Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 7 marzo 2005, n. 4808
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con verbale notificato il 28 gennaio 1999, gli ispettori dell'INPS
di Milano contestavano alla società Bulloneria B.:
a) di non aver presentato le denunce mensili di cui ai Modelli
DM 10/M e DM 10/S; b) di non aver versato i contributi previdenziali
per i mesi di febbraio, marzo, giugno, luglio, agosto, ottobre
e dicembre 1997, nonché per i mesi dal febbraio all'ottobre
del 1998, per un importo complessivo di lire 215.175.000;
c) di avere indebitamente operato la fiscalizzazione degli
oneri sociali relativi ai mesi indicati con riferimento agli
anni 1997 e 1998 (nei quali risultavano versati i relativi
contributi per un ammontare complessivo di lire 4.978.000);
d) di aver versato contributi inferiori a quelli dovuti relativamente
ad uno dei dipendenti, assunto ed occupato con contratto di
formazione e lavoro a tempo parziale, pari a lire 9.125.000.
La Bulloneria B., nei tre mesi successivi, aveva provveduto
al pagamento delle ritenute previdenziali (evitando così
la punibilità dei fatti contestati in sede penale),
mentre l'Inps, dal suo canto, notificando decreto ingiuntivo
ed atto di precetto, chiedeva il pagamento della complessiva
somma di lire 511.057.473, di cui lire 259.078.000, dovute
a titolo di contributi, di lire 46.253.266, a titolo di somma
aggiuntiva, e di lire 257.602.246 a titolo di sanzione una
tantum.
La società, dopo aver versato un acconto di lire 13.338.000
(di cui 3.388.000 per spese giudiziali), proponeva opposizione
al decreto, lamentando una erronea applicazione, da parte
del giudice di merito, delle norme sanzionatorie vigenti in
tema di omissione contributiva.
Con sentenza del 27 giugno 2000 il tribunale di Milano decideva
in senso sfavorevole all'opponente, che, nell'interporre appello,
censurava la sentenza impugnata per aver ritenuto applicabile
al caso di specie le sanzioni pecuniarie previste per l'evasione
contributiva, e non quelle per la mera omissione.
La Corte d'appello di Milano con sentenza del 4 maggio 2001
rigettava a sua volta il gravame sul punto, osservando come
la normativa applicabile ricomprendeva anche la fattispecie
in oggetto ove, per i mesi rilevati, non erano stati inviati
all'Inps i modelli DM 10 e DM 10/S, indicativi di tutti i
dati costitutivi del debito contributivo. Secondo il Giudice
del gravame, il fatto che i dati relativi ai quadri presentati
dai datori di lavoro all'amministrazione finanziaria in qualità
di sostituti d'imposta fossero accessibili all'Inps e all'Inail
non poteva supplire alla carenza della "specifica denuncia
obbligatoria all'istituto previdenziale per il periodo consentito",
sicché, nella specie, al mancato pagamento dei contributi
si era aggiunta anche l'omissione di denuncia,
Avverso detta sentenza la società B. proponeva ricorso
per cassazione affidato a due motivi dei quali il primo interessa
la presente sede.
Resisteva l'Inps con controricorso, seguito da memoria illustrativa
ex art. 378 c.p.c.
La sezione lavoro di questa Corte, con ordinanza del 7 novembre
2003, disponeva la trasmissione degli atti al primo Presidente
per l'eventuale assegnazione dei ricorso alle queste Sezioni
unite, avendo rilevato l'esistenza di un recente contrasto
di giurisprudenza, insorto in seno alla sezione stessa, sull'interpretazione
dell'art. 1, commi 217 ss., lett. a) e b), della l. 662/1996.
