Cassazione
Sezione Quinta Penale
Sentenza 5 aprile-20 maggio 2005, n. 19378
(Presidente Marini – relatore Amato)
Svolgimento del processo
S. Saverio è stato condannato dal tribunale di Asti
alla pena della reclusione, per ingiuria e lesioni volontarie,
in continuazione. La corte d’appello di Torino ha confermato,
sulla scorta delle deposizioni testimoniali e del referto
sanitario.
Ricorre il difensore, deducendo il vizio di motivazione:
il teste B., dirigente della ditta nei cui locali si è
svolto l’episodio, era assente al momento in cui fu
pronunciata l’ingiuria;
l’appellativo “marocchino” non ha valenza
lesiva, poiché designa semplicemente la provenienza
etnica della p.o.;
il querelante ha reso dichiarazioni incerte e contraddittorie;
il teste B. ha escluso che la p.l. T. sia stata aggredita
e che presentasse escoriazioni o lamentasse alcunché.
Le censure non possono essere condivise.
Va disatteso l’avviso del Pg presso questa Corte, non
potendosi dubitare dell’idoneità lesiva dell’appellativo
“marocchino” rivolto con attitudine di spregio
al querelante, ignorandone deliberatamente come esattamente
osserva il giudice di merito – il nome di battesimo
e il patronimico.
Innanzi tutto, non può non rilevarsi che il rispetto
dell’altrui persona esige che ad essa ci si rivolga
appropriatamente, mediante l’uso del nome o del cognome.
Ciò che, del resto, era di certo possibile nella specie,
ove si considera che il querelante “era validamente
inserito nella realtà operativa dello stabilimento”.
Il teste B. ha consapevolmente riferito che l’imputato
soleva indirizzarsi costantemente alla p.o. con il termine
di “marocchino”.
Orbene, sostantivare l’aggettivo che riflette la provenienza
etnica di una persona ed apostrofare quest’ultima in
tal modo, con evidente atteggiamento di scherno e dileggio,
costituisce ingiuria, che si connota, per giunta, di chiaro
intento di discriminazione razziale, rendendo così
più riprovevole sotto il profilo soggettivo la condotta
offensiva.
Il giudice di merito ha ineccepibilmente chiarito che le
inesattezze nelle quali è incorso il querelante (riguardo
al braccio attinto dall’imputato ed alla timbratura
del cartellino di presenza) sono affatto marginali, poiché
non attengono al “thema probandum” e non intaccano,
pertanto, l’attendibilità del querelante, suffragata
dalle deposizioni testimoniali e dal referto in atti.
La corte di merito, poi, si è soffermata con attenzione
anche sulle dichiarazioni del B., definendole “prudenti”
e sostanzialmente riduttive.
Le censure mosse dal ricorrente sono, dunque, prive di fondamento.
Ciò nonostante, la statuizione sanzionatoria va annullata
“ex officio”. Ed infatti per i reati attribuiti
alla cognizione del giudice di pace (come quelli ascritti
al ricorrente), commessi prima della data di entrata in vigore
del D.Lgs 274/00 e giudicati dal giudice togato, devono applicarsi,
in base alla disciplina transitoria prevista dal combinato
disposto degli articoli 64 e 63, comma 1 D.Lgs cit., siccome
più favorevoli ai sensi dell’articolo 2, comma
3 Cp (vedi Cassazione, Sezione quarta, 20156/03, Bukavec,
m 228343).
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata limitatamente
alla pena, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello
di Torino, per nuovo esame sul punto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla pena, con
rinvio ad altra sezione della corte d’Appello di Torino,
per nuova determinazione. Rigetta nel resto il ricorso.
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