Un volo su Vasco
Che cosa succede se un provocatore
di professione incontra "il rocker più spericolato"
d'Italia?
Sono in macchina sulla Milano Bologna,
una strada che ho fatto spesso. Ma oggi mi sento
molto "on the road". Sto andando a intervistare
Vasco Rossi.
Mentre guido, penso alle domande da fare. Cacchio,
mi dovrei comprare quei registratorini che si
vedono nei film degli investigatori... Sono anni
che lo dico e poi eccomi qui, a scrivere guidando,
anche una sola parola che mi faccia ricordare
la domanda. Potevo farlo ieri sera... Aveva ragione
mia madre "...sempre all'ultimo momento,
sempre di fretta".
Arrivo a Bologna. Sono emozionato: e se poi mi
impappino? E se gli faccio una domanda che non
dovevo? ODDIO! Alla velocità dei miei dubbi
e delle mie stupide paure arrivo davanti alla
palazzina dove Vasco mi aspetta.
Parcheggio, suono: "Sono Fabio Volo, quello
che faceva le Iene... No, non sono quello biondo,
sono l'altro... Ho un appuntamento con Vasco".
La porta si apre e io mi sento anche un pò
figo: cazzo, ho un appuntamento con Vasco, non
sono qui perchè ne mancava uno.
La prima persona che incontro è Federica
che mi dice "Vasco arriva subito". Cacchio,
è arrivato subito davvero. Ci mettiamo
nel suo ufficio. Mi guardo attorno. Molto semplice,
qualche quadro, due chitarre, un pò di
cd e dei libri. Un libro è di Schopenhauer.
Neanche lui è qui perchè ne mancava
uno. Dopo i soliti saluti, cominciamo a chiacchierare...
La
mia prima domanda è: Vasco ma come fai? Ma come
hai fatto? Capisco
che è una domanda un pò così.
Vabbè! Mi spiego meglio
Senti.
Che cosa ti
ha spinto a partire
con questa avventura
di diventare Vasco?
«In realtà, io
ero partito pensando
di risolvere dei problemi
miei personali come la timidezza, il sentirmi inadatto... e non ultimo
il problema dei soldi.
Cioè non ho più il problema dell'affitto, bollette, mangiare... Gli altri invece si sono addirittura amplificati. Perchè in realtà, se tu voi risolvere questo
tipo di problemi,
devi affrontarli dentro te stesso.»
Quindi la tua insicurezza
diventa carburante per affrontare nuovi progetti?
«Esatto. E' importante
per me che
ci sia sempre un'altra montagna da scalare, un altro progetto. Se non ce l'ho,
divento pericoloso per me, perchè con l'età ho perso forse un pò di energia, ma quella carica lì
ce l'ho ancora. Finchè
sto impegnato in un progetto, io sfogo
tutta la mia
aggressività su quello. Do tutto me stesso e finchè non arrivo, va tutto bene. Poi,
però, quando
arrivi sulla vetta
della montagna
puoi solo scendere e finisce che, se non ho un altro progetto, tutta quella aggressività
comincio a scaricarla
contro di me.»
Quindi, diventi pericoloso
per te stesso?
«Sì, ho bisogno
di nuove conquiste,
per proteggermi. Quando arrivi a un risultato come Imola, per esempio è eccezionale,
ma poi, il giorno
dopo... Prima passi
dei mesi teso perchè deve andare
tutto bene,
poi va tutto bene
ed è finito
tutto. Io non riesco a fare degli investimenti
narcisistici così,
metterli da parte, non è che poi vado fuori
e mi ripeto: "...sono
quello di Imola".
Quando mi sveglio
mi sveglio e sono
sempre io e basta, con tutte le mie solite menate.»
Si dice che chi conosce
le vette più alte conosce anche gli abissi più
profondi, è vero?
«Infatti a vole mi vengono dei gran
periodi di depressione a un livello tale che io non avevo
mai avuto prima, quando
ero un ragazzo. Ce li ho adesso che sono arrivato a tutto quello che volevo.
Sia chiaro
che non è che mi sto lamentando, anzi ho avuto molte
più soddisfazioni
di quante ne potessi
lontanamente immaginare. Il successo è una cosa straordinaria
perchè ti
da delle soddisfazioni ma non la sicurezza... per lo meno a me no. E' la celebrità che è un pò una rottura.»
Ma
quando sali su un palco, come a Imola davanti a più di centomila persone, come fai se sei
insicuro?
«Non è che io
salgo sul palco,
prendo un microfono
e canto. Per me è
tutta una rappresentazione che mi si costruisce dentro, mi trasformo. Ho tutto un mio percorso,
devo arrivare
concentrato, lucido, senza nemmeno aver
bevuto un whisky.
Devo essere proprio presente. Quando salgo sul
palco c'è
un momento di terrore totale, però non puoi tornare
indietro... Allora
vai avanti e a quel punto scatta una
cosa che
ti fa dimenticare tutto. Io nemmeno mi concentro sulla canzone ma cerco di andare a ripescare quella sensazione di quando l'ho scritta. Divento io la canzone. Io non sono un cantante,
sono un urlatore.»
