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Riassunzione del processo da parte di un soggetto che si qualifichi erede

Cassazione, sezione III civile, sentenza 01.07.2005 n° 14081

Corte di cassazione

Sezione III civile

Sentenza 1 luglio 2005, n. 14081


Svolgimento del processo

1. Con atto del 23 gennaio 1986 Carlo M. proponeva, avanti al Tribunale di Verona, opposizione ad un precetto di pagamento di una somma di lire 8.200.000, oltre accessori, intimatogli da Marcellino E., sulla base di due titoli cambiari, che aveva rilasciato alla s.n.c. Rapid Scavi quale corrispettivo dell'appalto di alcune opere.

Il Tribunale di Verona accoglieva l'opposizione e la sentenza veniva gravata d'appello dal E..

La Corte d'Appello di Venezia rigettava l'appello e la sua decisione veniva ricorsa per cassazione.

Con la sentenza 20 maggio 1998, n. 5027 la Corte di Cassazione, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa avanti ad altra sezione della corte d'appello lagunare.

La causa veniva riassunta avanti al giudice di rinvio da Silvia E., che si qualificava quale erede universale di Marcellino E..

Si costituiva il M. che, in sede di precisazione delle conclusioni eccepiva il difetto di legittimazione attiva della E..

Con sentenza del 25 giugno 2001 la Corte d'Appello di Venezia pronunciando sull'appello lo rigettava e confermava la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Verona.

2. La Corte d'Appello ha adottato la suddetta pronuncia ritenendo fondata l'eccezione di difetto di legittimazione della E. sulla base della seguente motivazione: la E., al fine di provare la sua qualità di erede universale di Marcellino E. aveva prodotto un certificato di famiglia a data 19 aprile 2000, relativo al de cuius, ma esso non comprovava quella qualità perché se ne desumeva soltanto il rapporto di parentela con il defunto «e, a tutto voler concedere, la vocazione ereditaria ma non l'addizione, (rectius l'adizione) della stessa, unica circostanza idonea ad attestare in concreto la necessaria qualità di erede».

3. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi la E..

Ha resistito con controricorso il M..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.


Motivi della decisione


l. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta «violazione e falsa applicazione dell'art. 110 cod. proc. civ., dell'art. 116 cod. proc. civ. e dell'art. 2697 cod. civ.», in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., nonché «omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia per non aver la sentenza impugnata riconosciuto la legittimazione della figlia alla prosecuzione del processo sulla base della prova del rapporto di filiazione fornita mediante la produzione del certificato di stato di famiglia originario del de cuius», in relazione all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ.

La Corte d'appello non avrebbe considerato che in replica all'eccezione di carenza di legittimazione formulata in sede di precisazione delle conclusioni la ricorrente aveva prodotto certificato di stato di famiglia del de cuius, da cui si evinceva anzitutto la morte del medesimo in data 30 ottobre 1995 (mentre era in corso il primo giudizio di cassazione) e la premorienza della di lui moglie, avvenuta il 3 luglio 1959, nel dare alla luce l'unica figlia, nonché l'esistenza di quest'ultima nella persona della ricorrente. Da tale documentazione risultava provato il rapporto di filiazione fra la parte originaria ed essa ricorrente e tanto bastava a dimostrare la legittimazione ai fini della successione nel processo in forza dell'art. 110 cod. proc. civ. (vengono citate Cass. n. 1501 del 1980 e Cass. n. 1129 del 1976).

Con un secondo motivo viene denunciata «omessa applicazione dell'art. 476 cod. civ. in relazione all'art. 110 cod. proc., nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ.» in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., e connessa «omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa. un punto decisivo della controversia per aver l'impugnata sentenza omesso di constatare l'intervenuta accettazione tacita da parte dell'attrice in riassunzione dell'eredita del defunto padre, parte originaria del processo», in relazione all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ.

La Corte della Laguna non avrebbe considerato che, compiendo l'atto di impulso processuale con la riassunzione dopo la cassazione con rinvio al fine di ottenere la condanna della controparte al pagamento della somma che altrimenti sarebbe stata dovuta al padre e, quindi, relativa ad un credito ereditario, l'attuale ricorrente aveva compiuto un'accettazione tacita dell'eredità.

