Il Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria,
Catanzaro - Sezione Seconda
composto dai signori magistrati:
Dr. Luigi Antonio ESPOSITO – Presidente
Dr. Giuseppe CHINE’ – Giudice rel.
Dr. Roberta CICCHESE - Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 1612/2003 proposto da F. Nicolina, rappresentata
e difesa dall’avv. Salvatore Gullì, domiciliata,
in assenza di domicilio eletto in Catanzaro, presso la Segreteria
del T.A.R.,
CONTRO
il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catanzaro,
in persona del Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso
dall’avv. Alfredo Gualtieri, elettivamente domiciliato
presso lo studio di quest’ultimo sito in Catanzaro v.
Nuova Bellavista n. 9,
per l’annullamento
del provvedimento di rigetto della domanda della ricorrente
di rilascio del certificato di compiuta pratica adottato dal
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catanzaro in
data 13.11.2003.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la memoria di costituzione dell’Amministrazione,
con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Udito alla pubblica udienza del 6 maggio 2005 il magistrato
relatore, dr. Giuseppe Chiné;
Uditi gli avvocati delle parti costituite come da relativo
verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
La ricorrente presentava il 10.11.2003 domanda di rilascio
del certificato di compiuta pratica forense, documentando
di avere conseguito il 29.10.2003 il diploma biennale di specialista
per le professioni legali indirizzo giuridico – forense,
di essersi iscritta in data 10.05.2002 al registro dei praticanti
presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catanzaro
e di aver svolto un anno di effettiva pratica forense.
Con il provvedimento impugnato, il Consiglio dell’Ordine
rigettava la predetta domanda, evidenziando che il rilascio
del richiesto certificato <<non può prescindere
dal requisito temporale del biennio di formazione post-laurea>>
previsto dall’art. 17 R.D.L. 27 novembre 1933 n. 10578.
A sostegno del proposto gravame, con il quale chiedeva l’annullamento
e la sospensione in via cautelare del provvedimento impugnato,
la ricorrente articolava un’unica complessa censura,
con cui denunciava la violazione degli artt. 17, commi 113
e 114 della legge n. 127/97 e 16 del d. lgv. n. 398/97 nonché
dell’art. 1 del D.M. 11 dicembre 2001, n. 475.
Con ordinanza n. 41/2004 dell’8.01.2004, il Collegio
accoglieva la domanda di sospensione cautelare del provvedimento
impugnato.
Si costituiva in giudizio il Consiglio dell’Ordine
resistente, instando per l’inammissibilità ed
il rigetto nel merito del proposto gravame.
All’udienza del 6 maggio 2005, sentiti i difensori delle
parti, come da relativo verbale, il ricorso è stato
trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione
di difetto di giurisdizione formulata dalla difesa del Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di Catanzaro.
Tale eccezione si fonda sulla lettera dell’art. 10,
3° comma, del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, secondo cui
avverso le deliberazioni di rigetto delle richieste di rilascio
dei certificati di compiuta pratica forense <<l’interessato
ha facoltà di presentare reclamo al Consiglio nazionale
forense>>.
La questione è già stata scrutinata, anche
in tempi recenti, dalla giurisprudenza amministrativa, che
ha concluso per l’infondatezza dell’argomento
giuridico posto a supporto della proposta eccezione.
Ed invero, la possibilità per il richiedente il certificato
di compiuta pratica di presentare reclamo avverso il provvedimento
di diniego presso il Consiglio nazionale forense non integra
una ipotesi di giurisdizione speciale devoluta al predetto
Consiglio, bensì un rimedio amministrativo di tipo
giustiziale (così, C.d.S., sez. IV, 17 febbraio 2004,
n. 619).
A sostegno di detta interpretazione depone: a) il principio
di tassatività che regola le attribuzioni giurisdizionali
degli organi di giurisdizione speciale; b) la lettera dell’ultimo
comma dell’art. 10 cit., ove si precisa che il Consiglio
si pronuncia <<sul merito della istanza>>, sì
da evidenziare la natura di decisione di seconda istanza della
pronuncia del Consiglio nazionale forense; c) l’equivocità
del termine <<decisione>> usato dalla norma, il
quale può individuare sia pronunce giurisdizionali,
sia pronunce di natura prettamente amministrativa, come quelle
rese sui ricorsi gerarchici, propri ed impropri.