Per il superamento di detto contrasto il primo Presidente
ha disposto, ai sensi dell'art. 374, comma 2, c.p.c., che
la Corte si pronunci a Sezioni unite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo - al quale viene limitato l'esame in questa
sede - la società ricorrente denuncia la violazione
e falsa applicazione dell'art. 12 preleggi al c.c., e degli
artt. 1, comma 217, lett. b), della l. 662/1996 e 59, comma
22, della l. 447/1997, nonché carenza e contraddittorietà
della motivazione su un punto decisivo della controversia,
rilevando, in particolare, che nel caso di specie gli ispettori
procedenti avevano potuto accertare la mancata corresponsione
dei contributi di cui al decreto ingiuntivo opposto, proprio
alla stregua del modelli DM 10 e DM 10/S regolarmente compilati
e non ancora trasmessi all'Inps, nonché dalle iscrizioni
nei libri aziendali e delle denunzie fiscali. Di conseguenza,
inerendo l'inadempienza contestata esclusivamente alla fase
solutoria (essendo stati predisposti regolarmente tutti gli
elementi indispensabili per l'accertamento dei contributi
dovuti) poteva parlarsi di omissioni contributive, e non anche
di evasione contributiva, il che avrebbe dovuto giustificare
le meno gravi sanzioni previste dall'art. 1, comma 217, lett.
a), della citata l. 662/1996.
Resiste l'Inps sostenendo che mentre l'omissione contributiva
si sostanzia nel tardivo o mancato versamento delle contribuzioni
il cui ammontare è rilevabile da documenti e registrazioni
aziendali sempreché presentati, l'evasione contributiva
si ha invece - come nella specie - nel caso di inadempimento
contributivo accompagnato dall'omessa registrazione o mancata
denuncia dei contributi dovuti.
Va premesso che l'art. 1, comma 217, della l. 662/1996, testualmente
recita:
"I soggetti che non provvedono entro il termine stabilito
al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali
ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore
a quella dovuta, sono tenuti:
a) nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi
o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce
e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una somma
aggiuntiva, in ragione d'anno, pari al tasso dell'interesse
di differimento e di dilazione di cui all'art. 13 del d.l.
402/1981, convertito, con modificazioni, dalla l. 537/1981,
e successive modificazioni ed integrazioni, maggiorato di
tre punti; la somma aggiuntiva non può essere superiore
al 100 per cento dell'importo dei contribuii o premi non corrisposti
entro la scadenza di legge;
b) in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce
obbligatorie omesse o non conformi al vero, oltre alla somma
aggiuntiva di cui alla lettera a), al pagamento di una sanzione,
una tantum, da graduare secondo criteri fissati con decreto
del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto
con il Ministro del tesoro, in relazione alla entità
dell'evasione e al comportamento complessivo del contribuente,
da un minimo del 50 per cento ad una massimo del 100 per cento
di quanto dovuto a titolo di contributi o premi, qualora la
denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente
prima di contestazioni o richieste da parte degli enti impositori,
e comunque entro sei mesi dal termine stabilito per il pagamento
dei contributi o premi, la sanzione di cui alla presente lettera
non è dovuta sempreché il versamento dei contributi
o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia
stessa".
Quest'ultima parte della lett. b) è stata così
modificata dall'art. 59, comma 22, della l. 449/1997, la quale
ha accentuato il carattere premiale dei pagamento spontaneo.
Sulla materia è intervenuto l'art. 116, comma 8, della
l. 388/2000 secondo cui:
"8. I soggetti che non provvedono entro il termine stabilito
al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali
ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore
a quella dovuta, sono tenuti:
a) nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi
o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce
e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una sanzione
civile, in ragione d'anno, pari al tasso ufficiale di riferimento
maggiorato di 5,5 punti, la sanzione civile non può
essere superiore al 40 per cento dell'importo dei contributi
o premi non corrisposti entro la scadenza di legge;
b) in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce
obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel
caso in cui il datore di lavoro, con l'intenzione specifica
di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro
in essere ovvero le retribuzioni erogate, al pagamento di
una sanzione civile, in ragione d'anno, pari al 30 per cento;
la sanzione civile non può essere superiore al 60 per
cento dell'importo dei contributi o premi non corrisposti
entro la scadenza di legge. Qualora la denuncia della situazione
debitoria sia effettuata spontaneamente prima di contestazioni
o richieste da parte degli enti impositori e comunque entro
dodici mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi
o premi e sempreché il versamento dei contributi o
premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa,
i soggetti sono tenuti al pagamento di una sanzione civile,
in ragione d'anno, pari al tasso ufficiale di riferimento
maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può
essere superiore al 40 per cento dell'importo dei contributi
o premi non corrisposti entro la scadenza di legge.