Cos'è
che non hai mai imparato nella vita?
«Devo dire che
ci sono delle cose che anche se le sento non
le voglio imparare. Non ho imparato a essere
prudente, non ho imparato a dire bugie. Forse
perchè mia mamma da piccolo mi diceva
di non dirle e io ci ho creduto. Mi ha creato
anche dei problemi nella vita, soprattutto con
le donne, essere sinceri è un disastro.
Dovresti trovarne una che riesca a comprendere
un bel pò di cose. Quando avevo circa
vent'anni, il periodo in cui si cercava di fare
la rivoluzione, se non altro quella personale,
artistica, c'era il concetto del recupero della
spontaneità e della sincerità,
anche con le donne, che poi loro molto furbescamente
hanno continuato a mentire e noi maschietti
ci siamo cascati come delle pere.
Comunque a proposito di spontaneità e
sincerità, una svolta importante è
stato un tema a scuola. Il professore arriva
e ci dà un tema libero, senza titolo.
Io non sapevo cosa scrivere. Gli altri avevano
già iniziato ma a me non mi veniva niente.
Allora, con le spalle al muro e il culo per
terra, disperato (condizione in cui io do il
massimo di me stesso), ho cominciato a scrivere
che io non sapevo cosa scrivere. "O mi
date un titolo o io non sono in grado di darmi
un titolo". Poi, ho fatto anche tutta una
polemica sulla scuola. "Questo è
il risultato dopo anni di studio, la mia fantasia
è ridotta così, che se non mi
date un titolo non riesco a scrivere niente".
Ho buttato giù due paginette e prima
di consegnarle le ho intitolate "Tema libero
sul tema libero". Il giorno dopo, alla
consegna dei compiti, il professore inizia con
quelli dal 2 al 3, poi dal 3 al 4, dal 4 al
5, ma il mio non arrivava mai. Ho pensato che
mi teneva per ultimo per darmi una massacrata
esemplare. Alla fine, per ultimo tira fuori
il mio. Io stavo sprofondando dietro il banco
e invece mi aveva dato dal 9 al 10. In più,
mi aveva scritto "grazie per aver scritto
questo tema"... Insomma, un trionfo...
Da lì ho pensato: se mi posso salvare
il culo con la sincerità e la spontaneità,
io vado avanti per quella strada. Non mi considero
anti. Semplicemente, a volte non riesco proprio
a essere in linea con la media nazionale.»
Le tue canzoni descrivono
perfettamente delle situazioni in cui molta
gente si riconosce. Come fai, facendo una vita
completamente diversa dalla maggior parte delle
gente, a cogliere quelle sfumature?
«Intuito. E poi,
anche perchè se io
non vado più in discoteca, per esempio, le cose che succedono
sono sempre quelle.
"e' andata
a casa con il negro,
la troia" è uno
slogan sempre valido
per me. Nel senso
che basta un attimo,
una piccola distrazione
e uno ti
ruba l'occasione. Il "negro" l'ho sempre inteso così. A volte sono stato io la "troia". Questione di attimi...»
Le
tue canzoni sono perfette. E tu?
«Le mie canzoni
descrivono perfettamente le cose? Bè, la canzone può
essere perfetta, io non lo sono. Anche perchè dietro alle canzoni
ognuno ci vede
le cose a modo suo con le sue esperienze. Quindi, quando mi dicono: "sei un idolo, sei
un fenomeno, un mito",
io dico STIAMO CALMI!!!»
Per scrivere una canzone
che parli di sofferenze d'amore, devi aver sofferto?
«Devi sicuramente
aver provato
dolore. Quando scrivo una canzone, però, non è che la scrivo quando sono in sofferenza, perchè non ho nemmeno voglia di scrivere se sto male, ma lo faccio quando
sono creativo e quindi
vado a ripescare quei momenti lì
e cerco di raccontarli.
Allora, viene fuori
la sofferenza che
hai avuto, che
però quando
viene raccontata in una canzone diventa una cosa bella
da sentire per chi
la scolta anche se
è amara... Poi,
quando scrivo una
canzone d'amore, non
necessariamente vado
a ripescare la sofferenza che ho provato con una donna o in una storia. Quando
ho scritto Canzone, ad esempio,
l'avevo iniziata
pensando a mio padre che non c'era più e poi si è trasformata in una canzone d'amore per una
donna.»
Grazie Vasco: adesso che abbiamo finito...
birra? BIRRA!!!
Beviamo, poi andiamo in
una paninoteca a mangiare. Firmiamo anche un
pò di autografi sugli stessi fogli. Ci
scambiamo i numeri del telefonino promettendoci di
mandarci qualche messaggio. Alla fine salgo
in macchina. Oggi è stata una giornata
speciale per me. Questa intevista è stato
il mio concerto di Imola. Giorni di tensione,
poi adesso tutto finito. Devo pensare a un nuovo
progetto. Salgo in macchina guardo il suo numero
di telefono e penso: ma cosa scrivo a Vasco?
di Fabio Volo
foto Chico
De Luigi/Chiaroscuro, Sergio E. Raimondi,
Roberto Villani
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