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Scrittura privata: limiti al disconoscimento e giudizio possessorio

Tribunale Napoli, sez. Afragola, ordinanza 27.04.2005

TRIBUNALE DI NAPOLI

SEZIONE DISTACCATA DI AFRAGOLA


IL GIUDICE MONOCRATICO

Letti gli atti, sciolta la riserva assunta nella controversia iscritta al R.G.A.C. 13/05 all’esito della comparazione delle parti, esaminate le note illustrative depositate dalle parti, ha emesso la seguente

ORDINANZA

Va preliminarmente osservato che la designazione di questo G.I. per l trattazione della presente controversia deve intendersi limitata alla sola fase sommaria, in ossequio alla disposizione tabellare organizzativa di questa sezione che assegna al sottoscritto magistrato, in mancanza di altri giudici togati, tutte i procedimenti speciali (possessori, cautelari, ingiuntivi): ne deriva che, versandosi in tema di istanza possessoria in pendenza di petitorio (proposto dal resistente nei confronti dei ricorrenti ed iscritto al R.G.A.C. 279/03), la fase di merito possessorio dovrà celebrarsi, a mente dell’art.704 c.p.c., innanzi il magistrato titolare del giudizio petitorio, appartenente a quest’Ufficio, non assumendo quindi rilievo la questione –sollevata da parte resistente- di competenza, configurabile soltanto in ordine alla distribuzione delle liti tra uffici giudiziari differenti, e non già tra magistrati-persone fisiche facenti parte dello stesso ufficio giudiziario.

Nel merito, l’istanza di reintegrazione è fondata e merita accoglimento.

In punto di diritto, il felice esito dell’azione di reintegrazione, avente funzione eminentemente recuperatoria, presuppone in modo indefettibile la concorrenza di due requisiti. Da un lato, va verificata l’esistenza, in capo al soggetto agente, di una situazione di possesso (ancorché illegittimo ed abusivo o di mala fede, purché avente i caratteri esteriori della proprietà o di altro diritto reale e non esercitato per mera tolleranza altrui, talché l’esistenza di un titolo di legittimazione a base del possesso rileva unicamente ad colorandam possessionem: di recente, sul punto, cfr. Cass. 15 maggio 1998 n. 4908; Cass. 7 febbraio 1998 n.1299) o di detenzione qualificata; dall’altro è necessaria la privazione totale o parziale, purchè manifestata con carattere duraturo (Cass.25 luglio 1981 n. 4820), del possesso (intesa come qualsiasi atto che impedisca o restringa le facoltà inerenti il potere esercitato sulla res: ex plurimis, Cass. 2 dicembre 1994 n.10363) caratterizzato dall’animus spoliandi, consistente nella consapevolezza di sostituirsi nella detenzione o nel godimento di un bene, contro la volontà, manifestata o presunta, dello spogliato (v. Cass.18 luglio 1985 n. 4226; Cass. 22 ottobre 1997 n.10366).

Ciò precisato in linea generale, nella ricostruzione della vicenda in parola, occorre muovere da una circostanza fattuale pacifica: l’appartamento in questione, di proprietà dei ricorrenti –quali successori mortis causa del dominus originario, MEVIA Maria (cfr. atto per notar C. del 31 maggio 1982) è stato per svariati anni nella materiale disponibilità di TIZIA Ax la quale ha ivi abitato sino al momento del suo decesso (risalente all’aprile 2004) e convissuto (saltuariamente, secondo i ricorrenti; in maniera continua e non interrotta, secondo il resistente) con il nipote SEMPRONIO Mx.

Fondamentale, ai fini della risoluzione della lite, diviene ora acclarare se l’occupazione dell’immobile ad opera della TIZIA fosse giustificata da un titolo ed eventualmente di quale natura.

Al riguardo, ritiene il giudicante meritevole di fede la prospettazione contenuta nel libello introduttivo circa l’esistenza di un rapporto di comodato intercorso dapprima con l’originaria proprietaria (MEVIA Maria) in forma verbale e di seguito con i ricorrenti per iscritto: affoliato al fascicolo attoreo (doc. n.8), vi è il contratto –avente data certa 10 ottobre 2003, epoca di consegna all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate- con cui De CAIO Ad., anche nella qualità di legale rappresentante dei figli minori, concedeva in comodato a TIZIA Ax il cespite in questione, usque ad mortem del comodatario.

Ad inficiare la valenza asseverativa di siffatto documento, non rileva poi il disconoscimento –o, per meglio dire, la dichiarazione di non riconoscere- della sottoscrizione della TIZIA apposta in calce allo scritto operato da parte resistente nella memoria difensiva.