Ciò premesso sul piano della base normativa, va detto
che la questione posta all'esame di queste Sezioni unite può
tradursi nel seguente interrogativo: se il mancato pagamento
dei contributi previdenziali - nel caso in cui l'obbligato
abbia omesso di trasmettere i modelli mensili DM 10, pur in
presenza di regolare iscrizione dei lavoratori nei libri aziendali
- configuri la fattispecie dell'"omissione contributiva"
di cui alla lett. a) della norma predetta, ovvero integri
i diversi, più gravosi estremi dell'"evasione",
di cui alla successiva lett. b), con conseguente obbligo,
in tale ultimo caso, di pagare la sanzione una tantum, non
prevista, per converso, nel primo.
Su tale quesito, all'interno della Sezione lavoro della Corte
sono, emersi, di recente, due diversi orientamenti: il primo
di questi (cfr. Cass. 533/2003 e Cass. 14727/2003) ritiene
che il connotato essenziale dell'ipotesi più grave,
della "evasione contributiva", sia l'impossibilità
di diretta rilevazione, da parte dell'ente previdenziale,
dell'esistenza e dell'ammontare del credito contributivo vantato:
tale ipotesi non ricorrerebbe, viceversa, tutte le volte in
cui i relativi dati siano ricavabili dalle registrazioni obbligatorie
(libri paga e matricola), e, quindi, anche in assenza di regolare
trasmissione delle denunzie attraverso i modelli mensili DM
10.
Osserva, in particolare, la sentenza 533/2003:
a) che, dovendosi intendere per "denunce" le comunicazioni
obbligatorie che il soggetto è tenuto ad effettuare
nei confronti dell'Inps, e per "registrazioni" le
annotazioni che il medesimo deve fare sui libri di cui è
obbligatoria la tenuta, vi è omissione, e non evasione,
qualora il credito dell'istituto sia rilevabile in quanto
risultante o dalle denunce o dalle scritture (considerando
che la legge usa anche la disgiuntiva "o")
b) che in tale caso, ricorre l'ipotesi meno grave perché
il credito dell'Inps, seppure non segnalato in piena conformità
alle complesse regole prescritte, è comunque evincibile
attraverso documentazione di provenienza del soggetto obbligato,
rendendo così agevole per l'istituto il reclamo di
quanto dovuto;
c) che, se il connotato essenziale della omissione contributiva
è la possibilità di rilevazione da parte dell'ente
della esistenza e della misura dei contributi non pagati,
la diversa e più grave ipotesi ricorre quando (e solo
quando) la rilevazione non sia possibile perché il
credito non risulta da nessuna documentazione di provenienza
del soggetto obbligato;
d) che diversamente opinando - e cioè includendo nell'ipotesi
più grave la mancata ottemperanza anche ad uno solo
dei numerosi obblighi di segnalazione del debito contributivo
(quale, ad esempio, il mancato invio dei DM 10 alla scadenza
pur in presenza di regolare tenuta dei libri paga) o comunque
di elementi asseveranti chiaramente il debito contributivo
- il sistema peccherebbe di coerenza e di logicità,
perché finirebbe per sanzionare allo stesso modo detta
fattispecie e quella, molto più grave, di assenza completa
di documentazione che occulti il debito medesimo.
