Corte costituzionale
Sentenza 15 luglio 2005, n. 278
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo
1, comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n.
207 (Sospensione condizionata dell'esecuzione della pena detentiva
nel limite massimo di due anni) promosso con ordinanza del
5 aprile 2004 dal Tribunale di sorveglianza di Venezia sul
reclamo proposto da Lisa Ghin, iscritta al n. 816 del registro
ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 2004.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 maggio 2005 il Giudice
relatore Alfio Finocchiaro.
RITENUTO IN FATTO
1.- Con ordinanza del 5 aprile 2004, il Tribunale di sorveglianza
di Venezia - in sede di reclamo proposto da persona condannata
avverso provvedimento del giudice di sorveglianza - ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell'art. 1,
comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207
(Sospensione condizionata dell'esecuzione della pena detentiva
nel limite massimo di due anni), in riferimento agli artt.
3 e 27, terzo comma, della Costituzione.
Riferisce il rimettente che il Magistrato di sorveglianza
di Venezia aveva negato alla condannata il beneficio della
sospensione condizionata della parte finale della pena detentiva,
introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 207, stante
l'ammissione della stessa alla misura alternativa della detenzione
domiciliare.
Ritiene il rimettente che corretta risulta l'interpretazione
data dal Magistrato di sorveglianza di Venezia alla disposizione
di cui all'art. 1, comma 3, lettera d) della legge n. 207
del 2003, nella parte in cui non consente la concessione del
cosiddetto "indultino" ai condannati ammessi alle
misure alternative alla detenzione, in quanto tra tali misure
è da considerarsi compresa anche la detenzione domiciliare,
che è per alcuni aspetti misura detentiva, ma è
comunque alternativa al carcere.
Andrebbe infatti considerato che l'art. 656, comma 5, del
codice di procedura penale, introdotto dalla legge n. 165
del 1998, comprende espressamente la detenzione domiciliare
tra «le misure alternative alla detenzione» in
carcere. Deve, pertanto, ritenersi che l'ammissione alla detenzione
domiciliare, attuale al momento della decisione del magistrato
di sorveglianza, precluda la concessione della sospensione
condizionata dell'esecuzione della pena. Una diversa interpretazione,
costituzionalmente orientata, non appare ragionevolmente sostenibile,
per le esposte ragioni. Ritiene, tuttavia, il giudice a quo
che la disposizione, così formulata e intesa, attribuisca
al sistema una connotazione estremamente criticabile sotto
il profilo della razionalità e costituzionalità,
e che pertanto debba essere sollevata d'ufficio la questione
di legittimità costituzionale della norma, per contrasto
con gli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, ravvisandosene
la rilevanza e la non manifesta infondatezza.
Rilevante è la questione ai fini della pronuncia sul
proposto reclamo, essendo ineliminabile l'applicazione della
norma nell'iter logico-giuridico che il rimettente deve percorrere
per la decisione, trovandosi la condannata nelle condizioni
previste dall'art. 1 della legge n. 207 del 2003 per l'ammissione
all'"indultino", e a ciò ostando solo la
perdurante ammissione alla detenzione domiciliare.
In punto di non manifesta infondatezza, osserva il giudice
rimettente che il nuovo istituto, introdotto nel sistema dalla
legge n. 207 del 2003, di difficile inquadramento sistematico,
è connotato dalla tendenziale automaticità della
concessione, non essendo demandato al giudice di sorveglianza
alcun apprezzamento discrezionale sulla meritevolezza del
beneficio, né sulla sua idoneità rieducativa
e preventiva, ma esclusivamente l'accertamento della sussistenza
dei requisiti di legittimità previsti dalla legge;
da qui le evidenti analogie della sospensione condizionata
con la misura clemenziale dell'indulto, con la quale ha anche
in comune la disciplina della revoca a causa della commissione
di un delitto non colposo entro il termine previsto dalla
legge, nonché l'estinzione della pena nel caso opposto.
D'altra parte, il cosiddetto "indultino" ha come
contenuto una serie di obblighi e prescrizioni in gran parte
mutuati dalla più ampia delle misure alternative.
2.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.
Secondo l'Avvocatura, infatti, il c.d. "indultino"
avrebbe finalità di deflazione carceraria. E' dunque
logico che da tale beneficio siano esclusi coloro che, già
godendo di misura alternativa alla detenzione, siano estranei
al regime detentivo carcerario.
Coloro che usufruiscono del beneficio di cui alla legge n.
207 del 2003 vengono a trovarsi in un regime di libertà
limitata del tutto analogo a quello cui è sottoposto
colui che usufruisce di una misura alternativa alla detenzione.
Inoltre, il sovraffollamento delle carceri ostacola gravemente
la funzione rieducatrice della pena: peraltro la problematica
rieducativa è del tutto estranea ad un istituto diretto
a sospendere l'esecuzione della pena. In ogni caso sono previste
delle prescrizioni (la cui trasgressione dà luogo alla
revoca della sospensione) che costituiscono una remora al
compimento di nuovi reati e svolgono dunque una funzione rieducativa,
sia pure in senso lato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Il Tribunale di sorveglianza di Venezia dubita della legittimità
costituzionale dell'art. 1, comma 3, lettera d), della legge
1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell'esecuzione
della pena detentiva nel limite massimo di due anni), il quale
prevede come causa ostativa del beneficio previsto dal comma
1 dello stesso art. 1 l'ammissione del condannato ad una misura
alternativa alla detenzione, per violazione dell'art. 3 della
Costituzione, per l'irrazionalità della disposizione,
nonché per violazione dell'art. 27, terzo comma, della
Costituzione, perché la pena non avrebbe alcuna funzione
rieducativa o preventiva, non avendo il giudice di sorveglianza
alcun apprezzamento discrezionale sulla concessione del beneficio.
2.- La questione è fondata.
La disposizione, come rileva il giudice a quo, determina
una irragionevole disparità di trattamento fra il condannato
che, perché "meritevole", è stato
ammesso a misure alternative alla detenzione e il condannato
che - o perché "immeritevole" o perché
non versava nelle condizioni oggettive per avanzare la relativa
richiesta - non è stato ammesso al godimento di tali
misure, dal momento che il primo non può godere del
beneficio della sospensione condizionata della pena residua,
mentre il secondo ottiene prima la sospensione della pena,
e poi, se non commette entro cinque anni delitti non colposi
per i quali riporti una condanna non inferiore a sei mesi
di detenzione, l'estinzione della pena stessa.
E' bensì vero che rientra nella discrezionalità
del legislatore modulare in vario modo i benefici da concedere
ai condannati, con l'unico limite della non manifesta irragionevolezza,
ma questo limite, nella specie, risulta violato, non potendo
la circostanza dell'ammissione o meno a misure alternative
alla detenzione costituire un discrimine per il godimento
del c.d. "indultino", e ciò soprattutto ove
si tenga presente che di quest'ultimo verrebbero a godere
condannati ritenuti non meritevoli di misure alternative e
non anche quelli che sono stati giudicati meritevoli di tali
misure.
L'accoglimento della questione di costituzionalità
sotto il profilo dell'art. 3 della Costituzione comporta l'assorbimento
delle altre censure sollevate con riferimento all'altro parametro
invocato.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1,
comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207
(Sospensione condizionata dell'esecuzione della pena detentiva
nel limite massimo di due anni).
La redazione di megghy.com |