Con il terzo motivo si lamenta «omessa applicazione degli artt. 392, 393 e 394 cod. proc. civ.» in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., nonché «omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia avendo la sentenza impugnata, sul presupposto della ritenuta carenza di legittimazione dell'attrice in riassunzione, omesso di dichiarare l'inammissibilità della riassunzione che avrebbe dato luogo alla estinzione dell'intero giudizio» in relazione all'art. 360 n. 5 del codice di procedura civile.

Con il quarto motivo si deduce «violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 cod. civ. e dell'art. 324 cod. proc. civ., nonché dell'art. 112 cod. proc. civ.», in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. e «omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia per aver la sentenza impugnata confermato anche la sentenza d'appello annullata dalla Cassazione», in relazione all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ.

Con il quinto motivo si lamenta «violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 389, 384, 392 e 394 cod. proc. civ.», in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., nonché «omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia per aver la sentenza impugnata omesso di pronunciare sulla domanda volta ad ottenere la restituzione dal M. delle somme dallo stesso riscosse a titolo di spese in forza della sentenza cassata», in relazione all'art. 360, n. 5 cod. proc. civ. con un sesto motivo si lamenta «violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nonché dell'art. 385 cod. proc. civ.» in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., ed inoltre «omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia per non aver la sentenza impugnata tenuto conto che la parte, a favore della quale venivano liquidate anche le spese relative al giudizio di cassazione non vi aveva partecipato, per cui non subiva in relazione a questa fase alcuna diminuzione patrimoniale ed inoltre per non aver tenuto conto del principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa», in relazione all'art. 360 n. 5 del codice di procedura civile.

Con il settimo motivo ci si duole di «violazione e falsa applicazione dell'art. 101 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ.» e di «omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia per non aver la sentenza impugnata rilevato la necessità di rimettere la causa avanti al Consigliere istruttore onde consentire all'attrice in riassunzione l'esercizio del diritto di difesa a fronte dell'eccezione di carenza di legittimazione attiva formulata dall'altra parte, per la prima volta, nelle conclusioni definitive», in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ.

Con l'ottavo motivo si prospetta infine «violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ.» e «omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia per non aver proceduto la sentenza impugnata ad una adeguata e corretta interpretazione della eccezione di carenza di legittimazione attiva formulata dal convenuto in riassunzione nelle conclusioni definitive, nonché per non aver proceduto all'apprezzamento del suo contenuto e della sua ampiezza, pervenendo alla erronea configurazione della medesima», in relazione all'art. 360 n. 5 del codice di procedura civile.

2. I primi due motivi del ricorso possono essere esaminati congiuntamente e vanno accolti.

Va premesso che la Corte d'Appello ha considerato rituale la produzione del certificato di famiglia, ancorché avvenuta con la conclusionale in appello.

Sul punto non è stata sollevata alcuna doglianza dal resistente.

La Corte è dunque, investita, soltanto, sulla base dei due mezzi di ricorso, del giudizio sulla validità dell'apprezzamento compiuto dal giudice del rinvio nel senso di escludere che quel documento fosse idoneo a dimostrare la qualità di erede della E..

La ragione per cui la Corte veneziana ha escluso che vi fosse quella idoneità, per quello che si evince dal tenore della scarna motivazione sul punto, è che il documento, in quando dimostrava la relazione di parentela, era idoneo soltanto a provare la vocazione ereditaria, cioè il fatto che la E. fosse un soggetto chiamato all'eredità del de cuius, ma non - dice il giudice veneziano - la “addizione” (rectius l'adizione) all'eredità.

In sostanza, secondo la Corte d'Appello il documento non era idoneo a dimostrare che la E., pur soggetto chiamato all'eredità, avesse compiuto effettivamente il relativo atto di accettazione.

Il ragionamento con cui la Corte territoriale perviene a tale conclusione è palesemente erroneo, in quanto del tutto inadeguato rispetto alle peculiarità dello svolgimento della vicenda processuale.

