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TRIBUNALE DI NAPOLI
SEZIONE DISTACCATA DI AFRAGOLA
IL GIUDICE MONOCRATICO
Letti gli atti, sciolta la riserva assunta nella controversia
iscritta al R.G.A.C. 13/05 all’esito della comparazione
delle parti, esaminate le note illustrative depositate dalle
parti, ha emesso la seguente
ORDINANZA
Va preliminarmente osservato che la designazione di questo
G.I. per l trattazione della presente controversia deve intendersi
limitata alla sola fase sommaria, in ossequio alla disposizione
tabellare organizzativa di questa sezione che assegna al sottoscritto
magistrato, in mancanza di altri giudici togati, tutte i procedimenti
speciali (possessori, cautelari, ingiuntivi): ne deriva che,
versandosi in tema di istanza possessoria in pendenza di petitorio
(proposto dal resistente nei confronti dei ricorrenti ed iscritto
al R.G.A.C. 279/03), la fase di merito possessorio dovrà
celebrarsi, a mente dell’art.704 c.p.c., innanzi il
magistrato titolare del giudizio petitorio, appartenente a
quest’Ufficio, non assumendo quindi rilievo la questione
–sollevata da parte resistente- di competenza, configurabile
soltanto in ordine alla distribuzione delle liti tra uffici
giudiziari differenti, e non già tra magistrati-persone
fisiche facenti parte dello stesso ufficio giudiziario.
Nel merito, l’istanza di reintegrazione è fondata
e merita accoglimento.
In punto di diritto, il felice esito dell’azione di
reintegrazione, avente funzione eminentemente recuperatoria,
presuppone in modo indefettibile la concorrenza di due requisiti.
Da un lato, va verificata l’esistenza, in capo al soggetto
agente, di una situazione di possesso (ancorché illegittimo
ed abusivo o di mala fede, purché avente i caratteri
esteriori della proprietà o di altro diritto reale
e non esercitato per mera tolleranza altrui, talché
l’esistenza di un titolo di legittimazione a base del
possesso rileva unicamente ad colorandam possessionem: di
recente, sul punto, cfr. Cass. 15 maggio 1998 n. 4908; Cass.
7 febbraio 1998 n.1299) o di detenzione qualificata; dall’altro
è necessaria la privazione totale o parziale, purchè
manifestata con carattere duraturo (Cass.25 luglio 1981 n.
4820), del possesso (intesa come qualsiasi atto che impedisca
o restringa le facoltà inerenti il potere esercitato
sulla res: ex plurimis, Cass. 2 dicembre 1994 n.10363) caratterizzato
dall’animus spoliandi, consistente nella consapevolezza
di sostituirsi nella detenzione o nel godimento di un bene,
contro la volontà, manifestata o presunta, dello spogliato
(v. Cass.18 luglio 1985 n. 4226; Cass. 22 ottobre 1997 n.10366).
Ciò precisato in linea generale, nella ricostruzione
della vicenda in parola, occorre muovere da una circostanza
fattuale pacifica: l’appartamento in questione, di proprietà
dei ricorrenti –quali successori mortis causa del dominus
originario, MEVIA Maria (cfr. atto per notar C. del 31 maggio
1982) è stato per svariati anni nella materiale disponibilità
di TIZIA Ax la quale ha ivi abitato sino al momento del suo
decesso (risalente all’aprile 2004) e convissuto (saltuariamente,
secondo i ricorrenti; in maniera continua e non interrotta,
secondo il resistente) con il nipote SEMPRONIO Mx.
Fondamentale, ai fini della risoluzione della lite, diviene
ora acclarare se l’occupazione dell’immobile ad
opera della TIZIA fosse giustificata da un titolo ed eventualmente
di quale natura.
Al riguardo, ritiene il giudicante meritevole di fede la
prospettazione contenuta nel libello introduttivo circa l’esistenza
di un rapporto di comodato intercorso dapprima con l’originaria
proprietaria (MEVIA Maria) in forma verbale e di seguito con
i ricorrenti per iscritto: affoliato al fascicolo attoreo
(doc. n.8), vi è il contratto –avente data certa
10 ottobre 2003, epoca di consegna all’Ufficio dell’Agenzia
delle Entrate- con cui De CAIO Ad., anche nella qualità
di legale rappresentante dei figli minori, concedeva in comodato
a TIZIA Ax il cespite in questione, usque ad mortem del comodatario.
Ad inficiare la valenza asseverativa di siffatto documento,
non rileva poi il disconoscimento –o, per meglio dire,
la dichiarazione di non riconoscere- della sottoscrizione
della TIZIA apposta in calce allo scritto operato da parte
resistente nella memoria difensiva.
