Corte di cassazione
Sezione lavoro
Sentenza 21 gennaio 2005, n. 1268
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Pretore di Napoli G.C., alla quale la competente
Commissione sanitaria aveva accertato una invalidità
in misura del 100% con diritto all'indennità di accompagnamento,
riducendo a seguito di revisione la percentuale invalidante
nella misura del 70%, esponeva di avere inutilmente richiesto
in sede amministrativa il riconoscimento del proprio stato
di invalidità civile integrante il diritto alla pensione
di inabilità con indennità di accompagnamento.
Chiedeva, quindi, che, disposti gli accertamenti del caso,
il ministero dell'Interno venisse condannato all'erogazione
dei benefici richiesti.
Dopo la costituzione del Ministero e l'espletamento di una
c.t.u. medico-legale, il Pretore respingeva il ricorso.
A seguito di gravame della parte soccombente, il tribunale
di Napoli con sentenza del 16 agosto 2002, in riforma dell'impugnata
sentenza, condannava il Ministero alla corresponsione in favore
della controparte della pensione di inabilità, a far
tempo dal compimento del diciottesimo anno di età,
oltre accessori come per legge. Negava, invece, l'indennità
di accompagnamento sul presupposto che il diritto a detta
indennità sorge allorquando lo svolgimento anche dei
più semplici e frequenti atti della vita quotidiana
sia suscettibile di creare concreti, seri e gravi pericoli
all'integrità fisica dell'invalido, e non allorquando
- come nella fattispecie in oggetto - questa condizione non
si verifichi per essere l'invalido in condizione di svolgere,
in situazione di accettabile autonomia, la quasi totalità
degli atti del quotidiano.
Avverso tale sentenza G.C. propone ricorso per cassazione,
affidato a tre motivi.
Il ministero dell'Interno non si è costituito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce erronea e falsa
interpretazione dell'art. 1 della l. 18/1980 e dell'art. 1
della l. 509/1988. Con il secondo motivo lamenta l'inadeguatezza
della motivazione del tribunale di Napoli circa la negata
connessione tra infermità ed autosufficienza, e con
il terzo motivo l'inadeguatezza anche del procedimento logico-giuridico
al fine della condivisione delle risultanze del c.t.u.
A sostegno di detti motivi la ricorrente denunzia una non
corretta individuazione da parte del giudice d'appello del
concetto di autonomia, perché ciò che va ricercato
ai fini della idoneità al compimento degli atti quotidiani
- impeditiva del diritto all'accompagnamento - non è
la mera capacità esecutiva dell'atto, ma la capacità
di autonomamente comprendere quando quell'atto deve essere
compiuto. In altri termini, non deve ritenersi capace di compiere
autonomamente gli atti quotidiani della vita chi si veste,
si lava, si pettina, si muove, si nutre solo se qualcuno lo
sollecita ad eseguire tali atti.
Situazione questa riscontrabile in essa ricorrente, che,
come emergeva dalla consulenza d'ufficio - fatta propria dal
giudice d'appello - era affetta da ritardo mentale di grado
medio, emicrania ed epilessia farmaco-resistente con crisi
secondarie generalizzate in trattamento. Più specificamente
l'ausiliare del giudice aveva ravvisato una menomata capacità
di astrazione e di concettualizzazione, una carenza di progettualità,
una lacunosità della memoria, sia di rievocazione che
di fissazione, ed ancora una suggestionabilità e difficoltà
a discriminare tra soggetti estranei e familiari, sì
da concludere che i portatori di patologie, analoghe a quella
di essa C., difficilmente progrediscono oltre il livello della
seconda elementare nelle materie scolastiche.
2. Le censure della ricorrente sono fondate e, pertanto,
meritano accoglimento.
2.1. Ai fini di un ordinato iter motivazionale appaiono opportune
alcune preliminari puntualizzazioni sulla natura e la ratio
dell'indennità di accompagnamento.
E' giurisprudenza costante di questa Corte che le condizioni
previste dall'art. 1 della l. 18/1980 per l'attribuzione dell'indennità
di accompagnamento consistono alternativamente nella impossibilità
di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore,
oppure nella incapacità di compiere gli atti quotidiani
della vita senza continua assistenza. La situazione di non
autosufficienza, che è alla base del riconoscimento
del diritto in esame, è caratterizzata, pertanto, dalla
permanenza dell'aiuto fornito dall'accompagnatore per la deambulazione,
o dalla quotidianità degli atti che il soggetto non
è in grado di svolgere autonomamente; in tale ultimo
caso è la cadenza quotidiana che l'atto assume per
la propria natura a determinare la permanenza del bisogno,
che costituisce la ragione stessa del diritto (cfr. ex plurimis:
Cassazione 13362/2003; Cassazione 5027/2003; Cassazione 4389/2001).