Conviene subito sgombrare il campo da quest'ultima osservazione,
solo apparentemente decisiva: a ben vedere una tale incoerenza
non è ravvisabile poiché non è irragionevole
equiparare l'assenza della necessaria documentazione al mancato
invio della medesima all'istituto previdenziale nei termini
prescritti. In entrambi i casi, infatti, le funzioni di accertamento
istituzionalmente spettanti all'istituto risultano ostacolate,
se non compromesse nel tempo. Né potrebbe ritenersi
che l'ipotesi di carenza assoluta di documentazione debba
essere sanzionata più severamente solo perché
può occultare rapporti di lavoro "in nero":
una situazione del genere potrebbe infatti essere nascosta
anche dietro una documentazione incompleta o comunque trattenuta
nella disponibilità dal datore di lavoro, pronto ad
esibirla non appena "visitato" dagli ispettori.
Secondo l'opposta tesi (sostenuta da Cass. 1552/2003 e Cass.
5386/2003) la mancata o tardiva presentazione del modello
DM 10, recante la dettagliata indicazione dei contributi previdenziali
dovuti, configurerebbe di per sé la fattispecie dell'evasione
contributiva di cui alla lett. b), con conseguente obbligo
di pagamento dell'una tantum (il cui importo andava da un
minimo del 50% ad un massimo del 100% dei contributi dovuti)
a carico del trasgressore.
A sostegno si è rilevato che per integrare la fattispecie
più grave dell'evasione contributiva è sufficiente
che sia omesso uno degli adempimenti obbligatori, sia la denuncia,
sia le registrazioni, come reso palese sia dall'uso della
disgiuntiva "o", sia dalla minore sanzione stabilita
dall'ultima parte della lett. b) per l'ipotesi di denuncia
tardiva spontanea.
Tale interpretazione è stata seguita da Cass. 5386/2003,
la quale ha ribadito il rilievo che il ravvedimento operoso
previsto dall'ultima parte della lett. b) presuppone una denuncia
mensile tardiva, la cui mancanza appartiene quindi all'ipotesi
di evasione.
Quanto alla interpretazione della disposizione di cui alla
lett. a), la citata sentenza 1552/2003 ha ritenuto che la
congiuntiva/disgiuntiva "e/o" ivi contenuta comporta:
a1) il mancato o ritardato pagamento di contributi o premi,
il cui ammontare è ricavabile dalle denunce e registrazioni
obbligatorie; a2) mancato o ritardato pagamento di contributi
o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce
o dalle registrazioni obbligatorie. Mentre l'ipotesi sub a1)
comporterebbe che la meno grave fattispecie dell'omissione
contributiva possa dirsi realizzata quando tutti gli adempimenti
obbligatori risultano regolarmente effettuati, mancando solo
il pagamento, l'ipotesi sub a2), pur nella sua apparentemente
contraddittorietà (perché parrebbe configurare
la meno grave fattispecie di omissione contributiva in caso
di mancanza della sola denunzia, quando, viceversa, è
già integrata la più grave fattispecie di evasione)
si spiega perché vi sono dei casi in cui non v'è
l'obbligo della denuncia (ad es., nel caso dei rapporti di
lavoro domestico) quando sarebbe, cioè, sufficiente,
perché si abbia omissione contributiva, che sia regolare
la denuncia, senza il relativo pagamento.
Osserva l'ordinanza di rimessione che non giova a superare
il contrasto l'entrata in vigore del citato art. 116, commi
8 ss., della l. 388/2000, il quale, nel modificare la normativa
precedente, configura la fattispecie dell'evasione contributiva
in termini diversi e più favorevoli al datore di lavoro.
Ed infatti, detta norma - come emerge dal testo sopra riportato
- dopo aver reiterato la precedente dizione (... in caso di
evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse
o non conformi al vero ...), specifica, diversamente che in
passato, la circostanza secondo cui è legittimo parlare
di evasione solo... nel caso in cui il datore di lavoro, con
l'intenzione specifica di non versare contributi o premi,
occulta il rapporto di lavoro in essere ovvero le retribuzioni
erogate..., fornendo oggi un criterio discretivo ben più
netto tra la pura e semplice morosità e l'evasione
vera e propria, ed attribuendo per la prima volta rilievo
decisivo allo specifico elemento intenzionale dell'evasore,
assente nel testo previgente.
