REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROVERETO
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
Sentenza 32/05 g dd. 10 febbraio 2005
Il Giudice dott. Ettore di Fazio all'udienza di data 10 febbraio
2005 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo
la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
*** libero contumace
imputato
del reato p.e.p. dagli artt. 81 cpv 496 C.P. per avere dichiarato
falsamente in data 21/6/2000 al personale della Stazione Carabinieri
di*** M.C. C.D. e M.O. P.D. nell'ambito di un controllo di
Polizia - interrogata sull'identità nell'ambito del
predetto servizio di controllo - la propria identità,
il proprio stato e qualità personali utilizzando il
nominativo di P.A. In *** il ***
Con l'intervento del Pubblico Ministero dott. L.Malacarne
e del difensore di fiducia avv.to Nicola Canestrini del foro
di Rovereto.
Il Pubblico Ministero chiede: condanna alla pena di mesi due
di reclusione più gg. 15 per la continuazione;
Il difensore chiede: l'assoluzione ex art. 530 c.p.p.
Fatto e Diritto
Tratto a giudizio per rispondere del reato ascritto non compariva
innanzi a questo giudice S.A. (notificato al domicilio eletto
presso il difensore di fiducia), venendo dichiarato contumace;
dato ingresso all'istruttoria dibattimentale veniva escusso
il teste M.llo cc Catalano, ed all'esito il PM e la difesa
concludevano come da pv d'udienza.
Dall'istruttoria dibattimentale è emerso che:
ü nel corso di un ordinario controllo svolto presso un
cantiere edile il 21/6/2000 uno degli operai presenti in cantiere
è risultato non provvisto del permesso di soggiorno;
ü tale persona è stata quindi accompagnata presso
il Comando cc di Rovereto ed in quella sede ha dichiarato
di chiamarsi P.A., asserendo di non avere con sé documenti
di identità;
ü l'individuo è stato quindi accompagnato presso
la Questura di Trento, i cui operanti hanno provveduto ad
identificarlo.
E' pacifico che il teste M.llo ***, indicato quale unico
testimone dalla pubblica accusa, non ha direttamente proceduto
alla identificazione del soggetto fermato e qualificatosi
come P.A.; la compiuta identificazione di tale soggetto, difatti,è
stata eseguita presso la Questura di Trento, ma di tale attività
non si ha contezza alcuna agli atti del dibattimento.
Il PM ha sollecitato il ricorso allo strumento di cui all'art.
507 CPP, chiedendo al giudice di provvedere in via autonoma
ad acquisire gli atti dell'accertamento ed a sentire come
teste l'operante che ha proceduto alla identificazione; si
tratta di un tema di prova che era nella piena disponibilità
e conoscenza della pubblica accusa e non certo emerso ex novo
nel corso del dibattimento.
Chi scrive ritiene di non poter accedere alla sollecitazione
in questione.
Difatti, è preliminare il rilievo per cui il processo
penale, secondo la disciplina e l'impostazione voluta dal
legislatore, è un processo di parti ispirato al principio
accusatorio, nel quale la prova si forma in dibattimento e
nel quale ciascuna delle parti incontra veri e propri oneri
di allegazione; ognuna è tenuta a presentare le proprie
richieste di prova e sulla base delle rispettive allegazioni
deve formarsi il convincimento del giudice terzo. Insito al
sistema è che il giudice è assolutamente terzo
rispetto alle parti e non deve sostituirsi all'onere di allegazione
che su di esse incombe, a differenza di quanto accadeva nel
sistema previdente ispirato al principio inquisitorio, nel
quale al giudice era demandato, con ampiezza di previsione
e di portata, il compito di accertare i fatti e di procedere
officiosamente a tutto quanto necessario a tale scopo.
E' ben vero che l'art. 507 CPP riconosce al giudice la facoltà,
se assolutamente necessario, di disporre l'ufficio l'assunzione
di nuovi mezzi di prova; tale disposizione, tuttavia, in virtù
di una interpretazione sistematica e non limitata al mero
dato letterale, non può essere intesa nel senso di
riconoscere sic et simpliciter al giudice la possibilità
di accertare i fatti in quanto, in tal modo, si tornerebbe
alla concezione (peraltro rispettabilissima, ma che il legislatore
ha inteso superare)
previgente.
L'introduzione del principio costituzionale del giusto processo,
che è tale in quanto si svolge nel pieno contraddittorio
delle parti innanzi ad un giudice terzo ed imparziale, ulteriormente
pone come punto nevralgico l'aspetto della terzietà
e della imparzialità del giudice; vieppiù ne
consegue che le norme processuali vanno lette secondo una
interpretazione costituzionalmente orientata che muova dal
presupposto indefettibile di cui si è detto.
Se così è, a giudizio di chi scrive l'art.
507 CPP non può essere attualmente interpretato (se
se ne vuole dare una lettura costituzionalmente orientata)
nel senso che al giudice va riconosciuto un ampio potere suppletivo
tale da sopperire a carene e negligenze delle parti; in tal
modo, difatti, egli non rispetterebbe il suo ruolo, costituzionalmente
stabilito, di terzietà ed imparzialità, divenendo
egli, al contrario e ad un tempo stesso, parte attiva nell'accertamento
dei fatti e soggetto che su tali fatti va a decidere. Se così
è, l'unica lettura che rende la norma di cui all'art.
507 CP compatibile con il principio costituzionale è
quella per cui al giudice (previa, del caso, sollecitazione
delle parti) va riconosciuto un semplice potere di integrazione
del dato acquisito qualora ciò risulti necessitato
da quanto accertato nel contraddittorio, e sempre che non
si tratti di temi di prova di cui la parte pubblica o quella
privata avevano conoscenza e hanno omesso di allegare. Solo
in un tal caso, difatti, l'attività integrativa del
giudice nell'acquisizione del dato probatorio risulta assolutamente
necessaria, in quanto il particolare strumento di prova fosse
non conosciuto dalle parti e sia emerso solo a seguito dell'instaurato
contraddittorio.
Nel caso in esame, è evidente che l'attivazione del
potere di cui all'art. 507 CPP non è conseguente alla
avvenuta emersione, all'esito del contraddittorio, di una
nuova fonte di prova, posto che la parte pubblica era perfettamente
a conoscenza che l'identificazione del soggetto era stata
condotta da altro soggetto operante ed aveva, quindi, la piena
possibilità di indicare e far assumere il relativo
mezzo istruttorio.
Detto questo, nessun elemento di prova consente di ritenere
che la persona fisica che ha dichiarato al M.llo *** di chiamarsi
P.A. va individuata nella persona di S.A.; certamente esiste
una persona con tali generalità, come è confermato
dalla copia del passaporto della Repubblica d'Albania acquisito
agli atti, ma nulla consente di affermare che in tale soggetto
va individuata la persona con cui è venuto in contatto
l'operante.
L'impossibilità di identificare fisicamente la persona
che ha dichiarato di chiamarsi P.A., di conseguenza, comporta
l'adozione di una pronunzia assolutoria nei confronti di S.A.
con la formula per non aver commesso il fatto (Cass. 1999/2700).
P.Q.M.
Visto l'art. 530 CPP;
assolve S.A. dall'imputazione ascritta per non aver commesso
il fatto.
Motivi nei trenta giorni.
Rovereto, 10 febbraio 2005
Il Giudice Dr. E. Di Fazio
La redazione di megghy.com
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