Giova, in argomento, evidenziare che il procedimento possessorio è, al pari dei procedimenti cautelari (alla cui disciplina l’art.703 c.p.c. opera espresso richiamo), improntato alla deformalizzazione dell’attività istruttoria (“il giudice procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto”), svincolata cioè dalla rigida predeterminazione dei tempi e delle modalità di assunzione connotante il giudizio di cognizione ordinaria, finalizzata ad un accertamento delibativo di mera verosimiglianza della situazione tutelanda (con un’attenuazione qualitativa dell’onere probatorio gravante su chi agisce), senza pregiudizio del riesame nella successiva fase, con giudizio di certezza e nella completezza delle acquisizioni istruttorie.

In applicazione di siffatti principi, se in un procedimento possessorio (o anche cautelare) venga disconosciuta una scrittura (o la sola sottoscrizione), inconciliabile con la struttura del procedimento (e con le sottese esigenze di celerità e speditezza) l’esperibilità dei mezzi tipici di verifica dell’autenticità del documento (querela di falso ed istanza di verificazione), al giudice della fase interdettale (o della cautela) è affidato un accertamento sommario, sganciato dalle regole della verificazione ex art.216 c.p.c., dell’autenticità della scrittura –e cioè tanto del suo contenuto quanto della sua provenienza-, e desumerne elementi di convincimento ai soli, limitati fini della delibazione sulla richiesta di tutela interdettale o cautelare (in tal senso, nell’ambito del procedimento a cognizione sommaria ex art.274 c.c., Cass., 23 agosto 1990 n.8609, in caso di scrittura disconosciuta, ha ritenuto sufficiente l’accertamento che la scrittura non apparisse manifestamente falsa o apocrifa, senza necessità del giudizio di verificazione, la cui sede naturale è il giudizio a cognizione piena).

Nella fattispecie in esame, non solo il menzionato contratto di comodato non appare manifestamente falso o apocrifo, bensì e per converso è l’operato disconoscimento che si profila palesemente pretestuoso: basti, por mente, senza nemmeno l’ausilio di un portatore di specifiche competenze in materia grafologica, alla palmare ed ictu oculi evidente identità (o comunque fortissima somiglianza) tra i tratti grafici della sottoscrizione apposta in calce alla procura ad litem conferita da TIZIA Ax all’Avv. … per il giudizio petitorio (cfr. il margine dell’atto di citazione introduttivo di tale lite: doc. sub 2 fascicolo resistente), e dunque sicuramente proveniente dalla TIZIA, e della firma in calce al contratto de quo, anch’essa riferita e riferibile alla TIZIA.

A corroborare il convincimento del giudicante sull’argomento (ma anche -diversamente opinando sul valore della scrittura disconosciuta- a fondarlo il via autonoma, data la concludenza della risultanza istruttoria) depongono poi le dichiarazioni rese dall’informatore Cx Gx: questi, con narrazione minuziosa ed analitica, ha riferito di aver, in qualità di avvocato, prestato consulenza legale in favore di De CAIO Ad. in ordine alla redazione di un contratto di comodato da stipularsi con TIZIA Ax e poi riconosciuto nel documento affoliato (sub n.9) al fascicolo ricorrente il contratto in questione.

D’altro canto, l’esistenza di un rapporto di comodato siffatto appare evenienza di certo assai plausibile, vuoi in ragione degli stretti vincoli di parentela tra i contraenti (TIZIA Ax era madre di MEVIA Maria e quindi suocera di DE CAIO Ad. e nonna di De CAIO Sx e Gz), vuoi in forza di un’ulteriore considerazione: sembra non ragionevole ritenere che i ricorrenti, così solerti negli adempimenti fiscali-tributari connessi allo status proprietatis sul cespite (v. pagamento ICI, denuncia catastale relativi agli anni 2000-2001), si siano poi disinteressati della situazione di fatto dell’immobile, e ne abbiano consentito un’occupazione sine titulo ad opera di altre persone.

Dall’acclarata sussistenza di un contratto di comodato tra i ricorrenti e la deceduta TIZIA Ax discendono due significative conseguenze.

