass. n. 7329/2003; n. 4601/2001), prova che nel caso di specie nemmeno viene dedotto che sia stata assolta. E', quindi, il controllo incrociato tra "effettivo ammontare dei corrispettivi", "buoni di consegna", "giornale di fondo del misuratore fiscale" e"scontrini", a costituire il quadro complesso che consente, nel pieno rispetto delle disposizioni di cui si lamenta a torto la violazione e falsa applicazione, il riscontro delle omissioni sanzionabili addebitate al contribuente.

Il ricorso deve essere, pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza.


P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio che liquida in complessivi E. 1.100,00, di cui E. 1.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.


Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 aprile 2005.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2005.


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Note

1) La sezione V della Corte di Cassazione, con la sentenza n°14699/01 del 05/07/2001, depositata in cancelleria il 21/11/2001, ha statuito in merito ai rapporti tra giudicato penale e processo tributario che “ il collegio non ha ragione per discostarsi dall’indirizzo di questa Corte (Cass. 7403/1995, 5730 e 10411/1998, 13939/1999, 9410 e 12577/2000, 2728/2001), secondo cui l’efficacia vincolante del giudicato penale nel giudizio civile o amministrativo, fissata nell’art. 654 C.P.P. è subordinata alla duplice condizione che la decisione penale –relativa ai medesimi fatti materiali, oggetto della situazione controversa– sia fatta valere nei confronti di chi abbia partecipato al relativo giudizio, e che la legge non ponga limiti alla prova del diritto controverso. Dovendosi ritenere la disciplina dell’art. 12 comma 1 del D.L. 429/1982, convertito con modifiche nella legge 516/1982, in tali sensi modificata (arg. art. 207 Disp. Att. C.P.P.) e quindi abrogata in maniera espressa (art. 20 del D.lg. 74/2000), ne deriva l’impossibilità di far valere il giudicato penale nel processo tributario -anche se l’Amministrazione finanziaria si sia costituita parte civile-, poiché in esso sono posti limiti alla prova del diritto controverso (art. 7. comma 4 del D. Lgs 546/1992 e, antecedentemente, art. 35, comma 5 del d.p.r. 636/1972).

Il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all'azione accertatrice del singolo ufficio tributario ma nell'esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti ex articolo 116 cpc deve in ogni caso verificarne la rilevanza nell'ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (in tal senso, Cassazione sez. v sentenza n. 9109 del 21/06/2002).

Con sentenza n. 3961 del19/03/2002 la sez. della Suprema Corte di Cassazione ha così statuito:

“Ai sensi dell’art. 654 cod. proc. pen. l’efficacia vincolante del giudicato penale nei giudizi civili ed amministrativi per coloro cha abbiano partecipato al processo penale è espressamente sottoposta alla duplice condizione che nel giudizio civile o amministrativo (e quindi anche in quello tributario) la soluzione dipendi dagli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudicato penale e che la legge civile non ponga limitazione alla prova ”della posizione soggettiva controversa”; va conseguentemente esclusa l’efficacia di giudicato della sentenza penale d'assoluzione (dal reato di cui all’art. 1, secondo comma, 1. l. n. 516 del 1982 adottata con la formula “perché il fatto non sussiste”) nel giudizio tributario, perché, da un canto, gli accertamenti induttivi effettuati in base alle caratteristiche dell’attività non possono considerarsi rientrare nella nozione di “fatti materiali”, non essendo la presunzione un atto materiale inteso nella sua realtà fenomenica bensì un’operazione mentale con la quale – attraverso il ragionamento induttivo – si perviene a considerare come accertata la verità di un fatto; d’altro canto, il processo tributario è notoriamente caratterizzato da un sistema probatorio molto limitato rispetto a quello penale, sia per la presenza di presunzioni legali sia per il divieto di prova testimoniale”.

Con la sentenza n. 6337 del 03/05/2002 la sez. V ha così statuito:

“Ai sensi dell’art. 654 del codice di procedura penale- il quale aveva portata modificativa dell’art. 12 del D.L. n. 429 del 1982 (convertito nella legge n. 516 del 1982), poi espressamente abrogato dall’art. 25 del D.lg. 10 marzo 2000, n.74-, l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna”.

La redazione di megghy.com

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