Non v'è dubbio che la nuova normativa non può
applicarsi con efficacia ex tunc alle vicende pregresse (come,
peraltro, rilevato da Cass. 7524/2002) atteso che il medesimo
art. 116, precisa che "per i crediti in essere ed accertati
al 30 settembre 2000, le sanzioni sono dovute secondo le modalità
fissate dai commi 217, 218, 219, 220, 221, 222, 223, 224 dell'art.
1 della l. 662/1996".
Non è mancato, peraltro, in dottrina chi ritiene che,
pur non essendo retroattiva, la nuova disciplina del 20/M
per più versi rende esplicito un principio già
ricavabile dalla disciplina precedente. In tal senso propende
anche Cass. 14727/2003 sottolineando come l'espressione "occulta
il rapporto in essere ovvero le retribuzioni erogate"
(contenuta nel citato art. 116, comma 8, della l. 388/2000)
ha la funzione proprio di far emergere "un significato
normativo estraibile già dalla precedente formula".
Va tenuto presente che gli obblighi di segnalazione del debito
contributivo sono molteplici attenendo essi: a) agli obblighi
di comunicazione nei confronti dell'Inps (e cioè l'obbligo
di presentare le denunce contributive relative ai periodi
di paga scaduti redatte su moduli predisposti dall'istituto:
si tratta della compilazione e dell'invio dei due modelli
DM 10 con cadenza mensile ex art. 30 l. 843/1978); b) l'obbligo
delle denunce periodiche (giacché l'art. 4 della l.
467/1978 impone di presentare all'Inps, entro il 31 marzo
di ogni anno, la denuncia nominativa dei lavoratori occupati
mediante modello 01/M, con l'indicazione anche di tutti i
dati necessari per l'applicazione delle norme in materia di
previdenza ed assistenza obbligatoria); e) gli obblighi di
registrazione sui libri paga (in cui devono figurare le retribuzioni
corrisposte e le relative trattenute, nonché il numero
di ore lavorate per ciascun giorno, l'indicazione distinta
delle ore di lavoro straordinario, la retribuzione effettivamente
corrisposta in denaro e in natura, ex lege 4/1953 e art. 20
d.P.R. 1124/1965).
In particolare, le modalità di denuncia e di versamento
dei contributi previdenziali sono dal citato art. 30 della
l. 943/1978 testualmente desunte dal d.m. 5 febbraio 1969
(pubblicato su G.U. 67/1969) espressamente ispirato allo scopo
di attuare un sistema di versamento "... tale da consentire
la diretta rilevazione della retribuzione imponibile".
Detta finalità veniva perseguita proprio attraverso
l'istituzione di un sistema di denunzia dei contributi basato
sulla trasmissione degli elenchi nominativi dei lavoratori
occupati, con l'indicazione delle retribuzioni corrisposte,
di modo che i dati rilevabili da quegli elenchi potessero
consentire anche la tempestiva ricostruzione delle posizioni
assicurative, per una sollecita liquidazione delle pensioni
degli aventi diritto, nonché la periodica informazione
ai lavoratori dell'accreditamento dei contributi versati a
loro favore.
Tutto ciò premesso, e tenuto conto che, nel caso di
specie, la società ricorrente non aveva provveduto
a trasmettere all'Inps i modelli DM 10 e 01/M contenenti tutti
i dati costitutivi del debito contributivo (così come
ammesso nello stesso ricorso), deve rilevarsi che l'orientamento
interpretativo seguito dalla sentenza impugnata appare preferibile
sul piano della coerenza logico-giuridica al sistema sopra
delineato.