In primis¸ a parte ricorrente va riconosciuta la qualità di possessori, in via mediata, dell’appartamento, senza necessità di verificare –circostanza sulla quale le parti hanno concentrato l’attenzione- se effettivamente detentrice delle chiavi dello stesso durante la vita della TIZIA. Alla stregua del disposto dell’art.1140, secondo comma, c.c. (“Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa”), il corpus possessionis (inteso in funzione della utilità che la res può fornire) non esige una insistenza fisica continua del possessore, potendo anche prescindere dal materiale contatto con il bene (diffusamente, Cass. 2 dicembre 1972 n.3479): nell’ipotesi di comodato (analogamente ad altri contratti costitutivi di diritti personali di godimento: locazione, affitto), il comodante esercita il possesso sul bene in via mediata, attraverso il comodatario, ancorché questi sia un detentore qualificato, autonomamente legittimato ad esperire, in concorso con il locatore, l’azione di reintegrazione ex art.1168 c.c. (cfr., ex plurimis, Cass., 11 gennaio 1993 n.178; Cass., 30 marzo 1995 n.3811).

In secondo luogo, la posizione del resistente SEMPRONIO Mx, in quanto immesso nel godimento dell’immobile dalla TIZIA per ragioni di mero vincolo familiare, non può che essere sussunta nell’ambito di una detenzione per ragioni di ospitalità concessa dalla detentrice autonoma: egli pertanto, senza aver intrattenuto alcun rapporto diretto con i ricorrenti, non può essere riconosciuto titolare di una situazione di possesso o detenzione qualificata (per un’analoga vicenda, Trib. Civitavecchia, 9 maggio 1998).

Deceduta nell’aprile 2004 TIZIA Ax, cessato il comodato (avente quale termine finale la morte della comodataria), è venuta altresì meno la ragione –legata, come detto, alla sola volontà della detentrice autonoma- che consentiva al SEMPRONIO la relazione di fatto con la res.

E’ tuttavia pacifico che SEMPRONIO Mx abbia protratto il godimento del cespite anche dopo tale evento ed abbia esplicitamente rifiutato la restituzione richiesta dai ricorrenti (cfr. missiva-diffida inoltrata dal procuratore dei ricorrenti e tempestiva risposta del difensore del resistente, ambedue datate giugno 2004): questo rifiuto, lungi dal costituire mero atto di volizione interna, concreta, ad avviso del Tribunale, un comportamento materiale, esteriormente percepibile, specificamente diretto contro i possessori, inequivoca espressione della volontà di esercitare il possesso esclusivamente in nome e per conto proprio, ed integra quindi una interversio possessionis, ovvero un mutamento della detenzione in possesso per opposizione ex art.1141 c.c. (sul tema, Cass., 29 ottobre 1999 n.12149; Cass., 12 maggio 1999 n.4701).

Il descritto contegno del resistente determina quindi la privazione dell’esercizio delle facoltà inerenti il potere sulla res ad opera dei possessori, attuata in maniera duratura e con animus spoliandi, con la consapevolezza di sostituirsi nel possesso del bene contro la volontà, nella specie manifestata, degli spogliati (per una fattispecie assai similare, Cass., sez. un., 19 maggio 1982 n.3086).

Va in definitiva accolta l’istanza reintegratoria di parte ricorrente, con contestuale determinazione delle modalità di attuazione del provvedimento interdettale, come indicate in parte dispositiva, per ragioni di economia processuale ed al fine di impedire l’insorgere di ulteriori difficoltà.

Per la prosecuzione del giudizio di merito, imposta da ragioni di uniformità all’indirizzo esegetico delle sezioni unite (sent. 24 febbraio 1998 n.1984), si rimette il fascicolo al magistrato coordinatore della sezione per la assegnazione al G.I. titolare del giudizio petitorio.

P. Q. M.

In accoglimento dell’istanza di parte ricorrente, ordina a SEMPRONIO Mx di reintegrare Ix. De CAIO Ad., De CAIO Sx e De CAIO Gz nel possesso dell’appartamento sito in Cardito, (…), mediante consegna di tutti gli esemplari delle chiavi della serratura di ingresso;

Dispone che, in caso di mancata spontaneo adempimento della presente ordinanza nel termine di giorni venti dalla notificazione della stessa, l’Ufficiale giudiziario presso il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola, provveda, con ausilio di personale tecnico di sua fiducia, alla sostituzione della serratura di ingresso di tale appartamento, consegnando le chiavi alla sola parte ricorrente;

Rimette gli atti al Magistrato Coordinatore della sezione distaccata di Afragola per la designazione del G.I. della fase di merito.

Manda la Cancelleria per le comunicazioni di rito.

Afragola, 27 aprile 2005.

Il Giudice Monocratico

Dott. Raffaele Rossi

La redazione di megghy.com

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