Giova, in argomento, evidenziare che il procedimento possessorio
è, al pari dei procedimenti cautelari (alla cui disciplina
l’art.703 c.p.c. opera espresso richiamo), improntato
alla deformalizzazione dell’attività istruttoria
(“il giudice procede nel modo che ritiene più
opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione
ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto”),
svincolata cioè dalla rigida predeterminazione dei
tempi e delle modalità di assunzione connotante il
giudizio di cognizione ordinaria, finalizzata ad un accertamento
delibativo di mera verosimiglianza della situazione tutelanda
(con un’attenuazione qualitativa dell’onere probatorio
gravante su chi agisce), senza pregiudizio del riesame nella
successiva fase, con giudizio di certezza e nella completezza
delle acquisizioni istruttorie.
In applicazione di siffatti principi, se in un procedimento
possessorio (o anche cautelare) venga disconosciuta una scrittura
(o la sola sottoscrizione), inconciliabile con la struttura
del procedimento (e con le sottese esigenze di celerità
e speditezza) l’esperibilità dei mezzi tipici
di verifica dell’autenticità del documento (querela
di falso ed istanza di verificazione), al giudice della fase
interdettale (o della cautela) è affidato un accertamento
sommario, sganciato dalle regole della verificazione ex art.216
c.p.c., dell’autenticità della scrittura –e
cioè tanto del suo contenuto quanto della sua provenienza-,
e desumerne elementi di convincimento ai soli, limitati fini
della delibazione sulla richiesta di tutela interdettale o
cautelare (in tal senso, nell’ambito del procedimento
a cognizione sommaria ex art.274 c.c., Cass., 23 agosto 1990
n.8609, in caso di scrittura disconosciuta, ha ritenuto sufficiente
l’accertamento che la scrittura non apparisse manifestamente
falsa o apocrifa, senza necessità del giudizio di verificazione,
la cui sede naturale è il giudizio a cognizione piena).
Nella fattispecie in esame, non solo il menzionato contratto
di comodato non appare manifestamente falso o apocrifo, bensì
e per converso è l’operato disconoscimento che
si profila palesemente pretestuoso: basti, por mente, senza
nemmeno l’ausilio di un portatore di specifiche competenze
in materia grafologica, alla palmare ed ictu oculi evidente
identità (o comunque fortissima somiglianza) tra i
tratti grafici della sottoscrizione apposta in calce alla
procura ad litem conferita da TIZIA Ax all’Avv. …
per il giudizio petitorio (cfr. il margine dell’atto
di citazione introduttivo di tale lite: doc. sub 2 fascicolo
resistente), e dunque sicuramente proveniente dalla TIZIA,
e della firma in calce al contratto de quo, anch’essa
riferita e riferibile alla TIZIA.
A corroborare il convincimento del giudicante sull’argomento
(ma anche -diversamente opinando sul valore della scrittura
disconosciuta- a fondarlo il via autonoma, data la concludenza
della risultanza istruttoria) depongono poi le dichiarazioni
rese dall’informatore Cx Gx: questi, con narrazione
minuziosa ed analitica, ha riferito di aver, in qualità
di avvocato, prestato consulenza legale in favore di De CAIO
Ad. in ordine alla redazione di un contratto di comodato da
stipularsi con TIZIA Ax e poi riconosciuto nel documento affoliato
(sub n.9) al fascicolo ricorrente il contratto in questione.
D’altro canto, l’esistenza di un rapporto di
comodato siffatto appare evenienza di certo assai plausibile,
vuoi in ragione degli stretti vincoli di parentela tra i contraenti
(TIZIA Ax era madre di MEVIA Maria e quindi suocera di DE
CAIO Ad. e nonna di De CAIO Sx e Gz), vuoi in forza di un’ulteriore
considerazione: sembra non ragionevole ritenere che i ricorrenti,
così solerti negli adempimenti fiscali-tributari connessi
allo status proprietatis sul cespite (v. pagamento ICI, denuncia
catastale relativi agli anni 2000-2001), si siano poi disinteressati
della situazione di fatto dell’immobile, e ne abbiano
consentito un’occupazione sine titulo ad opera di altre
persone.
Dall’acclarata sussistenza di un contratto di comodato
tra i ricorrenti e la deceduta TIZIA Ax discendono due significative
conseguenze.