Non può negarsi, infatti, che l'ipotesi meno grave,
di cui alla lett. a) dell'art. 1, comma 217, si articola in
due sub ipotesi, ravvisabili: a1) nel mancato o ritardato
pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è
rilevabile dalle denunce e registrazioni obbligatorie; a2)
nel mancato o ritardato pagamento di contributi o premi il
cui ammontare è rilevabile dalle denunce o dalle registrazioni
obbligatorie. Nell'ipotesi sub a1) la meno grave fattispecie
dell'omissione contributiva si realizza quando tutti gli adempimenti
obbligatori risultano regolarmente effettuati, mancando solo
il pagamento, mentre l'ipotesi sub a2), pur nella sua apparente
contraddittorietà si spiega perché vi sono casi
in cui non vi è obbligo di registrazioni, pur sussistendo
l'obbligo della denuncia (come nel caso di collaboratori familiari)
sicché è sufficiente, perché si abbia
omissione contributiva, che sia regolare la denuncia, senza
il relativo pagamento.
Pertanto, la fattispecie dell'omissione contributiva deve
ritenersi limitata all'ipotesi del (solo) mancato pagamento
da parte del datore di lavoro, in presenza di tutte le denunce
e registrazioni obbligatorie necessarie, mentre la mancanza
di uno solo degli altri, necessari adempimenti - in quanto
strettamente funzionali al regolare svolgimento dei compiti
di istituto dell'ente previdenziale, ed alla tempestiva soddisfazione
dei diritti pensionistici dei lavoratori assicurati - è
sufficiente ad integrare gli estremi della evasione.
Supporta tale conclusione la considerazione - fatta propria
dalla citate sentenze 1552/2003 e 5386/2003 - che, diversamente
opinando, non troverebbe mai applicazione l'ipotesi particolare
- ricadente appunto nella lett. b) e non nella lett. a) secondo
l'espressa previsione dell'ultimo periodo dell'art. 1, comma
217, cit. - della spontanea denuncia tardiva (c.d. ravvedimento
operoso) entro sei mesi dalla scadenza del termine stabilito
per il pagamento dei contributi se il ritardo nella denuncia
dovesse equipararsi per ciò solo (e quindi sempre)
alla fattispecie del mero mancato o ritardato pagamento dei
contributi. E, se è vero che, nel caso di denuncia
presentata spontaneamente entro i sei mesi dalla scadenza
del termine di adempimento, la sanzione una tantum non è
dovuta, realizzandosi una fattispecie di "ravvedimento
operoso", previsto dal legislatore, occorre pur sempre
considerare che, per beneficiare della misura premiale dell'eliminazione
della sanzione predetta, il versamento dei contributi o premi
deve essere effettuato entro trenta giorni dalla denuncia
stessa.
Senza trascurare di considerare che un'interpretazione meno
rigorosa del concetto di omissione, esteso a tutte le ipotesi
che in qualunque modo abbiano reso possibile all'ente previdenziale
l'accertamento degli inadempimenti contributivi, anche a distanza
di tempo, o in ritardo rispetto alle cadenze informative periodiche
prescritte dalla l. 843/1978, aggraverebbe la posizione dell'ente
previdenziale, imponendo allo stesso un'incessante attività
ispettiva, laddove il sistema postula, anche nel suo aspetto
contributivo, per la sua funzionalità, una collaborazione
spontanea tra i soggetti interessati.
Del resto, l'espresso riferimento da parte del legislatore
alle denuncie mensili obbligatorie non può restare
privo di significato, anche in considerazione del valore legale
attribuito a tali titoli: ne deriva, quindi, che, nel vigore
della l. 662/1996 (applicabile alla specie), in ogni ipotesi
in cui le denuncie obbligatorie non siano state presentate
è integrata la fattispecie legale sanzionabile, anche
qualora i dipendenti risultino registrati nei libri matricola.
Non è inutile sottolineare, da ultimo, che il rigore
della disciplina si giustifica in base alla circostanza che
le denunce mensili obbligatorie costituiscono titolo esecutivo
ai sensi dell'art. 2 della l. 389/1989 e consentono, pertanto,
all'istituto previdenziale di agire immediatamente per il
recupero del credito.
In conclusione, la sentenza impugnata non merita censura,
sicché il ricorso - limitatamente al primo motivo per
il quale sono state investite queste Sezioni unite - non può
essere accolto.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni unite, rigetta il primo motivo del ricorso
e rinvia, per il prosieguo, alla Sezione lavoro.
La redazione di megghy.com
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