Va in primo luogo considerato che è incontestato che la E. avesse riassunto il giudizio, a seguito della cassazione con rinvio, espressamente qualificandosi come erede universale del padre Marcellino E., che aveva allegato essere deceduto.

In tale prospettazione si coglieva la deduzione dell'acquisto della qualità di erede, senza indicazione delle modalità con le quali era avvenuta, cioè senza la specificazione del modo di essere dell'acquisto. Non si indicava, cioè, in forza di quale specie di successione fosse avvenuto l'acquisto, non specificandosi se cioè si fosse trattato di successione a titolo testamentario o ab intestato.

Tuttavia, l'allegazione della qualità di figlia del de cuius si concretava nella deduzione di un fatto che tanto nell'una quanto nell'altra specie di successione implicava senza dubbio l'esistenza in capo alla E. della qualità di chiamata all'eredità, trattandosi di soggetto legittimario.

3. Ora, il documento pacificamente prodotto (certificato di famiglia, cui allude la Corte territoriale) era idoneo a dimostrare l'allegata relazione di parentela e, quindi, la sua implicazione, cioè la qualità di soggetto che doveva senza dubbio ritenersi chiamato all'eredità. E su ciò, del resto, conviene l'impugnata sentenza.

Il documento, viceversa, non aveva alcuna idoneità a dimostrare di per se la qualità di erede, posto che nel nostro ordinamento tale qualità suppone l'accettazione espressa o tacita e dal documento nulla si poteva evincere, com'è di tutta evidenza, in proposito.

A maggior ragione il documento non era nemmeno idoneo a dimostrare l'allegazione dell'attuale ricorrente di essere l'unico erede.

A ben vedere, anzi il documento non era idoneo neppure a dimostrare la qualità di chiamato nella veste di unico erede, atteso che il fatto della sussistenza della relazione parentale di filiazione e l'attestazione del decesso della madre e moglie del de cuius, non solo non escludevano la presenza di altri soggetti legittimari (e, quindi, chiamati all'eredità) come un'altra (successiva) moglie del de cuius o altri figli, soltanto consanguinei della ricorrente, ma nemmeno escludevano la possibilità che, in ipotesi che la successione fosse stata testamentaria, il de cuius potesse avere istituito anche un altro o altri eredi, rispettando la quota della figlia legittimaria.

Ciò che qui interessa, comunque, è che dal documento non emergeva la qualià di erede della ricorrente. Su ciò non erra la corte territoriale.

Infatti, fermo che è assolutamente pacifico, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che colui che prende l'iniziativa di proseguire il processo ai sensi dell'art. 110 cod. proc. civ. assumendo la sua qualità di erede deve provare (oltre al verificarsi del decesso della parte cui assume di essere succeduto, anche) la sua qualità di erede e, quindi, la fattispecie in forza della quale essa sarebbe stata acquistata, non è condivisibile l'assunto di due non recenti pronunce di questa Corte, le quali ebbero a ritenere sufficiente a quella prova e, quindi, alla dimostrazione della legittimazione alla prosecuzione del processo la qualità di figlio del de cuius, in ragione della loro necessaria vocazione all'eredità in quella qualità (Cass. n. 1501 del 1979 e Cass. n. 1126 del 1976, citate dalla ricorrente).

Dev'essere, invece, condiviso l'orientamento ormai consolidato e più recente che esige la prova della fattispecie acquisitiva della qualità di erede, distinguendo fra la vocazione che è necessaria e l'acquisto che è eventuale e non automatico, dovendosi, pertanto, ritenere che nella ipotesi di morte di una delle parti in corso di giudizio, la relativa legitimatio ad causam si trasmette (salvo i casi di cui agli artt. 460 e 486 cod. civ.) non al semplice chiamato all'eredità, bensì (ed in via esclusiva) all'erede, tale per effetto di accettazione, espressa o tacita, del compendio ereditario, non essendo la semplice delazione (conseguente alla successione) presupposto sufficiente per l'acquisto di tale qualità nemmeno nella ipotesi in cui il destinatario della riassunzione del procedimento rivesta la qualifica di erede necessario del de cuius, occorrendone, pur sempre, la materiale accettazione (Cass. n. 8391 del 1998, che ebbe a scrutinare un caso di specie in cui veniva in rilievo - ma ciò non toglie la validità del principio anche per quella attiva - la legittimazione passiva alla riassunzione, che era avvenuta nei confronti della madre del de cuius; in senso conforme Cass. n. 11677 del 1998).