E' stato, inoltre, affermato che le provvidenze a favore
dei mutilati ed invalidi civili, previste, rispettivamente,
dall'art. 12 della l. 118/1971 (pensione di inabilità)
e dall'art. 1 della l. 18/1980 (indennità di accompagnamento),
sono tra loro nettamente distinte, per essere assolutamente
irrilevante per il riconoscimento di quest'ultima provvidenza
lo stato di totale incapacità lavorativa o la presenza
delle condizioni economiche stabilite dall'art. 26 della l.
153/1969, perché la concessione dell'indennità
di accompagnamento si configura come una prestazione del tutto
peculiare in cui l'intervento non è indirizzato - come
avviene per la pensione di inabilità - al sostentamento
del soggetto minorato nelle sue capacità di lavoro
(tanto vero che l'indennità può essere concessa
anche ai minori degli anni diciotto ed a soggetti che, pur
non essendo in grado di deambulare senza l'aiuto di un terzo,
svolgano tuttavia una attività lavorativa al di fuori
del proprio domicilio), ma è rivolto principalmente
a sostenere il nucleo familiare onde incoraggiarlo a farsi
carico dei suddetti soggetti, evitando così il ricovero
in istituti ed assistenza, con conseguente diminuzione della
relativa spesa sociale (Cassazione 11295/2000).
E' stato infine chiarito che non assume alcuna rilevanza
ai fini del riconoscimento all'indennità in esame la
circostanza che la necessità di un concreto e fattivo
aiuto fornito da terzi sia perdurante per l'intera giornata,
potendo anche momenti di attesa, qualificabili come assistenza
passiva, alternarsi nel corso della giornata a momenti di
assistenza attiva, nei quali la prestazione dell'accompagnatore
deve concretizzarsi in condotte commissive (cfr. al riguardo
Cassazione 5784/2003).
2.2. Orbene, in considerazione del rilievo costituzionale
assunto dall'assistenza (art. 38 Cost.) e della ratio sottesa
all'indennità di accompagnamento - cui non è
di certo estranea, come visto, l'esigenza di sostenere il
nucleo familiare onde agevolare la permanenza in esso di soggetti
abbisognevoli per le loro gravi infermità di un continuo
controllo - i principi innanzi enunciati devono trovare applicazione
in presenza di quelle malattie che, per incidere notevolmente
sulle capacità intellettive ed, in genere, cognitive,
trovano nella famiglia, per i suoi naturali vincoli solidaristici,
l'ambiente più favorevole ad alleviare le sofferenze
di quanti sono da esse colpiti.
Ciò spiega la copiosa giurisprudenza dì questa
Corte, che ha riconosciuto il diritto all'indennità
di accompagnamento: a persona che, per deficit organici e
cerebrali per "patologia connatale", si presentava
incapace di "stabilire autonomamente se, quando e come"
svolgere gli atti elementari della vita quotidiana, riferendosi
l'incapacità non solo agli atti fisiologici giornalieri
"ma anche a quelli direttamente strumentali, che l'uomo
deve compiere normalmente nell'ambito della società"
(Cassazione 3299/2001); a persona che, per infermità
mentali, difettava anche episodicamente di autocontrollo sì
da rendersi pericoloso per sé e per altri (Cassazione
4664/1993); a persona che, per un deficit mentale da sindrome
psico-organica derivante da microlesioni vascolari localizzate
nella struttura cerebrale e destinate a provocare nel tempo
una vera e propria demenza, non poteva sopravvivere senza
l'aiuto costante del prossimo (Cassazione 6673/2002); a persona
che, anche per un deterioramento delle facoltà psichiche
(in un quadro clinico presentante tra l'altro ictus ischemico
e diabete mellito), mostrava una "incapacità di
tipo funzionale", di compiere cioè "l'atto
senza l'incombente pericolo di danno per l'agente o per altri"
(Cassazione 4389/2001); a persona che, affetta da oligofrenia
di grado elevato, con turbe caratteriali e comportamentali,
era incapace di parlare se non con monosillabi e di non riconoscere
gli oggetti, versando così in una situazione di bisogno
di una continua assistenza non solo per l'incapacità
materiale di compiere l'atto, ma anche "per la necessità
di evitare danni a sé e ad altri" (Cassazione
5017/2002).
2.3. Corollario delle diverse statuizioni dei giudici di
legittimità è la configurabilità di un
diritto all'indennità di accompagnamento in relazione
a tutti quelle malattie che, per il grado di gravità
espresso, comportano una consistente degenerazione del sistema
nervoso ed una limitazione delle facoltà cognitive
(ad es.: Alzheimer a gravi forme di vasculopatia cerebrale),
o impedimenti dell'apparato motorio (ad es.: Parkinson), o
che cagionano infermità mentali con limitazioni dell'intelligenza,
e che, nello stesso tempo, richiedono una giornaliera assistenza
farmacologia al fine di evitare aggravamenti delle già
precarie condizioni psico-fisiche nonché incombenti
pericoli per sé e per altri (es. psicopatie con incapacità
di integrarsi nel proprio contesto sociale, o forme di epilessia
con ripetute crisi convulsive, controllabili solo con giornaliere
terapie farmacologiche).
