LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Trieste, con sentenza emessa il 19/02/04,
in riforma della sentenza del Tribunale di Tolmezzo, in data
2/03/01, appellata dal PG della Corte di Appello di Trieste
nei confronti di P. I., imputato dei reati di cui agli artt.
609 bis c.p. (n. 1 della rubrica), 527 c.p. (n. 2 c.p.); 594
c.p. (n. 3 c.p.), in ordine ai quali era stato assolto nel
giudizio di 1° grado, perché il fatto non sussiste,
dichiarava il P. colpevole dei reati ascrittigli e, ritenuta
l’ipotesi di cui al 2° comma dell’art. 609
bis c.p., lo condannava alla pena di anni uno e mesi due di
reclusione; pena sospesa e non menzione.
L’interessato proponeva ricorso per Cassazione denunciando
violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) c.p.p.
In particolare il ricorrente esponeva: che la motivazione
della decisione impugnata era carente, contraddittoria e si
fondava su una errata valutazione delle risultanze processuali;
che la condotta contestata all’imputato non concretizzava
il reato di violenza sessuale, ex art. 609 bis c.p., bensì
la fattispecie contravvenzionale di molestia o disturbo alle
persone, con conseguente estinzione del reato per sopravvenuta
prescrizione.
Tanto dedotto, il ricorrente chiedeva l’annullamento
della sentenza impugnata.
Il PG della Cassazione, nella pubblica udienza del 3/12/04,
ha chiesto il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
La Corte Territoriale, mediante un procedimento argomentativi
privo di errori di diritto e vizi logici, ha motivato in odo
esauriente in ordine a tutti i punti determinanti della decisione.
In particolare, per quanto attiene al reato di cui all’art.
609 bis c.p. )capo 1 della rubrica), la Corte Territoriale
ha ricostruito con precisione il contesto in cui si è
svolta la vicenda in esame.
Ha accertato la credibilità soggettiva ed oggettiva
della persona offesa, P. M., le cui dichiarazioni sono state
confermate dalla madre e dal fidanzato della stessa.
Il racconto della donna si presenta coerente e plausibile
nella sua attualità; inoltre non è inficiato
da risultanze processuali di segno opposto, come congruamente
motivato nella decisione impugnata.
Tanto affermato, va subito aggiunto che le questioni dedotte
sul punto in esame costituiscono, nella sostanza, censure
in punto di fatto, poiché non attengono ad errori di
diritto o vizi di motivazione, bensì alle valutazioni
operate dai giudici di merito.
Si chiede, in realtà, una rilettura delle risultanze
probatorie onde pervenire ad una diversa valutazione delle
risultanze processuali, più favorevole alla tesi difensiva
del ricorrente.
Trattasi di censure non consentite in sede di legittimità,
perché in violazione della disciplina di cui all’art.
606 c.p.p.
Parimenti è infondata la censura attinente alla qualificazione
giuridica del fatto.
La condotta del P., concretizzatasi nel reiterato palpeggiamento
libidinoso del sedere di P. M., approfittando della menomata
condizione della donna la quale, intenta a telefonare presso
la cabina telefonica sita nella piazzetta del paese di Bordano,
non era in grado di ostacolare un toccamento repentino ed
imprevedibile, realizza certamente la fattispecie criminosa
di cui all’art. 609 bis c.p.
Al riguardo va ribadito che rientrano nella nozione rilevante
ai fini della norma di cui all’art. 609 bis c.p., tutti
gli atti sessuali indirizzati verso zone erogene, idonei a
compromettere la libera determinazione del soggetto passivo
in ordine alla sua sessualità, connotati dalla costrizione,
abuso di inferiorità fisica e psichica.
Ne rileva ai fini della consumazione del reato di violenza
sessuale, il fatto che l’atto sessuale sia di breve
durata e che non abbia determinato la soddisfazione erotica
del soggetto attivo (vedi anche Cass. Sez. III Sent. n. 7722
del 4/7/2000, ud. 2/5/2000, rv. 217012).
Non risultano essere state dedotte nel ricorso de quo ulteriori
censure ne in ordine alla determinazione della pena, ne in
ordine ai restanti reati di cui ai capi 2° e 3° della
rubrica.
Va respinto, pertanto, il ricorso proposto da P. I., con
conseguente condanna dello stesso al pagamento delle spese
processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte
civile, che si liquidano in complessivi Euro 1700, come da
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e alla rifusione alla parte
civile costituita dalle spese e compensi del presente grado,
che liquida in complessive Euro 1700,00 più IVA e CA,
di cui 1500, 00 per onorari di difesa.
Roma, 3/12/04.
Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2005.
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