Di qui la logica conclusione che avverso il provvedimento
di diniego opposto dal Consiglio dell’ordine sull’istanza
dell’interessato, quest’ultimo può proporre
impugnazione diretta davanti al Tribunale amministrativo regionale,
il quale decide nell’ambito della propria giurisdizione
generale di legittimità. Ogni contraria interpretazione,
oltre ad impingere in univoci indici ermeneutici, si paleserebbe
inconciliabile con il principio di facoltatività dei
rimedi gerarchici (art. 20 l. n. 1034/71) e con il suo corollario
della non necessaria definitività dell’atto amministrativo
ai fini della ricorribilità in sede giurisdizionale
(cfr. T.R.G.A. Bolzano 16 marzo 2004, n. 138).
L’eccezione proposta deve essere, quindi, respinta.
2.1 Nel merito il ricorso è fondato nei termini che
seguono.
2.2 Risulta per tabulas che il diniego nella specie opposto
dal Consiglio dell’Ordine è argomentato con riferimento
all’art. 17 n. 5) R.D.L. n. 1578/1933, secondo cui per
l’iscrizione all’albo degli avvocati è
necessario <<avere compiuto lodevolmente e proficuamente
un periodo di pratica (...) almeno per due anni consecutivi,
posteriormente alla laurea>>. In sintesi, per il Consiglio
resistente, anche per i diplomati delle scuole di specializzazione
per le professioni legali istituite ai sensi dell’art.
16 del d. lgv. 17 novembre 1997, n. 398 persiste l’obbligo
di iscrizione biennale nel registro dei praticanti e, pertanto,
di formazione biennale post-laurea.
Tale conclusione contrasta con inequivoci elementi ermeneutici.
L’art. 17, comma 114, della legge n. 127/97 stabilisce
testualmente che <<Anche in deroga alle vigenti disposizioni
relative all’accesso alle professioni di avvocato (.
. .) il diploma di specializzazione di cui al comma 113 costituisce,
nei termini che saranno definiti con decreto del Ministero
della Giustizia (. . .) titolo valutabile ai fini del compimento
del relativo periodo di pratica>>.
In attuazione di tale norma, con l’art. 1 del D.M.
11 dicembre 2001, n. 475 (Regolamento concernente la valutazione
del diploma conseguito presso le scuole di specializzazione
per le professioni legali ai fini della pratica forense e
notarile) si è stabilito che <<Il diploma di
specializzazione, conseguito presso le scuole di specializzazione
per le professioni legali di cui all’art. 16 del decreto
legislativo 17 novembre 1997, n. 398 e successive modificazioni,
è valutato ai fini del compimento del periodo di pratica
per l’accesso alle professioni di avvocato e notaio
per il periodo di un anno>>.
Dal combinato disposto degli articoli che precedono, si evince
che il legislatore, all’atto della costituzione delle
scuole di specializzazione per le professioni forensi, ha
inteso introdurre una disciplina di particolare favore per
i diplomati presso tali scuole, autorizzando, anche in deroga
alla disciplina settoriale previgente, la valutazione del
titolo di specializzazione al fine di ridurre il periodo di
pratica necessario per l’accesso alle professioni forensi.
In particolare, per quanto concerne l’accesso alle professioni
di notaio ed avvocato, ha inteso ridurre di un anno il periodo
di pratica necessario per sostenere i relativi esami di abilitazione.
Tale inequivoca voluntas legis verrebbe irrimediabilmente
frustrata ove si seguisse l’approccio ermeneutico prescelto
dal Consiglio resistente, in base al quale anche per il diplomato
presso le scuole di specializzazione troverebbe integrale
applicazione il dettato dell’art. 17 n. 5) R.D.L. n.
1578/1933. Pretendere anche per tali soggetti il requisito
della iscrizione biennale nel registro dei praticanti equivarrebbe,
difatti, a rinnegare in radice il beneficio che il legislatore
ha inteso riconoscere.