4. Senonché, la qualità di erede della E. e, quindi, la dimostrazione dell'esistenza della sua fattispecie acquisitiva, emergeva da un fatto che la Corte lagunare ha del tutto omesso di considerare e che era idoneo a dimostrare in modo incontrovertibile che la E. aveva acquistato la qualità di erede.

Tale fatto era rappresentato proprio dall'avere compiuto, con espressa allegazione della qualità di erede, un atto di gestione del patrimonio del de cuius incompatibile con la volontà di non accettare la vocazione ereditaria, sicura nei termini poco sopra detti.

L'atto in questione era rappresentato dalla riassunzione del giudizio dopo il rinvio disposto da questa Corte. Questo atto era tale da presupporre necessariamente la volontà di accettazione dell'eredità comunque deferitagli, poiché non avrebbe avuto il potere di compierlo se non assumendo la qualità di erede, non rientrando esso, del resto, tra gli atti che possono essere compiuti dal semplice chiamato all'eredità.

La dimostrazione della qualità di erede scaturiva pertanto in modo inconfutabile dal comportamento espresso con la riassunzione e dalla relativa attività di allegazione valutate in una con le emergenze della certificazione prodotta (si veda per l'attribuzione del significato di accettazione tacita dell'eredità alla costituzione in prosecuzione volontaria della vedova addirittura senza spendita della qualità di erede la recente Cass. n. 12780 del 2003).

In ipotesi si sarebbe potuto semmai sostenere che non era comunque provata la qualità di erede esclusivo.

Ma la prova dell'esistenza di altri eredi, anche quando viene allegata nei confronti di colui che, a norma dell'art. 110 cod. proc. civ. prosegua il processo pendente nei confronti del suo dante causa a titolo universale, deve essere data non da chi si presenta come unico erede ma da chi sostiene la presenza di altri eredi (al fine di estendere ad essi il contraddittorio). Si vedano, in termini, da ultimo Cass. n. 6649 del 2003 e n. 3112 del 1999.

In assenza di tale allegazione da parte dell'odierno resistente (che comunque avrebbe posto solo il problema dell'integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi pretermessi), la Corte d'Appello avrebbe dovuto, dunque, ritenere che la E. era effettivamente subentrata in universum ius e, consequenzialmente considerarla legittimata alla riassunzione.

5. La sentenza va, dunque, cassata in accoglimento dei primi due motivi di ricorso e sulla base del seguente principio di diritto: «qualora si verifichi la morte della parte ed il processo venga riassunto da un soggetto che si qualifichi erede del de cuius, in qualità di figlio/a del medesimo, e che dimostri l'allegata relazione di parentela (come nella specie producendo certificazione di famiglia da cui essa emerga), pur senza specificare di quale tipo di successione si sia trattato e senza indicare in che modo sia avvenuta l'accettazione dell'eredità, il comportamento di riassunzione con l'allegata qualità di erede, in quanto proveniente da un soggetto che si deve considerare certamente (per effetto della dimostrazione della suddetta parentela) chiamato all'eredità quale che sia il tipo di successione in concreto verificatasi, va considerato come atto di accettazione tacita dell'eredità e, quindi, idoneo a far ritenere dimostrata la legittimazione alla riassunzione».

A tale principio si adeguerà il giudice del rinvio.

6. Gli altri motivi restano assorbiti.

Al giudice del rinvio è rimesso il regolamento delle spese del presente giudizio.


P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso. Assorbe gli altri. Cassa e rinvia.

La redazione di megghy.com

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