Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 30 marzo 2005, n. 6732
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 20 gennaio 1992, S.S., quale ex correntista
di un conto corrente aperto presso la Agenzia 27 della Banca
Nazionale del lavoro di Roma, chiuso all'inizio del 1987,
conveniva dinanzi al Tribunale di Roma la Banca Nazionale
del Lavoro, per sentirla condannare, avendo riguardo alla
sua qualità di imprenditore edile, alla rifusione dei
danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti all'illegittimo
protesto di tre assegni bancari, tratti su un carnet non richiesto
né ritirato dal cliente e recanti una firma visibilmente
artefatta. Assegni utilizzati dopo la chiusura del conto e
protestati.
I danni patrimoniali erano indicati complessivamente in 500
milioni a titolo di lucro cessante e di danno emergente, e
i danni non patrimoniali erano indicati in 400 milioni, tenendosi
conto della gravità dei fatti e della qualità
di imprenditore iscritto nel registro per gli appalti e gare
pubbliche. Si costituiva la Banca Nazionale del lavoro e contestava
il fondamento delle pretese. La lite era istruita documentalmente,
ma la banca non ottemperava all'ordine di esibizione del cedolino
di richiesta del carnet, che recava la firma del cliente e
la data del rilascio. Erano poi escussi il Direttore della
Banca dell'Etruria e del Lazio, agenzia di Roma, presso cui
il S. aveva un conto affidato, ed il capo cantiere del S.,
in ordine alle difficoltà economiche dell'impresa conseguenti
ai protesti ed alle vicende penali risolte in favore del S.
Con sentenza del 14 aprile 1997 il Tribunale di Roma accertava
la falsità della firma di traenza "S.S."
apposta sui tre assegni; dichiarava la responsabilità
della Banca per la illegittima circolazione dei tre assegni
nonché per il protesto degli stessi in danno dell'attore,
ordinava la pubblicazione per estratto della sentenza sul
quotidiano romano "Il Messaggero"; rigettava le
altre domande risarcitorie del S. e compensava per la metà
le spese del giudizio, ponendo il resto a carico della Banca.
Contro la decisione proponeva appello il S. sulla mancata
liquidazione dei danni; resisteva la Banca e proponeva appello
incidentale sul punto relativo all'accertamento della propria
responsabilità per la illegittima circolazione degli
assegni ed il relativo protesto.
Con sentenza del 16 gennaio 2001 la Corte di appello di Roma
così decideva: accoglie parzialmente l'appello principale
e rigetta quello incidentale; per l'effetto, in parziale riforma
della sentenza impugnata, condanna la Banca a pagare al S.
a titolo di risarcimento di danni non patrimoniali, la somma
di lire tremilionicinquecentomila oltre interessi legali dalla
pubblicazione della presente sentenza; conferma nel resto
la sentenza impugnata; compensa per la metà le spese
del grado, ponendo il resto a carico della Banca.
Contro la decisione ricorre il S. deducendo due motivi di
censura illustrati da memoria, resiste la Banca con controricorso
e ricorso incidentale, illustrato da memoria.
I ricorsi sono stati previamente riuniti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi non meritano accoglimento: precede l'esame del primo
motivo del ricorso incidentale della Banca che contesta il
punto decisivo della sua responsabilità, quindi verrà
in esame il ricorso principale dell'imprenditore, mentre per
il danno c.d. morale verranno in esame congiunto i gravami
delle parti.
A. Esame del primo motivo del ricorso incidentale della Banca.
Sostiene la Banca che era onere del cliente dimostrare la
falsità delle firme apposte sui tre assegni, utilizzati
a conto chiuso; e che la Banca non era tenuta, in base alle
leggi bancarie all'epoca vigenti, alla conservazione della
documentazione relativa al rilascio del libretto ed alle operazioni
sul conto corrente chiuso. Pertanto nessuna condotta illecita
era imputabile alla Banca.
In senso contrario si osserva come la grave negligenza della
banca sia stata rimarcata da entrambi i giudici del merito
con ampia ed analitica motivazione, che esprime un prudente
apprezzamento delle prove, non sindacabile in questa sede,
come del resto è evidente dalla fragilità della
censure.
Il giudice dell'appello (cfr. 6, 7, 8 della motivazione)
descrive ed analizza la condotta sleale della Banca, non solo
verso il cliente, ma nel corso della procedura, rifiutando
di esibire documenti che era agevole reperire, anche con riscontri
contabili, dato che il protesto era stato elevato successivamente
alla chiusura del conto, a pochi anni dalla chiusura, e su
un carnet sicuramente utilizzato dopo la chiusura.
Il contesto degli elementi probatori, pur di carattere indiziario,
è di tale gravità da giustificare il convincimento
del giudice del merito sulla imputazione soggettiva per colpa
grave (data la qualità della Banca) ed oggettiva per
la causalità da cui è derivata una serie di
danni ingiusti, in ordine ai quali l'onere della prova gravava
sul danneggiato.
Il motivo è dunque generico ed infondato.
Tanto premesso in punto di accertamento del fatto illecito,
può procedersi all'esame del ricorso dell'imprenditore
che si fonda sulla richiesta di una migliore determinazione
dei danni.