Condizioni patologiche tutte, queste, che rendono a diverso
titolo necessaria una continua assistenza giornaliera, giustificante
il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento,
in attuazione di quegli obblighi di assistenza sociale, il
cui adempimento si mostra indispensabile per infermità
che, come attesta la realtà fattuale, sono sempre più
spesso destinate a gravare sulla vita delle famiglie che vedono
uno dei loro componenti colpiti dalle suddette malattie.
In un siffatto contesto ricostruttivo va evidenziato come
la capacità del malato di compiere gli elementari atti
giornalieri debba intendersi non solo in senso fisico, cioè
come mera idoneità ad eseguire in senso materiale detti
atti, ma anche come capacità di intenderne il significato,
la portata, la loro importanza anche ai fini della salvaguardia
della propria condizione psico-fisica; e come ancora la capacità
richiesta per il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento
non debba parametrarsi sul numero degli elementari atti giornalieri,
ma soprattutto sulle loro ricadute, nell'ambito delle quali
assume rilievo non certo trascurabile l'incidenza sulla salute
del malato, nonché la salvaguardia della sua "dignità"
come persona (anche l'incapacità ad un solo genere
di atti può, per la rilevanza di questi ultimi e per
l'imprevedibilità del loro accadimento, attestare di
per sé la necessità di una effettiva assistenza
giornaliera: cfr. per riferimenti sul punto Cassazione 13362/2003).
2.3. Ed ulteriore corollario di quanto detto è che
la valutazione in concreto della incapacità, richiesta
per il riconoscimento dell'indennità d'accompagnamento,
si traduce in un giudizio di fatto devoluto al giudice di
merito che, se adeguatamente motivato e se formulato nel rispetto
della lettera e della ratio della normativa regolante l'istituto
in oggetto, non è suscettibile di alcuna censura in
sede di legittimità.
3. Nel caso di specie la sentenza impugnata va cassata perché
il giudice d'appello nel rigettare la domanda ha trascurato,
oltre che la giusta lettura del dato normativo (art. 1 l.
18/1980 ed art. 1 l. 508/1988), anche quella che si è
visto essere la sua ratio.
Detto giudice, infatti, pur ritenendo presente nella C. una
alterazione delle sue capacità cognitive, responsabile
di una non lieve debilitazione psichica del soggetto nonché
di difficoltà nella comprensione del linguaggio scritto
e nell'affrontare situazioni al di fuori delle minime necessità
della vita quotidiana "a causa di un pensiero dal corso
rallentato e dal contenuto povero, con conseguenti difficoltà
nella soluzione di problemi anche banali", ha poi concluso
- facendo proprio il parere del consulente d'ufficio - per
l'infondatezza della domanda della suddetta C. senza tra l'altro
fornire una congrua motivazione al suo giudizio. In altri
termini il tribunale di Napoli non ha considerato - così
omettendo un doveroso e rigoroso accertamento sul punto -
se, per la mancanza di una effettiva capacità di intendere
il significato degli atti che andava a compiere, si rendeva
necessaria la presenza di una accompagnatore, anche perché
la C., per essere affetta da epilessia secondaria con crisi
convulsive e potendo ricavare benefici da un trattamento farmacologico,
aveva bisogno nella quotidianità di una continua assistenza.
3.1. Alla stregua dell'art. 384 c.p.c., essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la causa va rimessa ad un
diverso giudice, che si designa nella Corte d'appello di Salerno,
che nel procedere ad un nuovo esame della controversia farà
applicazione del seguente principio di diritto: "L'indennità
di accompagnamento, prevista quale misura assistenziale diretta
anche a sostenere il nucleo familiare, va riconosciuta, alla
stregua dell'art. 1 della l. 18/1980, a coloro che, pur capaci
di compiere materialmente gli atti elementari della vita quotidiana
(quali il mangiare, il vestirsi, il pulirsi, ecc.), necessitano
di un accompagnatore per versare - in ragione di gravi disturbi
della sfera intellettiva e cognitiva addebitabili a forme
avanzate di gravi stati patologici - nella incapacità
di rendersi conto della portata dei singoli atti che vanno
a compiere e dei modi e tempi in cui gli stessi debbano essere
compiuti, di comprendere la rilevanza di condotte volte a
migliorare - o, quanto meno, a stabilizzare o non aggravare
- il proprio stato patologico (condotte volte ad osservare
un giornaliero trattamento farmacologico), e di valutare la
pericolosità di comportamenti suscettibili di arrecare
danni a sé o ad altri".
4. Al giudice di rinvio va altresì rimessa la statuizione
sulle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata
e rinvia alla Corte d'appello di Salerno anche per le spese
di questo giudizio di cassazione.
La redazione di megghy.com |