In primis¸ a parte ricorrente va riconosciuta la qualità
di possessori, in via mediata, dell’appartamento, senza
necessità di verificare –circostanza sulla quale
le parti hanno concentrato l’attenzione- se effettivamente
detentrice delle chiavi dello stesso durante la vita della
TIZIA. Alla stregua del disposto dell’art.1140, secondo
comma, c.c. (“Si può possedere direttamente o
per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa”),
il corpus possessionis (inteso in funzione della utilità
che la res può fornire) non esige una insistenza fisica
continua del possessore, potendo anche prescindere dal materiale
contatto con il bene (diffusamente, Cass. 2 dicembre 1972
n.3479): nell’ipotesi di comodato (analogamente ad altri
contratti costitutivi di diritti personali di godimento: locazione,
affitto), il comodante esercita il possesso sul bene in via
mediata, attraverso il comodatario, ancorché questi
sia un detentore qualificato, autonomamente legittimato ad
esperire, in concorso con il locatore, l’azione di reintegrazione
ex art.1168 c.c. (cfr., ex plurimis, Cass., 11 gennaio 1993
n.178; Cass., 30 marzo 1995 n.3811).
In secondo luogo, la posizione del resistente SEMPRONIO Mx,
in quanto immesso nel godimento dell’immobile dalla
TIZIA per ragioni di mero vincolo familiare, non può
che essere sussunta nell’ambito di una detenzione per
ragioni di ospitalità concessa dalla detentrice autonoma:
egli pertanto, senza aver intrattenuto alcun rapporto diretto
con i ricorrenti, non può essere riconosciuto titolare
di una situazione di possesso o detenzione qualificata (per
un’analoga vicenda, Trib. Civitavecchia, 9 maggio 1998).
Deceduta nell’aprile 2004 TIZIA Ax, cessato il comodato
(avente quale termine finale la morte della comodataria),
è venuta altresì meno la ragione –legata,
come detto, alla sola volontà della detentrice autonoma-
che consentiva al SEMPRONIO la relazione di fatto con la res.
E’ tuttavia pacifico che SEMPRONIO Mx abbia protratto
il godimento del cespite anche dopo tale evento ed abbia esplicitamente
rifiutato la restituzione richiesta dai ricorrenti (cfr. missiva-diffida
inoltrata dal procuratore dei ricorrenti e tempestiva risposta
del difensore del resistente, ambedue datate giugno 2004):
questo rifiuto, lungi dal costituire mero atto di volizione
interna, concreta, ad avviso del Tribunale, un comportamento
materiale, esteriormente percepibile, specificamente diretto
contro i possessori, inequivoca espressione della volontà
di esercitare il possesso esclusivamente in nome e per conto
proprio, ed integra quindi una interversio possessionis, ovvero
un mutamento della detenzione in possesso per opposizione
ex art.1141 c.c. (sul tema, Cass., 29 ottobre 1999 n.12149;
Cass., 12 maggio 1999 n.4701).
Il descritto contegno del resistente determina quindi la
privazione dell’esercizio delle facoltà inerenti
il potere sulla res ad opera dei possessori, attuata in maniera
duratura e con animus spoliandi, con la consapevolezza di
sostituirsi nel possesso del bene contro la volontà,
nella specie manifestata, degli spogliati (per una fattispecie
assai similare, Cass., sez. un., 19 maggio 1982 n.3086).
Va in definitiva accolta l’istanza reintegratoria di
parte ricorrente, con contestuale determinazione delle modalità
di attuazione del provvedimento interdettale, come indicate
in parte dispositiva, per ragioni di economia processuale
ed al fine di impedire l’insorgere di ulteriori difficoltà.
Per la prosecuzione del giudizio di merito, imposta da ragioni
di uniformità all’indirizzo esegetico delle sezioni
unite (sent. 24 febbraio 1998 n.1984), si rimette il fascicolo
al magistrato coordinatore della sezione per la assegnazione
al G.I. titolare del giudizio petitorio.
P. Q. M.
In accoglimento dell’istanza di parte ricorrente, ordina
a SEMPRONIO Mx di reintegrare Ix. De CAIO Ad., De CAIO Sx
e De CAIO Gz nel possesso dell’appartamento sito in
Cardito, (…), mediante consegna di tutti gli esemplari
delle chiavi della serratura di ingresso;
Dispone che, in caso di mancata spontaneo adempimento della
presente ordinanza nel termine di giorni venti dalla notificazione
della stessa, l’Ufficiale giudiziario presso il Tribunale
di Napoli, sezione distaccata di Afragola, provveda, con ausilio
di personale tecnico di sua fiducia, alla sostituzione della
serratura di ingresso di tale appartamento, consegnando le
chiavi alla sola parte ricorrente;
Rimette gli atti al Magistrato Coordinatore della sezione
distaccata di Afragola per la designazione del G.I. della
fase di merito.
Manda la Cancelleria per le comunicazioni di rito.
Afragola, 27 aprile 2005.
Il Giudice Monocratico
Dott. Raffaele Rossi
La redazione di megghy.com |