B. Esame del ricorso principale.
Nel primo motivo si deduce l'error in iudicando ed il vizio
della motivazione su sette circostanze rilevanti:
a) le dichiarazioni del direttore della Banca amica (Banca
di Etruria) che mantenne l'affidamento, ma limitato e garantito,
dopo la vicenda dei protesti. Ricorda il direttore in sede
di deposizione, che nessuna banca concede fidi o affidamenti
a debitori protestati (fatto notorio);
b) mancato esame della documentazione proveniente dalla Banca
di Etruria e delle attestazioni sulle attività imprenditoriale;
c) mancata considerazione delle tipologie degli appalti pubblici
commissionati al S., iscritto nell'apposito albo per la partecipazione,
impedita dallo stato di insolvenza a seguito di protesto;
d) mancato esame della disciplina delle gare per i pubblici
appalti;
e) mancata considerazione degli effetti dei protesti sulla
iscrizione nell'albo nazionale dei costruttori;
f) la sottovalutazione delle deposizioni del capo cantiere
circa le difficoltà di liquidità venute a determinarsi
nei due cantieri aperti e per il pagamento degli operai;
g) infine la incidenza del protesto di una cambiale anche
essa a firma falsificata.
Le censure riassunte investono il prudente apprezzamento
dei fatti compiuto dalla Corte di appello di Roma in ordine
alla prova dei danni consequenziali all'illecita condotta
della Banca, e in relazione al danno patrimoniale emergente
o da lucro cessante, sicuramente vi è la prova dell'an
debeatur. E tuttavia, data la qualità dell'imprenditore
e delle sue numerose attività, che richiama nell'indicazione
delle descritte circostanze, resta di tutta evidenza una assoluta
carenza di produzioni idonee alla quantificazione dei danni,
anche al fine di consentire una valutazione equitativa ai
sensi degli artt. 2056, che richiama gli artt. 1223 e 1226
c.c. (cfr. Cass. 18 febbraio 1995, n. 1799; Cass. 27 dicembre
1994, n. 11202).
Pertanto la decisione di rigetto appare corretta in relazione
alla mancata produzione di prove idonee ed il riferimento
a circostanze non considerate o mal interpretate non disvela
lacune o errori giuridici nel prudente apprezzamento delle
prove.
Nel secondo motivo si deduce la iniquità della liquidazione
(per tre milioni e cinquecentomila) in relazione a quattro
elementi di valutazione:
a) apertura di procedure penali poi chiuse con provvedimento
di amnistia;
b) esiguità degli importi degli assegni protestati;
c) inidoneità a compromettere la reputazione del protesto
di una cambiale a firma di traenza falsa;
d) inidoneità del c.d. effetto compensativo della
pubblicazione sul quotidiano romano "Il Messaggero"
a diffusione nazionale.
Per contro osserva la Banca, nel ricorso incidentale, che
non essendovi prova di un illecito penale ascrivibile alla
Banca, nessun danno "morale" era suscettibile di
liquidazione.
Per primo viene in esame l'argomento negativo. Al riguardo
è sufficiente ricordare che sono rimasti ignoti gli
autori della illecita utilizzazione del carnet e degli assegni
a firma falsificata, anche per la mancata collaborazione della
Banca; ma il punto attiene alla ricostruzione del danno alla
reputazione dell'imprenditore, persona fisica (ma la questione
si pone anche per la persona giuridica) come danno non patrimoniale
fondato sul rispetto della dignità sociale e professionale
del medesimo (artt. 2, 3, 41 Cost., tra di loro correlati,
in relazione alla libertà di produzione ma in condizioni
di rispetto della propria immagine ed attività professionale).
Sulla base di tale ricostruzione può ritenersi applicabile
la giurisprudenza evolutiva di questa Corte in tema di lettura
costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., includendo
nella categoria dei danni non patrimoniali anche i danni che
derivano dalla violazione e lesione di posizioni soggettive
protette, di rango costituzionale o ordinario, sulla base
di precisi riferimenti normativi (cfr. Cass. sentt. 8827 e
8828 del 31 maggio 2003 e Corte cost. 11 luglio 2003, n. 233).
Tale inclusione prescinde dall'accertamento di un fatto reato
e conduce ad una distinzione ontologica tra danno morale da
reato, al quale appartiene la configurazione tradizionale
del danno sanzione (mentre deve ritenersi superata la sua
riconducibilità ad una pecunia doloris, anche alla
luce dell'articolo II, 61 della Costituzione europea che tutela
la integrità morale dell'individuo sotto il valore
universale della dignità) ed il danno non patrimoniale
in relazione a lesione di diritti inviolabili o fondamentali
e di interessi giuridici protetti perché inerenti a
beni della vita od a beni essenziali per la comunità
(come accade per l'habitat, l'inquinamento, l'ambiente di
lavoro etc.) con una eterogeneità di situazioni che
rendono difficile una classificazione categoriale generale
(come sostiene la dottrina che elabora il danno esistenziale
come categoria generale). La tutela del danno non patrimoniale
è dunque risarcitoria a titolo pieno, come accade per
il danno patrimoniale.
Resta allora da considerare la censura della iniquità
della liquidazione in relazione ai quattro elementi sopra
segnalati.
Nella specie, il dimensionamento del danno è obbiettivamente
grave, poiché dal protesto è derivata una perdita
dell'immagine e della affidabilità imprenditoriale
e per lungo tempo, come si desume dalle prove e dalla documentazione.
E tuttavia la valutazione del giudice del merito è
avvenuta in via equitativa, con la indicazione analitica (ff.
13) degli elementi di valutazione che hanno giustificato una
liquidazione contenuta, e dunque con un giudizio che non appare
all'evidenza iniquo, ma esprime un apprezzamento discrezionale
non sindacabile il questa sede.
C. Esame del ricorso incidentale.
Il primo motivo è stato già esaminato come
punto pregiudiziale, ma infondato; parimenti il secondo motivo
è stato considerato analizzando il risarcimento del
danno per la perdita della reputazione professionale, ed è
parimenti infondato.
Al rigetto di entrambi i ricorsi segue la compensazione tra
le parti delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa tra le parti le
spese del giudizio di cassazione.
La redazione di megghy.com |