Né può sostenersi, con gli scritti difensivi
del Consiglio resistente, che un beneficio residuerebbe a
favore dei diplomati delle scuole di specializzazione, giacché
– fermo restando l’obbligo di iscrizione biennale
nel registro dei praticanti – i primi comunque riceverebbero
per un anno l’esenzione dall’espletamento della
effettiva pratica forense.
Tale percorso ermeneutico, oltre a porsi in chiaro contrasto
con la lettera della legge che ha inteso derogare in radice
alla disciplina previgente (art. 17, comma 114, l. n. 127/97),
patrocina una conclusione palesemente irragionevole, non comprendendosi
quale sia la ratio legis a supporto della regola che obbligherebbe
il diplomato a garantire l’iscrizione biennale nel registro
dei praticanti, laddove per un anno non sia tenuto a compiere
effettiva pratica forense, perché di essa tiene luogo
la formazione teorico-pratica compiuta presso la scuola di
specializzazione.
Ne consegue che – nel rispetto della lettera e delle
rationes sottese alla disciplina normativa suindicata –
con la costituzione delle scuole di specializzazione per le
professioni forensi, ed a favore dei diplomati, deve ritenersi
ormai derogata la norma che impone il requisito della iscrizione
biennale nel registro dei praticanti e, su di un piano più
generale, i due anni consecutivi di pratica forense.
L’art. 17 n. 5) R.D.L. n. 1578/1933, per le considerazioni
che precedono, è invero norma incompatibile con la
disciplina sopravvenuta relativa alla valutazione dei titoli
conseguiti presso le scuole forensi, di talché –
in ossequio ai principi che regolano la successione di leggi
nel tempo e limitatamente all’accesso degli specializzati
alla professione di avvocato – deve ritenersi travolta
in seguito alla costituzione delle scuole di cui all’art.
16 d. lgv. n. 398/97.
Concludendo sul punto, in adesione ad orientamento già
emerso presso i giudicanti amministrativi (cfr. T.A.R. Toscana,
sez. I, 24 febbraio 2004, n. 506; T.A.R. Lecce, sez. I, 2
dicembre 2004, n. 8391), può quindi affermarsi che
i diplomati presso le scuole di specializzazione per le professioni
forensi non hanno l’obbligo di espletare un periodo
consecutivo di due anni di pratica ai fini dell’accesso
all’esame di abilitazione per l’esercizio della
professione di avvocato, riducendosi per essi tale periodo
ad un solo anno, e ciò in virtù dell’equiparazione
voluta dal legislatore (ed attuata con l’art. 1 del
D.M. n. 475/2001) tra diploma di specializzazione ed un anno
di effettiva pratica forense.
2.3 Trasferendo i superiori principi alla presente controversia,
ne discende con immediatezza la fondatezza del ricorso, che
deve pertanto essere accolto.
Risulta, invero, per tabulas che la ricorrente si è
iscritta presso il registro dei praticanti del Consiglio dell’Ordine
di Catanzaro il 10.05.2002 (delibera del 23.05.2002), ha svolto
da tale data un anno di effettiva pratica forense ed ha conseguito
il diploma di specializzazione presso l’Università
degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro il 20.10.2003.
Alla stessa avrebbe dovuto, pertanto, essere rilasciato dal
Consiglio dell’Ordine competente il certificato di compiuta
pratica per l’ammissione all’esame di abilitazione
per l’esercizio della professione di avvocato.
Il diniego nella specie opposto dal Consiglio dell’Ordine
con provvedimento del 13.11.2003 si palesa quindi illegittimo
e deve essere conseguentemente annullato.
3. La novità delle questioni esaminate configura comunque
giusto motivo per compensare integralmente spese, diritti
ed onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria –
Catanzaro - Sez. II – accoglie il ricorso in epigrafe
e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Compensa integralmente spese, diritti ed onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità
amministrativa.
Così deciso in Catanzaro, nella camera di consiglio
del 6 maggio 2005.
L’Estensore Il Presidente
Il Segretario
Depositata in Segreteria l’8 luglio 2005.
La redazione di megghy.com |